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Questo articolo ha come oggetto la musica disco (o disco-music, come si
chiamava in Italia). O meglio, ha come oggetto la disco music di fine
anni '70 così come l'ho percepita all'epoca e di come ancora la ricordo.
Funzionava così: c’era la musica impegnata e la musica commerciale. Le
due categorie erano impermeabili, prima di tutto nella testa dei
ragazzi. Dentro la musica impegnata ci stavano naturalmente i cantautori
e la musica rock pre-punk e pre-new wave, nelle sue articolazioni più
diffuse in Italia nel periodo post-Beatles, ovvero progressive,
hard-rock (allora si chiamava così quello che poi avrebbe assunto il
nome di heavy metal) e west coast. La musica da discoteca era la
quintessenza della musica commerciale. La musica da ballo eludeva il
ragionamento, escludeva le categorie di giusto e sbagliato, faceva
muovere il corpo prima della (o senza la) testa e quindi addormentava le
coscienze. Cosa farne? Come trattarla?
Il 1978 è l’anno in cui sono finiti il 1968 e gli anni settanta. Durante il
periodo della prigionia del presidente della democrazia cristiana Aldo
Moro esplodeva in Italia la febbre del sabato sera: John Travolta
attirava le folle nei cinema e la musica dei Bee Gees istituzionalizzava
anche sul suolo italico il tipo di locale per giovani, la discoteca,
così come si era imposta negli Stati Uniti già da qualche anno, dagli
albori della disco music.
L’enorme amplificazione mediatica di Saturday Night Fever, film e disco,
scatenava gli opinionisti e i sociologi che, sulle colonne di Panorama,
L’espresso e sulla neonata La Repubblica, riversavano fiumi d’inchiostro
sul perché e i percome gli italiani e soprattutto le giovani generazioni
preferissero ballare Disco Inferno invece che manifestare in piazza
com’era d’uso solo fino all’autunno precedente.
Risulta tuttavia difficile pensare che improvvisamente i giovani
italiani che affollavano le feste dell’Unità fossero passati dal cantare
Hacia la libertad e Venceremos a ballare Night Fever e Stayin’ alive
fino alle prime luci dell’alba: i primi sospiri languorosi di Donna
Summer datavano 1975 e addirittura precedenti erano le epopee
chilometriche di Barry White.
Tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978 era opinione prevalente degli
esperti musicali che la disco avesse imboccato la parabola discendente:
il successo clamoroso di "Saturday Night Fever", oltre a moltiplicare in
maniera sbalorditiva i profitti delle case discografiche, a creare un
modo nuovo di fruire la musica da ballo, fece intravedere una possibile
new frontier musicale che, in moltissimi, provarono ad oltrepassare. Tra
il 1978 e il 1980 la disco era pronta ad accogliere non solo il pop ma
il rock e la new wave e le distinzioni si fecero molto meno rigide.
Quelli che oggi, trent’anni dopo, sono ritenuti veri e propri manifesti
del periodo disco, erano ancora lì da venire – si pensi ad esempio ai
fenomenali successi mondiali di Y.M.C.A., I will survive, Knock on wood,
Ring my bell, Funky town per non dire di tutta la produzione targata
Chic da Le freak ad Upside down passando per Good times, He’s the
greatest dancer, We are family e Spacer; per non parlare delle
incursioni nella disco di artisti insospettabilmente rock come i Rolling
Stones nella ipnotica Miss you o nella di molto inferiore Emotional
rescue; di Rod Stewart che, con Da ya think I’m sexy conosceva uno dei
più colossali successi della sua carriera, dei Queen, che con Another
one bites the dust riutilizzavano per la terza volta in poco meno di un
anno il giro di basso di "Good times" ripetendone e amplificandone, se
possibile, il successo. Ma furono i Blondie a chiudere il cerchio
passando da una new wave molto pop ad un disco-rock di notevole
efficacia e diventando prima in Inghilterra e poi dappertutto, uno dei
gruppi di maggiore successo del biennio 1979/80.
Non durò ancora molto. Già nel 1979 negli Stati Uniti si formarono veri
e propri movimenti anti-disco: lo slogan era "Disco sucks!", la disco fa
schifo!, risultarono vendutissime le magliette che inneggiavano
all'uccisione dei Bee Gees ed erano all'ordine del giorno roghi
dimostrativi in cui venivano bruciati i dischi dei Bee Gees, Donna
Summer, etc.
In questo articolo presenterò un centinaio di pezzi, che rappresentano, a mio avviso, il
meglio della produzione disco, tra il 1973 e il 1980. Lo farò
suddividendoli in due parti. La linea di demarcazione più utile è
senz'altro "Saturday Night Fever", i cui effetti si fecero sentire in
Italia nella primavera del 1978: in particolare tra i mesi di aprile e
giugno di quell'anno la programmazione radiofonica venne praticamente
saturata da almeno una decina di pezzi tratti dal doppio album, tra cui
anche canzoni che erano stati successi di qualche tempo prima (Disco
Inferno dei Trammps e i due numeri uno americani dei Bee Gees, Jive
talkin' e You should be dancing).
Prima di Saturday Night Fever, negli anni 1974-77, la disco era
costituita da due filoni piuttosto autonomi scarsamente dialoganti: il
primo era quello che derivava direttamente dalla tradizione r'n'b e
funky, di cui costituiva una delle possibili evoluzioni; l'altro filone
è quello delle produzioni di studio europee, soprattutto tedesche e
francesi, caratterizzate da un uso prevalente dell'elettronica, su cui
si innestava sovente una linea melodica, derivata dal pop stile
eurofestival: da qui il termine eurodisco, coniato in angloterritori e,
forse, poco trasparente per noi.
Nella seconda fase, invece, furono dominanti le produzioni americane che
innestarono le soluzioni più efficaci della disco europea sulle basi
ritmiche tipicamente autoctone: si può forse dire che il grado di
sofisticazione era molto maggiore, non necessariamente della freschezza
e della efficacia. Molti produttori europei si spostarono negli Stati
Uniti, molti artisti rock salirono sul carrozzone disco, oltre a quelli
citati oltre, i Kiss, Elton John, i Beach Boys. Era molto più difficile
individuare una linea autonoma r'n'b da quella disco: artisti come Earth
Wind and Fire, Diana Ross e Michael Jackson, per dire solo dei maggiori,
venivano identificati indifferentemente nell'una e nell'altra. Qualche
anno dopo si sarebbe parlato di contaminazione, ma allora la parola
richiamava solo fenomeni di inquinamento industriale o batterico.
Periodo pre-estate 1978: i 60 brani più significativi
1. I feel love - Donna Summer - 1977
Uno degli archetipi disco per antonomasia. Suona quasi sperimentale e
avant-garde ancora oggi. In un album (I remember yesterday) tra i più
mediocri che la coppia Moroder-Bellotte predispose per la Summer, spicca
come una gemma ineguagliabile. Non amata da chi dalla disco si aspetta
soprattutto violini e melodie semplici con cori e fiati che la fanno da
padrone, rappresentò probabilmente il più inatteso dei successi da parte
degli stessi produttori che non lo volevano nemmeno pubblicare come
singolo di punta. Solo sintetizzatori con linee ritmiche che si
inseguono e si sovrappongono per scomparire tutte insieme e ripartire
una dietro l’altra, come succede due volte nella versione più lunga del
brano; suoni di tastiera elettronica che evidenziano coppie minime di
apertura/chiusura, compressione /dilatazione, oppressione/liberazione.
Rimixata infinite volte, tra le cover va segnalata quella a nome Bronski
Beat e Marc Almond, non fosse che per il successo ottenuto (terzo posto
in UK, in aprile 1985): si trattava in realtà di un medley, comprendente
anche Love to Love You Baby e Johnny Remember Me di John Leyton.
Wikipedia riporta la definizione di un critico, secondo cui si trattava
di "the gayest record ever made"; in italiano la diremmo una "gran
checcata", il che non deve intendersi come un'offesa! Nell’estate del
1977 avevo 13 anni e impazzivo per I feel love. Vado a memoria, ma mi
sembra che Donna Summer venne in Italia per un concerto alla Bussola a
settembre dello stesso anno: i giornali continuavano a dire che non
esisteva, che era un prodotto di studio, che la voce dei dischi non era
la sua, etc. Tutto ciò si svolgeva parallelamente al tam tam mediatico
sulla presunta transessualità di Amanda Lear, che conosceva in quel
periodo il grande successo di Tomorrow. Renato Zero impazzava con Mi
vendo/Morire qui e anche a scuola – all’inizio della terza media, si
parlava di omosessualità: era trent’anni fa!
2. Night fever - Bee Gees - 1978
L’apoteosi della disco si raggiunse nella primavera del 1978: la colonna
sonora di Saturday Night Fever rimase per 24 settimane (6 mesi!) al
primo posto degli album più venduti negli Stati Uniti. Successi analoghi
si riprodussero in tutti i mercati discografici maggiori. I 5 brani
originali dei Bee Gees (i 3 singoli e i 2 brani cantati anche da Yvonne
Elliman e dai Tavares) nonché un’altra mezza dozzina di successi degli
anni precedenti rivitalizzati dall’inclusione nella raccolta, occuparono
per tutta una stagione le classifiche dei singoli e le frequenze delle
radio. Si cristallizzò un’idea della disco, che non includeva
necessariamente tutte quelle esistenti e quelle passate, soprattutto a
livello musicale. Introdusse una sorta di sospensione alla reazione, che
di lì a poco avrebbe assunto negli Stati Uniti connotazioni anche
violente, al fenomeno disco, avvertibile, in Italia, per esempio, già
verso la fine del 1977. Le accuse erano le solite: musica vuota, banale,
ripetiva, noiosa, stupida e per stupidi, etc. L’impatto commerciale fu
enorme: non solo a livello di apertura di locali, ma anche per quanto
riguardava gli investimenti e la programmazione delle case
discografiche: tra il 1978 e il 1979 la quantità di artisti di ambito
pop/rock che migrò verso produzioni disco fu impressionante. Torniamo ai
Bee Gees: in presenza di dittici dicotomici, tutti hanno ragione e
nessuno ha torto. Il caso che si tratta qui è: preferite Night Fever o
Stayin’ alive? Stayin’ alive arrivò temporalmente prima e annunciò la
Febbre: in Italia fagocitò il secondo singolo che quasi non ebbe
riscontro in classifica. Diversa la storia oltralpe: nel Regno Unito,
Stayin alive non andò nemmeno al primo posto, Night Fever fu prima solo
per due settimane (e quattro al secondo posto), causa le vendite
stratosferiche di Rivers of Babylon dei Boney M; le richieste per i due
singoli erano talmente elevate che gli stabilimenti inglesi non
riuscivano a coprire la domanda e costrinsero la WEA e la RSO a farli
stampare anche in Olanda e in Germania. Negli Stati Uniti il match
Stayin alive-Night fever finì 4 a 8 – nel senso di settimane al primo
posto! Se non si è capito, a me piace più Night fever!
3. Never can say goodbye - Gloria Gaynor - 1974
Con i due artisti citati oltre compone l’ideale empireo delle divinità
disco, nei giorni della prima diffusione del nuovo culto. In
particolare, Gloria Gaynor fu la prima star ad essere fregiata del
titolo di disco queen: in realtà le sue fortune non furono così
durature, visto che già nel 1976 era considerata irrimediabilmente
superata e che nel 1979, quando I will survive diventò un hit
stratosferico, sembrava che i suoi successi precedenti si riferissero a
qualche imprecisata epoca del passato. Tornando invece ai suoi primi
giorni felici, Never can say goodbye, cover di un brano del 1971 dei
Jackson 5, risulta ancora oggi uno degli inni più allegri, portatori di
euforia gioiosa, che sia mai stato dato sentire nelle piste da ballo,
grazie all’arrangiamento e alla vocalità serena e aperta di Gloria
Gaynor. L’idea geniale fu quella di inserire Never can say goodbye in un
medley che iniziava con Honey bee e si concludeva con la cover di Reach
out (I’ll be there), nell’album della Gaynor del 1975, per una durata di
quasi 20 minuti, a coprire tutta la facciata che predisponeva ad una
maratona di danze e balli che percorse le sale di tutto il mondo per
tutto l’anno. Raccomandazione: da evitare accuratamente le versioni
rifatte di Never can say goodbye e di Reach out (I’ll be there) che
hanno cominciato a circolare in larga copia nei negozi di dischi a
partire dal primo disco revival dei primi anni novanta: fanno schifo!
4. You’re the first, the last, my everything - Barry White - 1975
Insieme a KC. & the Sunshine Band il marchio di fabbrica disco più
popolare del periodo 1974-1976: di pari passo con questo, una
ripetitività indubbia che rendeva spesso difficile distinguere un hit
dall’altro. L’altra caratteristica di Barry White riguardava la
lunghezza dei titoli delle canzoni. Il suono è quello soffice e morbido
di origine orchestrale con tappeti di archi su cui si innesta il vocione
del cantante.
5. That’s the way I like it - KC. & the Sunshine Band - 1975
Degli svariati hit (5 numeri uno americani a suo nome) scritti da H.W.
Casey, uno dei produttori più importanti della prima disco (si è detto
di Rock your babe e Jimmy Bo Horne), questo è probabilmente il più
popolare: se si avessero dei dubbi a cosa si riferisca il titolo, gli
“ah-ah, ah-ah” ripetuti per tutta la canzone tra “that’s the way” e “I
like it” dovrebbero chiarire tutto. Ebbe un brano incluso in Saturday
Night Fever (Boogie shoes) e due ritorni al grande successo nel 1979/80
(Please don’t go e Yes I’m ready) e nel 1984 (Give it up!.
6. Don’t leave me this way - Thelma Houston - 1976
Già classico Philly Sound di Harold Melvin and the Blue Notes di qualche
anno prima conosce la sua versione definitiva nella versione di Thelma
Houston, numero uno negli Stati Uniti all’inizio del 1977. Che si
trattasse poi di un brano buono per tutte le stagioni si dimostrò nel
1986 quando la sua rilettura da parte di Jimmy Somerville (con Richard
Coles nei Communards) anche con l’apporto di Sarah Jane Morris, diventò
il singolo più venduto dell’anno nel Regno Unito e un best seller in
tutta Europa. Thelma Houston, di cui non si conoscono altri successi,
pur costituendo la più proverbiale degli one hit wonder, andò
temporaneamente ad occupare il trono di disco queen, lasciato vacante da
Gloria Gaynor, e prima che venisse assegnato definitivamente a Donna Summer.
7. Nice’n’ nasty - The Salsoul Orchestra - 1976
La fantasmagoria di un’orchestra per una delle mie epopee disco
preferite: con un’introduzione che funziona come un rappel à l’ordre non
discutibile (tutti in pista!), un tappeto ritmico cui resisti non
potest, archi e fiati che improvvisano aperture di luce nella tenebra
dei bassi-batteria. Divertitevi!
8. You should be dancing - Bee Gees - 1976
Una delle metamorfosi più radicali della storia della musica pop si era
compiuta l’anno prima: il falsetto, archi e fiati di Jive talkin’ aveva
annullato quasi dieci anni di onorata carriera nella sezione: pop
melodico. Non era andata male: nel 1976 consolidarono il nuovo corso con
questo grande singolo, che presenta uno degli inizi più torridi che mai
si siano sentiti nella musica da ballo; poi è un tripudio di cori,
chitarre, fiati, archi; per non dire di una favolosa linea di basso, con
batteria stratosferica! La sua fama (come quella di Jive talkin’) venne
riaggiornata con l’inclusione in Saturday Night Fever.
9. I wish - Stevie Wonder - 1976
Songs in the key of life era il quinto capolavoro consecutivo di Stevie
Wonder. Rimase per 14 settimane al primo posto degli album più venduti
in US, produsse due singoli numeri uno e una delle canzoni più popolari
della musica degli ultimi 50 anni a non essere uscita come singolo,
Isn’t she lovely. Ok, lo so: cosa c’entra Stevie Wonder con la disco?
Non c’entra quasi niente, va bene; ma in quel quasi, ci sta che almeno
quattro brani di questo album erano ballatissimi dappertutto: I wish,
Sir Duke, Another star e Black man. Può bastare?
10. Fantasy - Earth, Wind and Fire - 1977
Già gruppo r’n’b di grande successo in US, assurgono a superstar
planetarie tra il 1977 e il 1979, con sequenza ininterrotta di gran
pezzi da ballare: rappresentano il coté più raffinato della disco, con
potente sezione fiati e cori perfetti. Fantasy è stata per anni la sigla
di Prima visione, il programma di anteprime cinematografiche di Raiuno
ed è stata rifatta, con discreto successo dai Blackbox nel 1990.
11. From here to eternity - Giorgio Moroder - 1977
Giorgio Moroder fu forse il più importante produttore disco europeo, il
cui impatto non è stato ancora valutato appieno. Insieme alle produzioni
per Donna Summer, questo brano è il suo contributo più duraturo alla
musica pop in genere. La disco elettronica nasce con lui: l’ambito è
affine a quello in cui operavano i Kraftwerk, con un’attenzione molto
più esplicita alla ballabilità.
12. The Sound of Philadelphia - M.F.S.B. - 1974
Il più importante centro di definizione del suono disco fu Philadelphia.
Il modello si proponeva di smussare le parti più urticanti del funky,
suoni levigati e dolci, atmosfera morbida, fiati e archi, cori
femminili. Successo enorme
13. Disco inferno - Trammps - 1976
Anche i Trammps, come i Tavares citati oltre, beneficiarono dall’essere
stati inclusi nella colonna sonora di Saturday Night Fever: Disco
inferno, dopo una timida apparizione al cinquantatreesimo posto, ritornò
in classifica nella primavera del 1978 sfiorando i top ten.
Uno dei brani che definiscono l’era disco, rifatta anche da Tina Turner
e Cindy Lauper.
14. Trans Europe Express - Kraftwerk - 1977
Capolavoro: minimalismo e grandi melodie, ritmi robotici, voci distorte.
Grande impatto e influenze che si estendono ai luoghi più impensabili:
la scena house di Chicago ha dichiarato il suo debito ai Kraftwerk.
Hanno creato uno scenario, un ambiente, che prima non esistevano. Si
balla da favola.
15. Follow me - Amanda Lear - 1978
Il fenomeno Amanda Lear esplose in Italia nell’estate del 1977:
apparentemente una delle tante Disco divas, si portava dietro un
curriculum piuttosto consistente. Amica di Bowie, modella (compare sulla
copertina del capolavoro dei Roxy Music, For your pleasure),
amica-amante di Salvador Dalì. Tutto ciò sarebbe passato inosservato se
il battage pubblicitario non avesse buttato nel mucchio, la sua presunta
transessualità, giustificata, peraltro, dall’aspetto, dalla voce
particolarmente bassa, e anche da un certo senso dell’humour,
tipicamente associabile al mondo gay. Tomorrow e Queen of Chinatown
furono i due singoli che la consacrarono in cima alle preferenze
perlomeno italiche – il suo successo fu limitato all’Europa centrale e
non oltrepassò mai la Manica. Nulla, tuttavia, faceva presagire il vero
e proprio delirio barocco che attende l’ascoltatore nella prima facciata
di Sweet Revenge, il secondo album di Amanda Lear, prodotto come il
primo, I am a photograph, da Anthony Monn. L’album, veramente
stupefacente, per i canoni che caratterizzavano le produzioni disco, si
apre con una suite di venti minuti circa con cinque movimenti, che
incorpora le esperienze dei Kraftwerk e di Giorgio Moroder e le miscela
con la disco orchestrale più tipica, quindi violini a profusione e cori
da favola ma anche colpi di gong e schitarrate rock, piuttosto inusuali
fino a quel momento e la voce di Amanda, la cui pronuncia inglese suona
oltremodo esotica e che, come ha detto Michael Freeberg, un critico
americano, “can’t properly sing even one note, but what’s got to do with
anything?” Ah, Follow me è il primo singolo tratto da Sweet Revenge.
16. Dancing queen - Abba - 1977
La “queen” della canzone è la Regina di Svezia, per la quale la canzone
fu composta: a parte Gimme! Gimme! Gimme!, è forse il loro pezzo più
disco, ed è sicuramente quello più venduto – l’unico numero uno
americano, andò al primo posto pressoché in qualunque mercato del mondo,
tranne forse l’Italia. L’Italia, dopo un primo innamoramento coincidente
con i due grossi successi SOS e Fernando, si mostrò pochissimo sensibile
al fascino degli Abba, con parziale recupero solo con Winner takes it
all, nell’autunno del 1980: tutto ciò che stava in mezzo – stiamo
parlando di una dozzina di singoli (numeri uno o top 5 dappertutto)
passarono relativamente inosservati: c’è da dire che il pregiudizio nei
confronti degli Abba era probabilmente superiore a quello ostentato nei
confronti della musica da discoteca: chi ascoltava gli Abba o era un
bambino, o era uno stupido!
17. Got to give it up (part 1) - Marvin Gaye - 1977
L’altro gigante della Motown a trarre qualche vantaggio dal mercato
disco fu Marvin Gaye: versione accorciata di un brano lungo 12 minuti
che comparve in un disco dal vivo uscito nello stesso anno, andò al
numero 1 delle classifiche pop, r’n’b e disco di Billboard. Gaye usa un
falsetto che forse influenzerà Michael Jackson in Don’t stop till you
get enough; il rumore di fondo è giustificato dal testo della canzone,
che parla di un ragazzo che è troppo timido per ballare (l’azione si
svolge in un locale da ballo), ma poi, grazie alla musica (groove) si
lascia andare al ballo e al resto …
18. Love hangover - Diana Ross - 1976
Non so se all’epoca Diana Ross entrasse e uscisse da cliniche di
disintossicazione, come siamo abituati a leggere sui giornali da ultimo
per quanto la riguarda: la sbornia del titolo è questa volta una sbornia
d’amore: niente di cui preoccuparsi. Primo singolo disco della Motown ad
andare al primo posto in US, nella versione da 7’50 si compone di tre
parti: nella prima, una sorta di introduzione lenta (i primi tre
minuti), Diana ci narra gli eventi che si sono risolti nella “più dolce
sbornia d’amore”, da cui non vuole uscire mai più; annunciata da tre
colpi d’archetto di violino inizia la parte più propriamente disco, con
l’hook assassino che andrà avanti come un loop per tutto il resto del
pezzo; ad una parte esclusivamente strumentale (quasi 2 minuti), segue
la parte finale in cui Diana sussurrante implora di non chiamare
dottori, mamma e preti e che non vuole essere curata... Eccellente!
19. Ma Baker - Boney M - 1977
Si sta parlando qui di uno dei gruppi di maggiore successo in giro per
l’Europa tra il 1977 e il 1979: con un’immagine (le copertine fanno
ancora morire dal ridere!) tra il trash e il macho (tre donne e un uomo)
inanellarono un’incredibile serie di hit, il cui vertice è rappresentato
da Rivers of Babylon, pubblicato nella primavera del 1978. Non rendo
probabilmente giustizia agli Abba, ma l’ambito di diffusione della loro
produzione era lo stesso, ovvero pop melodico con ritmiche e impasti
vocali accattivanti che, sovente, tendevano alla disco. I temi trattati
nelle loro canzoni erano piuttosto eclettici: includevano, tra gli
altri, la questione nordirlandese (Belfast) e il favorito dello Zar di
Russia prima della Rivoluzione di Ottobre, Rasputin. Ma Baker, con Daddy
cool, rappresenta il vertice commerciale della produzione più “da
discoteca”.
20. Yes sir, I can boogie - Baccara - 1977
Il più improbabile dei numeri uno inglesi del periodo: il duo femminile
spagnolo spopolò in tutta Europa nell’autunno del 1977: una vera e
propria delizia, resa ancora più irresistibile dall’inglese
approssimativo delle interpreti. Replicarono parzialmente con il
successivo Sorry I’m a lady.
21. Devil’s gun - C.J. & Co. - 1977
Forse il brano di minor successo commerciale presente in questa
classifica, fu in realtà un grosso hit (a quei tempi si diceva:
riempipista) nei club (discoteche) dell’epoca! Numero uno nella
classifica dance di Billboard nella primavera del 1977, io la conobbi
attraverso Radio Babboleo che in quel periodo la trasmetteva “a
manetta”. Per quanto mi riguarda uno dei brani più potenti del periodo,
ci si trova proprio tutto: voci su diversi registri (tenore e baritono),
cori che rafforzano il crescendo ritmico, con gli archi in evidenza che,
a loro volta, punteggiano il basso e la batteria in un tripudio che si
vorrebbe non finisse mai. Uno dei brani di cui ho fatto più fatica a
ritrovare titolo e autori: ricordavo solo il motivo, prima
dell’illuminazione ho spulciato decine e decine di brani, e dopo mesi e
mesi di ricerca avevo quasi perso la speranza.
22. Supernature - Cerrone - 1977
I Concept-album, uno dei fenomeni più perniciosi che si siano mai
affacciati nella musica pop, contagiarono anche la musica disco.
Cerrone, uno dei nomi chiave (all’inizio con Alec Costadinos) della
disco, fece il botto un paio di anni prima con Love in C minor, una
suite che calcava il filone disco-erotico inaugurato da Donna Summer.
Per Supernature, coadiuvato da Lene Lovich (ve la ricordate?) abbandonò
le orchestrazioni dei dischi precedenti e inglobò molta elettronica,
derivazione diretta Giorgio Moroder, con eccellenti risultati. Il
concept- album? Ah sì: si parla di mutanti creati da scienziati per
rimpiazzare l’umanità che sta morendo di fame, o qualcosa del genere. Vi
interessa? A me no, sto ballando!
23. Dance (a little bit closer) - Charo & the Salsoul Orchestra - 1977
La “regina del Cuchi-cuchi”, Charo, nata in Murcia, Spagna, moglie
quindicenne (?) di Xavier Cugat, fornisce la sua voce a una delle più
famose orchestre del periodo disco: la Salsoul Orchestra, composta da 50
elementi e diretta da Vincent Montana Jr., fondendo soul, r’n’b, e
ritimi latinoamericani, fu una delle presenze fondamentali del panorama
disco. Il risultato, qui, tende molto al camp: archi e fiati a
profusione, scampanellii con xilofoni o simili, quel certo disco
flavour, la vocina di Charo che quando canta in inglese risulta
piuttosto divertente. Lasciatevi andare, non ve ne pentirete!
24. Lady Marmalade - Labelle - 1975
E’ dura sintetizzare la carriera di un gigante della musica: stiamo
parlando del meraviglioso prodigio e talento naturale che risponde al
nome di Patti Labelle. Qui la troviamo in una delle sue incarnazioni più
riuscite, perlomeno in termini commerciali: nel 1975 l’invito contenuto
in Lady Marmalade, Voulez-vous coucher avec-moi?, montando l’onda della
crescente disinibizione sessuale amplificata dal ritmo della musica
disco, rimbalzò in tutti i Paesi del mondo: numero uno ovunque. Rifatta
un sacco di volte: la più recente a quattro voci, tra cui Christina
Aguilera e Pink, per il film Moulin Rouge, ebbe nel 2001 ancora più
successo della versione originale.
25. Love train - O’Jays - 1973
Subito prima del contagio disco, a Philadelphia si creavano capolavori
di tal fatta: piena tradizione soul, impasti vocali paradisiaci, archi,
fiati e una ritmica accelerata che tenderà a diventare disco di lì a
poco. Grande successo americano. Scena finale e titoli di coda in The
last days of disco.
26. Love to love you baby - Donna Summer - 1975
Soprannominata “Regina della disco”. L’unica artista ad aver
attraversato tutto il periodo disco da protagonista, con successo, se
possibile, sempre crescente. Qualche dato: 9 singoli consecutivi nei top
5 di Billboard tra il 1978 e 1980, di cui 4 numeri uno (compreso il
duetto con Barbra Streisand); tra il 1975 e il 1979 pubblicò 8 album
(quasi 2 all’anno), di cui gli ultimi 4 doppi. Fu la prima artista donna
ad avere tre album (doppi) consecutivi al numero uno di Billboard.
Potrei continuare per pagine; per il momento basti sapere che, in un
mercato naturalmente predisposto ai singoli, Donna Summer fu una delle
poche artiste a vendere palate di album, al punto che questi andavano in
cima alle classifiche anche quando i singoli non erano hit pazzeschi. In
Italia, per esempio Four seasons of love e Once upon a time, tra il 1977
e il 1978, rimasero per settimane ai primi posti, senza avere forti
singoli di traino.
Per venire invece al brano che ci interessa, bisogna dire che fu una
delle grandi invenzioni della prima disco: intercettò, per esempio, la
crescente richiesta di brani lunghi che permettessero ai d.j. dell’epoca
di non dover cambiare continuamente i dischi, che fino a quel momento
non superavano i 4-5 minuti; la versione dell’album copriva tutta la
prima facciata. La naturale evoluzione sarà poi quella delle versioni
extended, che cominciavano a circolare proprio in quei tempi, e la
creazione di un nuovo supporto, il singolo 12”. La creazione di brani
che diventavano delle vere e proprie suite, con orchestrazioni più o
meno in evidenza, soprattutto nelle sezioni archi e fiati, diventarono
uno dei filoni principali della produzione del periodo. Da molti
considerata la versione brutta di Shaft di Isaac Hayes, Love to love you
babe non si può dire che sia invecchiata bene, ma l’impatto all’epoca fu
molto forte; sono note le fasi della sua registrazione, la lunga teoria
di orgasmi simulati - qualcuno è arrivato anche a contarli; l’aneddoto
che la pudica Donna Gaines in Sommer, diventata nell’occasione Donna
Summer, si mettesse di spalle rispetto ai musicisti e la sua richiesta
di spegnere le luci per la vergogna di emettere sospiri così
univocamente interpretabili, etc. etc.
27. Do it anyway you wanna - People’s Choice - 1974
Gemma del Philly sound: fiati e basso in gran spolvero. L’invito
contenuto nel titolo e ripetuto per tutto il brano non sarebbe molto
popolare nell’Italia del 2007.
28. Doctor’s orders - Carol Douglas - 1974
Nonostante fosse stato inventato da quasi un secolo a metà degli anni
settanta la musica pop fece del telefono uno dei suoi temi preferiti: da
Piange il telefono (Le telephone pleure) a Telephone line, passando per
Buonasera dottore, forse ispirato almeno nel titolo dal pezzo della
Douglas. Si sente nei titoli di testa di The last days of disco. Da non
confondersi con il quasi omonimo Carl Douglas, in classifica nello
stesso periodo con Kung Fu fighting. In Italia, tra i primi brani disco
a diventare anche grossi successi commerciali (nel 1975).
29. Heaven must be missing an angel - Tavares - 1976
I fratelli Tavares, nel solco della tradizione r’n’b, furono tra gli
eletti beneficiati dall’essere stati inclusi nella colonna sonora di
Saturday Night Fever: More than a woman era presente nella loro versione
e in quella dei Bee Gees, che ne erano gli autori. Tuttavia, mi piace
più ricordarli per questo bel pezzo di qualche tempo prima.
30. Turn the beat around - Vicki Sue Robinson - 1976
Uno dei grandi brani della disco. One-hit-wonder irresistibile, venne
ripreso con discreto successo da Gloria Estefan nel 1994.
31. Rock the boat - Hues Corporation - 1974
Se per Rock the boat si può parlare di una canzoncina pop con un ritmo
un po’ più sostenuto, è il pezzo di George McCrae che, in parallelo al
Sound of Philadelphia, definisce la forma della disco prima maniera.
32. Rock your baby - George McCrae - 1974
L’1-2 della disco nell’estate del 1974: si può dire che la disco in
termini di fenomeno commerciale cominci da qui: Rock your babe prende il
posto di Rock the boat in cima alla classifica dei singoli di Billboard.
33. Let’s all chant - Michael Zager Band - 1977
L’autore è Michael Zager, produttore, arrangiatore e pianista: uno dei
nomi chiavi della disco. Il brano di maggiore successo in discoteca
subito prima dell’avvento di Saturday Night Fever, fine
inverno-primavera 1978: piuttosto contagiosa, non si fa mancare nemmeno
un inserto quasi “cameristico”, naturalmente con strumenti elettronici.
Era la canzone dell’ “ah ah-eh eh” , o anche, dell’ “uh-uh”.
34. Don’t let me be misunderstood - Leroy Gomez & Santa Esmeralda - 1977
Autunno 1977: l’aggiornamento del classico degli Animals –già cantata da
Nina Simone, con spruzzate di percussioni latine, chitarre in stile
flamenco e l’implacabile beat disco ne fanno uno dei classici del
periodo. Geniale l’utilizzo di Tarantino in Kill Bill vol. 1.
35. What a difference a day makes - Esther Phillips - 1975
Con questa cover di una canzone di Dinah Washington, la grande e
sfortunata cantante r’n’b Esther Phillips andò in classifica e si fece
ballare in tutto il mondo.
36. You make me feel like dancing - Leo Sayer - 1976
Forse il primo artista di provenienza pop-rock a salire sul carrozzone
disco - Bowie excepted of course, lui faceva sempre le cose prima degli
altri: da promettente cantautore inglese della nuova leva si ritrovò
superstar mondiale con due numeri uno consecutivi in US, di cui questo è
il primo. Nel 2006 è ritornato in auge per un remix di enorme successo
di un suo pezzo del 1977, Thunder in my heart; non solo, più di un’eco
di You make me feel like dancing si avverte in I don’t feel like dancing
dei Scissor Sisters, oltre che nel titolo, quasi un calco, anche nel
falsetto.
37. Heaven must have sent you - Bonnie Pointer - 1978
Insieme alle sorelle nel gruppo soul Pointer Sisters, iniziò la carriera
solista con questo brano: lo scampanellio più famoso della disco, dopo
quello di Ring my bell di Anita Ward, del 1979
38. I love the nightlife (Disco round) - Alicia Bridges - 1978
Anche di Alicia Bridges non si conoscono altri successi se non questo:
si sente nei film Priscilla, la regina del deserto e in The last days of
disco.
39. Best of my love - Emotions - 1977
Trio femminile prodotto da Maurice White degli Earth, Wind & Fire,
spopolò con questo brano nell'estate del 1977.
40. One for you, one for me - La Bionda - 1978
I fratelli La Bionda abbandonano il progressive per la disco con le
sigle La Bionda e D.D.Sound, mietendo successi con entrambe, tra il 1977
e il 1980: questo è il maggiore, popolare in tutta Europa.
41. Hot shot - Karen Young - 1978
Piuttosto briosa e incalzante, Hot shot merita a pieno titolo la
definizione one hit wonder. Si segnala un primo posto nella classifica
dance/club hit di Billboard.
42. La vie en rose - Grace Jones - 1977
Il progetto artistico "Grace Jones" attraversò anche la disco, con buoni
risultati tra l'altro, ma quello che venne dopo fu ancora meglio. Icona
gay (primo successo: I need a man), con voce quasi sempre fuori
registro, corpo stupendo, viso squadrato e androgino, con la sua
immagine scioccante primeggiava in quegli anni tra Parigi e New York. La
parola "look" e tutto ciò che ne deriva, potrebbe essere stata inventata
per lei: sfilate di moda, incredibili servizi fotografici e apparizioni
nei club più esclusivi del mondo (fu una delle muse di Andy Warhol, che
accompagnava allo Studio 54). Dopo i primi tre album disco virò verso un
suono più rock che fondeva la new wave con le atmosfere reggae fornitele
dagli eccezionali Sly Dunbar e Robbie Shakespeare: nel 1981,
Nightclubbing, il secondo dei tre dischi di questa fase, fu votato disco
dell'anno, dal sempre piuttosto snob New Musical Express. Altrettanto
centrata e apprezzata fu la produzione di Trevor Horn per il disco del
1985, Slave to the rhythm. La sua rilettura in chiave disco del
celeberrimo brano di Edith Piaf non è forse la sua cosa più
interessante, ma è quella che la rese celebre nell'autunno del 1977 in
Italia e offre un esempio del suo stile straniato e straniante.
43. Gimme some - Jimmy ‘Bo’ Horne - 1976
Proveniva da uno dei poli principali della prima disco, Miami, dove
operava Harry Casey (KC and the Sunshine Band). Quasi dimenticato, non
comparve all'epoca in quasi nessuna classifica internazionale ma in
Italia, quando si sentì le prime volte apparve subito irresistibile, e
andò molto bene in hit parade.
44. Magic Fly - Space - 1977
Nato come sigla di programma della tv francese sull'astrologia diventò
un hit da discoteca, costituendo una delle prime variazioni del tema
"cosmico", particolarmente attraente per i produttori disco.
45. The best disco in town - Ritchie Family - 1976
Medley di brani popolari nelle discoteche (tra gli altri Lady Bump, I
love music, Turn the beat around), fu uno dei grandi successi disco del
1976. Produce Jacques Morali.
46. Shadow dancing - Andy Gibb - 1978
Il minore dei fratelli Gibb raggiunse l'apice del successo con questo
singolo, quasi contemporaneamente alla Fever dei Bee Gees: era il terzo
numero uno consecutivo in US. Riferibile sicuramente alla produzione
disco dei Bee Gees, appare piuttosto dimenticato adesso. Ebbe gravi
problemi di dipendenza da droga e alcool: morì appena trentenne nel
1988.
47. What’s your name what’s your number - Andrea True Connection - 1978
Esplosa l'anno prima con More more more, l'ex porno star Andrea True è
forse più popolare in Italia con quest'altro brano: piuttosto incalzante
nella struttura musicale, con venature quasi rock (si fa per dire!),
descrive un incontro tra single in un bar.
48. Black is black - La Belle Epoque - 1977
Cover dell'omonimo brano dei Los Bravos, hit del 1966. Produzione
francese, discreto successo.
49. Black jack - Baciotti - 1978
Buona produzione italiana (Pippo La Rosa), largamente influenzata nelle
atmosfere dai lavori di Giorgio Moroder di quel periodo.
50. Fly Robin fly - Silver Convention - 1975
Se vi piace di più, potete anche sostituirla con Get up and boogie
(1976), sono perfettamente interscambiabili: entrambe utilizzano non più
di sei parole - fly Robin fly, up up to the sky, una; get up and boogie,
that's right!, l'altra. Il tema musicale, se così si può dire, viene
esaurito nel primo minuto. Detto questo, furono una delle produzioni di
maggiore successo mondiale (Numero uno e numero due, rispettivamente
nella classifica di Billboard) tra il 1975 e il 1976. Produzione
tedesca.
51. Theme from “Close encounters of the third kind” - Meco - 1977
Visti i risultati, ottenuti con il rifacimento di Star Wars, il trattamento
fu ripetuto con le musiche del film di Spielberg.
52. Star Wars theme - Meco - 1977
Subito dopo fu il turno dei due tra i più grossi blockbusters di tutti i
tempi. Meco, che aveva coprodotto Never can say goodbye di Gloria Gaynor
e prodotto Doctor’s orders di Carol Douglas, rimase folgorato dalle
musiche di John Williams per Guerre Stellari di Lucas e Incontri
ravvicinati del terzo tipo di Spielberg. Convocò 75 orchestrali, suonò
il trombone (il suo strumento) e le tastiere. Pubblicò un album; il 12’’
conteneva una versione di 16 minuti del tema di Guerre Stellari. Il
singolo andò al primo posto nelle classifiche di Billboard. Si ballò in
tutto il mondo.
53. Gonna fly now - Maynard Ferguson - 1977
Temi di film in salsa disco: questo è il primo. Il trombettista Ferguson
andò al primo posto dappertutto con questa, che era il tema di Rocky.
54. Scotch machine - Voyage - 1977
I Voyage erano una delle realtà più interessanti provenienti dalla
Francia: di grande successo anche negli Stati Uniti. Dei Voyage vanno
ricordate anche Souvenirs, di qualche mese successiva, e From East to
West, dell’anno dopo.
55. Rock on - Hunter - 1977
Rock on: non propriamente disco, ma si straballava nei primi mesi del
1978; veniva mixata con Scotch machine. Tarantella con archi e le
cornamuse dei Voyage. Disco-folk?
56. Kung fu fighting - Carl Douglas - 1974
Uno dei primi successi planetari del periodo disco: numero uno in UK e
in US. Popolarissima ancora adesso. Produzione inglese (Biddu).
57. Ramaya - Afric Simone - 1975
Furoreggiò nelle discoteche e in classifica nel 1976. Più un fatto di
costume che altro. Citata da Elio in “Pippero” nel 1992 e nel programma
TV “Anima mia” del 1997.
58. Zodiacs - Roberta Kelly - 1977
In Italia nell’estate del 1977 contese a Donna Summer il primato in
discoteca e nelle classifiche di vendita. Producevano Moroder e
Bellotte. Vendite scarse in UK e in US, dove è più nota per
Trouble-maker dell’anno prima, numero uno della Billboard Hot
dance/disco chart.
59. I love to love - Tina Charles - 1976
Una delle poche produzioni disco provenienti dal Regno Unito,
curiosamente periferica rispetto alle principali correnti disco del
periodo. Produce l’anglo-indiano Biddu, responsabile anche di Kung fu
fighting. Remixata nel 1986, si rivelò un grosso successo in Italia
nell’estate del 1987.
60. The hustle - Van McCoy - 1975
La trovo di una noia mortale: non mi è mai piaciuta. sta qui perchè
costituisce una tappa imprescindibile nella storia del ballo e del
costume negli Stati Uniti. Fu un enorme successo in tutto il mondo.
DISCO: APOTEOSI E CADUTA
Passiamo ora ad analizzare il periodo che va
dall’estate del 1978 a quella del 1980, periodo oltre il quale la parola
disco fu progressivamente abbandonata per designare la musica che si
ballava in discoteca. Nel 1978, grazie probabilmente all’effetto
combinato Saturday night fever e Grease, le vendite dei dischi subirono
un’impennata. Il fenomeno riguardò tutto il mondo e fece sentire i primi
effetti già nell’ultimo trimestre del 1977: per quanto riguarda i
singoli, nel 1978 nel Regno Unito vennero consegnati ai negozi 100
milioni di esemplari, con diversi hit milionari, tra cui Rivers of
Babylon/Brown girl in the ring che, con 40 settimane in classifica e
vendite certificate di 1.800.000 unità, diventò il secondo singolo più
venduto di tutti i tempi fino a quel momento dopo Mull of Kintyre dei
Wings, che aveva superato i 2 milioni solo qualche mese prima. (Per la
cronaca, il titolo di singolo più venduto era detenuto, con 1.800.000
copie vendute, da She loves you). Anche l’Italia, nel suo piccolo,
conobbe un discreto boom: il volume delle vendite fece un balzo
superiore al 20%, e il 1979 fu l’ultimo anno in cui le vendite dei
singoli si avvicinarono ai 30 milioni di pezzi, prima dell’inabissamento
che proseguì ininterrotto per tutti gli anni ottanta. La cuccagna non
durò a lungo: nel 1980 le vendite erano tornate ai livelli del 1977,
discoteche e concerti erano molto meno frequentati che nel biennio
precedente e, con buona pace per tutti, i discografici si dovevano far
venire in mente idee nuove. Il 1979 fu l’anno in cui i successi disco
furono veramente grossi, la produzione per molti versi fu più curata e
varia, i confini tra pop e disco diventarono quasi inesistenti, il
crossover era piuttosto generalizzato, non solo nelle aree di naturale
affinità quali il soul e il funky, ma anche in quella del rock e della
nascente new wave si assistette a recipoci e proficui scambi di
sonorità. Nel 1980 il suono tipicamente disco era già in disarmo e
proibita, almeno negli Stati Uniti, ne fu la parola. Almeno due successi
stratosferici come Funky town e Upside down ne ritardarono di qualche
mese la morte e nel 1981 di disco non si parlava più.
CHIC ORGANIZATION
Si sta parlando del marchio di fabbrica più importante, sia in termini
di successo che di influenza, degli anni 1977/1980, con il suono, quasi
un brevetto, più riconoscibile e caratteristico del periodo. La
pervasività delle loro produzioni nei mercati discografici, nelle onde
radio, e nelle discoteche assunse i connotati di un’occupazione vera e
propria. Non credo di esagerare ma fu grazie agli Chic che molti, che
avevano snobbato fino a quel momento la disco, cominciarono a guardarla
con meno sufficienza. Il loro suono era diverso da tutto ciò che si era
sentito fino a quel momento grazie al grande talento di Nile Rodgers e
Bernard Edwards che svilupparono un fraseggio di basso e chitarra,
raramente così presente nella produzione disco, che, insieme alle voci e
alla batteria, creavano un effetto sofisticato ed elegante. A rafforzare
questa impressione contribuiva anche l’utilizzo massiccio di parole ed
espressioni francesi: chic (c’est chic), le freak, savoir faire, risqué
nei titoli, ma anche crème de la crème (in He’s the greatest dancer
delle Sister Sledge). Il catalogo Chic, oltre ai successi in proprio (in
ordine cronologico, Dance dance dance, Everybody dance, Le freak, I want
your love, Good times), comprende:
- l’album solista di Norma Jean, loro vocalist in Chic, l’album del 1977
- le Sister Sledge, i due album We are family e Love somebody today
- Spacer di Sheila
- Diana di Diana Ross.
Negli anni Ottanta Edwards e Rodgers, separatamente e qualche volta
insieme, si occuparono di Debbie Harry, Carly Simon, David Bowie, Robert
Palmer, Power Station, Duran Duran, Grace Jones, etc. Il 1979 fu il loro
anno magico: C’est chic, il secondo album disco, uscito alla fine del
1978, trainato da Le Freak e subito dopo da I want your love, veniva
suonato per intero nelle discoteche e nelle radio. In primavera fu il
momento dei due singoli fenomenali delle Sister Sledge: He’s the
greatest dancer e We are family. In estate imperversò Good Times e
subito dopo My forbidden lover e My feet keep dancing. Alla fine del
1979 Good times, venne utilizzata come base per quello che è considerato
il primo brano hip-hop di successo, Rapper’s delight della Sugarhill
Gang. L’estate successiva i Queen conobbero il loro più grande successo
americano, utilizzando il giro di basso di Good times e mentre Diana
Ross imperversava con Upside down e tutto l’album, Diana, il tentativo
di superare le barriere della disco da parte degli Chic, con l’album
Real people non interessò praticamente nessuno. Se può interessare, a
me, in quell’estate 1980, Rebels are we piaceva da pazzi.
DONNA SUMMER
Per Donna Summer esiste un prima e un dopo: il discrimine corre lungo il
1978. In Italia e in Europa raggiunse il massimo del successo con I feel
love, che andò al primo posto dappertutto, trascinandosi dietro l’album,
il mediocre I remember yesterday, il secondo singolo, Love’s unkind e
anche il tema del film, The Deep, Deep down inside, che uscì
nell’autunno del 1977. Once upon a time, pubblicato alla fine del 1977
inaugurò la serie degli album doppi, e nonostante si debba ritenere il
suo migliore sforzo a 33 giri, non produsse singoli di particolare
successo: le radio italiane li tralasciarono (Once upon a time e I love
you) in favore della cupa ed ipnotica Now I need you. Gli scricchiolii
si fecero più forti quando Last dance, il singolo di punta del
soundtrack di Thank God it’s Friday, film musicale sulla scia di
Saturday Night Fever, non andò in classifica in Italia e non entrò nei
top 50 inglesi. Last dance, disco d’oro e oscar come miglior canzone,
segnò viceversa negli Stati Uniti l’inizio del periodo di maggiore
successo di Donna Summer, di cui già si è parlato. Hot stuff, apice del
successo americano, non fu nemmeno top ten in UK, così come l’album Bad
girls, doppio disco di platino in US, non andò oltre il 23° posto in UK.
Era evidente comunque che, a parte Hot stuff, che con le infuriate
schitarrate rock, rimane un unicum, le produzioni di questo periodo
miravano ad un pubblico meno settoriale di quello disco, e fossero più
indirizzate verso il mercato americano.
BEE GEES
Spirits having flown vendette sulla fiducia, andò al numero uno
dappertutto, ma se paragonato a Saturday Night Fever, fu quasi un fiasco
- negli Stati Uniti non andò oltre il milione di copie; i tre singoli
fecero tutti il loro dovere allungando a 6 la striscia di numeri uno
consecutivi in US, ma non si può evitare di considerarli di molto
inferiori al materiale precedente: Too much heaven era una pessima copia
di How deep is your love e Tragedy e Love you inside out risultavano
oltremodo fiacchi a confronto di Night fever e Stayin' alive. Dopo di
ciò, a parte le fortunatissime produzioni di Barbra Streisand e di
Dionne Warwick, i Bee Gees si presero un lungo sabbatico da cui
riemersero più rockeggianti nell'autunno 1981 con He's a liar nel
disinteresse generale, a parte l'Italia, in cui salì fino al terzo posto
(classifica Musica e Dischi); Living Eyes, l'album, non entrò nei top 40
né in US, né in UK.
VILLAGE PEOPLE
Prodotto tipicamente da studio come tanti altri del periodo disco, il
gruppo fu assemblato dal produttore francese Jacques Morali (che stava
dietro anche il marchio Ritchie Family) e dal suo partner Henri Belolo
intorno al talento canoro di Victor Willis che possedeva una delle poche
voci del registro vocale maschile del firmamento disco, in cui
primeggiavano voci femminili, falsetti e addirittura voci da
controsoprano!; per ironia della sorte, tale exploit si associava a un
gruppo in cui l'estetica di riferimento era tipicamente quella della
scena gay del Village, con i caratteri macho del motociclista, del
poliziotto, del muratore, del cowboy, del soldato e dell'indiano
pellerossa. Furono i più popolari divulgatori delle tipologie gay che
frequentavano le discoteche americane, con riferimenti evidentissimi ai
gay di mezzo mondo, ma probabilmente, non immediatamente palesi per il
pubblico di massa che acquistava i loro dischi e si divertiva con le
loro coreografie piuttosto elementari e i cori simil-marcia militare.
Raggiunsero l'apice di popolarità con l'uno-due di YMCA e In the navy
nei primi mesi del 1979; subito prima avevano spopolato nelle discoteche
con San Francisco e Macho man. Dopo il fiasco del film Can't stop the
music e l'abbandono del gruppo da parte di Willis, con problemi di droga
e violenze e stufo, inoltre, di essere associato ad un gruppo gay,
tentarono il rilancio nel 1981 con atmosfere e look new romantic:
l'album era Renaissance e i singoli Do You Wanna Spend The Night e 5 O'
Clock In The Morning; probabilmente ebbero successo solo in Italia,
grazie alla partecipazione come ospiti al festival di Sanremo 1982.
Main course: Pesi massimi e pezzi unici
Eccoli qui: il canone disco del periodo maggiore. Si parla di successi
transatlantici e planetari, milioni di copie vendute, numeri uno in
tutte le classifiche disponibili. Quando, nei primi anni novanta, sono
cominciati i revival disco, l’attenzione si è concentrata soprattutto su
queste. Le conoscono anche le mie nipoti che hanno meno di 20 anni, e
che pensano che il periodo in cui uscirono queste canzoni, fosse
permeato di letizia e spensieratezza. Nel 1998 uscirono quasi
contemporaneamente due film, Studio 54 e The Last Days of Disco,
con intenti quasi celebrativi dell'era disco, dell'anno prima era Boogie
Nights che, pur non centrato sulle discoteche e sulla musica, con il
periodo disco aveva molto a che fare: aldilà dei giudizi di valore che
si possono dare su questi film, sfido chiunque a convincermi che l'idea
che fanno emergere sia quella di un periodo allegro e spensierato. Di
questa serie celeberrima spiccano gli one hit wonder di Anita Ward, dei
Lipps Inc., di Patrick Hernandez e di Amii Stewart di cui, perlomeno nel
mercato americano, si persero subito le tracce; sviluppò una sorta di
seconda carriera in Italia invece, con risonanza in tutta Europa e
persino in Inghilterra, grazie alle produzioni di Mike Francis,
segnatamente Friends e Together, intorno alla metà degli anni ottanta.
Altrettanto improprio sembrerebbe includere Sylvester in questa
categoria: se è vero che You make me feel (mighty real) rimane
insuperato come dimensione di vendite e popolarità rappresentando, tra
l'altro, il più grande successo in discoteca post-Saturday Night Fever,
nell'estate del 1978; dopo qualche successo minore, ritornò alla grande
nel 1982 con Do you wanna funk, inno high energy di Patrick Cowley che,
con Sylvester, condivise lo stesso tragico destino di morte per AIDS.
Nelle discoteche dell'estate del 1978, insieme a Sylvester, si cominciò
a sentire il falsetto di Mick Jagger e le linee di basso micidiali di
Miss you dei Rolling Stones: i fans più accaniti non apprezzarono ma il
successo inevitabile portò il singolo ad essere l'ultimo numero uno
americano; del resto il flirt con suoni più dance era cominciato qualche
anno prima con la torrida Hot stuff e proseguirà anche con la fiacca
Emotional rescue, nel 1980. Quando Da ya think I’m sexy esplose
fragorosamente nelle classifiche diventando il secondo singolo di Rod
Stewart, dopo Maggie May, ad andare al primo posto sia in UK che negli
Stati Uniti, la reputazione del cantante inglese era già in gran parte
compromessa; ciononostante, l'accoglienza riservata a Da ya think ... fu
oltremodo imbarazzata, sembrando impossibile che la parabola già
largamente in discesa di Stewart nell'ambito della credibilità
artistica, potesse scendere così in basso; le vendite, invece, non
sarebbero mai più state così alte: quattro volte platino in US per il
mediocre album Blondes have more fun e ai primi posti in tutto il mondo
con il singolo. Heart of glass, nello stesso periodo, rappresentò
l'ingresso dei Blondie nel paradiso dorato delle superstar
transcontinentali: esisteva già con altro titolo e veniva spesso
eseguita dal vivo nella versione più rock. I fans gridarono al
tradimento, ma il gruppo non sembrò preoccuparsane troppo: Debbie Harry
quando intervistata sulla questione, sorrideva sorniona, chiamando Heart
of glass, "the disco song".
Good times - Chic
I will survive - Gloria Gaynor
Hot stuff - Donna Summer
Funky town - Lipps Inc.
Knock on wood - Amii Stewart
Ring my bell - Anita Ward
Heart of glass - Blondie
You make me feel (mighty real) - Sylvester
Don’t stop 'til you get enough - Michael Jackson
He’s the greatest dancer - Sister Sledge
Y.M.C.A. - Village People
Le freak - Chic
Miss you - Rolling Stones
Upside down - Diana Ross
Another one bites the dust - Queen
Spacer - Sheila & the Black Devotion
We are family - Sister Sledge
Born to be alive - Patrick Hernandez
Boogie wonderland - Earth Wind and Fire
Da ya think I’m sexy - Rod Stewart
Tragedy - Bee Gees
Contorni
In ordine sparso ho riportato qui una lista dei brani più ballati e
ascoltati del periodo compreso tra la fine del 1978 e il 1980.
Sopravvive qualche produzione europea “vecchia maniera” ma la prevalenza
è per un suono strettamente imparentato con il filone r’n’b che, nelle
sue varianti, riprende il sopravvento sul tipico beat disco, via via
abbandonato.
Take your time - S.O.S. Band
Does it feel good to you - BT Express
You gave me love - Crown Heights Affair
Ladies night/Celebration - Kool & the Gang
Second time around - Shalamar
Cocomotion - El Loco
Dancer - Gino Soccio
Put a little love on me - Delegation
Keep on jumpin’/In the bush - Musique
I got my mind up - Instant funk
Instant replay/Relight my fire - Dan Hartman
I love America/Lady night - Patrick Juvet
Automatic lover/Meteor man - Dee D. Jackson
Mandolay - La Flavour
High steppin hip dressin’ fella Love - Unlimited Orchestra
Shangaied - ‘Lectric funk
We all need love - Trojano
Lady bug Bumblebee - Unlimited
Givin’up givin’in/The runner - Three degrees
Future woman / On the road again/Electric delight/Galactica - Rockets
I can’t stand the rain - Eruption
The letter - Queen Samantha
Pop muzik - M
Saturday - Norma Jean
I was made for dancing/Feel the need - Leif Garret
Come to America/Cuba/Que sera mi vida - Gibson Brothers
Mister melody maker - Johnnie Taylor
Gonna get along without you - Viola Wills
Gimme gimme gimme - Abba
Superstar - Bob McGilpin
Rock transfughi
Per quasi tutti l’accusa fu: venduti! Quelli che furono successi
stratosferici li abbiamo visti sopra (Blondie, Rolling Stones, Rod
Stewart, Queen). Questi invece furono spesso discreti successi, quasi
mai brani indimenticabili. Le mie preferenze vanno al lavoro di Moroder
con gli Sparks e non mi dispiace neanche il remake, che fece drizzare
tutti i peli dei fans!, di Here comes the night dei Beach Boys. Gli
Steely Dan stanno a parte, ovviamente: scusate se li ho citati!
Particolarmente clamoroso fu il tonfo di Elton John, la quintessenza
della superstar degli anni settanta, a cui Pete Bellotte, autore di
tutto l’album dallo stesso titolo, non fece un gran servizio. Non
restarono immuni dal contagio nemmeno le due star del reggae, gli
amici-nemici Bob Marley e Peter Tosh.
I was made for loving you - Kiss
Victim of love - Elton John
Shine a little love - Electric Light Orchestra
Hey nineteen/Glamour profession - Steely Dan
Goodnight tonight - Paul McCartney
Beat the clock /La dolce vita - Sparks
Here comes the night - Beach Boys
Could you be loved - Bob Marley
Buk-In-Hamm palace - Peter Tosh
Alive again - Chicago
One chain - Santana
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Gloucester
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