E’ una primavera poco allegra, questa del 1975, iniziata con la violenza
politica in un clima incandescente pre-elezioni. Nel giro di pochi
giorni muoiono tre ragazzi, due di sinistra ed uno di destra. I motivi
sono come sempre molto futili: un manifestino politico, un assalto ad
una sede di partito. L’età è molto verde, 17 e 26 anni i due di
sinistra, 21 il ragazzo di destra. E la politica di palazzo ci sguazza
strumentalizzando tutto per tirare l’acqua ai propri mulini. Non
dimentichiamoci che a giugno ci saranno le elezioni...
Sandro Giacobbe
Ritorna Sandro Giacobbe e, a distanza di un anno, fa ancora centro. La
volta precedente ci aveva proposto un concept album (SIGNORA MIA) che
trattava di un amore difficile e contrastato tra un ragazzo ed una
signora sposata e con prole. Lui disponibile ma timido, anche lei
disponibile ma con mille titubanze e scrupoli morali. Ora Giacobbe torna
all’attacco con un amore più giovane, quasi adolescenziale. A cominciare
dalla copertina. Sul davanti una coppia di adolescenti scoprono i propri
corpi nella penombra di un cespuglio; in quella interna la stessa foto,
con i due ragazzi più adulti. Uno dei due è Giacobbe. Un amore che nasce
da lontano (PICCOLA MIA PICCOLA) e che cresce nel tempo insieme alla
medesima coppia (EPPURE L’IMMAGINAZIONE). Nella title track dell’album e
nel singolo omonimo (grande successo di vendite) a bluffare questa volta
è lui, perché è la storia di un tradimento perpetrato ai danni della
ragazza. Lui le confessa di averla tradita (stasera sono in vena e ti
racconto tutto) con la sua migliore amica (la tua migliore amica, chi
l’avrebbe detto). Lui è pentito di ciò che ha fatto e spera che non ci
siano ripercussioni (non dirmi che adesso quel fatto d’amore incrina la
mia trasparenza) promettendole di non provarci più (io con lei non vado
più). Nella canzone si scopre che è la vita, certe volte, a farci fare
scelte sbagliate e a spingerci oltre le nostre intenzioni (se la voglia
ti guarda negli occhi e ti prende per mano succede che poi non ti
accorgi nemmeno di essere andato un po’ troppo lontano). La ragazza
d’altronde non ha mai fatto il nome della sua amica durante
quell’incontro (però non si è permessa mai di fare il nome tuo) ma lui
stesso non sa se questo è stato un bene o un male, perché se l’avesse
fatto probabilmente si sarebbe risvegliato da quella malia ed avrebbe
rinunciato (per questo quando mi ha abbracciato non le ho detto no).
Quell’atto d’amore, così come lo chiama nella canzone, di per sé è
quindi inutile perché come dice il testo (nella mente, negli occhi, nel
cuore ci sei tu infinito amore) e si giustifica dicendo che la vita è
fatta anche di queste cose (scusa tanto se la vita è così, non l’ho
inventata io). Musicalmente è davvero una canzone efficace, il testo è
forse un po’ banale ma comunque adatto al personaggio Giacobbe e al suo
repertorio a metà tra la canzone d’autore e il fotoromanzo per le masse.
Il riff iniziale, in pratica l’introduzione, viene ripetuto ad ogni fine
ritornello e questo rende la canzone nel suo insieme davvero
accattivante. Una costante di Giacobbe che, dipenda da lui o dai suoi
discografici e arrangiatori, ha sempre dato importanza alla composizione
sta nei primi trenta secondi delle sue canzoni. SIGNORA MIA ha
un’introduzione riconoscibile dalla prime note, IL GIARDINO PROIBITO lo
stesso e ancora di più l’ottimo arrangiamento che verrà utilizzato per
il brano GLI OCCHI DI TUA MADRE. Il team Giacobbe-Avogadro-Pace continua
a mietere allori: dopo la sigla di Gran Varietà, incisa da Dorelli e
ripresa nel 33 giri precedente dallo stesso Giacobbe LA VITA E’ UNA GRAN
COSA, ecco la canzone portata a Canzonissima da Gianni Nazzaro, ripresa
anch’essa in questo nuovo disco, e cioè PICCOLA MIA PICCOLA. A Nazzaro
aveva anche ceduto la canzone con la quale aveva vinto il Disco per
L’Estate l’anno precedente e cioè QUESTO SI CHE E’ AMORE e ancora
SIGNORA ADDIO (l’epilogo dell’album SIGNORA MIA reinserito giustamente
in quel disco). La nuova canzone di Giacobbe e i suoi collaboratori si
chiama SCUSA ed è cantata da Maurizio (Arcieri). Di una cosa si può
essere sicuri: Giacobbe ha un marchio di fabbrica inconfondibile quando
compone. Anche se non si sa da un primo ascolto che una tale canzone è
stata composta da lui, viene spontaneo pensarlo. Tutto il nuovo disco di
Giacobbe ruota intorno a piccoli sentimenti adattabili a chiunque, se si
spostano le età dei protagonisti. In alcune canzoni ci si può ritrovare
il primo Baglioni (quello del periodo 1970-1973) e il primo Battisti
(1968-1969). La sua voce è sempre gradevole in tutta l’estensione
dell’album e c’è la freschezza di chi fa musica per il proprio piacere
più che per lanciare messaggi politici o sociali. I testi sempre garbati
seppur non trascendentali, suggeriscono qualche concessione alla voglia
di strafare in modernità con allusioni e racconti anche
particolareggiati di atti sessuali. Cosa che poco si confà a Giacobbe
che è in apparenza un ragazzo tranquillo e dai modi gentili. C’è da
dire, però, che i testi non sono suoi. Sue invece sono le musiche,
sempre gradevolissime. E in alcune canzoni tenta anche esperimenti per
staccarsi da quell’aura di tradizionalità che lo circonda, cercando di
trovare sonorità differenti, slegate da schemi all’italiana. Giacobbe
cantautore però non convince chi dai cantautori vuole qualcosa di più e
che preferisce saltare piuttosto sul carro dei De Gregori che su quello
dei Baglioni. E’ un cantante-cantautore tradizionale con velleità
giovanilistiche, così come è giovane lui; un cantante che può piacere
sia alla ragazzina quindicenne che alla mamma. E va benissimo così. C’è
chi lo accusa di aver scritto le canzoni a Gianni Nazzaro come quasi
fosse una colpa. Lui invece, con molto savoir faire, ringrazia Nazzaro
di averlo fatto scoprire al grande pubblico. Gli stessi che lo accusano
fanno finta di non sapere che se un giovane cantautore si lega ad una
casa discografica è prassi utilizzarlo anche come autore per artisti
della stessa casa. Così come successe a Baglioni che per un certo
periodo (1970-71) alla RCA faceva davvero di tutto. Mancava solo che
facesse l’uomo delle pulizie e avrebbe completato il ciclo. Tornando a
Sandro, in una canzone non parla di amore nel senso classico ma fa un
omaggio alla sua città che è Genova. La canzone si chiama LA MIA CITTA’
DI NOTTE ed è un buon esempio di quanto egli sia capace di fare stando
fuori dai soliti schemi. Un’altra canzone che subisce l’influenza di un
qualcosa di particolare è LEI, che sembra uscita da un disco di Barry
White. Stesso giro armonico e stesso tipo di introduzione con i violini
impazziti in stile YOU’RE THE FIRST, MY LAST, MY EVERYTHING. Sandro
Giacobbe è un classico esempio di personaggio calato nel suo tempo: un
cantante nato negli anni settanta che continua ad aver successo nel
decennio successivo. La sua musica è esattamente figlia di quel periodo:
è uguale per genere a quella di altri ma assolutamente riconducibile al
suo autore. Tanto per fare un esempio: Claudio Baglioni è un Sandro
Giacobbe in maggiore, più famoso, più celebrato e con più classe.
Giacobbe è più esplicito nel linguaggio mentre Baglioni è un teorico del
petting. I riferimenti ai rapporti di sesso nei testi delle canzoni di
Giacobbe sono chiari e precisi anche se totalmente privi di qualsiasi
forma di volgarità. Baglioni è comunque anche autore dei testi delle sue
canzoni ed è un pizzico meno commerciale di Giacobbe e quindi più
autentico di lui. Baglioni resta sempre l’originale, Giacobbe ad essere
puntigliosi, si potrebbe considerare una sua copia (senza per questo
volerne sminuire la capacità). Ma entrambi sembra facciano le stesse
cose pur facendo cose "clamorosamente" diverse. La differenza
sostanziale tra i due sta nelle possibilità avute e nelle circostanze,
nella fortuna e nei collaboratori. Uno aveva a disposizione, quando
incideva, personaggi come Bacalov o Vangelis, l’altro Giancarlo
Chiaramello e Danilo Vaona. Bravissimi anche questi ma di un altro
livello. Uno aveva come cavallo di battaglia estivo IL GIARDINO PROIBITO
e l’altro SABATO POMERIGGIO. Ma, in quel momento, questi due brani erano
soltanto due canzoni abbastanza vicine nello stile e tutte e due con la
stessa possibilità di successo: tutte e due hanno partecipato ai
medesimi spettacoli, alle stesse manifestazioni ed entrambi i dischi
probabilmente erano stati acquistati anche dallo stesso tipo di persone.
L’aureola di capolavoro, SABATO POMERIGGIO, l’ha guadagnata in seguito
grazie al successo continuo di Baglioni che si è adoperato perchè
continuasse ad essere un successo negli anni, riproponendola a spron
battuto nei concerti e nei dischi dal vivo. Giacobbe non ha avuto questa
stessa opportunità, come dice in una canzone di questo nuovo album: ci
sono delle circostanze in cui tutto... SABATO POMERIGGIO è stata prima in
classifica per quasi due mesi, sia nei 45 che nei 33, e in classifica
per circa 5 mesi. IL GIARDINO PROIBITO tra le prime dieci esattamente lo
stesso periodo. Il sound tipico di quel genere cantautorale chiamato
all’epoca alla Baglioni e considerato minore (per la solita spocchia dei
critici) è fortemente rivalutato ai nostri tempi. Un po’ come accade ai
film di serie Z (come QUEL GRAN PEZZO DELL’UBALDA) che ristampano su
dvd (e ai quali dedicano anche rassegne
cinematografiche) e che ottengono tutto il successo negatogli prima. Per
mancanza di alternative valide o perché si tende sempre a rivalutare
quello che all’inizio non sembrava all’altezza, un po’ per obbiettività
e un po’ per pura nostalgia? Se si fa testa o croce la monetina stessa
avrebbe dei dubbi e probabilmente resterebbe per aria.
IL REVIVAL DEGLI ANNI ‘50
Da AMERICAN GRAFFITI a STARDUST (con David
Essex) a IL GRANDE GATSBY: film di successo che trattano del passato.
Stiamo difatti assistendo ad una riscoperta romantica, culturale e
soprattutto musicale di un’era non tanto lontana nel tempo ma
sicuramente lontanissima nello stile, nel modo di vivere, nella musica.
Gli anni quaranta ma soprattutto gli anni cinquanta. Una rivalutazione
del periodo che in questi tumultuosi anni settanta sembra soprattutto
un’àncora di salvezza dalla violenza quotidiana e dai mille problemi che
affliggono il cittadino. Una mania che contagia chi li ha vissuti e chi
non può, per cause anagrafiche: è un florilegio di musica con iniziative
legate a quel periodo che sfoceranno nel 1978, con il nuovo boom del
rock’n’roll inteso come ballo, con un gruppo musicale nato alla bisogna
(come i Kim & The Cadillacs) e con il successo travolgente di HAPPY DAYS
e GREASE. Le recenti produzioni discografiche e cinematografiche
ripropongomo un periodo visto non più come il ricordo del tempo che fu
ma come se si stesse vivendo una nuova epoca della quale si sa già tutto
in precedenza per cui naturalmente siamo in grado di anticipare mode e
vezzi. Un’epoca da rivalutare in toto perché abbandonata precocemente e
non vissuta appieno, nell’avidità che si aveva, alla fine di quel
decennio (i cinquanta), di protendersi nel futuro pronti ad abbandonare,
col boom economico, un decennio che era iniziato sotto il segno
dell’insicurezza. Epoca da sfruttare, finchè dura la moda. In Usa e Uk
gruppi e cantanti come i Rubettes, Alvin Stardust, Terry Jacks, i Bay
City Rollers, Donny Osmond, Cockney Rebel fanno vendere milioni di
dischi. Perry Como è tornato in classifica, Gary Glitter, da ex cantante
fallito nei cinquanta, è da tre anni un numero uno nelle classifiche che
parlano inglese, conciandosi come una patetica drag queen di periferia.
Eccoci proiettati nel pieno di un revival fatto di luccichii, di
ambienti scintillanti, di musica, di ciuffi alla Elvis e di
atteggiamenti alla Buddy Holly. Tutto merito di un film AMERICAN
GRAFFITI. Quando George Lucas cominciò a bussare alle porte dei
produttori per vendere il suo nuovo copione non ebbe subito il successo
che sperava. Una storia di ragazzi che all’alba del 1962 si guardano
indietro e scoprono che il mondo che conoscevano e nel quale erano
cresciuti non esiste più. Kennedy e i nuovi balli (il twist in primis)
hanno soppiantato icone, mode e stili di un decennio irripetibile. Dove
eravate voi nel 1962? Così viene lanciato il film. Lucas era a Modesto
in California e si comportava proprio come i personaggi del suo copione,
che danno i pizzicotti alle cameriere, indossano giubbotti in stile
football americano, ascoltano la musica rock nelle radio private e
scorrazzano di notte per le strade sgombre dell’America. C’è da dire che
noi italiani, di quel decennio in stile americano, abbiamo vissuto molto
poco. I nostri anni cinquanta erano completamente differenti da ciò che
abbiamo visto nel 1974 grazie a film come AMERICAN GRAFFITI. Noi non
avevamo le reginette del ballo scolastico di fine anno, non avevamo i
drive in con le ragazze in pattini che ti portano la Coca Cola e i
cheese burgers, non avevamo le macchine americane lunghe sei metri che
facevano al massimo 70 miglia all’ora. I nostri anni cinquanta erano
molto ma molto differenti e adesso ci illudiamo che siano stati proprio
così, come visti al cinema, e cerchiamo di ricordarli proprio in quel
modo. Se volessimo, non potremmo neanche ricostruirli musicalmente e
sperare che facciano tendenza perché i nostri cinquanta hanno il volto
di Nilla Pizzi, del Duo Fasano, di Teddy Reno e Renato Rascel. Non
abbiamo sfornato Billy Haley, Fats Domino, i Platters, Neil Sedaka o
Little Richard. Gli unici che possono ancora permettersi il lusso di
cantare e che fanno parte di quell’epoca così lontana ma in fondo così
vicina, sono Mina, Celentano, Modugno e Peppino Di Capri. A rivalutare
gli anni ’50 italiani ci pensa Fred Bongusto che incide un LP dal titolo
ITALIAN GRAFFITI. Le sue capacità vocali e quel timbro che ne fanno un
interprete senza età si addicono all’operazione di recupero che
racchiude nel suo tipico alone romantico le sue interpretazioni. In
fondo, Bongusto non è forse un figlio legittimo dei crooners americani?
Un altro tenta la carta del revival (causa forse una leggera flessione
dei consensi del pubblico e con necessità di ricostruirsi un personaggio
credibile prima che sia troppo tardi) è Gianni Nazzaro, che incide anche
lui un disco di sole canzoni da night di quell’epoca e lancia una
versione più vicina a Don Marino Barreto Jr che a Marino Marini di LA
PIU’ BELLA DEL MONDO che porterà anche a Venezia a settembre. E poi è la
volta di Little Tony che essendo nato alla fine degli anni ’50
(musicalmente) può permettersi un'escursione nel passato tornando su
quegli stessi brani. Fedele a se stesso fino alla morte e con una voglia
di (stra)fare che gli fa perdere anche il senso della misura e del
tempo, continuando imperterrito a sentirsi eternamente giovane, già nel
1975 era alla ricerca di qualcosa che lo facesse tornare in auge come
nel decennio precedente e, visti gli scarsi successi degli ultimi anni,
tenta anche lui la carta revival. Incide un LP di classici del rock del
periodo e lancia un singolo che risale al 1961 nella versione originale
(ARE YOU LONESOME TONIGHT) e al 1965 nella versione di Michele (TI SENTI
SOLA STASERA). Lui la fà tale e quale, cercando di ammodernarne un po’ i
contorni.
John Lennon
Uno che negli anni cinquanta era solo un adolescente e che, grazie a
quegli anni, si è potuto formare musicalmente è John Lennon che vuole
omaggiare a modo suo il decennio tornato alla ribalta. Il suo nuovo
album si chiama ROCK’N’ROLL (ma che avrebbe dovuto chiamarsi OLDIES BUT
MOLDIES per parodiare una celebre raccolta dei Beatles intitolata OLDIES
BUT GOLDIES) e sulla copertina c’è la foto di un Lennon del 1961 ad
Amburgo, con tanto di pettinatura d’epoca, quando il repertorio dei
primissimi Beatles era costituito da standard classici americani del
rock’n’roll. Un disco che aveva da un po’ nella pelle e che aveva
cominciato a registrare già alla fine del 1973, poi rivisitato
nel’ottobre 1974. Non è un lavoro nuovo, ma un divertimento ed un
tributo doveroso da parte di John Lennon; si tramuta in una specie di
disc jockey tanto che quando presenta la canzone di Lloyd Price JUST
BECAUSE dice lo ricordate questo? mentre la musica è già partita. Un
disco che esce al momento giusto, proprio quando tutto il mondo è volto
verso il passato. I brani inclusi nella raccolta risentono parecchio
della presenza di un personaggio come Phil Spector che riarrangia lavori
già suoi e vissuti in prima persona. Ed ecco uno dopo l’altro brani come
BE BOP A LULA, RIP IT UP, SWEET LITTLE SIXTEEN, READY TEDDY, BONY
MORONIE. Sono 13 canzoni. Su tutte svetta STAND BY ME, che in realtà non
è degli anni cinquanta ma del 1961. Canzone scelta anche come singolo e
che ottiene un buon successo in Italia. Naturalmente, ascoltando i brani
del disco, ci si rende conto che siamo nel 1975 e non nel 1955: le
sonorità sono differenti ma questo non rovina l’effetto. La scelta dei
classici americani viene spiegata dallo stesso Lennon quando afferma che
a volte sente che sarebbe dovuto nascere a New York e non a Liverpool e
stavolta ne è dannatamente convinto. E’ di questo periodo l’immagine di
Lennon con la maglietta bianca senza maniche e la scritta New York City
che campeggia in tutti i negozi di souvenir nella New York del duemila.
Quella stessa New York che sarebbe stata location della sua morte cinque
anni dopo.
Paul Anka
L’ondata del revival della musica anni cinquanta va a beneficio anche di
un dimenticato del periodo, Paul Anka. Famosissimo dal 1957 con DIANA,
un successo mondiale bissato molte volte con canzoni quali PUT YOUR HEAD
ON MY SHOULDER, PUPPY LOVE, YOU ARE MY DESTINY ed altre, nel 1962 vede
venir meno in patria (sebbene fosse canadese) il successo e si
trasferisce quasi stabilmente – artisticamente parlando – in Italia. I
successi del periodo italiano sono molti, basti ricordare OGNI VOLTA e
LA VERITA’. La sua carriera italiana finisce con il Sanremo 1968 quando
canta con Dorelli LA FARFALLA IMPAZZITA scritta dal giovane e ancora non
famoso Lucio Battisti. Nel 1969 regala a Sinatra la versione inglese di
MY WAY e nel 1971 a Tom Jones il successo mondiale SHE’S A LADY. Sammy
Davis Jr incide I’M NOT ANYONE e Johnny Carson (presentatore storico
della tv americana morto qualche settimana fa) si fa dare JOHNNY’S
THEME, che diventa la sigla di uno dei programmi più seguiti in Usa. A
questo punto, visti i nuovi successi raggiunti seppure in terza persona,
decide di fondare una casa di edizioni musicali ed organizzare il
rilancio di se stesso. Investe migliaia di dollari (non solo suoi,
contribuiscono anche Sinatra ed altri del giro di Las Vegas), chiama i
migliori musicisti del mondo e inventa una cantante dal nulla, Odia
Coates, che utilizzerà in seguito. Il 1974 è l’anno della riscossa. Il
suo ultimo disco YOU’RE HAVING MY BABY cantato in coppia proprio con
Odia Coates arriva in cima alle classifiche inglesi ed americane e in
Italia lo incide Wess col titolo ASPETTI UN BAMBINO. FLASHBACK lo
riporta anche nella classifica degli album più venduti in questo 1975,
mentre in Italia le sue vecchie canzoni DIANA e YOU ARE MY DESTINY sono
di nuovo in classifica.
Domenico Modugno
Domenico Modugno, dopo un periodo di vacche magre per quel che concerne
la vendita di dischi, si rifà abbondantemente, questa volta con una
versione italiana di un successo francese che orginariamente era
chiamato LE TELEPHONE PLEURE e che in Francia era volato al numero uno
della classifica discografica interpretato da Claude François. Identica
la traduzione italiana che diventa PIANGE IL TELEFONO ed identica la
sorte che lo vuole, clamorosamente, al primo posto della classifica. Un
successo che supera ogni previsione perché la canzone è subito presa di
mira da critici e da conduttori radiofonici e televisivi come canzone
nata per accattivarsi le simpatie di un certo tipo di pubblico, facile
da accontentare. Ruffiana, con la doppia interpretazione con la bambina,
racconta la storia di un uomo che ha abbandonato la famiglia quando la
figlia era ancora in fasce e che adesso tenta di ricucire lo strappo. Ma
al telefono c’è sempre la bambina perché la mamma o non c’è o è sotto la
doccia oppure non glie ne può fregare di meno di parlare con quel tizio
che, come dice la bambina, nemmeno la conosce però sembra saperne
abbastanza di lei e della sua mamma. Sa anche dove va a villeggiare
(termine antichissimo per quel 1975!) e cioè all’Hotel Riviera, che nelle
intenzioni dell’autore dovrebbe rappresentare una di quelle pensioni a
gestione familiare dove una moltitudine di italiani si riversano in
estate, in modo che l’ascoltatore medio si possa rispecchiare nella
vicenda. Alla fine conclude con una frase sibillina che potrebbe
lasciare spazio a diverse interpretazioni: piango al telefono, l’ultima
volta ormai ed il perché domani tu lo saprai. Varie le interpretazioni:
la più patetica è che il signore in questione si suicidi schiacciato dal
peso del rimorso. Un’altra è che si presenti a casa e che sistemi la
questione una volta per tutte con un happy end finale. La terza potrebbe
essere che, stufo della ex moglie che si nega telefono, della prosopopea
leziosa della mocciosa e della bolletta della Telecom (all’epoca SIP),
piombi in casa delle due, le gonfi di bòtte e se ne vada soddisfatto al
braccio di una ventenne bionda. Questo è quanto si augurerebbe una buona
parte degli italiani, quelli non allineati. Scherzi a parte, la canzone
è si facile e un po’ troppo autocompiacente ma Modugno la interpreta in
maniera convincente. Non era facile da presentare: un feuilleton di quel
genere in un periodo difficile come il ’75, prevedeva il rischio di
scadere nel kitsch, con una reputazione e una carriera da difendere! La
retorica è sempre in agguato ma appare abbastanza smorzata dal fatto che
la bambina è incuriosita da questo personaggio, più incuriosita che
addolorata. Ma poi, perché dovrebbe esserlo visto che non sa nemmeno chi
sia? La stessa casa discografica è all’inizio abbastanza titubante su
quella rischiosissima operazione commerciale. Domenico Modugno viene
considerato un pazzo o un incosciente. Sta di fatto che la fortuna aiuta
gli audaci e il 45 giri diventa un vero tormentone che uscito in
primavera riesce a vendere e a rimanere tra i primi cinque anche in
estate. Sveliamo il retroscena della scelta di Francesca Guadagno come
voce ausiliare (adesso è direttrice di doppiaggio dopo essere stata per
tanto tempo doppiatrice lei stessa; lo era anche al tempo della
canzone). Viene scelta dopo parecchie prove effettuate dallo stesso
Modugno che aveva, per così dire, visionato figlie di amici, nipotine e
altre bambine ma tutte avevano difetti di pronuncia e di dizione. Pensò
quindi di rivolgersi ad uno studio di doppiaggio e la scelta cadde sulla
piccola Francesca, che negli ultimi tempi aveva dato la voce a film
importanti e di cassetta come L’ULTIMA NEVE DI PRIMAVERA e l’altro
drammone L’ALBERO DALLE FOGLIE ROSA. Modugno presenta in questo periodo
tre volte la canzone: allo spettacolo di benificenza per l’Unicef, a
Spaccaquindici di Baudo e a "Tanto Piacere" con Claudio Lippi. Il successo
non si fa attendere. Da lì a poco la formula del telefono nelle canzoni
sembra faccia proseliti perché Claudia Mori lancia sul mercato un 45
giri, BUONASERA DOTTORE, estratto da un LP di un anno prima che era
passato praticamente inosservato. Ma questa è una storia che vedremo in
un’indagine successiva.
Anna Magnani
Tra i cento e i centocinquanta milioni di telespettatori sovietici hanno
seguito i telefilm girati a suo tempo (1971) da Alfredo Giannetti con
Anna Magnani protagonista. I titoli sono LA SCIANTOSA, L’AUTOMOBILE,
1943: UN INCONTRO e 1870. Non faccia impressione il numero: l’Unione
Sovietica era sterminata, i canali in realtà erano il canale, cioè uno
solo, dal quale ogni giorno si sapeva tutto quello che si "doveva"
sapere. I telefilm sono stati trasmessi nelle ora di punta, cioè tra le
19 e le 21. Il ciclo di film per la tv sugli schermi casalinghi
dell’Unione Sovietica, assai parca nel mostrare immagini dall’estero e
soprattutto da paesi non comunisti, dimostra l’interesse internazionale
per un’artista come la Magnani. Deceduta ormai da due anni. Il
presentatore del ciclo ha spiegato il contesto culturale e sociale nel
quale la famosa attrice romana (nata però ad Alessandria d’Egitto)
muoveva i primi passi, poi nel periodo del grande successo (il
neoralismo italiano) e negli ultimi anni. I giovani sovietici non
conoscevano Anna Magnani in quanto gli unici film che uscirono nelle
sale cinematografiche russe furono ROMA CITTA’ APERTA e BELLISSIMA ma
con uno scarto di due anni rispetto all’uscita italiana (1945 e 1951).
La popolarità dell’attrice in URSS ebbe una conferma quando fu invitata
nel 1965 per una tournèe teatrale nel corso della quale interpretò LA
LUPA di Verga.
ALTO GRADIMENTO E LA DC
La popolare trasmissione radiofonica è nei guai,
rea di aver utilizzato la voce di Fanfani con intenti satirici. IL
POPOLO, giornale della DC ha titolato: Arbore e Boncompagni: cambiamo
nastro! I due presentatori non hanno ancora deciso il da farsi. Alto
Gradimento tenta di divertire senza essere qualunquista (ma spesso
scadeva nel volgare) e poco alla volta ha trovato una sua dimensione
inserendo tra un brano musicale e l’altro alcune garbate prese in giro
politiche. Nel passato sono stati presi di mira Moro, Mancini e La
Malfa. Quando tocca a Fanfani- è il caso di dirlo – c’è una levata di
scudi (crociati). Ma quali sono le frasi incriminate che hanno fatto
sobbalzare il critico del POPOLO? Arbore e Boncompagni hanno preso
spunto dall’ultima conferenza stampa di Fantani alla tv ed hanno isolato
alcune frasi utilizzandole poi nel corso della trasmissione come se lo
stesso Fanfani si prestasse a fare il disc jockey. Per fare un esempio:
nell’intervista televisiva Amintore Fanfani pronunciava frasi come "aria
fresca" o un "no" ripetuto cinque volte che, tolte dal contesto
dell’intervista, vengono utilizzate al momento di annunciare le canzoni.
Per la canzone di Dario Baldan Bembo ARIA, Boncompagni faceva ribadire
al politico "aria fresca" e quando Boncompagni diceva "no, senatore, si
chiama proprio ARIA" Fanfani diceva "no,no,no,no,no". E a Boncompagni
non rimaneva che annunciare "ARIA FRESCA cantata da Dario Baldan Bembo".
Niente di trascendentale, frasi prestate ad un umorismo di situazione,
soltanto una bonaria presa in giro ma più della canzone in questione che
altro? Difatti la voce era utilizzata allo scopo di sbertucciare
determinati brani. Ma a quanto pare sembrava infastidire lo zelante
corsivista del POPOLO. Se si paragona a quello che si dice oggi su
alcuni politici nei programmi satirici, la cosa fa veramente sganasciare
dalle risate. Non dimentichiamoci inoltre che Gianni Boncompagni, è
aretino come lo era Fanfani e considerato, all’epoca, un fanfaniano di
ferro, sebbene giocasse a fare l’anarchico senza padrini politici.
Quindi, quale satira avrebbe potuto fare uno come lui?? Difatti
Boncompagni stesso precisa che un uomo che regge l’Italia da trent’anni
non potrebbe mai fare certi errori di "grammatica". Qui si tratta del
solito funzionarietto più realista del re. L’Italia è fatta di questi
personaggi, zelanti come il corsivista, che cercano di compiacere il
capo riuscendo a fargli fare gaffes imbarazzanti. Basti pensare a quello
che accade il più delle volte dentro a Forza Italia. Comunque all’epoca,
per una sorta di par condicio, la prossima vittima del duo sarà
Berlinguer.
Mike Brant
Mike Brant a noi italiani dice davvero poco sebbene la CBS abbia tentato
di lanciarlo nel 1970 con la canzone CUORE DI BAMBINA che non ebbe il
minimo successo. Ma in Francia, anche grazie all’ aspetto molto
gradevole, era considerato una vera star. Ne parliamo perché a soli 27
anni, bello e famoso, decide di suicidarsi e ci riesce perfettamente
buttandosi dal sesto piano del suo appartamento parigino. Va tenuto
presente che Mike Brant aveva già tentato il suicidio due volte e che
proprio l’anno precedente si era gettato da una finestra al quinto piano
di un albergo di Ginevra. Forse a causa del piano in meno o perché la
caduta venne attutita da un balcone sottostante il cantante se la cavò
con fratture multiple. Una cosa abbastanza inquietante. Brant era nato a
Cipro da madre polacca e padre russo col nome di Moshè Brand. I
genitori, fuggiti dalle loro terre d’origine a causa prima del nazismo e
poi dello stalinismo si rifugiano in Israele e da lì Mike Brant mosse i
primi passi verso il mondo della canzone che gli aprì le porte nel 1970
quando a febbraio LASSE MOI T’AIMER diventa un successo sia in Francia
che in Germania vendendo mezzo milione di copie. Quel CUORE DI BAMBINA
ne è per l’appunto la versione italiana. Le porte si richiudono, loro
malgrado, cinque anni dopo per cause di forza maggiore. Come sempre
succede in questi casi, il mese di maggio lo vedrà svettare in testa
alle classifiche francesi con la versione in lingua della canzone di
Morris Albert FEELINGS tradotta con il titolo DIS LUI. Disco del quale
lo stesso Mike sembrava davvero contento e che fece vendere alla sua
casa discografica un milione di copie. Mike Brant viene seppellito a
Haifa in Israele.
Josephine Baker
Josephine Baker, la "ragazza" di St. Louis che fu per decenni una delle
più acclamate vedettes del mondo, è morta il 12 aprile a Parigi a causa
di un’emorragia celebrale. L’attrice ebbe un collasso due giorni prima e
fu ricoverata in stato d’incoscienza. Entrata in coma, non si è più
ripresa. Nata nel 1906, la Baker aveva soltanto 69 anni ma già da
vent’anni se ne parlava come se fosse un reperto archeologico, buona
solo per far parte del museo delle cere di M.me Tussaud. Tanto per fare
un esempio, aveva due anni in più del Celentano di oggi, universalmente
percepito dalle masse come una figura assolutamente giovanile. Questo
era tanto per dimostrare come cambia la percezione delle cose a distanza
di anni. Tornando alla Baker, essendo nata a Saint Louis nel Missouri
era quindi di nazionalità americana e la sua prima vera scrittura
l’aveva avuta nel 1922 in una piccola compagnia di Philadelphia con un
cachet di 24 centesimi di dollaro giornalieri. Da Philadelphia era
passata a New York, nei teatri di Broadway e in poco tempo Josephine
vide la sua paga arrivare a 125 dollari alla settimana, cifra
assolutamente da capogiro. Però, rimanere a Broadway, sebbene allettante
economicamente, non l’avrebbe fatta diventare una star a livello
mondiale perché all’epoca l’Europa era davvero un palcoscenico
entusiasmante. Decide di trasferirsi a Parigi e all’inizio si sente un
po’ umiliata a doversi esibire a seno nudo e con un gonnellino di
banane, nonostante la pantomima le fruttasse 250 dollari a settimana al
Theatre Des Champs Elysees. L’abbinamento negro=esotismo=animale
selvaggio era troppo forte e lei si accorgeva che il suo successo era
basato più sulla curiosità che sulla stima artistica. Quando poi
l’impresario Giuseppe Abatino, italiano a Parigi, la prelevò dal teatro
Champs Elysees per portarla al Folies Bergere e le quadruplicò la paga
settimanale (che da 250 dollari passò a 1000 dollari!) sicuramente
Josephine sarebbe stata disposta anche a saltare da una liana all’altra
infischiandosene di tutti i pensieri che aveva avuto qualche tempo
prima, anche perché il suo numero col gonnellino di banane e col seno
nudo coperto solo da una collana di perle divenne così famoso che di
rimbalzo il nome della Baker tornò in America e da lì nel mondo intero.
Nel 1927 sposò anche Abatino ma poi i due divorziarono. Nel 1932 la sua
fama era davvero immensa: canzoni come LA PETITE TONKINOISE, LA CANNE A
SUCRE, YES WE HAVE NO BANANAS e la celeberrima J’AI DEUX AMOURS. Passano
gli anni e durante l’occupazione tedesca di Parigi la Baker va in
Inghilterra e si arruola come ausiliaria nelle truppe golliste. I
tedeschi la disprezzavano sia come rappresentante della razza negra sia
come americana e Josephine promise di non calcare più un palcoscenico
fin quando l’ultimo tedesco se ne fosse andato da Parigi. La sua opera
come ausiliaria fu molto apprezzata, tanto che nel 1961 De Gaulle la
insignisce con una medaglia al valore e con una lettera autografa. Alla
fine del conflitto la Baker si sentiva un’altra persona: lei che per
anni era stata il simbolo del divertimento e del lusso prende coscienza
delle miserie e della sofferenza nel mondo, delle ingiustizie razziali e
dell’infanzia abbandonata. Nel 1947 un ristorante a New York le chiude
la porta in faccia perché il locale è per soli bianchi. Da quel momento
tronca con la sua nazione e decide che la Francia sarà la sua sola
patria. Si rifugia in un castello dove inizia a dare alloggio agli
orfani di vari paesi insieme al marito, il compositore Jo Bouillon. Dal
1950 in poi, i suoi ritiri dalle scene furono molteplici ma ogni tanto
doveva tornare a racimolare soldi per continuare la sua opera a favore
dei bambini orfani e abbandonati. Nel 1969 venne anche in Italia per una
tournèe. Era già abbastanza malandata e bisognosa di soldi e la gente
l’andò a vedere per curiosità perché dopo quarant’anni, avere
l’occasione di vedere dal vivo un personaggio che ha fatto la storia del
varietà francese e mondiale del Novecento era comunque una grande
occasione. Ma l’approccio del pubblico italiano non sarebbe piaciuto (se
l’avesse saputo) alla famosissima attrice perché la gente aveva quasi
pena di lei, ormai cadente e molto malata, con quella storia patetica
del bisogno di denaro per tirare avanti la sua opera caritatevole a
favore degli orfani. Ma siccome stupida non era, disse che il suo non
era il ritorno della diva che non voleva invecchiare ma quella di una
madre di dodici figli che vuole mantenere un impegno preso. La sua vita
è stata davvero prodiga di eventi e di successi in tutti i campi ed ha
saputo concluderla in maniera ammirevole. La salutiamo con un suo
pensiero: ho avuto una vita così piena per avere rimpianti, morendo. Non
credo ci sia un’aldilà ma se poi c’è, bene. Saprò cavarmela anche lì
perché amo l’avventura. Tanto di cappello, M.me Baker.
Christian Calabrese
PRIMAVERA TELEVISIVA 1975
di David Guarnieri
La primavera televisiva del 1975, per quel che riguarda il varietà, non
può certo definirsi indimenticabile: rifiutati a priori i prodotti
"impegnati" alla "Fatti e fattacci" (show diretto da Antonello Falqui,
con Ornella Vanoni e Luigi Proietti), ignorati o poco più gli
esperimenti "abbordabili", vedi "Più che altro un varietà" (spettacolo
con Minnie Minoprio, Gianfranco Funari, Mario e Pippo Santonastaso),
"sopportate" le rievocazioni del passato, come "Tu, musica divina" (un
omaggio a Giovanni D’Anzi, diretto da Vito Molinari, con una sfilza di
grossi nomi: da Johnny Dorelli a Sandra Mondaini, da Gorni Kramer a
Macario, da Carlo Dapporto a Marcello Marchesi, da Tino Scotti a Milly,
da Betty Curtis a Memo Remigi, da Al Bano ad Iva Zanicchi). Nella
mediocrità delle proposte, in questa grigia primavera ’75, riescono,
quantomeno a salvarsi, tre trasmissioni, delle quali vi parliamo.
IL GRAN SIMPATICO
Il programma, diretto da Giuseppe Recchia, nasce
dalla personalissima penna di Marcello Marchesi. Non è un varietà
classico, bensì una sitcom ante litteram, con protagonista Enzo
Cerusico, il simpatico e versatile attore romano, curiosamente scoperto
dalla tv statunitense, in qualità di protagonista, accanto a James
Whitmore, della serie "Tony e il professore" (1969). "Il gran
simpatico" rappresenta la grande occasione televisiva per Cerusico,
affiancato dalla giovane attrice Giovanna Benedetto, da Marianella
Laszlo (presenza frequente nei varietà del tempo), dal conduttore e
cabarettista Lucio Flauto e da due protagonisti assoluti dello
spettacolo italiano: Ave Ninchi e Gianrico Tedeschi. L’esperimento
riesce. Pur senza entusiasmare, il programma conquista un buon
gradimento e lancia definitivamente Enzo Cerusico, il quale, riesce a
piazzarsi tra i primi dieci personaggi televisivi dell’anno, secondo
l’annuale referendum, indetto da "Tv Sorrisi e Canzoni". Per la cronaca,
segnaliamo la sigla finale della trasmissione, "Amore come pane",
interpretata da Rosanna Fratello.
SPACCAQUINDICI
Un altro programma diretto da Giuseppe Recchia, con i testi di Adolfo
Perani, Jacopo Rizza e Pippo Baudo. Ovviamente, il protagonista è il
conduttore siciliano, per la prima volta alla guida di un quiz,
oltretutto messo in onda di giovedì sera, da sempre, regno di Mike
Bongiorno, il quale, polemicamente ha abbandonato la Rai, per dedicarsi
ad una nuova avventura professionale: "Personaggi in fiera", programma
di punta della "TSI – Televisione della Svizzera Italiana". La tv
elvetica è abbastanza seguita nel Nord Italia, quindi, rappresenta una
concorrenza scomoda per l’Ente di Stato. Baudo, senza dubbio gratificato
dall’incarico e dalla diretta contrapposizione con il "re" del quiz,
s’imbarca in questo progetto, riuscendo ad ottenere buoni ascolti,
nonostante la critica parli di "gioco alla buona", con concorrenti
scaltri, più che preparati. Le tre vallette di Baudo si chiamano Letizia
Borzì, Tiziana Conti e Loretta Persichetti. "Spaccaquindici",
nell’autunno 1975, prende addirittura il posto di "Canzonissima", con la
nuova denominazione di "Un colpo di fortuna" e l’abbinamento alla
Lotteria Italia. Accanto al confermato Pippo Baudo ci sarà Paola
Tedesco.
PUNTO E BASTA
A due anni di distanza dal successo di "Hai visto mai?",
torna, in uno show del sabato sera Gino Bramieri. Gli autori sono sempre
Italo Terzoli ed Enrico Vaime, la regia, passa da Enzo Trapani ad Eros
Macchi, che dirigerà alcune puntate del programma, cedendo poi il posto
a Romolo Siena (Macchi, ufficialmente lascia "Punto e basta" per
dirigere un film, "Il Bruciapollice", anche se si parla di dissapori con
Gino Bramieri). Cambia anche la primadonna: da Lola Falana a Sylvie
Vartan. Il varietà, registrato al Teatro delle Vittorie di Roma, è un
incrocio tra il cabaret e il music hall. Bramieri, come al solito in
grande forma propone divertenti sketch di costume, non dimenticando di
raccontare le sue celebri barzellette. La star canora dello spettacolo,
Sylvie Vartan propone alcuni brani, tratti dal suo ultimo album, firmato
tra gli altri da Paolo Conte e Paolo Dossena e coglie l’occasione per
ripresentare i suoi successi del passato: da "Buonasera, buonasera" a
"Come un ragazzo", da "Zum zum zum" a "Caro Mozart", da "Una cicala
canta" a "Baby Capone". Tra gli ospiti intervenuti nelle varie puntate,
ricordiamo: Alice ed Ellen Kessler, Johnny Hallyday (il rocker francese
canta con l’allora consorte Sylvie Vartan il brano "Il mio problema"),
i Rubettes con la famosissima "Sugar Baby Love", Raffaella Carrà, che
presenta il suo disco per l’estate ’75, intitolato "Male", Eumir
Deodato, Virginia Peters, Adriano Celentano, il quale lancia "Yuppi du"
(motivo tratto dall'omonimo film), Claudia Mori, che canta la celebre
"Buonasera dottore" e Loretta Goggi. La showgirl romana, assente da
qualche tempo dai teleschermi, interpreta due cover: "Loretta con la O"
(un successo di Liza Minnelli, intitolato "Liza with a Z") e "Cammino
fra la pioggia" (Walking in the rain), lanciata nel 1972 da Barry White.
Le sigle dello show, interpretate da Sylvie Vartan si intitolano "Il
veliero in bottiglia" e "Punto e basta". La trasmissione, pur non
ripetendo il successo di "Hai visto mai?", raggiunge una buona media
d’ascolto: 22 milioni e 300 mila teleutenti (risultato, sicuramente non
disprezzabile).
David Guarnieri