L'ottima impostazione classica che la Amos esibisce sulla tastiera del pianoforte - che si riflette appieno nella scrittura delle linee melodiche e nelle soluzioni armoniche - si sposa con testi ermetici (meglio: criptici), icastici e visionari - spesso incentrati sui suoi conflittuali rapporti con la religione e con l'altro sesso - e con una raffinata sensibilità di interprete vocale. Nel corso degli anni, tuttavia, la capacità di confezionare brani di grande potenza espressiva e di coinvolgente impatto musicale - capacità che aveva caratterizzato la Amos degli esordi - pare essersi stemperata in uno stile elegiaco di più difficile ascolto. Attenzione, non che i brani della Amos siano diventati opere avanguardistiche di sperimentazione sonora... ascoltati singolarmente sono piacevoli ballate, dalle linee melodiche mediamente gradevoli. Il problema è che i suoi ultimi dischi hanno un numero di brani ed una durata complessiva che oltrepassa le capacità medie di ascolto attento, risultando - ai primi, ma talvolta anche ai successivi, ascolti - piatti e noiosi. Myra Ellen Amos - questo il nome completo e "vero" dell'artista - nasce il 22 agosto 1963 a Newton nel North Carolina, figlia di un pastore metodista di origini scozzesi e di un'indiana cherokee. Già durante l'infanzia, manifesta precocemente la propria inclinazione per la musica, tanto da superare le selezioni per l'ingresso nel prestigioso conservatorio di Baltimora (il Peabody Institute) a soli cinque anni. Ma la Amos è una ragazza piuttosto irrequieta ed ama interpretare a suo modo (in modo decisamente eterodosso) gli immortali classici della musica e, non ancora dodicenne, dopo qualche anno di frequenza, il Peabody Institute la mette alla porta.
I genitori - benché la figlia non sia particolarmente docile - la
spronano a proseguire gli studi pianistici e la Amos, durante
l'adolescenza, comincia a farsi le ossa esibendosi un po' ovunque gliene
venga offerta la possibilità, finanche (con l'assenso del padre!) in un
paio di club per omosessuali della sua città. È in questo periodo che
Myra Ellen muta il suo nome in Tori, adottando stabilmente il nomignolo
che le era stato affibbiato da un amico e che in giapponese
significherebbe "pollastrella". Nel 1988 la band Y Kant Tori Read, capeggiata dalla stessa Amos, dà alle stampe il suo primo ed unico omonimo album per la Atlantic. Ma il lavoro - attualmente introvabile - non riscuote alcun consenso, né di pubblico né di critica, ed il gruppo si scioglie. Ciò nonostante la Atlantic dà fiducia alla Amos e la mantiene sotto contratto come solista. L'accordo prevede che l'artista pubblichi un album nel 1990 e, mantenendo fede all'impegno siglato, la Amos presenta ai dirigenti della Atlantic il suo primo lavoro solista nei termini convenuti. Ma stavolta è la casa discografica a ritenere l'impianto delle registrazioni inaccettabile per il mercato: a chi potrà mai interessare un disco pieno di canzoni eseguite tutte per sola voce e pianoforte? La Amos, perciò, ritorna in sala di registrazione e - con l'aiuto del fidanzato, produttore, tastierista, fonico e programmatore Eric Rosse e dei produttori Ian Stanley e Davitt Sigerson - mette a punto le 12 canzoni che compongono il suo primo album: Little Earthquakes.
L'opera prima della Amos verrà inizialmente distribuita dalla Atlantic
nel solo Regno Unito, prima che negli USA, confidando nel gusto europeo
e nella maggior apertura del pubblico inglese alle forme meno
convenzionali della musica rock. Il disco, sorprendentemente, viene
accolto benissimo sia dalla critica sia dal pubblico, raggiungendo il
quattordicesimo posto nella classifica degli album più venduti nel Regno
Unito. Meno brillante - ma non deludente, se si considera che si tratta
del disco di esordio di una sconosciuta, la cui produzione musicale non
è perfettamente allineata con i gusti dominanti dell'epoca - la prova
offerta dall'album sul mercato americano, dove il disco arriva al
cinquantaquattresimo posto della classifica di Billboard.
Nel 1994 la Amos pubblica, sempre per la Atlantic, Under The Pink,
l'album che - in piena continuità stilistica con il precedente disco -
la consacra e che contiene gioielli come Past The Mission, Cornflake
Girl, Space Dog e Yes, Anastasia. L'album - che esordisce al n. 1 della
classifica britannica ed arriva al dodicesimo posto di quella americana
- è il frutto della collaborazione tra la Amos ed il fidanzato Eric
Rosse. L'idillio fra i due si incrinerà irrimediabilmente nei mesi
seguenti, segnando la fine della relazione sia affettiva sia artistica.
Il disco è tutto basato sulle acrobazie vocali e pianistiche della Amos,
che raggiungono il climax in Cornflakes Girl, brano ipnotico segnato dal
basso ostinato e rapsodiante del pianoforte, da un uso ritmico della
voce e da un meraviglioso solo (sempre) di piano, animato da un pathos
che sarà destinato a non ripetersi.
Nel 1996 viene pubblicato Boys For Pele, il suo terzo album (il primo
prodotto in via esclusiva dalla stessa artista), che raggiunge -
anch'esso - la vetta delle classifiche britanniche ed americane. Ma la
critica stavolta accoglie meno benevolmente il lavoro della cantante.
L'album, infatti, esibisce suoni ed atmosfere estremamente cupe.
Sempre nel corso del 1996 la cantautrice americana vive l'esperienza di
un aborto spontaneo, al terzo mese di gravidanza. È un trauma che si
traduce nelle canzoni del suo quarto lavoro, pubblicato nel 1998: From
The Choirgirl Hotel. L'album è - per quasi unanime parere della critica
- il migliore della Amos, con vere e proprie gemme di intensità
interpretativa e di qualità musicale quali, ad esempio, Northern Lad.
Tuttavia, "From the Choirgirl Hotel" chiude - dal punto di vista ideale -
la prima fase artistica della Amos, che a partire dal successivo disco
sembra smarrire lucidità e concisione per dedicarsi a progetti confusi,
rimaneggiati o stucchevolmente pretenziosi, a partire dal doppio disco
del 1999: To Venus And Back. Il primo disco raccoglie una serie di
lavori in studio, in parte inediti, in parte b-sides dei singoli
pubblicati nell'anno precedente; il secondo disco è la registrazione
live di tredici brani tratti - in modo abbastanza casuale - dai primi
quattro album. Il progetto appare confuso. Le registrazioni in studio
sono, di fatto, un'appendice ed un'ideale continuazione del precedente
"From the Choirgirl Hotel" (che, evidentemente, avrebbe ben potuto essere
doppio), che nulla ha a che vedere con il live contenuto nel secondo
disco. Nel frattempo, la vita della Amos, però, muta radicalmente, visto che il 5 settembre del 2000 finalmente diventa mamma. Le cronache narrano che la "nuova produzione" di Tori Amos e del marito Mark Hawley è una bella bambina: Natashya Lórien. La maternità - almeno inizialmente - non produce nella Amos un effetto particolarmente brillante dal punto di vista creativo. Decisamente pretenzioso è, infatti, il successivo Strange Little Girls, pubblicato nel 2001, nel quale la Amos si misura - con esiti talvolta catastrofici e risultandone, alla fine, sopraffatta - con l'interpretazione di brani di altri artisti. Spiccano su tutte - ma non certo in positivo - le "letture" di classici quali Heart Of Gold di Neil Young e Happiness Is A Warm Gun dei Beatles. Che sia un disco da dimenticare se ne accorge immediatamente sia il pubblico, che fin là aveva sempre seguito l'artista, sia la critica. L'album - nonostante un esordio nelle zone alte delle classifiche di vendita - non riuscirà a replicare il successo dei precedenti lavori della Amos. Un disco (di covers) da dimenticare. Il flop di "Strange Little Girls" induce la Atlantic - che nel 2003 pubblicherà la raccolta Tales of a Librarian: A Tori Amos Collection - a non rinnovare il contratto discografico alla cantante di Newton, la quale, allora, passa alla Epic, con cui pubblica, nel 2002, il suo primo concept album: Scarlet's Walk. Un "polpettone" composto da 18 brani; un meraviglioso polpettone, che rende piena giustizia alla Amos autrice ed interprete, ma che non le può risparmiare un'osservazione critica: la Amos si ostina a produrre da sé i propri dischi, senza averne le doti. Poco misurata, incapace di tagliare le ridondanze - anche sonore - e gli episodi inutili (e ce ne sono), narcisisticamente innamorata non solo delle proprie musiche, ma anche della propria immagine, riflessa da booklets ostinatamente ricchi di foto, che la rappresentano levigata, eterea e sensuale, benché - come impietosamente emerge dalla visione del DVD "Welcome To Sunny Florida" - sia una donna con un pessimo gusto nel vestire (basta guardarsi le foto interne di tutti i suoi dischi per accorgersene) e con una fibra di capelli che esiterei a definire serica. Ma torniamo a "Scarlet's Walk".
Amber Waves si presenta come un avvio di facile ascolto in cui - subito
dopo l'apertura di piano e voce - si avverte, però, qualcosa di nuovo
rispetto alle sonorità cui la Amos ci ha abituati: la chitarre elettrica
non rumoreggia, suona! È un suono di secondo piano di chiara derivazione
eighties: brevi arpeggi ed acciaccature ritmiche. Il tutto eseguito con
una solid body - probabilmente una Fender Stratocaster (il suono di un
pick up single coil è inconfondibile) - trattata con chorus e delay e
amplificata senza soverchia "sporcizia". A Sorta Fairytale è un brano
molto suggestivo - pubblicato anche come singolo - che si apre con il
solito duetto di percussioni e piano sui cui si muove la voce della
Amos, cui nel ritornello si uniscono il basso (che suona una
gradevolissima linea sincopata), la chitarra acustica in funzione
ritmica, quella elettrica (ancora una volta minimalista, come nel
precedente brano) ed alcune sovraincisioni di voce. Wednesday è un brano
sostanzialmente inutile, in stile vagamente vaudeville, caratterizzato
per l'alternanza - nella strofa - degli interventi della chitarra
acustica e di quella elettrica (uno strumming distorto, con un moderato
uso di un wha-wha). Bellissima è invece Strange, una ballata di grande
eleganza - forse appesantita dalla presenza ridondante di una sezione
d'archi di cui non si sentiva la mancanza - giocata tra i suoni morbidi
del piano elettrico ed i registri bassi della voce della Amos. Con
Carbon si inaugura un nuovo corso (che poi, però, si chiude lì) - il
pianoforte dialoga con una chitarra acustica (usata sempre in funzione
ritmico-armonica) -, anche se il brano, pur piacevole, non risulta
particolarmente incisivo. Un lamento vocale simile ad una ninna-nanna
apre Crazy, un'altra ballata, anch'essa caratterizzata dal suono del
piano elettrico Wurlitzer e delle chitarre elettriche (in verità
utilizzate, un po' monotonamente, sempre allo stesso modo) ed in cui la
voce sembra registrata in modo un po' innaturale (come se fosse troppo
vicina al microfono). Wampum Prayer è un pleonastico esercizio per voce
sola. Don't Make Me Come To Vegas, prosegue senza sussulti il corso del
disco: pianoforte, percussioni e basso (sembrerebbe un fretless)
accompagnano la voce cantilenante della Amos. Sweet Sangria smuove le
acque, con un iniziale dialogo asfittico tra Wurlitzer, basso (anche in
questo caso è rimarchevole il ruolo del bassista) e batteria che sfocia
in un arioso chorus (reso tale dall'intervento del piano acustico e dal
passaggio del batterista dal hi-hat al ride). Ammaliante l'atmosfera di
Your Cloud - benché il brano non abbia alcuna particolare qualità, né
sia segnalabile per qualche pregio sonoro - grazie alla felice scrittura
della parte melodica e, soprattutto, alla fedele registrazione della
voce della Amos, resa (con un gradevole riverbero) in tutta la sua
sensualità. In Pancake tornano a misurarsi tra loro la chitarra ed il
piano (entrambi elettrici) in una inutile litania dall'effetto
soporifero. Grandissima, al contrario, è la suggestione prodotta da I
Can't See New York - sulle cui note iniziali è possibile ascoltare gli
effetti collaterali di una chitarra filtrata attraverso un flanger e lo
strofinamento delle dita sulle corde - che, anche grazie ad un ottimo
arrangiamento, benché estremamente misurato, riesce a risaltare
nitidamente sulla media del disco. La successiva Mrs. Jesus è un brano
gradevole, purtroppo appesantito dalla presenza un po' troppo invadente
dell'orchestra (archi e legni). Finalmente, dopo tante ballate, è il
turno di Taxi Ride che restituisce un po' di movimento al disco, grazie
ad un intelligente incastro ritmico di batteria, basso, piano elettrico,
chitarra acustica e chitarra elettrica (di cui, di tanto in tanto, si
sente anche qualche bending). Con Another Girl's Paradise si ritorna
alla lentezza, salvata miracolosamente dalla noia soltanto da un chorus
arricchito dalla moltiplicazione corale delle voci della Amos. Il brano
che dà il titolo al disco - Scarlet's Walk - dopo un intro non certo di
alto livello (con la voce che snocciola una cantilena), si riscatta
ampiamente con un brano sufficientemente evocativo e con buone sonorità
(da sottolineare il buon fraseggio di chitarra elettrica nel chorus).
Virginia è un brano concettualmente di alto livello, un tempo ternario
mascherato dall'intelligenza della partitura della batteria in un
"falso" tempo binario: uno degli episodi migliori del disco. La chiusura
del disco è affidata a Gold Dust, un brano musicalmente retorico -
appesantito oltremodo dalla presenza dell'orchestra d'archi (mixata un
po' troppo in evidenza) - e dalla struttura armonico-melodica non
particolarmente originale, ma che riesce incredibilmente a regalare
brividi all'ascoltatore in virtù di una gigantesca prestazione vocale
della Amos, tutta giocata sul contrasto tra l'epicità della partitura
orchestrale ed il tono volutamente dimesso - quasi recitato - della
voce, che alla fine sembra spezzarsi in gola all'interprete, per poi
risorgere in un ultimo, commosso, sospiro. Nel 2005 viene pubblicata quella che, ad oggi, è l'ultima fatica dell'artista: The Beekeeper. Diciannove canzoni in larga parte eseguite con uno strumento "nuovo": l'organo Hammond B3. Il risultato - almeno per il mio orecchio - è sorprendentemente deludente. I difetti sono quelli soliti: ipertrofia della produzione, mortificazione dei musicisti (perennemente nel ruolo di accompagnatori della voce), mancanza di varietà di temi e di tempi: quasi per tutto il disco (un'ora ed un quarto di durata) si ascolta la voce della Amos intonare una monodica tiritera, tanto che si fatica non poco a distinguere un brano dall'altro (oltre che a tenere gli occhi aperti). In più, va detto - ed è un'impressione piuttosto diffusa - le tracce finiscono quasi tutte in modo interlocutorio... come fossero provini! Piuttosto che esaminare l'intero contenuto dell'album, pertanto, mi limiterò ad indicare gli episodi che - per una ragione o per l'altra - ritengo opportuno segnalare: Sweet The Sting, banale ma efficace beguine lenta eseguita da Hammond e chitarra elettrica (con wha), con belle armonie vocali; The Power of Orange Knickers - duetto "commerciale" con Damien Rice - è il brano più noioso della raccolta, forse per colpa di un arrangiamento privo di dinamica (l'uso di patterns ritmici scontati e ripetitivi, a mio avviso, è il difetto maggiore del brano); Jamaica Inn, si dipana elegantemente sul bell'intreccio ritmico di chitarra acustica, pianoforte e percussioni, cui si uniscono, nel chorus, il contrabbasso e la chitarra elettrica (come di consueto, usata senza distorsioni, ma con il sobrio uso di effetti di ritardo); in Sleeps With Butterflies c'è una buona l'interpretazione vocale, su un tappeto sonoro inizialmente anonimo, ma che acquista carattere nel chorus, grazie alle sovraincisioni della voce della stessa Amos; decisamente sopra la media del disco è Ribbons Undone, che si apre con un delicato arpeggio di pianoforte, contrappuntisticamente seguito da una chitarra acustica, e da una trasognata linea vocale (ben interpretata dalla cantante, aiutata nelle armonie vocali dalla voce di Kelsey Dobyns) che si apre in un bel gioco armonico nel chorus; la breve e suggestiva Original Sinsuality sembra un brano tratto dal repertorio classico della Amos - voce, pianoforte e grande pathos - che dimostra di saper ancora scrivere qualcosa di davvero buono. Gianluca Navarrini Fare clic qui per inserire un commento a questa monografia.
DISCOGRAFIA
Little Earthquakes |