( da Musica & Dischi )
Classifica 33 giri
Se si guardando le liste dei candidati per le elezioni del momento
sembra di leggere una locandina di qualche spettacolo, per quanti
personaggi famosi hanno tentato la carta del politicante. Si sa, non è
cosa nuova; è una pratica già in atto dal 1970 che questo o quel
cantante (o attore) tentino di farsi eleggere dalla gente in nome del
loro stesso nome e in aggiunta, sicuramente, degli “alti valori morali”
che vengono professati. Tutti, sembra abbiano scoperto di possedere una
spiccata vocazione politica. La DC schiera in campo un nome che forse
più roboante non si può, ossia Alberto Sordi, grande amico del “divo
Giulio”, il PSDI di Longo Antonella Steni e Nicola Rossi Lemeni, famoso
basso. Il PSI sbandiera personaggi quali Ottavia Piccolo, Pino Caruso e
Claudio Villa che è già, o quasi, al suo decimo cambiamento di bandiera.
Il Partito Radicale, oltre al suo showman ufficiale Marco Pannella,
annovera Giorgio Albertazzi, Maria Monti, Ricky Gianco. Il PRI Paola
Borboni e Renato Pozzetto. Il PCI i soliti noti, ossia Carla Gravina,
Ettore Scola, Luigi Squarzina e una stagionata Pupella Maggio. C’era da
aspettarsi una valanga di voti per questi nomi famosi e invece,
stranamente, gli italiani che di solito abboccano a tutto non si sono
fatti intimidire hanno preferito i soliti collaudati personaggi della
politica. L’unica che si è classificata seconda tra i non eletti è stata
la Gravina. Per tutti gli altri c’è stata solo la soddisfazione di aver
contribuito a portare qualche voto in più al partito che
rappresentavano. Certo che se oggi un personaggio del calibro di Sordi
potesse partecipare ad una tornata elettorale prenderebbe una valanga di
voti, data la carenza di politici veri che affligge oggi l’Italia. Ma
nel 1979 il richiamo più forte erano i vari Berlinguer, Almirante,
Andreotti e compagnia. Come dicono a Milano, ofelè fa il to mestè. Tanto
per la cronaca: si sa che ad ogni elezione gli elettori fanno la
conoscenza con partiti approntati per la bisogna, nati dal nulla e
finiti nel dimenticatoio dopo l’elezione. Questa volta tocca ai
Cavalieri Del Nulla che hanno come simbolo una specie di maschera che
ride (ma che non dovrebbero essere alla prima apparizione). Ci invitano
a votare anche per il Partito Italiano dei Disoccupati e per un omino
con le gambe aperte, di quelli che sembrano presi in prestito dalle
insegne delle toilette per signori: il nome del partito che c’è dietro
si chiama Valorizzazione Dell’Individuo. Se voleste votarlo, assicuratevi
che non sia già “occupato”. Sempre per la cronaca, a vincere è la DC col 38,3% in leggero calo rispetto alle elezioni del 1976 (38,7). Secondo il PCI, in forte calo (30,4 rispetto al 34,4 del 1976). Avanza il PSI di Craxi, anche se di poco (il 9,8 rispetto al 9,6 della volta precedente. Chi avanza in maniera massiccia sono invece i Radicali di Pannella che arrivano al 3,4 contro l’ 1,1 della tornata precedente. Bee Gees
Rieccoli, sempre lì in cima alla vetta del successo, i fratelli Maurice,
Robin e Barry Gibb, al secolo i Bee Gees. Sono trascorsi quasi tre anni
dall’ultimo album da studio, c’è stato il successo galattico de LA
FEBBRE DEL SABATO SERA e, seppur marginalmente, di GREASE , intervallati
dal mezzo fiasco di SGT.PEPPER e di un disco dal vivo. Finalmente escono
con un nuovo disco il quale, naturalmente, non impiegherà che una
settimana dall’uscita nei negozi per insediarsi prima nelle zone alte
della classifica e poi al primo posto assoluto. E questo non riguarda
solo il 33 giri, dal titolo SPIRIT HAVING FLOWN, ma anche i primi due
singoli tratti dal nuovo lavoro, ossia TOO MUCH HEAVEN e TRAGEDY, la
canzone che nonostante l’arrivo di nuovi ospiti nelle classifiche
internazionali e italiane, non accenna assolutamente ad uscire dalla Top
Ten, con l’intenzione di stazionarci ancora per molto. I Bee Gees hanno
due diversi tipi di pubblico: quello di coloro che conoscono il gruppo
dal periodo 1977/78 e quello che lo conosce sin dagli esordi in campo
internazionale, cioè dal 1967, quando si impose all’attenzione dei media
italiani con una serie di successi di eccellente livello come
MASSACHUSETTS, NEW YORK MINING DISASTER 1941 e WORLD. Poi ci fu lo
scioglimento dopo IOIO del 1970 e la rinascita con un nuovo stile
musicale, quello delle ballate eleganti e sofisticate dal forte sapore
internazionale, di un pop eccellente e di grande successo: e siamo al
periodo di HOW CAN YOU MEND A BROKEN HEART, di MY WORLD, e di RUN TO ME.
Canzoni che non hanno assolutamente bisogno di presentazioni. Nel 1974
sembrava avessero perso la vena così felice che li ha sempre distinti e
la voglia di cantare e comporre comincia a venir meno. Non sanno quale
tipo di musica proporre, si trovano spiazzati in un panorama che è in
bilico tra il progressive della seconda generazione e la musica da
discoteca. Scelgono quest’ultima e lanciano pezzi come JIVE TALKIN’ e
YOU SHOULD BE DANCING che avrebbero potuto ben figurare in un album
degli Earth Wind & Fire o degli B.T.Express. Invece è farina del loro
sacco, di queste tre fenici australiane piene di risorse, di stile e di
vita (come e più dei gatti). Quando ormai li davano per spacciati o
pronti per orbitare nel pianeta Las Vegas (ossia il cimitero degli
elefanti per artisti importantissimi ma che hanno difficoltà a proporsi
sul mercato con materiale nuovo) loro che cosa fanno? Lanciano quei due
pezzi che in men che non si dica entrano nelle classifiche mondiali dei
dischi più venduti, delle air play radiofoniche, nelle speciali
graduatorie dei disc jockey. Insomma, è di nuovo la Bee Gees mania, come
e più di dieci-undici anni fà. Il loro tour viene registrato per intero
ed uno dei concerti viene trasferito su master, studiato e missato alla
perfezione in Francia, al castello d’Herouville. Ne uscirà HERE AT
LAST... BEE GEES LIVE che contrariamente a tutte le vecchie illazioni, che
li definivano come pessimi showmen, Barry e fratelli si svelano non solo
efficaci sotto il profilo tecnico ma veri e propri enterteiner, maturi
per ogni pubblico, specialmente per quello smaliziato americano. L’album
è una carrelata di tutta la produzione del gruppo, tra guizzi ritmici e
sospiri melodici, e propone sia pure con malcelata modestia il monumento
a loro medesimi. Ma il meglio deve ancora arrivare. E arriva nel 1977: inutile
star qui a raccontare quel che ha significato un film e una colonna sonora come
LA FEBBRE DEL SABATO SERA perché all’argomento abbiamo anche dedicato uno
scritto (sempre disponibile nell’archivio degli articoli). Bjorn Borg Tornando alle Brigate Rosse, il tennista Bjorn Borg, riesce a farsi condannare a morte in contumacia. La sentenza di morte nascerebbe da un servizio fotografico al quale il campione svedese si era prestato durante un soggiorno in Israele. Dopo un’esibizione a Tel Aviv con l’amico rivale Vitas Gerulaitis, si concede alcuni giorni di vacanza nei quali, per giocare, si era fatto ritrarre con la divisa militare israeliana, cosa che avrebbe fatto imbestialire le Brigate Rosse che decidono di condannarlo a morte. Dopo queste minacce Borg annulla alcuni impegni e apparizioni televisive in Italia, saltando addirittura il WCT di Milano. Sappiamo che Borg in Italia venne eccome, in seguito, tantochè si sposò Loredana Bertè. Non si sa, tra le due condanne, quale alla fine avrebbe preferito. Renato Zero
E’ indubbiamente, al momento, il personaggio numero uno della musica
italiana, e non solamente, perché il suo singolo (IL CAROZZONE) e il suo
33 giri (EROZERO) sono saldamente al comando delle rispettive
graduatorie di vendita. Difatti, non si vuole per una volta parlare del
Renato Zero prettamente discografico ma del Renato Zero sul palco e sul
set. Il suo spettacolo itinerante chiamato come il long playing, cioè
EROZERO, è in dirittura d’arrivo. Terminerà il 10 di giugno un viaggio
iniziato il 23 marzo. Oltre a cantare e presentarsi in scena con i
costumi più improbabili, Renato cerca di fare dello spettacolo un
happening musicale con risvolti di tipo sociale, anche se un po’ triti e
ritriti. La solita favola esistenziale, la solita lotta tra bene e male,
tra la vita e la morte e la recriminazione nei confronti della società
opprimente con chi si dichiara differente dalla massa.
L’esile trama: un personaggio ha le sorti del mondo tra le mani:
basterebbe premere un bottone per farlo saltare in aria. Renato Zero che
impersona l’Uomo, lo salverà. Le coreografie sono di Luciana
Verdeggiante. Filosofia spicciola che comunque piace al pubblico di
Renato Zero che varia dalla ragazzina di 14 anni, innamorata di lui e
delle sue canzoni, all’omosessuale che vede in lui un riscatto da una
vita vissuta in sordina. Dai tossicodipendenti, dei quali prende le
difese in quanto vittime della società, alle mamme che accompagnano le
figlie minorenni.
Questa la rappresentazione scenica: ai due lati del palco, dondolanti su
altalene, appaiono due donne mascherate. Una di rosso (la Morte) ed una
di bianco (la Vita) Entrambe cominciano a declamare le tappe della vita
di Renato con parole roboanti ed allegoriche e se lo contendono (quanto
egocentrismo del protagonista in questo spettacolo!) Poi la musica
assume un ritmo sempre più incalzante e appare Zero che canta LA FAVOLA
MIA, vestito con una grande tunica bianca. Finita la canzone , la Morte
e la Vita continuano a battibeccare e per tutta la durata dello
spettacolo avranno la funzione di legare le sue apparizioni dandogli il
tempo di cambiare costume e introdurre i vari personaggi dello
spettacolo. Alla fine Renato concede sempre due bis che quasi invariabilmente
risultano essere IL CARROZZONE e TRIANGOLO. Franco Califano Guai per Franco Califano, che comunque non è nuovo a fatti del genere. E’ stato arrestato perché ritenuto responsabile di traffico di droga. I carabinieri gli hanno trovato 30 grammi di cocaina, 77 flaconi di anfetamina e una pistola calibro 38 a tamburo con 55 cartucce. Quando il responsabile della Mobile lo ha dichiarato in arresto, Califano ha avuto un cedimento ed è scoppiato a piangere. Su di lui pende anche un provvedimento di fermo di polizia giudiziaria perché accusato di sfruttamento della prostituzione minorile (una giovane l’ha denunciato). Le indagini della Mobile avevano preso il via molto tempo prima, da circa 6 mesi. Gli agenti della Mobile avevano arrestato un noto personaggio responsabile di aver sfregiato il “playboy” Gianfranco Piacentini rompendogli in faccia una bottiglia mentre si trovavano nella discoteca Ippopotamus a Roma. Il noto personaggio (noto alla Mobile più che alla gente comune) era stato già arrestato insieme a Califano nel 1970 (nel famoso affaire Walter Chiari-Lelio Luttazzi) sempre per traffico di droga. Ma fossero tutti qui i guai: mentre è in carcere, in casa di Califano fanno visita i ladri, che glie la svaligiano devastandola senza una particolare ragione, prendendosela con i tendaggi e con i trofei raccolti nel corso della sua carriera. L’avvocato dell’autore dice che si tratta di un azione persecutoria di ignoti nemici. Tina Turner
Ritorna al pubblico italiano dopo un po’ di tempo che non si vedeva
dalle nostre parti Tina Turner, senza il fardello ad alto tasso etilico
e manesco del marito Ike. Insieme a Pippo Baudo, Heather Parisi, La
Smorfia, Fioretta Mari, Tullio Solenghi ed Enrico Beruschi partecipa
allo spettacolo LUNA PARK, trasmissione televisiva in otto puntate del
sabato sera. Cambio di immagine per la pantera nera della musica soul:
capelli biondi, abiti di scena microscopici, molto scollati (prima
utilizzava minigonne inguinali) per far risaltare ancora di più la
tonicità del suo corpo di ultra quarantenne. Un corpo veramente bello,
che fa a pugni con la carta d’identità. Un corpo che appare integro
anche alla soglia dei sessanta, quando Tina è sulla scena (metà anni
novanta) impegnata in un tour mondiale. Non è la prima volta che la
vediamo dal vivo in Italia, in tv. L’ultima fu durante una puntata di
Teatro Dieci del 1971 condotto da Alberto Lupo. Con la stampa
chiacchiera amabilmente un po’ di tutto: dal successo che Donna Summer
continua a riscuotere nel mondo nonostante il genere disco sia ormai
agli sgoccioli (anche se non sembrerebbe, data la mole di dischi usciti
negli ultimi mesi), al motivo per cui lei stessa non si sia convertita
alla discomusic (il successivo, LOVE EXPLOSION, sempre del ’79, sarà
comunque ricco di ammiccamenti al genere disco) negli anni passati. Alla
domanda di un giornalista, se sia ricca o meno, risponde pressappoco:
sì, sono ricca. Ma forse le regine non lo sono?. Curtis Mayfield Si parlava di personaggi della musica soul (ma anche pop) che cambiano repertorio per ragioni commerciali. La disco music, essendo diventata uno dei filoni più redditizi del mondo discografico, continua ad annoverare nelle sue file nuovi adepti. Oltre i già citati Bee Gees, chi avrebbe mai pensato che un santone del soul come Curtis Mayfield, uno che cambiò volto alla soul music negli anni sessanta, si avvicinasse al mondo delle discoteche? Firma un contratto con la Curtom, che viene distribuita dalla RSO (Robert Stigwood Organisation), quella dei Bee Gees. Questo significa garanzia di successo nel mercato disco praticamente sicura. A chi gli chiede il perché di questo voltafaccia Mayfield risponde che l’ha fatto (naturalmente) per soldi, e tanti. Ma anche perché era stufo di sentire nelle canzoni da discoteca frasi scontate e sempre simili come let’s dance o shake your body e decide quindi di dare un senso ai testi e in qualche modo sdoganare (verbo che odio) la discomusic considerata una sorella minore e deficiente (ma ricca) del soul, del R’n’B e del funky. Per celebrare alla grande il passaggio di Curtis Mayfield alla discomusic una rivista inglese ha coniato un nuovo verbo: discofication. Intraducibile perché inesistente ma il significato vorrebbe essere la dischificazione di un personaggio solitamente lontano da quel mondo. Comunque non dimentichiamoci che poi tanto lontano non lo era perché già nel 1972 incise la colonna sonora molto ‘funkeggiante’ di SUPERFLY, pezzo ballatissimo nelle discoteche di tutto il mondo. Isaac Hayes Un altro santone della black music che comunque è sempre stato abbastanza vicino alla musica delle sale da ballo è Isaac Hayes. Quasi contemporaneamente al disco di Barry White (THE MAN) esce anche il suo: FOR THE SAKE OF LOVE. Hayes, alla stregua di Barry White, ha creato uno stile inconfondibile. Se White è quello di LOVE’S THEME lui è l’autore di SHAFT e il “la” al genere disco, l’ha dato anche lui, segnando una svolta importante nell’evoluzione del soul e della discomusic. Così, come Barry White, ha la sua orchestra personale che grossissimo successo ha avuto nel periodo 1972-1977 e che adesso sta un po’ battendo la fiacca, avendo saturato il mercato del suo pubblico. Quindi, sempre discomusic è, ma di classe. Così come quella di Mayfield, di White. Per l’ex arrangiatore di Otis Redding, un LP che mette in mostra una nuova stringatezza. Quindi poco uso di archi come era di moda fino ad un paio di anni fa e come ci aveva abituato anche Barry White ma un suono elegante, secco e nervoso. Elton John Elton John sbarca in Russia ed è il delirio a Stalingrado (San Pietroburgo). I giovani sovietici, in astinenza da sempre per quel che riguarda la musica pop e rock (il massimo della “trasgressione” permessa dalle autorità politiche, negli anni passati, erano stati Robertino e Claudio Villa o altri cantanti italiani) sbalordiscono la polizia che non aveva mai visto tanto fanatismo esternato in queste proporzioni ma sbalordisce anche lo stesso Elton John che, quanto a scene di isteria collettiva, ne sa qualcosa. Egli, nel 1979, vive un momento di stanca a livello internazionale e il suo peso, nel mondo della musica pop, è un po’ diminuito a vantaggio di altri personaggi emergenti. Lo sbarco in Russia, sempre improbabile per un cantante straniero, era stato pianificato per un rilancio su scala internazionale: la pubblicità derivante dall’operazione avrebbe sicuramente fatto rialzare le sue quotazioni sul mercato che “conta”. Ma il delirio collettivo, neanche si stesse a Salem nel 1600, quello no,non era previsto. La troppa astinenza, come si è detto, può provocare effetti collaterali, come questo. I russi non conoscevano Elton John se non di nome, non avevano i suoi dischi (naturalmente vietati), non conoscevano le sue canzoni e non capivano una parola di inglese ma un successo così, come affermerà lo stesso Elton John, non l’aveva mai avuto. Un successo dovuto più ad un desiderio di normalità che all’effettiva presenza di un personaggio che comunque sia, nonostante il momento di calo, era da considerarsi uno dei massimi esponenti della musica mondiale. L’entusiasmo durante lo spettacolo è stato soffocato non senza difficoltà dalla polizia, ma quando Elton John ha omaggiato pubblico e Beatles cantando la celeberrima BACK IN THE USSR, la gente ha gettato via ogni remora ed ogni timidezza, scrollandosi di dosso anni di silenzio forzato: e ci sono stati assalti al palco (assalti pacifici), richieste di autografi - non importa a chi, l’importante era beccare qualcuno che stesse sul palco – richieste di bis. E, alla fine, la sua macchina assediata ed inseguita dalla folla per qualche centinaio di metri. Perfino qualche poliziotto si è lasciato coinvolgere dall’entusiasmo e si è messo a chiamare il cantante per nome. John Wayne Classe 1907, fama da duro. Il cowboy per eccellenza, “furiosamente” militarista ed interventista, l’icona dei repubblicani americani, patriota all’estremo. Tutte cose che facevano storcere il naso ad un certo tipo di critica, ma che lo facevano amare dalla gente comune, dal sud al nord dell’America. Lui a quei critici, possibilmente avrebbe sparato, facendo roteare le colt e soffiando sul fumo fuoriuscito. Non per niente si chiamava John Wayne. Anche se il suo vero nome era Marion Michael Morrison, dell’Iowa, robusto giocatore di football americano, figlio di emigrati irlandesi. Quando si aggirava per Hollywood in cerca di particine, il suo nome era ancora quello. Nel 1930 la prima parre in THE BIG TRAIL, ovvero IL GRANDE SENTIERO. Il successo fu immediato anche se per tutti gli anni trenta girò film minori ma di cassetta. Nel 1939 OMBRE ROSSE e la fama internazionale. Durante la guerra, nonostante la sua patriottica figura non andò al fronte ma Mac Arthur gli disse che rappresentava il militare americano per eccellenza meglio di chiunque altro e quindi interpretò tantissimi film, sempre in divisa, da marine come da ufficiale di cavalleria. Odiava di un odio estremo i commies (come venivano chiamati in modo dispregiativo in Usa i comunisti), odiava gli attori e i registi che svilivano la bandiera a stelle e strisce, che non sentivano l’amor di patria come una priorità e che erano pronti a svendersela in film che avrebbero fatto fortuna nella patria dei frogs-eaters (come gli americani tutti di un pezzo chiamano i francesi, mangiatori di rane). Negli anni cinquanta fu uno dei creatori di Alleanza Cinematografica, un’associazione impegnata nella salvezza degli ideali americani e venne alle mani con il regista Edward Dmytryk perché aveva usato la parola masse nella maniera tipica dei commies. Naturalmente a rimetterci non fu John Wayne. In realtà Dmytryk non era affatto un commie ma aveva solamente delle idee leggermente più a sinistra di quelle del Duca. Antirosso, antigiallo, antitutto quello che non era caucasico e bianco-rosso-blu. Ma soprattutto contro i cosiddetti intellettuali da salotto, che a riprese, aveva contribuito a mandare all’ospedale più di una volta. Dicevano che si era immedesimato nel suo personaggio cinematografico e che sognava sempre di sterminare a turno comunisti, indiani, vietcong, giapponesi, nazisti. In realtà, come confermarono quelli che lo conoscevano da vicino si considerava soltanto un uomo giusto che non aveva mai violato la legge di Dio e degli uomini ed era anche abbastanza modesto da non considerarsi neanche un attore o un divo ma semplicemente un lavoratore dietro la macchina da presa. Ora è morto e lo piange l’America intera. Un personaggio così controverso e politicamente scorretto come non se ne è avuti mai nella storia del cinema. Chiunque avrebbe cercato o di mediare o addirittura di nascondere certe idiosincrasie verso determinate categorie. Lui non se n’è mai curato ed ha proseguito nel suo stile di vita (criticabile o meno) perché era il “suo” e l’attore lo preferiva fare al cinema, non nella vita di tutti i giorni. Soleva ripetere: duecento milioni di americani sono con me, gli altri possono dire quello che vogliono. Si fottano. Il 10 di giugno perde la sua battaglia contro il cancro inziata nel 1964. Come un vero eroe da film, man mano che il dolore si acuiva, rifiutò gli anelgesici perché voleva godersi la sua famiglia - che gli era sempre accanto - desideroso di essere cosciente fino all’ultimo e di poter vedere la morte quando sarebbe arrivata: se avesse potuto gli avrebbe anche sparato un cazzottone nei denti! L’ultimo giorno decide di morire come un cattolico, perché cattolici erano le sue tre mogli e i suoi sette figli. Chissà se gli fa piacere cavalcare nelle verdi praterie di Manitù a fianco dei tanti pellerossa che nei film ha contribuito a mandare all’altro mondo.. in fondo la morte, come diceva Totò, suo collega, è una livella. Christian Calabrese
Fare clic qui per inserire un commento a questo articolo. SAINT-VINCENT ESTATE (1979) di David Guarnieri Immancabile, come ogni anno, arriva l’appuntamento con “Saint–Vincent Estate”, manifestazione patrocinata dall’Amministrazione Regionale della Valle d’Aosta e della “SITAV (Società Incremento Turismo Alberghiero Valdostano)”. La “FLS (Federazione Lavoratori Spettacolo)” indice una conferenza sul tema “Convenzione Internazionale sul diritto degli Artisti impegnati nella produzione dei fonogrammi e ruolo del Sindacato in difesa degli esecutori ed interpreti musicali”. Nel corso del convegno vengono dibattute le difficoltà della nostra industria discografica, con una attenzione particolare alle questioni poste dalla Convenzione Internazionale sulla protezione degli artisti nazionali. Nonostante le seriose premesse, il Comune di Saint -Vincent e la Rai intendono proporre al pubblico uno spettacolo godibile e fastoso. L’ex “Disco per l’estate”, da quattro anni privato della gara musicale, è anche nel 1979 una “tranquilla” vetrina per proporre i successi dell’estate. La struttura che ospita il gala è il Casinò de la Vallée, reso ancor più scintillante dallo scenografo Gianni Villa. La regia è curata dal più che affidabile Antonio A. Moretti. I conduttori del varietà sono i Gatti di Vicolo Miracoli (Jerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno ed Umberto Smaila), reduci dal grande successo in hit parade del brano “Capito?!”, sigla di “Domenica in” (il contenitore pomeridiano di Rai 1 condotto da Corrado). La direzione artistica è curata da Gianni Ravera, il quale riesce a comporre un cast particolarmente ricco, che comprende, tra gli altri: Fred Bongusto con “Lunedì” (dall’omonimo album prodotto da Don Costa e Teddy Randazzo), Brenda Mitchell (“Bad Party”), la grintosa Anna Oxa con “Il pagliaccio azzurro”, Amedeo Minghi con “Di più”, Umberto Tozzi, che canta “Non va che volo” (dal fortunatissimo album “Gloria”), Pupo con “Forse”, Claudio Baglioni con “Un po’ di più” (dall’lp “E tu come stai?”), Adriano Pappalardo, aggressivo come al solito, con la sua “Ricominciamo”, il romantico Sandro Giacobbe con “Blu”, Umberto Balsamo, uno dei trionfatori dell’estate ’79 con il suo tormentone “Balla”, Raffaella Carrà e la sua “E salutala per me” (forse il suo unico tentativo di proposta musicale, senza il supporto di una trasmissione televisiva), gli Idea 2 con “She’s a Witch” (sigla del telefilm “Vita da strega”), il trionfante Patrick Hernandez con “Born To Be Alive”. Amanda Lear (“Fashion Pack”) e Patty Pravo con “Autostop” si contendono la palma della trasgressività. La nota dissacrante viene offerta da Rino Gaetano e la sua divertente “Ahi, Maria” e – addirittura – dal futuro premio Oscar Roberto Benigni con il brano “Playboy”. L’artista più applaudita, in definitiva risulta Gloria Gaynor, interprete di “I Will Survive”, un enorme successo in tutto il mondo. Anche in questo 1979, la rassegna di “Saint-Vincent Estate” ottiene un ottimo indice di ascolto, soddisfacendo in pieno le aspettative della Rai e del Comune di Saint-Vincent, interessato alla manifestazione, per promuovere ulteriormente i servizi connessi al turismo: hotel, ristoranti, casinò e via dicendo. Gli acquirenti sottolineano il gradimento alle canzoni ascoltate nello spettacolo, premiando particolarmente i prodotti presentati da Tozzi, Pappalardo, Gaetano, Oxa, Hernandez, Gaynor, Baglioni, Balsamo e la Lear.
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