( da Musica & Dischi )
Qui sotto la classifica della settimana con le quotazioni di Giancarlo Di Girolamo, uno
dei più noti collezionisti e commercianti italiani di vinile. Il prezzo segnato a margine
dei titoli corrisponde a quello assunto dai dischi in condizioni ottime (non
usati) nelle odierne mostre-mercato.
Classifica 33 giri
Com’è naturale di questi tempi il mondo della musica italiana pensa già
a Sanremo e la notizia arriva il 6 novembre: dopo otto anni il Festival
di Sanremo riavrà le telecamere per le tre serate. La decisione è stata
presa dalla rete Uno che manderà in onda Sanremo 1981 il 5, 6 e 7
febbraio prossimi. E non solo restituirà alla kermesse l’antico
prestigio in calo per tutti gli anni settanta ma potrà aiutare anche la
sempiterna crisi dell’industria musicale. L’ultimo Festival con le
telecamere per tutte le tre serate fu quello del 1972, poi il periodo
cosiddetto dell’oscurantismo: in tutti i sensi, sia quello televisivo
sia quello prettamente musicale. La storia di quegli anni è quasi tutta
da dimenticare perché il Festival, lottizzato dai politici, fu
praticamente distrutto e un anno venne anche organizzato non da
professionisti ma da amministratori comunali: l’edizione più disastrosa
della storia del Festival (1975). Dal 1978 il Festival torna in mano
alla coppia Salvetti-Ravera e qualcosa cambia (le edizioni degli anni
1976 e 1977 erano organizzate dal solo Salvetti e si vendettero parecchi
dischi). Il 1978 rivelò Anna Oxa e Rino Gaetano (già famoso da
tempo, però), il 1979 fece più scalpore per le solite cretinate di
Benigni ("Woitilaccio" al Papa e un bacio in bocca ad una presentatrice,
Olimpia Carlisi, se possibile ancora più brutta di lui) e quello del
1980 con Toto Cutugno vincitore, con Morandi trombato dalle giurie e con
la rivelazione di Enrico Ruggeri, allora nei Decibel. Come sarà
l’edizione numero trentuno? Stando alle prime indiscrezioni sarebbe
diviso in due squadre di partecipanti, una composta da professionisti
con almeno un disco inciso e l’altra da cantanti di richiamo. Sono già
quasi sicure Loretta Goggi e Alice. Tra i primi ci sarà una fase
eliminatoria e tra i secondi solo una graduatoria finale. Così la sera
del 7 febbraio 1981 si dovrebbero avere due classifiche, una per i
giovani ed una per i big; questo per la prima volta. Dopo un periodo di
magra per le gare musicali la Rai sta pensando di ridare spazi
televisivi anche a Castrocaro. Molti vorrebbero far tornare
Canzonisssima, a non volere sono i discografici e i cantanti. Ivan Graziani, Ron & Goran Kuzminac Sull’onda di un’estate fortunata Ivan Graziani, Ron e Goran Kuzminac (separatamente) si sono rimessi in marcia insieme. Ivan Graziani è ancora altissimo nelle classifiche dei singoli più venduti con quella FIRENZE (CANZONE TRISTE) che gli ha portato tanta fortuna, Ron è forse per la prima volta, dopo dieci anni di carriera, riconosciuto come un bravo cantautore grazie a UNA CITTA’ PER CANTARE, hit estivo, e Goran Kuzminac è ancora sotto shock per il successo piovutogli addosso dopo quell’uno-due STASERA L’ARIA E’ FRESCA e EHI CI STAI. La novità è proprio nel volersi mettere assieme, cantare e suonare tutti e tre sul palco. Fa parte del progetto Q DISC della Rca che prevede un mini LP a quattro canzoni e un gruppo formato da tre valenti artisti della casa romana. Poi verrà esteso anche ai solisti o a cantanti in prova. Partono subito per un tour provato e riprovato, dopo averci ripensato tante volte e dopo essere stati sempre sul punto di piantare tutto perché in Italia non si era ancora abituati a certe collaborazioni tra artisti di diversa estrazione musicale. In America accostare un Frank Sinatra ad un Tom Jobim è la cosa più normale di questo mondo, o in Brasile dove tutto è un incontro, come dice Vinicius, la vita stessa è l’arte dell’incontro. Da noi le uniche collaborazioni consentite sono quelle tra moglie e marito (Al Bano e Romina, I Vianella, Spaak-Dorelli e così via) anche perché per poter lavorare insieme bisogna appartenere alla stessa scuderia discografica. Il manifesto del tour è volutamente una canzone inedita scritta per l’oocasione (tour e disco) a sei mani dal titolo CANZONI SENZA INGANNI, per far capire che se tre cantautori si mettono insieme non c’è niente di strano a monte, nessuna dietrologia, è solo per ampliare la sfera delle esperienze personali ed artistiche e cercare di far divertire il pubblico. Dei tre è Ron ad avere più conoscenza di questo tipo di consociazione, avendo lavorato con Lucio Dalla e Francesco De Gregori nella tournèe BANANA REPUBLIC. Ma in quell’occasione aveva un ruolo un po’ più sacrificato, quasi da spalla. L’approccio con Graziani e Guzminac è completamente differente. Prima di tutto non ha con loro un’amicizia decennale come l’ha con gli altri due, poi erano sorte incomprensioni scaturite proprio dalla scarsa conoscenza reciproca. Poi man mano che si andava avanti si accorgono che lavorare insieme, oltre che interessante, è anche una vittoria sul proprio orgoglio e sulla voglia di primeggiare sugli altri due. Lo spettacolo comprende una serie di pezzi da ciascun repertorio individuale ma in stretta collaborazione con gli altri due che a turno fanno da accompagnatori, da coristi, da solisti. Circa otto pezzi a testa per due ore e mezza di musica e vitalità in una serie di concerti che toccano tutta l’Italia, subissati da un mare di applausi e richiesta di bis. Ma Goran Kuzminac chi è? Barba e capelli biondo rame, nato in Jugoslavia (quando ancora si chiamava così), trasferitosi con la famiglia in Italia a sei anni. Poliglotta (conosce il serbo, il croato, il tedesco e l’italiano) è iscritto a medicina ma è anche un abile pittore. Difatti le copertine dei suoi singoli sono tratte da disegni originali (un po’ come nel caso di Augusto dei Nomadi). Per alcuni anni lavora come turnista in sala d’incisione tra Roma e Milano, poi De Gregori nel 1977 lo nota e lo presenta a Vincenzo Micocci, padre padrone della gloriosa etichetta IT (distribuita dalla RCA) e viene pubblicato il suo primo singolo (il lato B era di un altro cantautore) dal titolo IO. Poi arriva la vittoria a Castrocaro con STASERA L’ARIA E’ FRESCA (accoppiato a PASSEGGIATA) che diventa un successo di vendita facendogli vincere la Gondola d’Argento alla Rassegna Internazionale di Musica Leggera di Venezia nello stesso 1979. Il primo brano è un pezzo molto aggressivo che cattura l’ascoltatore anche perché leggermente virtuosistico per quanto riguarda la chitarra (che è il suo grande amore). Il retro (PASSEGGIATA) ne è la prova lampante. Una suite per chitarra ed orchestra in cui Goran dimostra di saperci fare. E’ entrato nel giro che conta. Il 1980, oltre questa tournée con Graziani e Ron gli porta anche un album molto bello col titolo EHI, CI STAI, dal quale trae un singolo di successo con lo stesso titolo. Con questa canzone decisamente molto carina ha partecipato anche al Festivalbar di quest’anno riscuotendo parecchio successo ed arrivando inaspettatamente terzo dietro a Miguel Bosè e Rettore, davvero due big dell’epoca. Al disco non manca nulla. Il bravo Shel Shapiro (che ne è il produttore) ha fatto le cose per bene come al solito. Arrangiamenti calibrati e la chitarra di Kuzminac mai noiosa e pretenziosa. Il suo stile musicale, sebbene ricollegabile ad un particolare filone cantautoriale è personale in quanto sintetizza mondi musicali lontani anche geograficamente. Canta naturalmente in italiano su linee molto melodiche vicine al folclore slavo, salvo poi accompagnarsi con la tecnica picking guitar che, come sanno bene i cultori del country, ha poco a che fare con quelle sonorità. Ron invece è da anni nel grosso giro. Il suo esordio risale al Castrocaro 1969 e il suo lancio fu il Sanremo 1970 quando in coppia con Nada presentò PA’ DIGLIELO A MA’. All’epoca si faceva chiamare ancora Rosalino Cellamare, il suo vero nome, e fino al 1978 ha tenuto questo marchio di fabbrica. Ron appare improvvisamente nel 1979 e si fa riconoscere dal pubblico in occasione del tour appena citato della coppia Dalla-De Gregori. Dalla in realtà gli è sempre stato molto... vicino, a cominciare da quel 1970 e il sodalizio col cantautore bolognese ha continuato per tutto il decennio, portandolo a collaborare con altri artisti vicino al mondo musicale di Lucio Dalla (Morandi per primo). Ma questo 1980 è l’anno della vera consacrazione, che arriva dopo dieci anni di semi limbo quando ormai Ron ha ventisette anni e comincia a perdere i capelli (forse per assomigliare ancora di più al suo pigmalione). UNA CITTA’ PER CANTARE esce in primavera e, pur essendo a tutti gli affetti un disco di Ron, il lavoro non poteva non risentire delle reciproche influenze; sia Dalla che De Gregori sono presenti sia come strumentisti che come autori. Il primo suona il sax e la batteria e firma sei brani, il secondo ne firma due. Ed eccoci al terzo cantautore della triade, Ivan Graziani. Beh, questo 1980 gli ha portato davvero tanta fortuna. Addirittura un primo posto in classifica con la canzone FIRENZE (CANZONE TRISTE). Cosa abbastanza strana per un personaggio atipico come era Ivan. Già il luogo di nascita sta a dimostrare che non era certo uno qualunque. C’è chi nasce a Roma, chi a Milano etc: lui è nato su un traghetto tra Olbia e Civitavecchia! Almeno così vuole la leggenda. Altrimenti potremmo dire che è nato "tra i sassi di Teramo" nel 1945, ma fa meno effetto. Finita l’estate Graziani ha visto aumentare il suo personale quoziente di gradimento ed è riuscito a riempire gli stadi in un’annata nella quale sono andati desolatamente deserti, a parte qualche nome. Dagli Anonima Sound, gruppo con il quale esordisce nel 1967, al contratto con l’etichetta di Battisti e Mogol. Battisti ama questo personaggio un po’ pazzo, forse perché loro sono simili in tante cose. Entrambi controcorrente sia politicamente sia musicalmente, entrambi amanti di sonorità che vanno dalla musica americana degli anni quaranta ai Beatles. Il bisogno di spaziare il più possibile e la sperimentazione artistica fanno di Graziani un grande personaggio della musica italiana e forse (anche lui) non ha avuto quanto gli sarebbe veramente spettato. VIAGGI E INTEMPERIE è il quinto album in sei anni, un disco al di fuori del conformismo musicale, sempre ai limiti tra paradosso e realtà. Il brano guida naturalmente è FIRENZE, che racconta una storia d’amore sfortunata ruotante intorno a tre personaggi che vivono in una città non loro per ragioni di studio. Una canzone molto bella che grazie ad alcuni quadretti musicali ben congegnati e illustrati (non per niente Ivan Graziani era un ottimo vignettista e caricaturista!) riesce a dar vita a questi personaggi di fronte ai quali l’ascoltatore può davvero immaginarsi d’averli lì davanti o di trovarsi a Ponte Vecchio nel momento in cui la lei della storia getta a fiume i suoi disegni con l’intenzione di tornarsene a casa sua (io sono nata da una conchiglia... la mia casa è il mare con un fiume non la posso cambiare). La storia si dipana in un continuo dialogo tra lui e il Barbarossa, soprannome dello studente di filosofia irlandese, rimasti senza la persona contesa. E quando anche il Barbarossa se ne tornerà in Irlanda con la sua laurea in filosofia, non ci sarà davvero più nessuno a parlargli di lei, come se non fosse mai esistita. Davvero un riscatto immediato, questo singolo, dal precedente (AGNESE) di grosso successo ma di forte somiglianza con A GROOVY KIND OF LOVE, brano inglese degli anni sessanta (praticamente identico). Diana Ross In questa settimana abbastanza fiacca di novità in classifica, ne troviamo una particolarmente interessante: Diana Ross e la sua UPSIDE DOWN. Un bellissimo brano ritmato e scritto dagli Chic riporta la bella Diana in vetta alle classifiche italiane dopo un bel po’ di tempo. Anzi, oseremmo dire che è il vero grande successo commerciale che Diana Ross, ex Supremes, abbia mai avuto in Italia. Difatti non si capisce come mai un’artista di valore mondiale, con singoli e 33 giri entrati in tutte le classifiche del globo, in Italia non abbia mai attecchito come avrebbe dovuto e potuto. Addirittura dal tempo delle Supremes: quanti dischi hanno avuto nelle classifiche italiane nonostante il coro unanime di critiche a favore delle talentuose ragazze di Detroit? E lei come solista? Mentre il mondo intero vedeva avanzare inesorabilmente nelle charts brani come GOOD MORNING HEARTACHE, LOVE HANGOVER, IT’S MY TURN, TOUCH ME IN THE MORNING e tutti si sperticavano in lodi per la duttilità vocale e la bravura della Ross, da noi non succedeva quasi niente. Magari erano battutissime dalle radio e delle volte anche dalle discoteche (il duetto del 1973 con Marvin Gaye, per esempio, DON’T KNOCK MY LOVE), ma in quanto a vendite lasciavano molto a desiderare. Eppure in Italia, sebbene lei fosse una di quelle superstar restie alle comparsate tv all’estero, vi era approdata un paio di volte. La più clamorosa nel 1973 quando partecipò alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia. Poi vi tornerà nel 1975 per le riprese del suo secondo film MAHOGANY dove fa bella mostra il tema conduttore dal titolo DO YOU KNOW WHERE YOU GOING TO? Ma ecco che alla fine del 1980 un brano ben congegnato e ritmicamente irresistibile arriva dove i precedenti dischi non erano mai arrivati: in vetta. In Inghilterra ha venduto in una sola settimana 70 mila copie del singolo tratto dall’altrettanto fortunato e bell’album dal titolo DIANA (FRIEND TO FRIEND), anch’esso arrangiato a prodotto dagli Chic. Questo 1980 si era aperto nel migliore dei modi per lei: fin dai primi mesi Diana era in classifica in America ancora con THE BOSS album del 1979, album vendutissimo e a febbraio con un brano cantato insieme a Stevie Wonder, Marvin Gaye e Smokey Robinson dal titolo POPS WE LOVE YOU. Omaggio a Berry Gordy, direttore artistico della Motown, scomparso nel 1979. Pops era il suo soprannome. In primavera la sua casa fa pubblicare una raccolta di venti successi degli ultimi dieci anni e ancora una volta Diana vola nelle classifiche di mezzo mondo. In maggio esce questo fortunatissimo 33 giri che potrebbe creare un po’ di confusione nella discografia della cantante, perché ha lo stesso titolo di un altro album uscito nel 1971 (la differenza è un punto esclamativo dopo il nome DIANA). Questo è probabilmente l’ultimo disco della Ross col suono tipicamente Motown. La leggenda vuole che Diana chiedesse agli Chic di produrle, arrangiarle e scrivere un secondo album ma loro declinarono l’invito perché la cantante avrebbe avuto troppo briglia sciolta nelle decisioni facendoli sembrare delle semplici comparse. Questo perché avevano avuto da ridire con lei e le sue decisione prese senza consultare i collaboratori. La Ross, a risultato completato, si accorge che la sua voce non risaltava come avrebbe dovuto e allora lo remixa insieme a Russ Terrana. Rodgers e Edwars sono furiosi per questa decisione presa senza neanche averli consultati ma ormai è fatta. Il disco è nei negozi e si vende come il pane. Dopo pochi giorni UPSIDE DOWN è primo negli Usa e secondo in Inghilterra (lei è battuta dagli Abba di THE WINNER TAKES IT ALL). Suona come una filastrocca applicata ad un testo leggermente osè pieno di doppi sensi (ragazzo, continui a farmi fare su e giù, dentro fuori, intorno) con un coro insidioso ed orecchiabile che le fa da controcanto su un tappeto musicale tipicamente collegabile al filone disco. Il secondo singolo estrapolato dall’album si chiama I’M COMING OUT e suona come una rivendicazione della cantante nei confronti della Tamla Motown. Ne sto venendo fuori. E difatti con una firma che le costa venti milioni di dollari la RCA americana la include tra le sue fila. I’M COMING OUT diventa un inno degli omosessuali anglofobi per il titolo (il famoso coming out, il dichiararsi) e Diana diventa un’altra delle icone gay americane (una delle tante insieme a Judy Garland e la figlia Liza Minnelli, Bette Midler, Marlene Dietrich, Barbra Streisand, Cher e Madonna). I’M COMING OUT entra immediatamente nei Top 5 americani e al numero 13 in Inghilterra. Da quell’album viene pubblicato un altro singolo, MY OLD PIANO, orchestrato alla stregua dei grandi standard americani, cantato magnificamente e anche questo diventa un hit, specialmente in Inghilterra dove raggiunge facilmente la quinta posizione. L’Inghilterra è sempre stata un mercato molto importante per alcune cantanti americane, spesso ancora più di quello in patria loro. Cher ne offre un esempio. Per concludere, questo disco rappresenta una pietra miliare nella carriera della Ross, e il suo album da studio diviene il più venduto in assoluto. Un disco che si trova in cd facilmente ed ha un costo relativamente basso (sui dieci euro). Consigliabile a chi è interessato ad ascoltare della discomusic di classe e canzoni eseguite come solo una grande interprete può fare. Un anno questo 1980 che, sebbene segni la fine della discomusic, fa sì che la stessa, con un colpo di coda finale metta a segno una serie di successi importanti come il disco della Sugarhill Gang, dei Cameo (CAMEOSIS) e di Chaka Khan (NAUGHTY). KC & The Sunshine Band Dopo qualche tempo, lontani dalle classifiche discografiche italiane, riecco affiorare prepotentemente i KC & The Sunshine Band. KC potrebbe essere la sigla di qualche misteriosa formula chimica ma in realtà dal 1974 è il nome d’arte di H.W. Casey, tastierista, cantante e leader di un gruppo funky che porta il nome di Sunshine Band. Il genere funky, come tutti sanno, è di dominio degli interpreti di musica black mentre invece questo Casey è bianco come la neve. Il suo amico si chiama Richard Finch e insieme a due abilissimi strumentisti (questi sì, di colore) ha messo su questa band che non sbaglia un colpo da sei anni. Tanto per citare alcuni titoli GET DOWN TONIGHT, SHAKE YOUR BOOTY, THAT’S THE WAY I LIKE IT, BOOGIE SHOES e così via. Davvero degli hit incredibili. Il duo ha un passato ricco ed altrettanto fortunato. All’inizio degli anni settanta lavoravano come session men per un’etichetta discografica che poi li avrebbe presi tra le sue fila, la famosissima TK diventata celebre come la Miami Sound label (all’epoca c’erano Philadelphia e Detroit a dettare legge nel campo della musica soul, r’n’b e funky). Nel 1974 compongono un brano che nel giro di pochissimo tempo vende nel mondo sei milioni e mezzo di copie contribuendo non poco a lanciare un genere che da quel momento regnerà sovrano per buoni sei-sette anni, la disco music. Il brano in questione era il famosissimo ROCK YOUR BABY inciso da George Mc Crae, pubblicato da noi dalla RCA italiana che deteneva i diritti della TK Records. La cosa che funziona in ROCK YOUR BABY è il ritmo, un misto tra il sound americano del momento e la junkanoo music, ritmo jamaicano molto particolare e poco utilizzato nel giro della musica da discoteca. La cosa che sbalordisce tutti è la capacità del duo nel catturare uno stile ed uno spirito legato a doppio filo alla musica nera, riuscendo però ogni volta a metterci qualcosa di personale. Il loro ultimo 33 giri si chiama DO YOU WANNA GO PARTY e il singolo di fama mondiale è PLEASE DON’T GO che è un brano lento ma adattissimo anche per le discoteche grazie al suo incedere suadente e ritmato di cui naturalmente diventa un apripista istantaneo. La canzone avrà l’onore di diverse cover tra cui una nel 1992 che fa di nuovo il giro del mondo (la mossa intelligente è stata il non stravolgere l’arrangiamento originale che era ed è geniale) ed una di Fiorello dal titolo SI’ O NO, nel 1993. Enzo Avallone (Truciolo) Fantastico 1979/80, oltre che andare fortissimo in termini di audience e di sigle tv (entrambi prime in classifica) ha rivelato un personaggio che ha acceso le fantasia delle ragazzine italiane. Lui è Enzo Avallone, ovvero Truciolo, così come l’ha soprannominato Beppe Grillo durante quel Fantastico. Soprannome che gli ha portato immediata fortuna. Era ancora l’epoca in cui presentarsi in tv, saper fare qualcosa bene (in questo caso il ballo) ed avere la fortuna di farsi vedere per 13 settimane consecutive pagava molto in popolarità. E così, il partner della Parisi diventa famoso (come accadde per Enzo Paolo Turchi ai tempi del Tuca Tuca con la Carrà). Anche lui biondo anche lui campano. Si vede che è una costante. Avallone è difatti nato a Salerno e il suo debutto come ballerino risale al 1973 quando in occasione della Carmen deve rimpiazzare il primo ballerino. Da allora una lunga trafila come ballerino, anche in Rai dove partecipa a tutti gli spettacoli in cui c’è bisogno di ragazzi che ballano in stile discoteca. Un po’ figurante un po’ ballerino. Ma il trampolino di lancio si chiama PICCOLO SLAM stagione 1977/78 in cui lavora come coreografo Franco Miseria, lo scopritore della Parisi. Nello spettacolo discoteca della Rai, presentato da Stefania Rotolo e Sammy Barbot, Avallone si fa notare e lo stesso Miseria comincia a portarselo appresso nei suoi lavori televisivi. Fino a quel fatidico Fantastico. Il mondo della musica, sempre alla ricerca spasmodica di nuovi personaggi, cerca di non farsi scappare questo vichingo del sud e la Wea gli fa firmare un contratto. Il successo è immediato: TI CHIAMI AFRICA è una delle canzoni più note del 1980 e la carriera di Truciolo sembra lanciatissima verso una serie di successi. Cominciano a chiamarlo l’anti Miguel Bosè e fino a prima del ciak iniziale il suo nome avrebbe dovuto essere legato al personaggio di Marco Polo nello sceneggiato kolossal della Rai (poi, fortunatamente viene scelto un attore, Ken Marshall). Insomma, tutto gira per il verso giusto. In questo inverno 1980 Enzo Avallone porta in giro uno spettacolo dal titolo VIAGGIO che racconta la contesa tra la danza classica e moderna. Le musiche vanno da Stravinsky ai ritmi da discoteca e sul palco ci sono due ballerini ed un attore. Durante questo show vengono presentate le canzoni che Truciolo ha lanciato sul mercato e le nuove che formeranno lo scheletro per il suo primo LP. Il debutto sarà alla Bussola di Viareggio. Questo tour lo traghetterà fino al 1981, l’anno di GHIACCIO, che ottiene molto meno successo, quando l’interesse per Enzo Avallone scema, fino a finire completamente. Sedotto ed abbandonato dal pubblico, una storia che si ripete da sempre. Enzo Avallone continua la sua vita di ballerino fino a che si ammala (si dice si tratti di AIDS) e sfortunamente muore. Di lui ci resterà per sempre quell’orecchiabile ritornello estivo in testa e le immagini televisive delle sue piroette su una sola gamba (con la Parisi facevano a gara a chi durava di più) che l’hanno reso di colpo famosissimo in quei mesi tra la fine del 1979 e tutto il 1980. Pochi, ma abbastanza intensi da farcelo ricordare con simpatia. Giorgio Gaber Giorgio Gaber ritorna in tv dopo un'assenza di circa otto anni (SENZA RETE , TEATRO DIECI e IL BUONO E IL CATTIVO nel 1972) e lo fa con quattro puntate in onda sulla rete Uno in cui si produce in canzoni e monologhi. Il programma si intitola QUASI ALLEGRAMENTE, LA DOLCE ILLUSIONE e la prima puntata andrà in onda lunedì 10 di questo mese. Le puntate sono state registrate al Teatro Lirico di Milano tra maggio e giugno. Nel corso di queste due retrospettive (ognuna in due tempi e per questo montate in quattro puntate) il cantautore ha riproposto il meglio di quattro suoi precedenti spettacoli su testi di Giorgio Luporini e con la regia di Giorgio Battistoni. Gaber ha ripresentato un repertorio riveduto e corretto secondo un’angolazione differente che tenta di tener conto del variare degli umori e degli anni, anche rispetto agli accadimenti sociali occorsi negli ultimi anni in Italia. Se prima una cosa la si vedeva "X", ora la si vede "Y", etc. E quindi Solidarnosc, gli euro missili sovietici di Breznev, l’intervento russo in Afghanistan, Khomeini etc. Quindi una non riproposta degli spettacoli che dal 1975 al 1978 ha portato sui maggiori palcoscenici italiani. Da FAR FINTA DI ESSERE SANI (1975) a ANCHE PER OGGI NON SI VOLA (1976), da LIBERTA’ OBBLIGATORIA (1977) a POLLI D’ALLEVAMENTO (1978). Qualunque sia l’opinione politica di ognuno di noi non si può non riconoscere l’intelligenza assolutamente anticonformista di uno che la sua scelta politica l’ha fatta ma che non si preoccupa affatto di metterla in discussione qualora le cose non vadano come prospettate, anche a costo di scomuniche faziose ed ipocrite. Ammettere i propri dubbi e rimettere sempre tutto in discussione, scevri da qualsiasi ideologia militante, è cosa da persone coraggiose, specie in un mondo dello spettacolo dominato dai signorsì, dalle tessere politiche e dai portaborse. Il coraggio del dissenso è frutto di intelligenza acuta, di onestà intellettuale che sconfina quasi nell’ingenuità o nel masochismo. Ingenuità perché se si accusa apertamente una gloriosa macchina da guerra ormai sclerotica si passa immediatamente dalla parte del torto. Come nel 1975, quando l’accusare in teatro il PCI e l’extra sinistra di allora lo fece finire sulla lista nera. Si disse che Gaber era ormai un intellettuale in crisi mentre la crisi era negli intellettuali che non volevano vedere e ammettere le proprie ed altrui crisi. Le trattative per la trasmissione sono andate avanti per un bel po’. Gaber era convinto che per arrivare ad un certo tipo di pubblico bisognava bypassare il piccolo schermo. I suoi estimatori non sono quelli che si mettono davanti alle televisione per il rito serale ma quelli che ritrovi giorno dopo giorno nei teatri. La voglia di teatro gli era venuta nel 1970 nella famosa tournèe con Mina la gente veniva soprattutto per ascoltare e vedere lei ma che però rideva e pensava con lui. L’orario scelto per la messa in onda sa un po’ di beffa: alle 22 e 30, in un periodo in cui la seconda serata era quasi una punizione e non una fascia oraria ambita. Vendetta tremenda vendetta! Ecco che esce anche un nuovo LP dal titolo PRESSIONE BASSA che celebra le esequie del ’68 e che racconta di un risveglio domenicale di un uomo che non ha assolutamente voglia di entrare nella ritualità del giorno di festa, dalla messa alle pastarelle domenicali e per questo avrebbe una gran voglia di rimettersi sotto le coperte. Ma la cosa che più fa parlare è la canzone scritta da Gaber e che nessuno vuole pubblicare perché dannatamente scomoda, SE IO FOSSI DIO. La canzone avrebbe dovuto far parte dell’album appena pubblicato ma la sua casa discografica, non se l’è sentita. L’ha invece pubblicata una piccola casa discografica milanese, la Panarecord, che ha nel suo catalogo cantanti tranquillissimi come Peppino Di Capri o i Carmen & Thompson più un ampia gamma di dance proveniente dagli Stati Uniti. Sul retro non c’è niente perché non sarebbe stato possibile abbinare un brano simile ad un altro. 15 minuti di violente invettive sull’Italia odierna, che non risparmia colpi a destra e a sinistra. A tutti, tranne che al Papa (scherzosamente Gaber dirà che per il Papa ce n’è una dedicata solo a lui di altri 15 minuti). Con una musica che ricorda la messa in latino (Confiteor) in questi 15 minuti definiti nichilisti e pericolosi (proprio dallo stesso gruppo di ipocriti che si spellava le mani ad applaudirlo quando picchiava duro solo da una parte) se la prende con tutti. Con i terroristi che gli hanno tolto il gusto di incazzarsi per conto proprio ed aver ridotto i carabinieri a ruolo di martiri del popolo. Se la prende coi radicali furbi e bravi a cavalcare la tigre sempre pronti ai referendum anche per sapere dove possono pisciare i cani. Se la prende poi coi comunisti e con i socialisti, se la prende col sistema permissivo dell’educazione, con i giornalisti, maledice Russia ed America. Ma la cosa che più sgomenta è l’essere andato giù pesante con l’ormai defunto Aldo Moro dicendo che l’essere stato ucciso gli ha conferito l’aureola di statista illuminato mentre secondo lui, insieme a tutta la DC è stato responsabile di venti anni di cancrena della storia d’Italia e che, sfidando la galera, direbbe perfino che, seppur morto, Aldo Moro resta con la faccia che aveva. Ad ognuno la sua interpretazione. Questo solo se lui, naturalmente, fosse Dio. Continuando con l’ipotesi che se fossi Dio mi ritirerei in campagna così come ho fatto io. Che dire? Applausi, fischi o sgomento? Dori Ghezzi MAMA DODORI è l’album che dopo tre anni di silenzio Dori Ghezzi ha realizzato per la nuovissima etichetta FADO (abbreviazione di Fabrizio e Dori) creata dalla coppia proprio per produrre al meglio la moglie o artisti come Massimo Bubola e i Tempi Duri nel quale milita il figlio di De Andrè, Cristiano. La decisione di creare una nuova etichetta, quindi, non è nata con lo scopo del guadagno facile, anche perché De Andrè è legato dal contratto con la Ricordi. Tant’è vero che la stessa FADO è distribuita dalla Ricordi. Dal 1977 non incideva più dischi, da quando cioè la famosa coppia Wess e Dori Ghezzi aveva rotto. Lei si era ritirata in Sardegna con Fabrizio De Andrè (al quale ha dato una figlia, Maria Vittoria). Il 27 agosto 1979 il sequestro della coppia durata 177 giorni ed ora la voglia di uscire allo scoperto con un album autobiografico legato a certe esperienze personali. Si rivolge a Popi Minellono per i testi, paroliere di successo e uomo di fiducia di Celentano per il quale, insieme a Cutugno ha scritto l’ultimo album UN PO’ ARTISTA E UN PO’ NO. E poi ad Oscar Prudente e Massimo Bubola. Inutile dire che questo album è completamente differente da tutte le cose cantate finora da questa mini donna nata a Lentate sul Seveso ed entrata nel mondo della canzone a colpi di minigonna e di casatchock per poi passare al periodo matrimonio misto con Wess Johnson. MAMA DODORI è la canzone che più di tutte sente sua: prende in prestito alcune espressioni verbali della figlia e ne scaturisce una canzone molto dolce e molto intimistica. Come prettamente personale è STRINGIMI PIANO STRINGIMI FORTE che in qualche modo ripercorre i giorni del sequestro, di quando la coppia fumava una sigaretta in due non tanto per desiderio di fumare (lei non è una fumatrice) ma perché aiutava a far passare il tempo e a sentirsi più intimi in una situazione che di intimo non aveva niente (stringimi piano stringimi forte, fammi pensare più dolce la sorte... toglimi il peso di questa croce... una mezza sigaretta in una mezza galera). Un'altra canzone interessante è la cover degli Osibisa, gruppo afro inglese dei settanta intitolata MIO SIGNORE (WO YA YA), una preghiera per una richiesta d’amore per tutti gli infelici e per chi sta male. Un testo molto bello di Popi Minellono. Come BUONGIORNO, ritmata a country, dedicata a chi sta bene e a chi sta male, a chi è in pace con se stesso e a chi vorrebbe esserlo. Leggera ma incisiva. O la carinissima IL GATTO in cui una mamma impartisce lezioni di vita a sua figlia che deve andare in città e le raccomanda di non cedere alle tentazioni che in questo caso prendono la forma di un gatto sornione e tentatore. Poi c’è ANNI FA, una serie di flashback di una donna che ricorda gli avvenimenti salienti della sua vita. Il disco ha un buon successo e se lo merita tutto. Intanto il suo uomo, Fabrizio De Andrè, esce nei negozi con il secondo album della registrazione del tour con la Premiata Forneria Marconi. Mentre si prodiga per il nuovo LP dei New Trolls, un concept album che racconta la storia di un treno che compie un allegorico viaggio attraverso il tempo. Non è la prima volta che collabora col gruppo. La precedente risale al 1968 quando si occupò dell’album SENZA ORARIO SENZA BANDIERA. Gli appassionati di Fabrizio De Andrè si possono consolare provvisoriamente con un singolo (cosa strana per De Andrè) che fa da sigla al programma televisivo "Dietro Il Processo", una serie di sceneggiati su alcuni casi giudiziari di grande rilievo, come i casi Montesi e Pasolini. Il singolo si intitola UNA STORIA SBAGLIATA accoppiata a TITTI, brano più scanzonato. Sergio Mendes Un disco che naturalmente non è ancora entrato in classifica e che non ci entrerà mai è il nuovo 33 del grande Sergio Mendes e i suoi Brasil’77. Il titolo è ALLEGRIA e Mendes, grandioso musicista e arrangiatore brasiliano recupera dopo tanti anni la sua lingua madre che aveva abbandonato per l’idioma inglese (visto il grande successo di questo sul mercato internazionale). Inoltre, credendo di fare un piacere al pubblico italiano esegue una canzone nella nostra lingua dal titolo ORIZZONTE APERTO che naturalmente non avrà neanche spazio radiofonico. Ma lui è sempre un grande, raffinatissimo esecutore delle sue canzoni e di altri, un vero ambasciatore della musica brasiliana nel mondo. Nel disco c’è tutto il suo spirito: l’allegria e la malinconia che caratterizza il popolo brasiliano, fantasia di ritmi e grande intuito nel mescolare raffinate orchestrazioni al gusto commerciale attuale (misticanza che nei primi anni del ventunesimo secolo chiameremmo genere lounge). Nove brani in tutto, incisi con la collaborazione dei migliori session men paulisti. Ah, il testo italiano di ORIZZONTE APERTO è di Sergio Bardotti, grande come autore di testi, un po’ meno come autore-maneggione dei vari Sanremo. Milva Milva mancava da tre anni a Parigi ma il pubblico francese gli tributa un successo degno delle grandi d’oltralpe. E lo fanno scomodando aggettivi che fino ad allora avevano usato per personaggi come la Piaf e Dalida. La cosa fa abbastanza scalpore perché mai i critici francesi erano stati così benevoli nei confronti delle nostre cantanti, a partire da quel famoso recital in cui la Vanoni si macchiò di lesa maestà interpretando dei brani in precedenza cantati dalla Piaf e per i critici francesi quindi intoccabili. Invece per Milva i più autorevoli quotidiani e settimanali si profondono in complimenti per questo spettacolo nel quale la rossa propone in un’ora, accompagnata da un’orchestra di dodici elementi diretta da Natale Massara, una serie di canzoni di diverso genere ma tutte molto colte o comunque care alla critica militante (ora si spiega tutto!) che vanno da Brecht a Kurt Weil fino all’immancabile Theodorakis. Ma è lo stile (innegabile) della cantante, il suo savoir faire, l’estrema raffinatezza (che spesso ostenta rendendosi antipatica agli occhi del pubblico italiano) insegnatale dal suo primo pigmalione del quale è stata anche moglie, ossia Maurizio Corgnati, le invenzioni sceniche e la fantasia dei costumi a colpire il pubblico e la critica, che in Francia (ma non solo) è più propensa alla stroncatura che all’esaltazione. Una bella rivincita per un popolo, il francese, che guarda sempre l’Italia con un misto di ammirazione e sufficienza (unita ad invidia). Ces italiens, vraiment geniaux quand ils veulent! Al Bano & Romina Power Al Bano & Romina Power, da qualche tempo desaparacidos in Italia mietono successi in giro per l’Europa del nord e non solo. Hanno per l’appunto appena vinto il premio Kawakami all’undicesimo Festival Mondiale di Musica Leggera di Tokio. Al Festival hanno partecipato cantanti di 19 paesi. L’Italia ha anche ottenuto un premio con Toto Cutugno che ha presentato la canzone FRANCESCA NON SA, composta e cantata dall’autore. Tanto per la cronaca Cutugno ha vinto mille dollari, una medaglia d’argento e un certificato onorario. La coppia di Cellino San Marco ha invece vinto il premio più ambito e cioè il Grand Prix, medaglia d’oro, diecimila dollari e certificato d’onore. La canzone presentata è AMARCI E... che in Italia è passata del tutto inosservata. Saremo scemi noi o lo sono i giapponesi? Wilma Goich Torna da solista, dopo 10 anni, Wilma Goich. L’ultimo disco uscì nel 1970 per l’etichetta Apollo, quella creata insieme al marito Edoardo Vianello, più per produrre i dischi di altri cantanti, che per loro. Invece quasi per gioco, nel 1971 tentarono la carta del folk e uscì un singolo, VOJO ER CANTO DE ‘NA CANZONE, che portarono al Cantagiro di quell’anno. Non ci credevano quasi, era un tentativo, ma il successo fu abbastanza buono e tentarono ancora. Nel frattempo la Ferri aveva spianato loro la strada con un paio di LP in romanesco, che erano andati molto bene nelle classifiche di vendita, quindi perché non tentare ancora? E così nacquero i Vianella, duo vocale che scorrazzò per tutti gli anni settanta riscuotendo simpatie e successi ovunque. Lei, pur essendo nata a La Spezia, ha una pronuncia romanesca quasi da nativa; lui eccellente musicista con un timbro di voce molto particolare si riscatta da un periodo di insuccessi immeritati (dal 1965 Vianello non riesce più a raggiungere il pubblico come una volta). Stessa sorte capitata ad un altro grande, caduto in disgrazia nello stesso periodo e resuscitato in concomitanza con i Vianella, Peppino Di Capri. Poi nel 1978 lo scioglimento della premiata ditta. La crisi familiare datava da molto tempo. Per dirla in parole povere, Vianello le faceva le corna. E lei, dopo undici anni nei quali era stata la moglie tradizionale appoggiata al marito in tutto e per tutto, si ribella e diventa indisponente, piena di scoppi d’ira. Gli impegni di lavoro li mettevano sempre insieme e spesso il pubblico andava a dir loro quanto fossero davvero una bella coppia, mettendoli in crisi ancora di più. Stanchi di questa vita, dissero basta. Ora Wilma ritenta la carriera solistica ma purtroppo i risultati non le daranno ragione. Reinventarsi per la terza volta una carriera, dopo le due gloriose messe dietro le spalle, sembra una forma di schizofrenia e il pubblico ormai, abituato a vederla insieme all’ex marito, non riesce a seguirla. Ma nel 1981 ritornano i Vianella perché la RCA li vuole ad ogni costo per far loro interpretare la sigla di un cartone animato, CYBERNELLA. Ed è di nuovo il successo, per quanto in un mercato circoscritto tra gli acquirenti delle sigle dei cartoni animati. Ma è solo per quell’occasione. Le vite artistiche dei due si separano nuovamente, ormai incapaci di riproporsi come coppia, più che altro per rispetto verso chi li ha seguiti. Perché, fingere di andare d’accordo per scopi puramente economici (o di altro tipo) non ci vuole poi tanto. Pink Floyd ANOTHER BRICK ON THE WALL, il famoso singolo dei Pink Floyd tratto dal 33 THE WALL è diventato, suo malgrado, l’inno dei dimostranti in occasione dell’anniversario della strage di Soweto, nel Sudafrica. L’anno precedente, nel ghetto nero di Johannesburg, i morti si erano contati a centinaia dopo la violenta repressione poliziesca. Il Sudafrica, in questo 1980, conta venti milioni di abitanti di cui solo quattro sono bianchi, eppure comandano. La canzone dice non abbiamo bisogno di educazione, non abbiamo bisogno del controllo dei nostri pensieri (naturalmente in origine era un attacco contro la DDR e il blocco dell’est, più che altro preso a prestito come metafora), e così che i negri sudafricani l’hanno sentita subito loro fino ad interpretarla come il loro inno. Unitamente ad un’altra ondata di repressione, il governo di Pretoria ha deciso di togliere dalla circolazione il disco dei Pink Floyd perché pericoloso e contro gli interessi della repubblica sovrana del Sudafrica. Ma il disco circola ugualmente sotto banco, nel mercato clandestino. Dave Gilmour, chitarrista del gruppo, si dissocia o meglio vuole togliersi ogni responsabilità sostenendo che nei testi del gruppo non esistono prediche, religioni o credi politici perché è la condizione dell’uomo che interessa maggiormente. D’altronde se i sudafricani di colore hanno voluto dare a questa musica una connotazione precisa, liberissimi di farlo. I muri da abbattere sono ancora tanti e la distruzione di una povera cosa come un vinile non contribuisce di certo a far dimenticare cose più importanti. Melody Maker Ecco puntuali le classifiche della rivista inglese Melody Maker. Ogni anno a fine stagione si tirano le somme del reader’s poll, ossia del sondaggio tra i lettori per stabilire i più bravi, categoria per categoria. Generalmente ne esce sempre fuori una classifica competente, un po’ snobistica, più vicina alla critica che alle graduatorie di vendita. La cantante più popolare è risultata, per il terzo anno consecutivo Kate Bush (il suo singolo in circolazione in Italia è già abbastanza noto, BABOOSKA), il miglior cantante è Peter Gabriel, ex leader dei Genesis, che batte sul filo di lana Robert Plant dei Led Zeppelin. David Bowie arriva soltanto al settimo posto. A guardare le classifiche per intero si nota l’en plein dei Genesis su tutte le categorie o quasi. Difatti non solo l’ex cantante ma anche il suo ex compagno di banco Phil Collins (miglior batterista), Mike Rutheford (miglior bassista), Tony Banks (miglior tastierista). Ritchie Blackmore dei Deep Purple è ancora il miglior chitarrista (ancora hanno nelle orecchie le note iniziali di SMOKE ON THE WATER?). Miglior singolo e long playing risultano essere THE WALL e ANOTHER BRICK ON THE WALL dei Pink Floyd. Vincono anche come migliori compositori dell’anno (Paul Mc Cartney è solo settimo). In sostanza niente di nuovo sotto il sole. Sempre i soliti noti. Il che fa sorgere un sospetto: che siano anche i più bravi?? Steve McQueen Muore l’attore celebrato da Vasco Rossi (celebrazione postuma), quello dalla vita spericolata. Steve McQueen muore a 50 anni. Ormai condannato dalla medicina ufficiale (gli era stato diagnosticato un mesotelioma, forma rarissima di tumore polmonare), aveva tentato la strada della medicina alternativa con una serie di cure tendenti a far reagire alla malattia l’organismo attraverso le sue risorse naturali. Ma Steve McQueen è stato stroncato da una crisi cardiaca nella notte tra il sei e il sette novembre. Non ha retto ad un intervento chirurgico che i medici hanno tentato in extremis. Era nato nel Missouri nel 1930 ed era entrato nel cinema negli anni cinquanta. Aveva detto di essersi stufato di farsi tagliuzzare in continuazione e che la vita ha senso fin quando si è in grado di viverla. Nonostante questo, prima di entrare in clinica, aveva chiesto agli amici di pregare perché il male stava regredendo. Non è stato così. Ma sapere di uno come Steve McQueen, uno dei magnifici sette del celebre film del 1961, un antesignano dei vari Rambo, chiedere di pregare per lui, come farebbe una persona qualunque, fa un po’ effetto. L’ancestrale paura della morte insita nell’essere umano è la stessa, anche per le vite spericolate. Christian Calabrese
 
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