( da Giovani )
Classifica 33 giri
Premessa: come tutti gli articoli prima della pausa estiva, questo è
leggermente più lungo. Troppa carne al fuoco dispiaceva lasciarla
bruciare o tenersela per un altro momento, cosa che in parte è stata
anche fatta. Ma, proprio per l’enorme varietà di argomenti offerti dal
periodo trattato, abbiamo in questo modo voluto esagerare un po’,
complice la pausa estiva. Per cui chi vuole può leggersi l’articolo
tutto d’un fiato, magari due, mentre i più pigri se lo possono
centellinare lungo il mese di agosto. Come si è detto altre volte, l’anno preso in questione (1972), dal punto di vista musicale, è sicuramente uno dei più completi. Nel senso che la scelta è davvero amplissima, i generi sono rappresentati in tutte le loro varietà e gusti: dal progressive italiano e straniero (Genesis, Osanna, Yes, Il Balletto di Bronzo) all’hard rock (Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath), alla melodica leggera da gara televisiva (Di Bari, Nazzaro, Ranieri, Zanicchi) ai cantautori (Battisti, Baglioni, De Andrè, Guccini). Dal pop-rock di tradizione (Joe Cocker, Paul McCartney, Elton John) si arriva alla nuova ondata glam (T.Rex, Gary Glitter, Slade, Sweet), alla leggera di livello superiore (Mina, Vanoni, Patty Pravo), ai complessi pop (Formula Tre, Delirium, Dik Dik, Nomadi). Dalla canzone francese moderna (Fugain, Montagnè, Patrick Juvet, Delpech) si giunge alla francese di tradizione (Leo Ferrè, Aznavour, Dalida, Becaud) e si potrebbe andare avanti per molto ancora. C’è posto per tutti e le classifiche discografiche (e naturalmente i negozianti) ringraziano. Joe Cocker Dopo un periodo di silenzio durato circa due anni, Joe Cocker torna on the road, con una tournèe italiana di sole tre date distribuite fra Roma, Genova e Rimini. Il bluesman di Sheffield arriva direttamente dagli Usa, dove a New York ha fatto il tutto esaurito al Madison Square Garden (60 mila persone), a Detroit (30 mila) e a Los Angeles (19 mila). La dimostrazione che quando è in circolazione, rimesso a nuovo dagli stravizi dell’alcol e della droga, Joe Cocker attira la gente come pochi, perché – come dice Leon Russell – ogni volta che canta dal vivo rischia l’infarto dando il doppio di quanto potrebbe dare al limite delle sue reali possibilità. E non è esagerazione perché chiunque lo abbia visto all’opera (sia sul palco che dalla tv) può rendersi conto di quanto impegno metta nelle sue performance. Non è un caso che ad ogni concerto perda un chilo e mezzo di peso. Alla fine del famoso tour del 1970, era ridotto quasi in fin di vita (e non è un’esagerazione: ricordiamoci che Cocker ha sempre dovuto combattere con la poliomelite, malattia che lo aggredì da neonato). Al Palasport Joe Cocker viene affiancato dal gruppo di Chris Stainton, il pianista che debuttò con lui nella formazione Grease Band, con la quale Cocker lavorò fino al 1968, quando ancora non era famoso. Con questo gruppo Cocker non ha ancora registrato nulla di nuovo se si escludono un paio di concerti americani. Il pubblico di Roma ha chiesto tre bis ma c’è stato qualcosa che non deve aver funzionato. Due ore di musica senza interruzione, non si è risparmiato. Ma gli applausi sono stati tiepidi, di quelli che si fanno ad un cantante o ad un gruppo più che altro per forma. Il motivo è presto detto: il pubblico si aspettava i grossi successi del cantante e invece Joe ha presentato per la maggior parte – il 90% - cose inedite su disco, delle novità alle quali il pubblico italiano non aveva ancora fatto l’orecchio. Materiale che proporrà in seguito nel suo album SOMETHING TO SAY, conosciuto anche come JOE COCKER perché il titolo non appare da nessuna parte sulla copertina originale. Un disco che contiene per la maggior parte brani scritti tutti da lui e da Stainton. Del disco, che clamorosamente in Usa non raggiunge neanche la 30° posizione nonostante il successo ottenuto dal vivo, si conoscono le bellissime HIGH TIME WE WENT, WOMAN TO WOMAN, PARDON ME SIR e la già citata MIDNIGHT RIDER che in origine era stata incisa dagli Allman Brothers Band. Un’altra cover è ST.JAMES INFIRMARY, un pezzo inciso nel 1929 da Louis Armstrong & His Savoy Ballroom Five. PARDON ME SIR uscirà nel 1973 anche come singolo. In ottobre, il tour si sposterà in Australia, quando Cocker fu trovato in possesso di tanta di quella marijuana che se avesse voluto avrebbe potuto creare, nella terra dei canguri, un business a “latere”. Il governo australiano però non prese bene la cosa tanto che gli diede il foglio di via intimandogli di non terminare neanche il tour. Cocker è uno dei rari cantanti, non affetti da egocentrismo incontrollato, che riescono ad amalgamarsi col gruppo che li accompagna del quale diventano un’estensione vocale. Quando canta punteggia, contraendo nervosamente le mani e le dita, le note delle chitarre e del piano. Smorfie e tic del viso, concentrato in una specie di trance, lo rendono ancora più bruttino di quanto sia in realtà. Ma è giusto così, è un personaggio vero, non una prettyface dello show business (scusate gli anglicismi, che odio, ma purtroppo certi termini non hanno corrispondenza in italiano). Quando un artista diventa tutt’uno con la massa di musica che produce e lo sommerge, quasi rendendosi egli stesso una nota musicale saltellante e frenetica, non può certo curarsi della componente estetica. E ad uno come Joe Cocker, nun je ne po’ fregà de meno, come dicono a... Trieste. Il suo singolo, che grazie alla pubblicità derivante dal tour italiano e dal martellamento di Alto Gradimento, diventa un hit istantaneo, si chiama MIDNIGHT RIDER. Un pelo sotto rispetto alla produzione precedente ma di ottima fattura tanto è vero che Zucchero, nel corso degli anni, l’ha “reinventata” almeno dieci volte (come d’altronde tutta la produzione di Joe Cocker). Una domanda sorge spontanea: ma Zucchero, in tutta la sua sopravvalutatissima carriera, avrà mai fatto una canzone originale? Gianni Nazzaro Cambiamo genere e andiamo a vedere chi c’è in testa alla classifica; con sorpresa ci troviamo Gianni Nazzaro che canta QUANTO E’ BELLA LEI, del trio Pace-Panzeri-Pilat. Sorpresa perché, anche avendo vinto la finale del Disco Per L’Estate (una delle più belle edizioni se non la più bella), non è certo la più trasmessa dalla radio, semmai la più chiacchierata o criticata. E’ il primo vero grande successo del cantante napoletano che, pur avendo soltanto 24 anni, è da circa 8 anni in circolazione anche se all’epoca si faceva chiamare Buddy ed imitava i più famosi cantanti italiani su dischi venduti a basso prezzo nelle bancarelle di Napoli. Lo pagavano 5 mila lire a facciata e i dischi si vendevano a 500 lire l’uno. Soldi che rimpinguavano l’economia di casa Nazzaro, tre fratelli che abitavano con lui nel popolare quartiere di S. Ferdinando in Vico Storto Concordia. Il primo debutto importante per Nazzaro risale al 1968, proprio a Saint Vincent, dove porta in finale una canzone che non avrà nessun successo, SOLO NOI. Poi una lunga trafila a pane e manifestazioni: Cantagiro, Caravella di Successi, Festival di Napoli, Sanremo (nel 1970), Canzonissima. E lo si comincia davvero a notare alla fine del 1971 quando presenta un bel pezzo, FAR L’AMOR CON TE, che porta anche a Canzonissima. Da lì al Sanremo successivo è uno scherzo: NON VOGLIO INNAMORARMI MAI. Le vendite del 45 giri sanremese doppiano quelle di un altro, Gianni Morandi, che a quel Sanremo era andato più che altro per disperazione, per tentare di dare una svolta ad una carriera in caduta libera. Ma è questa QUANTO E’ BELLA LEI che dà a Nazzaro quel lustro e notorietà che inseguiva da tempo. Una canzone subito osteggiata dalla critica e da buona parte del pubblico. Il commento più “carino” fu quello di accusare Nazzaro e i suoi discografici di far tornare indietro la canzone italiana di almeno vent’anni. Un brano che parla della mamma (seppure come foriera di buoni consigli) nel 1972 era davvero un’arma pericolosissima, soprattutto per il cantante stesso che l’avesse presentata. Si poteva finire per essere tacciati di emulare Reitano (che comunque si è sempre guardato bene dal cantare canzoni con mamme e figli) o per un novello Orietto Berti. E per mano della critica non poteva nascere offesa peggiore. Erano ancora in là da venire le cutugnate come LE MAMME e FIGLI, si era in un altro periodo, quando gli unici riferimenti alla famiglia tollerati erano quelli nello stile Mia Martini in PADRE DAVVERO. Quindi, perché rischiare di interrompere bruscamente una carriera promettente proprio quando stava per ingranare? I discografici di Nazzaro dovevano aver fatto i loro calcoli e la moglie-manager, Nada Ovcina (ex addetta stampa di Alain Barriere, Aznavour e Becaud), ancora meglio di loro. Allora perché ha vinto? Perché mai il suo disco si inerpica fino ad arrivare al primo posto in classifica spodestando personaggi di gran lunga più attuali come Lucio Battisti e il suo protetto Adriano Pappalardo? Per una ragione semplicissima: il pubblico italiano anche con l’evolversi dei tempi, è rimasto per la maggior parte (nel subconscio) ancorato a modelli di tradizione cosiddetta all’italiana (anche l’ultimo festival di Sanremo è stato vinto da una sorta di romanza del 2000, ANGELO di Renga) che anni di beat e pop avevano solamente sepolto ma con capacità di subito riaffiorare alla prima l’occasione. Tutti coloro che hanno dei figli si sono rivisti nella situazione descritta nella canzone: il figlio che non appartiene più soltanto alla madre, ma che chiede il suo beneplacito e la sua benedizione; la ricatta moralmente facendo una similitudine tra la fidanzata (che non è stata ancora presentata) e lei, cosa magari poco realistica ma sicuramente molto ruffiana. Quanto è bella lei, tu mamma non lo sai, quando guardo lei io vedo gli occhi tuoi. Per vincere un festival popolare bisogna prendere una canzone che sia già nella testa della gente, modificarne un po’ la melodia, rivestirla con parole che colpiscano al momento e farla presentare da un personaggio o patetico o fisicamente prestante. Al pubblico dei festival non importa come si canti la canzone, se in maniera magnifica o penosa, ma che la canti qualcuno in cui eventualmente potersi rispecchiare senza provare quell’invidia che solitamente accompagna i vincitori. Se ad un festival fosse andata, ad esempio una Ella Fritzgerald e avesse avuto a che fare con un Nicola Di Bari od un Mino Reitano, sicuramente sarebbe arrivata buona terza. Ne è la riprova Louis Armostrong, andato a Sanremo nel 1968 e arrivato penultimo. Di Bari rappresenta il riscatto dei brutti arrivati al successo dopo anni ed anni di gavetta, Reitano il riscatto alla miseria di un ragazzo venuto dal sud, Nazzaro è quello con gli occhi belli che le mamme trovano simpatico e che vorrebbero far sposare alle loro figlie. Quanto è bello lui, bisognerebbe dire, quindi: sorriso stampato su labbra carnose quanto basta, alto, slanciato, elegante, capelli corvini ed una apparente disponibilità fanno di Nazzaro un personaggio da rotocalco. La sua telegenicità è indiscutibile come anche l’essere arrivato nel posto giusto al momento giusto: rimpiazza il vecchio Gianni (Morandi) nel cuore delle ragazzine di paese proprio nel momento in cui Morandi è in crisi nera. E’ simile a Massimo Ranieri (stessa città, stessa casa discografica e stesso giro) e si impone, guarda caso, in quel preciso istante in cui Ranieri lascia il posto vacante causa servizio militare. La casa discografica, trovandosi improvvisamente senza il suo cantante più rappresentativo ha tirato fuori la riserva, la copia carbone. Sarà forse per questo che i discografici di Ranieri riescono a far esonerare dal servizio, dopo qualche mese, l’aviere Giovanni Calone? Nazzaro è vicino a quel filone che negli ultimi due anni riesce sempre ad imporsi nelle gare, un filone il cui obbiettivo potrebbe essere definito in un perbenismo canoro di facciata, una nuova scuola melodica alla quale sono iscritti personaggi come Di Bari, Gagliardi, Ranieri, Reitano, Rosanna Fratello ed altri. Ognuno di loro con risultati differenti, ma con un repertorio ad hoc, circoscritto al proprio personaggio. Lui è ormai un personaggio di spicco, di quelli però che hanno un pubblico ben preciso, quello televisivo e, forte di questa vittoria, si toglie qualche sassolino dalle scarpe nei confronti di chi lo aveva accusato di aver vinto soltanto: perché aveva presentato una canzone ruffiana, per il suo aspetto da cocco di mamma, perché il pubblico è ingenuo oppure perchè, se non fosse esistita la tv, uno come lui non si sarebbe mosso di un metro. Accuse alle quali replica che tutti sono pronti ad accusare il pubblico ed a ridicolizzarlo, salvo però rincorrerlo continuamente. Del resto anche Brigitte Bardot, se non ci fosse stato il cinema, sarebbe rimasta una donna qualsiasi. Ma passiamo alla vera artefice del successo di Gianni Nazzaro. Quanto è brava lei, bisogna dirlo alla moglie, abilissima e spietata manager (quando Nazzaro la lasciò lei gli giurò che per lui “il giro che conta” sarebbe stato chiuso per sempre) capace di creare il “divo” partendo da zero, costruendolo pezzo per pezzo, portandolo in 4 anni a traguardi insperati. Parte da lontano, dal Giappone (prima di diventare un personaggio di un certo peso in Italia in Giappone e nell’est europeo era già una stella), gli crea un background internazionale, gli fa da mamma, lo consiglia nel vestire, come parlare, come comportarsi anche in caso di vittoria (con un aplomb per niente partenopeo). Passa via via a cose estremamente materne come asciugargli il sudore, imboccarlo, pettinarlo, creandogli non poco imbarazzo (nell’ambiente era visto come un succube della moglie che non faceva un passo senza di lui). Ma oltre a queste gentilezze, Nada Ovcina era un’abilissima press agent e public relation woman. Perséguita i fotografi pur di ottenere quel servizio e quella particolare fotografia nella quale il suo Gianni risulta meglio, ritratto dal suo lato migliore. Lo stesso fa con i registi (diviene l’incubo di tutti) ai quali consiglia la migliore inquadratura televisiva, sceglie i contratti, tratta il cachet, decide a quale manifestazioni prendere parte ed a quali no. I giornalisti e i discografici (non della sua casa, naturalmente) accusano Nazzaro di essere un burattino in mano ad un’isterica possessiva. Lui replica che, se provassero a fare una telefonata a Mina, non c’è dubbio che sarebbero filtrati da Elio Gigante, perché dietro ogni cantante c’è un manager, il che è anche vero. Ma quando il manager è la propria moglie o il proprio marito (vedasi anhe il caso di Rita Pavone) alla fine qualche cosa si inceppa. Nazzaro ammette che senza la Ovcina non si sarebbe mosso dal suo quartiere di Napoli. La sua è una bella voce, che si apre maggiormente nei toni gravi e medi piuttosto che in quelli acuti (il pane di Morandi), dove sopperisce con il vibrato, tanto di moda all’epoca perché quando non si sapevano prendere certe note si ovviava con un vibrato ritenuto innocuo ed anche erotico al contempo. In Gianni Nazzaro c’è una naturalezza vocale quasi spontanea. Non ha paura di cantare dal vivo, anche perchè le sue canzoni sono costruite apposta per il suo registro vocale; in lui molti intravedono la rivincita dei belli sui brutti, una reazione del partito degli esteti a quel colpo di stato iniziato due anni prima che aveva portato al potere il leader Nicola Di Bari ed il suo fedele scudiero Peppino Gagliardi. Non a caso il 1972 sarà l’anno in cui comincia inesorabilmente il lento declino dei due citati, il punto di non ritorno. E come festeggia la prima vittoria il neo campione? Regalandosi una puntata da protagonista (in coppia con un’altra Nada, Malanima) a Senza Rete, la trasmissione di punta dell’estate italiana. Trasmissione di cui David Guarnieri in questo stesso spazio tratterà in lungo e in largo. Ma anche nella commedia di Peppino De Filippo nella quale Gianni interpreta la parte del conte, innamorato della ragazza che è tenuta prigioniera da un vecchio, interpretato dallo stesso De Filippo. La commedia ha per titolo LE METAMORFOSI DI UN SUONATORE AMBULANTE e lui ne interpreta anche la sigla (scritta dallo stesso De Filippo) comunque inedita su 45 giri, dal titolo SONO TORNATO DA TE. In Francia, dove è abbastanza famoso grazie al capillare lancio della sua casa, studiato sotto ogni profilo, ha nelle zone calde della classifica sia la canzone sanremese sia la vincitrice del Disco per L’Estate. Ha occasione di presentarle in tv visto che ha partecipato allo spettacolo di Sylvie Tartan e ad un altro show di grande successo nel quale, insieme alla collega di scuderia Gigliola Cinguetti, ha interpretato Romeo e Giulietta. In un'altra trasmissione dal titolo Entente Cordiale si dà da fare insieme alla solita Cinquetti e a Rita Pavone che, in Francia al momento, è diventata un personaggio di grosso rilievo grazie alla versione francese de LA SUGGESTIONE (scrittale da Claudio Baglioni) ovvero BONJOUR LA FRANCE. In luglio ha partecipato al Festival della canzone in Messico ed a quello di Spalato (Split) dove gli italiani sono sempre andati riscuotendo molto successo. Poi a settembre sarà a Rio De Janeiro, per il solito festival che si tiene in quella città; insomma, un estate di poco riposo e molto lavoro. Goditela, Gianni, finchè va... Fred Bongusto Fred Bongusto, un nome che fino a qualche tempo fa sapeva d’estate, di rotonde sul mare, di nomi di donna esotici ma freddi (FRIDA o HELGA), di canzoni napoletane. Un cantante che in America i critici avrebbero definito un crooner e che da noi diventa molto più semplicemente cantante da night, o al massimo un confidenziale (quando in Italia si scrive confidenziale si legge noioso). Fred Bongusto era, fino al suo approdo alla RiFi, un cantante da quattro o cinque 45 giri all’anno. Un paio di manifestazioni importanti, ospitate in programmi di lustro (era alla Fonit Cetra, la casa discografica della Rai), sigle televisive quante se ne voleva ma, quanto a vendere dischi, il discorso si faceva molto complicato. Dopo una tristissima esperienza (nel 1969) con il Clan di Celentano (due dischi, un flop e mezzo – UNA STRISCIA DI MARE ebbe successo dopo, sull’onda delle sue successive fortune), nel 1970 firma il nuovo contratto con la RiFi, la casa discografica degli Ansoldi, rispettivamente marito e suocero della Zanicchi e la dimensione del cantante cambia improvvisamente: il 45 giri diventa un veicolo promozionale per l’album, prodotto che più gli si addice, e Bongusto acquista immediatamente forte credibilità tra la critica e il pubblico che lo comincia a guardare e ad ascoltare in maniera differente. Ma soprattutto ad acquistarlo. Questo dopo circa 15 anni di onorata carriera. Inizia difatti verso la fine degli anni cinquanta come cantante bassista dell’orchestra Buffoni per poi formarsi una propria orchestra e diventare in breve tempo uno dei cantanti da night più apprezzati. Era il tempo di Marino Marini e Peppino Di Capri (parliamo del 1958 circa). Si raccontava che anche Jacqueline Kennedy aveva preso una sbandata per il maliardo Fred. La scelta delle canzoni del suo primo repertorio era da considerarsi più un omaggio a determinati artisti (Nat King Cole per primo) che ad impulsi sentimentali o dettati dalla moda. La critica non lo considerava affatto, lo riteneva un cantante estivo o da ballo della mattonella. Nel 1971 esce un 33 giri dal titolo UN’OCCASIONE PER DIRTI CHE TI AMO e, inaspettatamente, nel maggio del 1972, vince il premio della critica. Un riconoscimento che lo lascia sbigottito e piacevolmente sorpreso. Un disco che annovera parecchie belle canzoni, con pregevoli arrangiamenti del maestro Enrico Intra. Vi reinterpreta alcuni suoi vecchi successi (FRIDA, SE TU NON FOSSI BELLA COME SEI, SPAGHETTI A DETROIT), per un omaggio ad un Buongusto, fa e incide cover di canzoni già famose. Tanto per fare un esempio, c’è una bellissima versione di THE FOOL ON THE HILL dei Beatles che non ha niente da invidiare a quella di Sergio Mendes & Brasil ’66. Il testo glielo scrive Bruno Lauzi e la canzone si chiama TRANQUILLITA’. C’è un omaggio a Richard Harris e a Jimmy Webb che scrisse per l’attore cantante DIDN’T WE e che lui reinterpreta con efficacia, c’è il ripescaggio del tema di ANONIMO VENEZIANO di Stelvio Cipriani per compararlo agli accenti di LOVE STORY, in quel momento il brano musicale più ascoltato nel mondo (il disco premiato, come detto, uscì nel 1971). E ancora la versione italiana di MY WAY che prende il titolo di LA MIA VIA, col testo italiano di Andrea Lo Vecchio. Un omaggio del cantante al suo più grande amore musicale di sempre, cioè Frank Sinatra. Un omaggio lo fa anche a Peggy Lee, incidendo un pezzo strafamoso e cantato da tantissimi artisti americani, AUTUMN IN ROME. Ma mentre incide ha nella mente più la versione della cantante che quella di Nat King Cole anche se quest’ultima gli sarebbe più affine. Poi un omaggio alla canzone napoletana (che ha sempre amato) in MOON, scritta e musicata da lui stesso dove si rivolge ad un immaginaria ragazza sotto il cielo di Capri. Un po’ retrò come ambientazione, ma in fondo Bongusto è anche questo: la ricerca del romanticismo ad oltranza, anche quando sembra essere ormai desueta. Manca qualcosa? La title track del disco scritta da Dino Sarti e LA MIA VITA NON HA DOMANI di Berretta-Chiaravalle-De Paolis che spinge troppo su LIMELIGHT di Chaplin, direi quasi in maniera imbarazzante. E in mezzo a queste atmosfere così languide e tipiche del cantante poteva forse mancare una delle canzoni d’amore più famose di tutti i tempi? Certo che no. E difatti eccolo in L’AMORE E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA. Un bel disco sicuramente. Le canzoni si commentano da sole, ma è l’atmosfera che Fred Buongusto (e l’arrangiatore)imprime loro che è particolare e molto elegante. Un disco degno di un Tony Bennett. La critica motiva la decisione di premiarlo con queste parole: per il gusto elegante e la coerenza artistica di un interprete-compositore tra i più personali della canzone italiana. Ma Bongusto non dorme sugli allori. La sua ultima canzone ha preso parte alla competizione canora estiva nella quale ha trionfato Nazzaro, ha per titolo QUESTO NOSTRO GRANDE AMORE ed è una sua creazione nata in coppia con Franco Califano. Il disco non ottiene molto successo su formato 45 giri, ma è molto trasmesso dalla radio e incluso nel vendutissimo ALFREDO ANTONIO CARLO BONGUSTO, il suo ultimo 33 giri che presenta in una serata al Derby di Milano. Già il titolo dà l’esatta sensazione di quello che vuole dire: un omaggio ad un famosissimo album di Frank Sinatra che utilizzava nel titolo il suo intero nome (FRANCIS ALBERT SINATRA) tanto che lo cita anche in un brano del disco: LA CANZONE DI FRANK SINATRA. Il nuovo LP contiene 12 canzoni, tipiche del mondo musicale di Bongusto con arrangiamenti del solito Intra e di Josè Mascolo, che altri non è che... Fred Bongusto stesso! Arrangiamenti che davvero non hanno niente da invidiare, specie nell’uso degli archi, a quelli dei più famosi arrangiatori americani (Nelson Riddle, Don Costa, Quincy Jones etc, etc). Il disco ha come tema il cinema e difatti troviamo titoli ultranoti come ALL THE TIME IN THE WORLD tratta dal film AL SERVIZIO SEGRETO DI SUA MAESTA’ (On Her Majesty's Secret Service) la cui versione originale ha ottenuto successo solo ultimamente nonostante i tre anni di vita (era uscita nel 1969) entrando nella classifica italiana tra i primi dieci nella primavera ’72, perché lanciata da Alto Gradimento (Louis Armstrong era morto da qualche mese ed Arbore e Boncompagni erano suoi fan) e altri meno famosi come il tema originale del film BIANCO, ROSSO E... (con Celentano e la Loren) dal titolo TI AMO E POI. E ancora DORMI SERENA tratta dal film ALL’ONOREVOLE PIACCIONO LE DONNE, con Lando Buzzanca, o MEZZA LUNA E GLI OCCHI TUOI dal film GLI ORDINI SONO ORDINI (con la Vitti). Spazio anche per il lato B del singolo appena uscito (‘O PRIMMO TRENO) nel quale, come si deduce dal titolo, il cantante molisano torna al suo amore per il vernacolo partenopeo. Poi un omaggio a Roma con ROMA 6, la bella NON E’ UN CAPRICCIO DI AGOSTO, brano denso di atmosfera e tipicamente estivo e QUANDO, canzone scritta ai suoi tempi da Luigi Tenco. Gran parte delle canzoni sono presentate in un programma televisivo scritto da Giorgio Calabrese con la regia di Carla Ragionieri che ha per titolo AMABILE FRED e nel quale Fred crea un tipico personaggio italiano, quello dell’aspirante seduttore che vive situazioni divertenti con le ospiti femminili e che viene aiutato da due grandi seduttori del passato, Amedeo Nazzari e Gabriele Ferzetti. I Dik Dik I Dik Dik sono insieme ormai da otto anni e per festeggiare degnamente la ricorrenza si regalano un successo che, ad agosto inoltrato, li porta perfino al primo posto nella classifica dei singoli spodestando Gianni Nazzaro. La canzone è naturalmente VIAGGIO DI UN POETA (scritto dal loro produttore Maurizio Vandelli, il "Principe" dell'Equipe 84) e da Zara. I Dik Dik sono un caso raro nella discografia italiana. Insieme da sette anni, in tutto questo tempo non hanno mai cambiato formazione e non si sono mai sentite voci su un possibile scioglimento. Loro spiegano il perché di questa longevità dell’ensemble, cosa rara tra i gruppi nati negli anni sessanta, se si escludono 4 o 5 altri superstiti dell'ondata beat. E il segreto è il non stare né troppo insieme né troppo separati, nessuno cerca di emergere a scapito di altri e, soprattutto, si ritengono un'azienda e, come tale, c'è da rispettare la contabilità di fine mese. La stampa li ha sempre ignorati, forse non volutamente e anche la Ricordi, la loro casa discografica, si è raramente impegnata negli anni precedenti ad organizzare grossi lanci pubblicitari per spingerli ed imporli al pubblico. Nonostante ciò, dal 1966 (anno del loro primo successo) non hanno mai conosciuto momenti di crisi (gli unici in Italia, forse), hanno sempre avuto canzoni in classifica e hanno portato a casa 3 milioni di dischi venduti. Cosa da non sottovalutare. Anzi, certe volte, sono stati svantaggiati, come in quest’ultimo Festivalbar (ancora non terminato, e quindi è un’anticipazione quella che vi stiamo dando!) quando, fino all’ultimo, erano stabilmente primi nella graduatoria finale, ma scesi poi al terzo posto per avvantaggiare un nuovo acquisto della Ricordi; Lei invece era buona seconda ex equo con Adriano Pappalardo (arrivato poi secondo): si tratta di Mia Martini e della sua canzone, PICCOLO UOMO. Naturalmente questa ennesima mancanza di considerazione da parte della Ricordi dispiacque ai cinque, ma la rabbia fu mitigata appena la loro canzone salì inaspettatamente al primo posto dei dischi più venduti. Tuttavia, al loro palmares manca un LP di successo. Fino adesso i precedenti due album (solo due in 7 anni di carriera!!) erano un compendio di brani di successo con qualche inedito. Ora, a rimettere le cose in pari ci pensano Lallo (Giancarlo) Sbriziolo, Mario Totaro, Pietruccio Montalbetti, Pepe (Erminio Salvadori) e Sergio Panno, visto che stanno per tirare fuori una cosa totalmente nuova per loro. "Osano" con un long playing di musica progressiva, con tutti i testi scritti da Herbert Pagani e la musica da Mauro Totaro, un lavoro durato 5 mesi del quale sono orgogliosi e fieri. Il disco si intitola SUITE PER UNA DONNA ASSOLUTAMENTE RELATIVA che purtroppo non li premierà, così come avrebbero voluto, nelle Hit Parade dei 33 e dei Nastri. Il vecchio pubblico, che preferisce dai Dik Dik atmosfere soft si trova spiazzato da questa inversione di rotta ed i giovani, quelli che acquistano i dischi a 33 giri, quelli cioè che vanno ad acquistare la PFM o il Banco, li trovano “vecchi”. Eppure il gruppo è sempre stato all’avanguardia, sebbene ancorato alla tradizione del pop all’italiana. Una tradizione comunque per modo di dire perchè ancora troppo giovane per poterla definire in questo modo. Non scordiamo che sono stati i primi a portare i Mama’s & Papa’s in Italia con la versione di CALIFORNIA DREAMIN’ diventata SOGNANDO LA CALIFORNIA e I SAW HER AGAIN tramutata in IL MONDO E’ CON NOI. Sono stati tra i primi a rendersi conto che il beat aveva ormai poco da dire appoggiandosi alle sonorità classicheggianti dei Procol Harum di SENZA LUCE ed i primi a credere nell’astro nascente di Lucio Battisti. Quindi non si vede il motivo di tanto stupore per una cosa nuova fatta da loro! I testi sono strettamente legati, così come conviene ad una vera suite, la musica è di Totaro, che ha dato nuova linfa al sound del gruppo utilizzando gli strumenti più tipici del periodo (come il Moog ed il Mellotron), ma anche l’organo a canne, il gong, il sempreverde Hammond, i timpani, quest’ultimi utilizzati in maniera diremmo spontanea o “italianissima” , senza voler scimmiottare tastieristi d'oltremanica (come invece accade ai componenti de le Orme, a volte forzatamente britannici). Il titolo del disco merita una spiegazione a parte: è un omaggio alla figura della donna vista sotto vari aspetti, anche se la copertina raffigura una donna che pulisce per terra, carponi, visibilmente seccata, con la sigaretta in bocca ed il fazzoletto in testa. La suite in questione non è un pezzo molto lungo ma è – come si addice ad una suite – strumentale, mentre tutto il disco è pervaso da un‘atmosfera di sensualità non erotica ma limpida, trasparente. Gli altri titoli DONNA PAESAGGIO, IL VISO, LA CATTEDRALE DELL’AMORE, LE GAMBE, MONTI E VALLI, I SOGNI, LA NOTTE. Conclude il disco SINTESI, che come recita il titolo è la sintesi di tutto il lavoro: bella la melodia, bravissimi loro. In questo lp la figura della donna (sulla quale ruota tutto l’album) è trattata come un’armonia fatta di corpo e spirito e si sente che l’autore dei testi, Herbert Pagani, è pervaso da tre culture differenti dal modo come tratta l’argomento: nato a Tripoli, vissuto a Parigi e naturalizzato italiano. La linea è modernissima e l'affiatamento del gruppo si sente in ogni passaggio vocale e musicale. Un bel disco, quindi, ricco di suggestioni ed eccellentemente eseguito. La copertina è molto carina e la foto assai bella, tipicamente da album progressive. Ma nonostante tutto questo i risultati non sono quelli che il gruppo si aspettava. Forse i Dik Dik sono visti più che altro come gruppo melodico-pop ed il loro pubblico non li ha seguiti nell'esperimento, mentre i normali acquirenti e consumatori di musica pop e progressive hanno giudicato in maniera prevenuta ed a prescindere, proprio perché era un disco dei Dik Dik. In Italia, purtroppo, chi nasce tondo non muore quadrato. Bisogna ripercorrere, per tutta la durata artistica, le stesse tappe e morire di consunzione dopo qualche anno. A pochi è riuscito il miracolo di cambiare genere restando credibili. Mina Dopo aver imperversato per tutta la primavera con due grandi successi lanciati a Teatro Dieci (GRANDE GRANDE GRANDE e la sigla finale PAROLE PAROLE), spettacolo presentato insieme ad Alberto Lupo, Mina si concede una pausa estiva per quel che riguarda la produzione di singoli, lanciando un bellissimo LP al quale collabora come al solito il gotha della musica italiana. Ma nell'estate appena trascorsa qualcosa si è rotto tra lei ed il suo impresario Elio Gigante, decano dello spettacolo e già impresario di Totò negli anni quaranta. La rottura è arrivata a causa di un premio nella notte del venticinquesimo anniversario della nascita della Bussola di Bernardini. C'erano tutti, da Ella Fitzgerald a Celentano (dalle stelle alle stalle), l'unica a mancare era proprio lei, Mina. E pensare che abitava a pochi passi dal locale! A ricevere il premio salì Gigante e si prese i primi fischi della sua vita, a più di settant'anni di età. Cosa che non lo fece impazzire di gioia. Da qui la rottura, stanco di rincorrere la cantante "più puntuale ai tavoli di gioco che agli impegni lavorativi". Di certo si sa che Mina vuole ritirarsi a vita privata, incidendo solo dischi, non facendo più serate e centellinando le sue apparizioni tv. Questa dichiarazione rende "evento" la sua esibizione del 16 settembre alla Bussola, che richiama una folla incredibile di curiosi (sarà piena all'inverosimile) e diventa causa di un altro battibecco tra Gigante e il papà di lei, il quale si lagnava della ressa che rendeva impossibile l'esibizione della figlia. Esibizione poi ripresa dalla tv e trasmessa dopo qualche tempo (disponibile una versione in homevideo). Gianni Ferrio dirige l'orchestra e ci sono grandissimi musicisti come Valdambrini e Gianni Basso. Il repertorio spazia dai classici americani (FLY ME TO THE MOON) all'ultimo successo della cantante (FIUME AZZURRO). Ad Elio Gigante, nonostante l'età, non mancherà di certo il lavoro, se deciderà di non ritirarsi dal mondo dello spettacolo. Già ci sono due importantissime proposte da parte di due primedonne della canzone italiana. In quanto a Mina, è come al solito uno dei personaggi più chiacchierati sui settimanali. Il matrimonio (celebrato due anni e qualche mese fa) con Virgilio Crocco è già finito. Sul Messaggero, quotidiano romano dove lavora Crocco, appare un articolo in cui si dichiara ufficialmente finito il matrimonio tra la nostra più grande cantante ed il giornalista. La separazione è avvenuta in Svizzera ed in pieno accordo hanno deciso che la figlia Benedetta sia affidata alla madre e che il padre potrà avere con sé la bambina ogni qualvolta lo riterrà opportuno. Al fianco di Mina è sempre più spesso notato Alfredo Cerruti, discografico e produttore (lavora alla CBS) e componente degli Squallor, gruppo goliardico da 33 giri da poco formatosi. Ha un figlio di tre anni nato da una relazione con una donna milanese che gli ha negato il riconoscimento della paternità, quindi il bambino porta il nome della madre. Tony Renis Abbiamo parlato en passant di GRANDE GRANDE GRANDE (del quale magari faremo una cronistoria in un prossimo articolo dedicato alla primavera 1972, quando si sarà in primavera, naturalmente) ed è giusto citare l’autore del pezzo che, insieme ad Alberto Testa, è Tony Renis, che sembra vivere una nuova giovinezza artistica. Ha 34 anni e scrive ed interpreta canzoni da 15. Disordinato, distratto, imprevedibile, simpaticamente folle, c’è nel suo modo di vivere qualcosa che si avvicina molto a l’eclettismo e al disordine allegro e sgangherato di un Walter Chiari. Tony è sempre attorniato da gente che conta, stimato da colleghi e ricercato da amici: in poche parole, un tipo davvero singolare. Il suo vero nome è Elio Cesari, nato a Milano nel 1938, un notevole talento melodico ed una freschezza d’inventiva rara ma nonostante questo, Renis è clamorosamente ignorato da alcune (a sentir loro) prestigiose enciclopedie della canzone (credo per puro calcolo politico) dove magari si preferisce includere uno sfigato come Paolo Pietrangeli (solo perché ha scritto un inno al ’68 che è brutto, zoppicante nella metrica e retorico) che uno capace di far cantare tutto il mondo ed è stato chiamato per questo Mister Quando. Fino a questo 1972 era rimasto un cantautore di rango, ma considerato solo per una manciata di canzoni ossia: TENEREZZA (1960) QUANDO QUANDO QUANDO (1962), UNA PER TUTTE (1963)e QUANDO DICO CHE TI AMO (1967). Vogliamo essere buoni ed includere anche IL POSTO MIO (Sanremo 1968)? Comunque, bravo, intelligente, ottimo manager di se stesso, ma il successo vero, quello che impone alle masse il personaggio e che staziona permanentemente nelle classifiche, beh, bisognava andare a cercare da un’altra parte. Almeno in Italia, perché all’estero se dicevi che Tony Renis non era strafamoso ti guardavano stupiti dicendo “ma come, ha scritto una canzone come QUANDO QUANDO QUANDO e non è un big”? Il suo giro di amici importanti se l’era fatto anche negli Stati Uniti e in Europa: Sammy Davis Jr, Omar Sharif, Grace Kelly ed il Principe Ranieri, David Niven, Engelbert Humperdinck, Dean Martin, Caterina Valente, etc.etc. Eppure gli affidavano sigle e programmi televisivi, faceva tutto per rendersi simpatico, ma c’era sempre qualcosa che non andava. Addirittura Battisti e Mogol gli avevano offerto un contratto con la Numero Uno ma i due 45 giri incisi fin’ora (L’AEREO PARTE e VENERE) avevano fatto un buco nell’acqua. Poi il colpo di genio: e se fosse la mia voce a non interessare più il pubblico italiano? Se la considerasse sorpassata? Si mette a scrivere pezzi insieme all’amico Testa e li cerca di piazzare: uno è appunto GRANDE GRANDE GRANDE. Il risultato lo conosciamo tutti. Ma facciamo un altro passo indietro quando insieme al padre, alla fine degli anni cinquanta diventa l’incubo di tutte le case discografiche di Milano facendo il piazzista di sé stesso. Staziona stabilmente nelle sale d’aspetto col padre al fianco a dargli sostegno morale, ma capace anch’egli all’occorrenza di magnificare le capacità del figlio. Alla fine, più per disperazione che per reale convincimento, la casa discografica Voce Del Padrone/Columbia gli fa firmare un contratto. Nel frattempo faceva serate al Trianon e al Giamaica di Milano, locali alla moda in quel periodo dove cantava canzoni alla maniera del primo Celentano, cioè rock. Nel 1959 eccolo trasformato: non più rocker, ma sentimentale moderno: TENEREZZA, che diventa subito un buon successo da classifica discografica (anche se la versione di Gianni Morandi quasi otto anni dopo, lo doppia nelle vendite). Poi i successi poc’anzi elencati, che sono pochi, se si pensa alla miriade di singoli che Renis ha inciso per la RCA e la VdP. Vogliamo venirgli incontro dicendo che il servizio militare lo ha tolto dal giro proprio quando stava nascendo l’astro Morandi? Ma le occasioni per riprendersi le ha avute. Anche col cinema ha flirtato non poco, interpretando 6-7 pellicole che hanno in qualche modo contribuito a tenere alto il nome di Renis, non fosse altro per la pubblicità derivata da esse. E poi altri brani di minor successo come DEDICA, BIKINI E TAMOURE’, FRIN FRIN FRIN (famosa come sigla di Maigret), NON MI DIRE MAI GOODBYE, IL GAROFANO ROSSO (un tentativo antelitteram di avvicinarsi a Craxi, di cui poi diventò grande amico?). E pensare che la sua prima canzone fu scritta in onore di Maria Callas, quando si arrampicò sul muro della villa della diva in Via Buonarroti a Milano per far giungere alla Callas il “poema”. La Callas non era in casa o semplicemente non udì. Ma torniamo al 1972. Lo strepitoso successo di Mina ha fatto sì che le case editrici e le cantanti ricomincino a guardare con interesse la stravagante figura di Renis. Iva Zanicchi ha portato (con scarso successo) al Disco Per L’Estate NONOSTANTE LEI, un’ottima canzone che avrebbe meritato maggior fortuna, dalla sonorità tzigane e che in qualche modo si ricollega al periodo “Teodorakis” della Zanicchi. Anche il modo di cantare della cantante emiliana si differenzia dalle precedenti sue interpretazioni: convinta di avere tra le mani una buona canzone si lancia in virtuosismi canori che la portano a sconfinare verso campi musicali ancora parzialmente vergini per gli italiani, come il fado portoghese. L’altra canzone dell’estate di Renis è UN UOMO TRA LA FOLLA. In questo caso l’egocentrismo innato del cantautore milanese ha messo a tacere l’intesa fatta con sé stesso di far cantare ad altri le sue canzoni. Il risultato di vendite sarà molto ma molto inferiore al preventivato (anche questo 45 giri sarà edito dalla Numero Uno). Forse perché sembra una rimasticatura di IL POSTO MIO e una brutta copia di GRANDE GRANDE GRANDE. Fatto sta che il pubblico non si fa convincere nonostante i molteplici passaggi radio-televisivi e l’opportunità di far conoscere il brano al maggior numero di persone possibili. La stessa canzone la riprenderà 3 anni dopo Placido Domingo sia in Italia che in Spagna e in quest’ultima nazione troverà il riconoscimento negatogli in Italia. Nemo propheta in patria o è perché non l’ha cantata lui? E GRANDE GRANDE GRANDE quante chance avrebbe avuto se al posto di Mina se la fosse incisa da solo (cosa che ha fatto in seguito)? Renis si può consolare dall’insuccesso del suo disco perché Shirley Bassey, con l’orecchio sempre teso verso l’Italia, ha sentito la canzone ed ha deciso di interpretarla col titolo di NEVER NEVER NEVER. Altro grosso successo mondiale e altro bagno di dollari per Tony Renis. Vicky Carr, che da noi non è nessuno ma all’estero è tenuta molto in considerazione, la incise e mantenne il titolo originale. Tra le tante versioni c’è da annotare quella purtroppo incisa da Pavarotti in coppia con Celine Dion. Il titolo cambiò con I HATE YOU THEN I LOVE YOU. Insomma, quel gran furbastro di Tony Renis, con due sole canzoni si è messo a posto per tutta la vita. E vai col tango! Compensi Come spesso facciamo, occupiamoci ora dei compensi percepiti dai vari cantanti. L’estate è la stagione clou per gli artisti che si esibiscono, chi più e chi meno, nei migliori locali (Mina) ma anche nelle sagre di paese e nelle piazze (Orietta Berti). Diciamo subito che queste cifre indicano il cachet medio ma possono variare e solitamente lo fanno verso l’alto. Questo dipende molto dall’importanza del locale, dalla distanza che il cantante deve percorrere per raggiungere una determinata località, il giorno in cui la serata viene fissata (come per gli alberghi, anche per i cantanti i periodi di punta sono i giorni vicino al Ferragosto), il numero delle serate offerte nello stesso locale. Altra considerazione da fare è che alcuni di loro si presentano con tanto di orchestra e corpo di ballo o altri con tutta la sacra famiglia (vedi Al Bano con la moglie Romina, il fratello Kocis e la cognata Taryn). C’è poi chi, come Little Tony, anche se la sua stella non brilla più come qualche anno prima, tiene il proprio compenso tendente all’alto anche a costo di fare poche serate o altri che fanno il discorso inverso e che lavorano tutte le sere e alla fine riescono a guadagnare più di quelli che hanno compensi altissimi (vedi la solita Orietta Berti). Poi ci sono i fuori quota, quelli che comunque non fanno serate e che se le facessero non si sa quanto potrebbero prendere. Due nomi su tutti: Lucio Battisti e Fabrizio De Andrè. Ma diamo un'occhiata alle cifre che, come spiegato, sui giornali erano molto più basse che nella realtà dei fatti per ovvie ragioni. Al primo posto troviamo Mina, che percepisce 4 milioni a sera. Al secondo posto una miracolata della tv, Raffaella Carrà, che guadagna 3 milioni (grazie a Santa Canzonissima), al terzo un evergreen, Domenico Modugno, che fa serate solo nei posti più rinomati (come Mina) e che prende due milioni e mezzo e poi Al Bano, con due milioni. Il complesso che percepisce il cachet più alto è la rivelazione di questo 1972, i Delirium, con un milione e ottocento mila lire. Quello dal compenso più basso, I Camaleonti, che dopo due anni di esclusione dalle classifiche discografiche vede la propria quotazione scendere fino alla cifra di ottocento mila lire a sera. Ma che tengano duro perché tra un anno ci sarà la loro rinascita artistica! Armando Fragna Muore a Livorno dove si trovava in villegiatura il maestro Armando Fragna, nato a Torre Annunziata nel 1898. Aveva quindi 74 anni. E’ stato una delle figure più note della musica leggera. Ancor giovane si cimentò in vari settori dello spettacolo suonando e dirigendo i primi caffè concerto nei Music Hall, negli spettacoli di rivista e nelle sale da ballo aperte al jazz. Il mondo dello spettacolo lo vide poi compositore; lavorò per la compagnia di Tecla Scarani e fu il primo passo verso una sicura carriera tanto che poco dopo passò al servizio nientemeno che di Ettore Petrolini del quale divenne prezioso ed inseparabile collaboratore fino alla sua morte, avvenuta nel 1936. Musicista e compositore, Fragna, lanciò canzoni tuttora rimaste note. La più celebre forse è I POMPIERI DI VIGGIU’. Altri suoi grandi successi furono SIGNORA ILLUSIONE, I CADETTI DI GUASCOGNA, LA MAZURCA DELLA NONNA, SOTTO IL CIELO DI CAPRI. Sostenitore accanito della linea all’italiana non perse una sola occasione per convincere alla sua causa giovani cantanti. Fra questi Claudio Villa che nel 1943 si presentò ad un concorso di musica lirica e finì invece per essere preso in considerazione dal Fragna che lo assunse. Ostia Un primo fine settimana agostano da incubo, questo preso in questione. Problemi di ordine pubblico (e di traffico) rendono Ostia Lido, quartiere di Roma affacciato sul mare, un carnaio impazzito. 350 mila macchine mettono a dura prova il tratto di litoranea che va da Castelporziano fino ad Ostia Nuova, circa 15 km di strada. Una folla di più di un milione di persone, per quello che sembra un improvviso esodo dalla città verso la spiaggia. Alle 7 e 30 i famosi cancelli di Castelporziano erano già chiusi per troppa capienza. Alle 8 e 30 gli stabilimenti sventolano bandiera bianca facendo già il tutto esaurito ma la gente continuava ad arrivare, neanche si fosse data appuntamento. Alle 9 e 30 polizia, vigili e carabinieri comunicano che sulle spiaggie ci sono già duecentomila persone mentre il limite di capacità dell’arenile è di circa 40 mila unità. Vengono “occupate” le spiaggie adiacenti a Capocotta e quelle all’interno della proprietà del Presidente della Repubblica, senza che nessuno possa dire o fare niente: troppa gente tutta insieme, un assalto a forte Apache. Una panoramica dall’alto con gli elicotteri della polizia rileva che sull’arenile non entrerebbe più neanche un granello di sabbia ed invece la gente cerca a tutti i costi di trovarsi il proprio “posto al sole”. Liti, malori, bambini che urlano, interventi della forza dell’ordine per cercare di sedare quello che sembra essersi tramutato, da gita domenicale a girone infernale. Alla fine della giornata ci saranno anche dei morti per infarto e per malore con le ambulanze che cercheranno di farsi largo tra le macchine parcheggiate anche in terza fila (altro motivo di liti). Insomma, una domenica da dimenticare (per la polizia, vigili, carabinieri, guardia costiera e sanità) e da fregarsi le mani per i proprietari di stabilimenti che non hanno impedito l’ingresso a nessuno, previo pagamento del pedaggio (a scapito degli abbonati stagionali). Da questo episodio Comencini prenderà spunto per il film del 1978 L’INGORGO con Alberto Sordi e con tantissimi altri attori come Annie Girardot, Fernando Rey, Marcello Mastroianni, Gerard Depardieu, Ugo Tognazzi ed altri. Detto questo, auguriamo a tutti una buona vacanza ed un buon proseguimento d’ estate e vi diciamo arrivederci alla fine d’agosto. Christian Calabrese
Fare clic qui per inserire un commento a questo articolo. SENZA RETE (1972) di David Guarnieri Nuova edizione per lo storico spettacolo estivo del primo canale tv. Conferme e novità, contrassegnano il quinto capitolo della sua storia. In cabina di regia resta Enzo Trapani, a dirigere l’orchestra è nuovamente Pino Calvi, confermato anche lo scenografo, Enzo Celone. Le novità riguardano i testi del programma: dopo quattro anni, Giorgio Calabrese, artefice assieme a Trapani del successo di “Senza rete”, decide di occuparsi di altre trasmissioni. Al suo posto, due ottimi e versatili autori, Jaia Fiastri e Alberto Testa. Il conduttore dello show è un autentico “mattatore”: Renato Rascel, il quale, a differenza dei precedenti padroni di casa di “Senza rete” (Raffaele Pisu, Enrico Simonetti e Paolo Villaggio), non si accontenta di proporre alcuni numeri umoristici, tra un brano e l’altro. Rascel caratterizza le proprie entrate, utilizzando di volta in volta: un cavallino, una piccola automobile, una portantina, stile ‘700, un triciclo, un carrello da cameraman, un carretto con una scimmietta (per interpretare un cantastorie), duetta con i vari ospiti, propone le sue nuove canzoni, canta la sigla finale della trasmissione (“Vediamoci tra qualche giorno”, firmata proprio dall’attore romano e non da Calvi), pretende di avere il suo nome nei titoli di testa e di coda del programma (altra novità), facendo intendere che, “Senza rete ‘72” è un “suo” varietà, non uno show personale delle stelle canore. Gli ospiti fissi delle otto puntate sono Ric e Gian, i quali, a metà spettacolo propongono uno sketch comico. La quinta serie dello spettacolo, oltre che per il protagonismo di Rascel, si segnala per l’ottimo cast musicale, un perfetto connubio tra protagonisti di primo piano e nuove proposte. Da sottolineare anche il giusto inserimento di gruppi della scena pop, rock, jazz e progressive. La prima puntata del quinto ciclo di “Senza rete”, in onda il 15 luglio 1972, vede, quali protagonisti, Ornella Vanoni e Bruno Lauzi. La “giovane promessa” è Marcella Bella. La Vanoni, come sempre elegantissima ed in ottima forma presenta le sue nuove canzoni: “Che barba, amore mio” (finalista ad “Un disco per l’estate ‘72”), firmata da Vito Pallavicini e Giorgio Conte e “Il mio mondo d’amore” (partecipante al “Festivalbar”), scritta da Mogol e Oscar Prudente. Il suo partner nella puntata, Bruno Lauzi canta “L’aquila”, di Mogol e Battisti (il brano, seppur di ottima fattura, non riesce a bissare il successo di “Amore caro, amore bello”) e “Devo assolutamente sapere” (composta dallo stesso Lauzi). Marcella propone inizialmente un medley composto da “Hai ragione tu” e da “Montagne verdi” (grande successo in hit parade, nella primavera ’72, dopo il lancio del Festival di Sanremo) e presenta il suo singolo per l’estate: “Sole che nasce, sole che muore”. Il gruppo ospite è il “Circus 2000”, guidato dalla vocalist, Silvana Aliotta, con “Hey Man”. Rascel canta “Io e me”. La Vanoni e Lauzi, nella consueta fantasia musicale di fine puntata propongono “Io sì”, “Garibaldi blues”, “L’appuntamento”, “Ritornerai” e “Ma mi”. Ai due si aggiunge Marcella con “Il poeta” e “Una ragione di più”. I tre protagonisti cantano poi “Vogliamoci tanto bene” assieme al conduttore (un omaggio al Rascel cantautore, che si rinnoverà di settimana in settimana). La seconda puntata (22 luglio 1972) ospita Gabriella Ferri e Domenico Modugno. La “nuova proposta” è Romina Power. La serata è aperta da un duetto tra Rascel e Modugno, composto da “Vogliamoci tanto bene” e “Resta cu’ ‘mme”. La Ferri canta poi “Rosamunda” (dal fortunatissimo album “L’amore è facile, non è difficile”) e “Dove sta Zazà”, mandando in visibilio il pubblico dell’Auditorium di Napoli. Modugno presenta due nuove canzoni: “Domani si incomincia un’altra volta” e “Tamburo della guerra”. Romina Power, nella sua “carta d’identità musicale” propone “Armonia” e “Acqua di mare” ed in seguito, il brano lanciato ad “Un disco per l’estate ‘72”, intitolato “Nostalgia”. Il complesso ospite è quello dei Pooh, composto ancora da Roby Facchinetti, Stefano D’Orazio, Dodi Battaglia e da Riccardo Fogli (prima dell’arrivo di Red Canzian). I quattro musicisti propongono il loro successo estivo, “Noi due nel mondo e nell’anima”. Per l’occasione, il sempre mirabile Enzo Trapani utilizza delle inquadrature avveniristiche e allo stesso tempo, molto sofisticate. La seconda ospite è Rhoda Scott, strumentista americana di eccezionale bravura. La Scott, all’organo elettrico esegue la splendida “Misty” di Erroll Garner. Rascel canta la sua “Ma va’.... con Pietro!”. Nella fantasia finale, la Ferri, Modugno e la Power cantano “Gita a li castelli”, “La lontananza”, Nu’ strillà tanto”, “Nel blu dipinto di blu”, “Meraviglioso” e “O’ ‘ccafè”. Chiusura con i tre protagonisti e Rascel in “Arrivederci Roma”. Terza puntata (29 luglio 1972) con Ombretta Colli, Giorgio Gaber e Donatello. Apertura con Ombretta Colli e la sua Salvatore”, lanciata anch’essa ad “Un disco per l’estate ‘72”. A seguire, Giorgio Gaber in una straordinaria interpretazione de “L’amico”, uno dei brani più toccanti del suo repertorio. Il “giovane” è Donatello, in un medley composto da “Malattia d’amore” e “Com’è dolce la sera”. Il cantante piemontese lancia poi la sua “Gira, gira sole”. Lo spazio dei complessi è rappresentato dai New Trolls, i quali si esibiscono (ottimamente) in due brani: “Concerto grosso” di Luis Bacalov e “In St. Peter’s Day” di Vittorio De Scalzi. Giorgio Gaber canta poi “Latte 70” e, assieme alla Colli nel divertente numero “Paparadio”. Rascel canta “Cicciolottina, mici, mici, Santi”. L’ospite d’onore della puntata è Orietta Berti, come sempre, gaia e paciosa, con “Come porti i capelli bella bionda” e “Stasera ti dico di no” (secondo posto a Saint-Vincent). La fantasia finale del trio Colli-Gaber-Donatello è composta da: “La mia mama”, “Barbera e Champagne”, “Lu primmo ammore”, “Com’è bella la città” e “Non arrossire”, chiusa da “Con un po’ di fantasia”, con la partecipazione di Rascel. Quarta puntata (05 agosto 1972) con Nada, Gianni Nazzaro ed Herbert Pagani. A rompere il ghiaccio è Nada con “Una chitarra e un’armonica” e la tradizionale “Maremma”, seguita da Gianni Nazzaro con “Quanto è bella lei” (canzone vincitrice di “Un disco per l’estate ’72”). La “nuova proposta” è Herbert Pagani che presenta “L’amicizia” e “Porta via”. Le Orme sono il gruppo ospite. I brani eseguiti sono: “Sguardo verso il cielo” e “Una dolcezza nuova”, tratti, rispettivamente dagli album “Collage” e “Uomo di pezza”. Renato Rascel canta “Il mondezzaro”. Tornano in scena i protagonisti della serata: Nada interpreta “Un uomo intelligente” e Gianni Nazzaro canta “Far l’amor con te”. La seconda ospite è Maria Carta, splendida interprete del folklore sardo. Le canzoni eseguite sono: “Il dilo” e “Desesperada”. Il terzetto Nada-Nazzaro-Pagani si ricompone per il medley finale, composto da: “Ma che freddo fa”, “Chiove”, “Il re di denari”, “Gli emigranti”, “Funiculì funiculà” e – assieme a Rascel – “Romantica”. Quinta puntata (12 agosto 1972) con Anna Identici, Bobby Solo e Rosalino. La serata è aperta da Anna Identici (la quale, lasciatasi alle spalle i successi commerciali, tenta la strada dell’impegno sociale) con “E quando sarò ricca” (dall’lp “Apro gli occhi di donna su ‘sta vita”), seguita da Bobby Solo con la sua “Rimpianto” (brano lanciato, senza alcun successo al Festival di Sanremo ’72). La “giovane promessa” è Rosalino in un due brani: “Il gigante e la bambina” e “Strade su strade”. Seguono due ospiti d’onore, i Ricchi e Poveri e la loro “Pomeriggio d’estate” e l’applauditissimo (beh, siamo a Napoli, no?) Peppino Di Capri in “Una catena d’oro”. Rascel propone il brano “Gruppo B”. È di nuovo la volta di Anna Identici con “Amore da niente”, di Bobby Solo con la sua personale versione di “Lettere d’amore” e di Rosalino, con “Storia di due amici” (Disco per l’estate ’72). Il terzo ospite d’onore è Johnny Dorelli, il quale presenta due riuscitissime cover: “Parla più piano” (sigla di “Gran Varietà”, nonché tema d’amore dal film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola) e “Per chi” (hit dei Badfinger e, ancor più di Harry Nilsson). La fantasia finale comprende: “Amore mio non piangere” e “L’uva fogarina” cantate dalla Identici, “Siesta” e “Zingara”, interpretate da Bobby Solo, “Quando m’innamoro”, nella versione di Rosalino e “Ninna nanna del cavallino” del trio Identici-Solo-Rosalino assieme a Rascel. Sesta puntata (19 agosto 1972) con Donatella Moretti, Peppino Gagliardi e Marisa Sacchetto. In apertura di programma, il brano “Sulla strada che porta al mare” (firmato da Gino Paoli), cantato da Donatella Moretti e “Al pianoforte”, proposta da Peppino Gagliardi. La “novità musicale” è rappresentata dalla bella Marisa Sacchetto, la quale presenta una piccola fantasia composta da “Tredici ragioni” (Disco per l’estate ’71) e da “La foresta selvaggia” (Festival di Sanremo ’72). Il gruppo ospite è la Formula 3. Il trio composto da Tony Cicco, Gabriele Lorenzi e Alberto Radius esegue “Storia di un uomo e di una donna” (dal 33 giri omonimo). Renato Rascel canta poi “Lì per lì”. Tornano ad esibirsi i padroni di casa della serata: Peppino Gagliardi ripropone la nota “Ballata dell’uomo in più”, Donatella Moretti canta “Io, per amore” (dal suo album “Canto terzi”), Marisa Sacchetto coglie l’occasione per proporre al grande pubblico il suo singolo per l’estate: “Il mio amore per Mario”. L’ospite di riguardo è Gino Paoli. Il cantautore presenta un medley di suoi successi, composto da “Senza fine-Che cosa c’è-Sapore di sale” e il bellissimo brano lanciato ad “Un disco per l’estate ‘72”, intitolato “Non si vive in silenzio”. Settima puntata (26 agosto 1972) con Gigliola Cinquetti, Tony Renis e Mia Martini. Ad aprire la serata è Tony Renis, con la sua personale versione di “Grande, grande, grande” (clamoroso successo in hit parade per Mina). Renis esegue la canzone, accompagnandosi semplicemente con la chitarra. È il turno di Gigliola Cinquetti con “Qui comando io” e della “emergente” Mia Martini, destinata a divenire una delle massime interpreti della canzone italiana. L’artista di Bagnara Calabra propone un medley composto da “Padre davvero” e da “Madre” (cover di “Mother” di John Lennon). Il complesso della 7^ puntata è “La nuova idea” con la canzone “Illusioni da poco”. L’ospite della serata è il jazzista Phil Woods, il quale esegue il brano “Tau Ceti”, in una splendida jam-session in compagnia di Giorgio Azzolini, Gianni Basso, Emilio De Biase, Dino Piana, Oscar Valdambrini e dello stesso Pino Calvi. Dopo il consueto numero comico di Ric e Gian tornano in scena i protagonisti della settima puntata: Tony Renis canta “Un uomo tra la folla” (Disco per l’estate ’72), Gigliola Cinquetti propone “Camminando sotto la pioggia” (dal suo album “...e io le canto così”), Mia Martini interpreta “Piccolo uomo” (grande successo in classifica in quei mesi, nonché brano vincitore del “Festivalbar ‘72”). Il medley finale è composto da “Accarezzame”, “Non dimenticar (le mie parole)” cantate da Gigliola Cinquetti, “Il posto mio” proposto da Mia Martini, “Quando dico che ti amo” e “Quando quando quando” eseguite da Tony Renis. I tre protagonisti propongono assieme a Rascel “Te voglio bene”. Ottava ed ultima puntata (01 settembre 1972) con Katyna Ranieri, Claudio Villa e Vana Veroutis. La serata conclusiva di “Senza rete” ha un singolare sviluppo: in apertura si esibiscono, nell’ordine: Katyna Ranieri in “Colgo la rosa” (in terzetto con Villa e Rascel) e in “Picchia, picchia” (dall’lp “Amanti e briganti”, curato, come sempre dal consorte Riz Ortolani) e Claudio Villa in “Era de maggio” e “Il traguardo dell’amore”. È la volta poi della “giovane”, Vana Veroutis in “Con vent’anni solo addosso” e del gruppo, i Queen Elizabeth Chapel, guidati da Raymond Vincent con il brano “I Ain’t Got No Time”. Il numero seguente è un duetto tra Rascel e Villa, i quali interpretano alcuni stornelli romani. Al termine di questa esibizione, Rascel congeda la Ranieri e Villa e si “impadronisce” del palcoscenico, per proporre alcune sue canzoni: “Il consiglione”, “Benissimo” e “Padre Brown” (il mini-concerto dell’attore romano sostituisce l’abituale fantasia musicale degli ospiti). A seguire, il M° Pino Calvi, il quale accenna al piano, le sigle finale delle prime quattro edizioni dello show: “Finisce qui”, “A questo punto”, “Ciao, devo andare” e “La nostra serata”. Renato Rascel chiude l’annata 1972 di “Senza rete” con un biglietto di ringraziamento per il pubblico. Anche per quest’anno, il pubblico italiano dimostra di gradire lo show musicale dell’estate, conferendo a “Senza rete” un buon risultato di ascolto (17 milioni e 600 teleutenti di media) ed un gradimento pari a 76. Particolarmente gradito l’accostamento tra “big” e “nuove proposte” della canzone italiana ed ovviamente, l’operato artistico del “piccoletto” Renato Rascel.
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