- Core 'ngrato - di Antonio Sciotti
Enrico Caruso nasce a Napoli il 25 febbraio 1873 al numero sette di Via
San Giovanni e Paola (nei pressi di Piazza Otto Calli), strada detta
tutt'oggi Sangiovaniello.
Figlio di Marcellino e Anna Bardino, Enrico Caruso, già a 10 anni,
completate le scuole elementari, inizia a lavorare, prima in una
fonderia e poi in un'officina meccanica, dov'è impiegato anche il papà.
Nello stesso tempo, egli s'iscrive ai corsi serali del Ginnasio di Don
Bronzetti ed inizia le sue prime esperienze canore nelle chiese del
quartiere dove abita.
Nel 1887, Enrico partecipa, con il ruolo di bidello, alla farsa "I briganti nel giardino di Don Raffaele", ma l'entusiasmo dura poco perché, dopo pochi mesi, muore Anna Bardino ed Enrico accantona per un attimo la musica. Nel 1894 sopravviene il servizio militare e Caruso parte per Rieti. Il maggiore Nagliati, ascoltata la bella voce del giovane soldato, decide, con principi lontani dalla consueta sensibilità militare, che la sua ugola non può essere rovinata dalla fatica e dall'umidità, cosicché Enrico è sostituito nel servizio di leva dal fratello Giovanni. Ritornato a Napoli, Enrico riprende le lezioni di canto con il M° Vergine, il quale, soddisfatto dai risultati del suo allievo, lo propone per la stagione lirica 1894-1895 del Teatro Mercadante di Napoli. Ma, durante le prove della "Mignon", Caruso è protestato e perde l'occasione del suo primo debutto. Nello stesso periodo, però, il cantante è notato, durante l'opera "L'amico Francesco", dall'impresario Ferrara che lo scrittura per l'intera stagione lirica a Caserta. Nel 1895 arriva, così, il debutto ufficiale del tenore che partecipa alle opere "Faust", "Camoens" e "Cavalleria rusticana". I risultati sono sorprendenti e Caruso passa alla supervisione dell'impresario Zucchi che lo porta in tournèe al Cairo, dove si esibisce nella "Gioconda", nel "Rigoletto" e nella "Manon Lescaut".
Nel 1896, con il ruolo di Tebaldo, Enrico affianca Emma Carelli
nell'opera "Capuleti e i Montecchi" messa in scena al Teatro Mercadante,
mentre l'anno successivo egli tiene a battesimo due novità "Dramma in
vendemmia" e "Il profeta velato". Nel 1899 il tenore ottiene la sua prima importante scrittura all'estero dove, a Pietroburgo, trova tanto successo con "Boheme", "Pagliacci", "Traviata" e "Maria di Rohan". Con "Fedora" trova entusiasmo ed unanimi consensi in America meridionale, in particolar modo trionfa a Buenos Aires. A Pietroburgo il cantante ci ritorna nel 1900 per la messa in scena di "Ballo in maschera" e "Aida" in un cast del quale fanno parte Salomea Krusceniski e Mattia Battistini. Caruso associa il grande successo ad una non trascurabile polmonite, provocata dal rigido clima russo. Ripresosi dalla malattia, il tenore completa il tour nella capitale russa e parte per Montevideo e Buenos Aires, dov'è accolto trionfalmente dal popolo sudamericano. Nel 1901, Caruso affronta due autorevoli, quanto difficili, teatri italiani: la Scala di Milano ed il San Carlo di Napoli. Se alla Scala Caruso è indispettito, alla prima della "Boheme", dalla critica di un giornalista che lo definisce il tenorino dalle gambe rotte, al San Carlo di Napoli egli s'infuria talmente che giuria di non mettere mai più piede nella città canora. Succede che, durante la messa in scena de "Elisir d'amore" un gruppo di abbonati assumono atteggiamenti provocatori verso Caruso, evitando applausi e addirittura fischiando in un momento di grossa intensità teatrale. Ritiratosi all'Hotel Vesuvio di Napoli, Caruso è furibondo, non accetta che la sua amata città, invece di essere fiera del successo riscosso, possa addirittura avere atteggiamenti di ostentazione e di invidia nei suoi confronti. Certo è che Caruso mantiene il suo giuramento e Napoli non applaudirà mai più la sua meravigliosa ugola. Egli respinge tutte le scritture, anche quelle, dal punto di vista economico, molto allettanti e ogni qualvolta torna a Napoli rifiuta persino di cantare in beneficenza, limitandosi a donare ingenti somme di denaro.
Accantonata la parentesi napoletana, Caruso prosegue la sua gloriosa
carriera esibendosi a Londra e a Montecarlo con Nelli Melba.
Nel 1903 la tournèe di Caruso con il "Rigoletto" a Lisbona, Buenos
Aires, Montevideo e Rio de Janeiro è ricordata soprattutto per il bis
che diventa inevitabile durante l'esecuzione del brano "La donna è
mobile". Dal punto di vista sentimentale, nel 1904 Enrico diventa padre per la seconda volta di Enrico Caruso jr e questa è l'ultima parentesi fortunata del suo rapporto con Ada Giacchetti, che lascia quattro anni dopo per legarsi con Dorothy Benjamin (che sposerà nel 1918). Da Dorothy il tenore diventa, nel 1919, padre per la terza volta, di Gloria. Grazie ad Enrico Caruso la canzone napoletana diventa fondamenta dello studio e dei grandi cantanti lirici. Il tenore, infatti, affianca alle grandi opere, intense interpretazioni di canzoni partenopee. Trova il suo primo successo con "Core ngrato", "O sole mio" e "A vucchella". I tre brani diventano, in breve, dei successi mondiali, divenendo dei veri inni italiani per gli emigranti nel mondo. Intanto, tra il 1905 ed il 1920 Caruso diventa dominatore incontrastato del Metropolitan di New York. Gli archivi ci informano che il tenore partecipa a ben 607 rappresentazioni, affrontando tutti i ruoli più importanti, soprattutto del repertorio italiano e francese. Egli rappresenta, durante questo periodo, le più belle opere liriche in circolazione. Inoltre, associa all'opera dei veri concerti dove tutti (e non solo il pubblico raffinato della lirica) lo possono ammirare. Inevitabile l'inserimento, in queste performance, di altri brani napoletani: "Canta pe' mme", "Guardanno 'a luna", "Sultanto 'a te", "Scordame", "Uocchie celeste", "Pecchè", "Mamma mia che vò sapè" e "Tu ca nun chiagne". Singolare l'iniziativa di scrivere i versi e la musica del motivo "Tiempo antico", unica canzone della sua vastissima discografia che porta la sua firma (della canzone "Serenata" Caruso scrive solo i versi sulla musica di Bracco). Il motivo, inoltre, è in lingua e non in dialetto partenopeo. Nel 1918, all'apice della popolarità mondiale, Caruso è chiamato da Hollywood per due pellicole: "My cousin" di Margaret Turnbull e Edward Josè con Enrico Caruso, Caroline White, Henry Leone e Will H. Bry; e "The splendid romance" (1919) di Margaret Turnbull e Edward Josè con Enrico Caruso, Ormi Hawley, Crauford Kent e Charlotte Ives. In verità, le pellicole, nonostante la notorietà del tenore, sono poco applaudite, tanto è vero che "The splendid romance" fu, in breve, ritirato dal circuito cinematografico. GLI ULTIMI GIORNI Nel 1920, durante la rappresentazione "Elisir d'amore" alla Musical Academy di Brooklyn, Caruso è colpito da un'emorragia, primo sintomo del suo male. E' inevitabile un intervento chirurgico, seguito da una necessaria convalescenza. Caruso approfitta, così, di questo stop per ritornare, nel giugno del 1921, a Napoli, stabilendosi per un breve periodo a Sorrento. Durante questo soggiorno Caruso recupera in breve, tanto che alcuni ricordano un simpatico episodio accaduto all'Hotel Royal di Sorrento. Durante il pranzo, per annunciare la sua completa guarigione, Caruso emette dei formidabili "do" di petto, mandando in visibilio tutti i clienti del ristorante.
Pochi giorni prima della morte, il tenore si reca a Pompei a ringraziare
la Vergine, cui ha chiesto la guarigione nei momenti più terribili della
sua malattia. Caruso lascia alla Vergine 10.000 lire e promette di
prendere parte ad un concerto di musica sacra. Poi ritorna a Sorrento e
qui, il 26 luglio del 1921, è nuovamente assalito da un altro attacco,
cui segue un delirio da febbre. Così la signora Caruso telegrafa al
Prof. Bastianelli di Roma, invitandolo a Sorrento per un consiglio
medico. Quest'ultimo, arrivato dopo tre giorni a Sorrento, dichiara,
dopo la visita, che la febbre è sintomo dell'improvviso incrudelirsi del
male che, a torto, è stato creduto vinto, consigliando, senz'altro,
l'atto operatorio. Così, il giorno dopo, alle ore 21, arrivano all'Hotel i chirurghi Gaetano Sorge, Raffaele Chiarolanza, Gaetano Moscati e Gennaro Sodo. Dopo il consulto tutti sono d'accordo nel definire il male che mira da lungo tempo la vita di Caruso come "ascesso" sub-frenico, ossia la formazione di un raccolto suppurativo tra il diaframma e il fegato, con fenomeni peritonistici settici e cardiaci. Nessuno dei quattro chirurghi lascia speranze di salvezza, vista la condizione di Caruso (molto debole il cuore, quasi nullo il polso) e consigliano di lasciare inoperosa la notte, durante la quale l'infermiere avrebbe confortato Caruso con inalazioni d'ossigeno (vista la respirazione assai faticosa) e siringhe d'olio canforato. Ritornati a casa, il prof. Gaetano Sorge è raggiunto da un giornalista del quotidiano "Il Mattino" e rilascia una breve intervista (riportata qui di seguito).
- Professore, sono realmente gravi le condizioni di Caruso?
- Ma come spiega lei questo improvviso e violento riapparire del
male creduto vinto?
- E lei, professore, spera che dietro l'intervento chirurgico si
possano ottenere efficaci risultati? Il giornalista, lasciato il dott. Sorge, raggiunge verso mezzanotte l'altro chirurgo Raffaele Chiarolanza, il quale conferma in pieno le dichiarazioni di Gaetano Sorge e conferma l'atto operatorio dei quattro alle ore 8 del 2 agosto all'Hotel Vesuvio. Chiarolanza, inoltre, aggiunge che l'atto operativo del mattino dopo sarebbe, in ogni caso, fatale per Caruso. Caruso trascorre la notte tra smanie indicibili. Al suo capezzale veglia il fratello Giovanni, alcuni amici intimi ed i due medici, pronti ad intervenire con punture ed inalazioni d'ossigeno. All'alba le condizioni di Caruso peggiorano. Alle ore sette arrivano Sorge, Moscati, Chiarolanza e Sodo, che si sono dati convegno alle otto per tentare l'operazione. Ma, brevemente, essi costatano che le condizioni di Caruso non consentono l'intervento chirurgico. Infatti, alle ore 9.07 Caruso, tra lo strazio di coloro che lo circondano, cessa di vivere. Lo strazio dei presenti è indescrivibile; il fratello Gennaro, pazzo dal dolore, bacia più volte la salma dalla quale non vuole distaccarsi. Soltanto la fermezza di alcuni amici ha potuto allontanarlo nella stanza attigua. La salma è stato composto nello stesso letto nel quale Caruso si trova. Il volto ha un'espressione di serenità e non presenta nessuna traccia delle sofferenze subite. Intorno al viso è attaccata una fascia bianca che tiene chiusa la bocca. Ai piedi del letto un reverendo pronuncia le orazioni dei defunti. Alle 9,30 incominciano ad arrivare all'hotel Vesuvio i parenti del tenore, cui la triste notizia è stata comunicata telegraficamente. Alla signora Caruso la notizia è comunicata, con grande cautela, dal cognato Giovanni. La morte di Caruso si diffonde in un baleno per tutta la città ed alle ore 10,30 nell'atrio dell'hotel, già è presente una piccola folla di amici e di ammiratori. Il salottino affianco alla camera dove è morto Caruso, è trasformato in camera ardente. Il letto è al centro e quattro grossi ceri ardono all'intorno, piante e fiori sono sparse a profusione per ogni angolo. Ai piedi del letto otto monache elisabettiane pronunciano le orazioni dei defunti. Nell'attesa di organizzare i funerali, i familiari annunciano ai giornalisti che, per espresso desiderio dell'estinto, la salma di Enrico Caruso sarà imbalsamata. La notizia della morte di Enrico Caruso è immediatamente telegrafata in America, a Firenze dove Caruso ha larghe proprietà e nei principali centri italiani. I familiari non sanno ancora dove trasportare la salma tra la chiesa di San Ferdinando e quella della Madonna delle Grazie. Alla fine le esequie si svolgono, alle ore 11 del 3 agosto, nella chiesa di San Francesco di Paola, dove il tenore Fernando De Lucia canta in sua memoria. Se l'Italia commemora Caruso con De Lucia, l'America lo ricorda con il tenore Eduardo Cianelli, il quale incide il 78g "Caruso miez'a li angeli" di Esposito-Gioie (la coppia d'autori che due anni prima hanno ceduto a Caruso il suo ultimo successo in dialetto napoletano).
Caruso mmiez'a li angeli
Comma 'na sporta 'e terra và po' munno,
Tiempo antico
Era lu tiempo antico ANTONIO SCIOTTI
|
  |