di Mario Bonatti
Altro aspetto extramusicale sarà la ormai famosa copertina di Sorrisi & Canzoni che ritraeva Riccardo Fogli accarezzato da una mano femminile due settimane prima della rassegna che lui stesso avrebbe vinto. Non potendo conoscere se e come il simpatico cantante pisano fosse già prediletto dalle giurie, c'è da dire che la sua performance merita la vittoria finale. Storie di tutti i giorni è un quadro intriso di struggente malinconia, una delle poche volte in cui lo chansonnier che dava voce alle prime ballad dei Pooh e che affronta i sentimenti solo a latere e sceglie di osservare con occhio commosso la vita degli emarginati, dei disperati, dei depressi, di coloro che sperano nonostante tutto, il tutto condito da un robusto riff di chitarra. La seconda posizione precorre pericolosamente quella che sarà la tendenza delle edizioni a schedina degli anni seguenti, quella cioè di premiare le canzoni nazionalpopolari. Come dire se un secondo posto per Albano e Romina poteva starci, sarà davvero troppo quello che raccoglieranno gli anni seguenti gli esponenti di questo filone. Felicità benchE' si presti a inevitabili messe in ridicolo, è tuttavia un pezzo sincero come il "bicchiere di vino con un panino" ormai mitico quanto il "trottolino amoroso" di qualche anno dopo, canzone bene orchestrata e a tratti anche accettabile. Molto meglio invece la terza posizione che premia la più convincente prestazione sanremese del buon Drupi, che merita pienamente il podio con questo blues fumoso e positivamente nervoso intitolato semplicemente Soli, ricco di sincopi e vocalizzi mai fini a sE' stessi. In quarta posizione la rivelazione del Festival, quel Giuseppe Cionfoli allora novizio cappuccino e oggi padre di due figli che colpì soprattutto per il suo look d'ordinanza (vestiva il saio francescano) ma che seppe mettersi in luce anche per il suo pezzo, una ballad country a tema religioso intitolata Solo grazie ("per avermi dato Tu la vita") intrisa di quella semplicità legata al suo santo protettore che, malgrado la sua essenzialità, resta uno dei pochi tentativi di proporre qualcosa di diverso pur restando nell'alveo della facile melodia. Insomma la melodia certo non va in pensione: al quinto posto arriva Christian, che sarà una presenza tristemente costante nel decennio, ma anche in questa edizione, nata sotto una buona stella (soprattuto sul fronte degli arrangiamenti), la sua Un'altra vita un altro amore sarà una delicata canzone in stile confidenziale che varrà come risposta allo strapotere di Iglesias, salvo poi scendere a picco nei più biechi stereotipi già dall'anno seguente, come dire: gli dai un dito e si prendono il braccio. Il resto della classifica finale non ci è dato di sapere. Scorrendo l'elenco troviamo tuttavia un congruo numero di proposte di ottimo livello, tra giovani promesse che diventeranno poi star miliardarie e addii più o meno dignitosi di ex-protagonisti della scena musicale che fu. Non mancano le eliminazioni quasi scandalose, tra cui una storicamente clamorosa. Ma andiamo per ordine. Tra i finalisti svetta su tutti il gradito ritorno sulle scene di Mia Martini (al suo primo Festival) che chiuderà qui la sua collaborazione con Ivano Fossati. E non finisce mica il cielo può essere considerato un suo manifesto artistico, mutuato da chi (Fossati appunto, suo ex-compagno di vita) conosce bene il patire della gente di spettacolo. Il premio della critica vede in questa edizione la sua istituzione, proprio in virtu' del fatto che si voleva consegnare un premio proprio a Mimi', e a questa straordinaria interpretazione, la quale arriva prima di una delicata operazione alle corde vocali che terranno lontana Mimì per diversi anni, lasciando a questa canzone il compito di chiudere il primo ciclo di una carriera destinata a interrompersi troppo presto. Ma è anche l'anno di un certo Vasco Rossi, che porta una ventata di tragressione (sebbene ancora risolta in un'aria stralunata e insonne e un look più che "casual"… casuale) e un po' di ritmo con una esotica Vado al massimo apparentemente non-sense ma che risente della lezione di quello che sarà da lui definito come suo padre artistico putativo, cioè Rino Gaetano. Il pezzo non manca di lanciare qualche vago manifesto programmatico in un artista che comunque arriva in Riviera al suo quinto album: Vasco sa sempre cosa dice anche se a volte si capisce da solo. Ma e' rimasta alla storia il riferimento all'opinionista Nantas Salvalaggio ("quel tale / che scrive sul giornale"), che e' da considerare il suo primo detrattore da celebre. La "leggenda" narra che Vasco arrivo' ultimo in questa edizione, ma forse non e' cosi'. Spesso, elencando i partecipanti in ordine alfabetico dopo i primi tre, questa canzone era l'ultima, alimentando cosi' la diceria che gli ultimi beati spesso saranno i primi, come quasi accadra' l'anno seguente allo stesso Vasco. In attesa di varcare le frontiere del mito è anche un ragazzotto dalla faccia rotonda e il berretto in testa che sceglie di abbinare il suo nomignolo infantile al suo cognome: ma Zucchero Fornaciari, Adelmo all'anagrafe di Roncocesi, Reggio Emilia, che propone un pop garbato in Una notte che vola via e lo interpreta con abilità da consumato cantante di piano bar, non è ancora l'artista che diventerà, dirà in seguito perchE' allora gli imponevano scelte artistiche molto limitate rispetto ai suoi orizzonti che poi cavalcherà. Uno Zucchero che appare anche in veste di autore e lancia un effimero idolo delle teenager, tale Stefano Sani che troverà anche le vie della Hit Parade con una innocua e colpevolmente… 'zuccherosa' Lisa, pezzo più che mai prigioniero dell'epoca che lo ha partorito. Ma tornando alle proposte di qualità, va segnalata anche la presenza de Le Orme, gruppo cardine del rock italiano e mondiale, che tre anni prima intonavano l'epitaffio del rock nella loro canzone "Fine di un viaggio" (ascoltare per credere) e ora si presentano senza i fantasmi del loro passato proponendo un pop non più progessivo, ma sempre in sintonia con il loro credo musicale col risultato di alzare il livello della manifestazione con la loro Marinai, dall'ampio respiro vocale e l'atmosfera crepuscolare, anche in virtù della bellissima voce di Aldo Tagliapietra. Sempre a proosito di proposte doc, ecco il romano Mario Castelnuovo, uscito dalla scuola di Amedeo Minghi e del fido Gaio Chiocchio, che proponendo Sette fili di canapa firma una delle più belle pagine di 50 e più anni di Festival, con i suggestivi affreschi di un medioevo dell'anima, in un mondo che mostra la lotta tra bene e male, il contrasto cosmico fra tutto e il contrario di tutto, in un senso profondo di nemesi che dà come risultato il più viscerale sgomento di fronte alla morte, la cui partitura rasenta la perfezione (nella sua versione integrale che essendo troppo lunga fu accorciata per l'esibizione on stage) e il cui testo merita di essere immesso nella Top Ten dello scarno libro d'oro del Festival. Fanno un figurone anche due personaggi della vecchia guardia che riescono a rinnovarsi, al contrario di Mal che invece ricicla sE' stesso con una inutile Sei la mia donna, che era anche il titolo di un successo dei suoi Primitives nei '60, nel tentativo di cancellare per sempre la sua "Furia" che di fatta gli ha stroncato una carriera da chansonnier, dopo il tentativo dell'anno precedente di riproporsi con il suo vero nome Paul Bradley. Ma dicevamo, due graditi ritorni: Jimmy Fontana, lasciandosi alle spalle i suoi fasti, resta tuttavia coerente alla sua indole melodica con venature esotiche e propone una struggente Beguine dove rievoca il passato (anche artistico) senza autocommiserazioni, in una canzone delle rimembranze che è adatta anche alla doppia chiave di lettura in un tempo che passa non solo per due innamorati ma anche per molti artisti a lungo baciati dalla gloria e dal successo: canzone che fa la parte del buon vino che col tempo si gusta sempre meglio. Altro expolit lo compie Riccardo Del Turco che guarda avanti con un pop in stile americano, condotto da una sapiente armonica, e un testo scarno anche questo leggibile in chiave autobiografica Non voglio ali afferma l'interprete di "Luglio" e "Figlio unico", sa fare bene i conti con la sua realtà artistica. Dary Hall e John Oates, due paladini del pop d'autore statunitense, presenti come ospiti stranieri, tesseranno parole di lode per questo pezzo. Fin qui è un menu di tutto rispetto, al punto che si riescono a sopportare anche le solite inevitabili cialtronerie sanremesi, dalla Viola Valentino (moglie del vincitore Fogli) che si dà un sacco di arie ma continua a non avere voce con una Romantici gonfia come un soufflE' ma desolatamente povera, a un Bobby Solo che insiste troppo sull'elisir di giovinezza e va fuori strada con questa pretestuosa Tu stai, a un vacuo Roberto Soffici che scimmiotta un pop di seconda mano con Strano momento, fino alla overdose di glucosio firmata Milk and Coffee (mai nome più indicato), tre donne e un maschietto che hanno fatto le coreografie di alcuni varietà televisivi, ballando i ritmi più disparati, salvo arrivare sul palcoscenico e intonando Quando incontri l'amore … "batte forte il tuo cuore…" subendo una metamorfosi degna del protagonista di Arancia Meccanica. Torna anche Anna Oxa, con una Io no firmata da Lavezzi che colpisce non tanto per la canzone in sE' (comunque dignitosa e ben interpretata) quanto per il fatto che non veste più i panni da angelo punk di quattro anni prima, candidandosi come trasformista più esemplare (nel bene e nel male) nell'arco delle edizioni avvenire. Riuscita a metà la missione di Elisabetta Viviani, attrice e moglie di Gianni Rivera, che rievoca in parte i fasti delle cantanti fine '60, ma con questa C'è resta in un ambito troppo bucolico per scrollarsi di dosso il suo unico successo discografico (la sigla di "Heidi"). Che dire delle due canzoni in lingua? Passabile il twist francofono di Plastic Bertrand che paragona l'amore al Ping pong ma perchE', se anni prima gente del calibro di Stevie Wonder e Louis Armstrong avevano fatto corsi accelerati di italiano, non poteva farli un Roger Jouret qualunque? E che dire di tale Lene Lovich e la sua Blue hotel che a stento non è stata confusa con uno degli ospiti internazionali? Due posti occupati a sproposito. Infatti tra gli esclusi c'erano giusto due proposte meritevoli di maggior fortuna. A cominciare dall'esordiente Fiordaliso, anch'essa prodotta da Zucchero e supportata da Enzo Malepasso (protagonista nelle edizioni precedenti): bellissima e viscerale Una sporca poesia, quasi un tentativo di voltare pagina nella dialettica tra i sentimenti e le nuove generazioni: ogni parola e' messa al posto giusto. Se Fiordaliso sarà rivalutata negli anni seguenti (ma senza ripetere questo eccezionale exploit), farà più fatica Michele Zarrillo che dopo una lusinghiera affermazione nell'anno precedente sperava tantissimo in questa Una rosa blu, che invece viene estromessa senza pietà. Il cantautore romano si riscatterà tornando da "giovane" cinque anni dopo, ma non potrà dimenticare questa bistrattata canzone, di pregevole fattura, tant'è che nel 1998, all'apice della sua popolarità, in una raccolta di reincisioni, la sceglierà in versione piu' acustica e confidenziale come brano portante e diventerà finalmente un suo cavallo di battaglia, amato dal suo pubblico. Un caso più unico che raro di canzone che riscuote successo dopo ben sedici anni dalla sua nascita! Da rivalutare anche l'originario arrangiamento, forse avanti coi tempi, poiche' parlava di una ragazza con un tatuaggio (la "rosa blu sulla pelle" che "ricorda Londra") e anche il testo usciva dai soliti schemi dell'epoca. Altro non c'è da segnalare: Orietta Berti, messa in porto la barca, torna alla sua vena paesana con una America in da sufficienza striminzita, e stavolta il pubblico dimostra di non sopportarla oltre. Fallisce il tentativo di rinascita di Julie, ex Juli & Julie, con una Cuore bandito comunque dignitosa, e quello di Piero Cassano, transfuga dai Matia Bazar che hanno voltato pagina, che pare dire a se' stesso Non arrenderti mai e infatti si rifarà collaborando in prima persona a creare il fenomeno Eros Ramazzotti. Passano inosservati tale Rino Martinez con Biancaneve e una Marina Lai e un discreto pezzo pop Centomila amori miei che deve avere incontrato una nutrita concorrenza in una edizione insolitamente felice. Quanto a Claudio Villa, la sua Facciamo la pace non rientra certo tra le sue canzoni migliori: la melodia vagamente latineggiante non lascia tanto spazio ai suoi acuti, ma era inevitabile che il suo istrionico personaggio mostrasse la corda. Il Reuccio saprà, suo malgrado, ritagliarsi uno spazio di protagonismo, quando uscirà definitavente dal palcoscenico della vita, e lo farà il giorno della serata finale nel Festival di cinque anni dopo.
GRADUATORIA PERSONALE:
SHIT SANREMO:
FRASE DELL'ANNO:
PERLE DI SAGGEZZA: MARIO BONATTI
|