di Antonio Sciotti
Fernando De Lucia nasce a Napoli l'11 Ottobre del 1860 e muore, sempre a
Napoli, il 21 febbraio del 1925 all'età di 64 anni.
Celebre tenore, inizia a cantare a Caserta durante il servizio militare,
in occasione di una festa reggimentale in onore del ministro Mancini. Da
giovane studia al Conservatorio di S. Pietro a Majella sia il fagotto
sia il contrabbasso sia il canto.
Il 9 marzo del 1885, dopo un inteso lavoro con il M° Vincenzo Lombardi,
debutta al Teatro S. Carlo di Napoli nel "Faust" di Gounod.
Da questo momento diventa ufficialmente tenore di grazia (con le
eccezioni nei ruoli tenuti in "Carmen" e in "Gioconda") con una voce
sottile, ricca di mille sfumature, e con intonazioni d'impronta
drammatica.
Ma ciò che più incanta e la capacità di De Lucia di produrre un'ampia scala di variazioni d'intensità e di usare la voce come vero e proprio strumento musicale. Tra il 1885 ed il 1900, il tenore interpreta numerose opere, riscuotendo in tutto il mondo consensi ed ovazioni (tra questi successi oltre i confini ricordiamo le rappresentazioni de "La Boheme" e della "Tosca" nella capitale inglese). Ma è pur vero che la conversione stilistica, che porta il cantante napoletano ad avere in repertorio opere come "Boheme", "Tosca", "Manon" e "Zazà", costa a De Lucia un prematuro decadimento (lento e graduale) delle qualità vocali (come ci riferisce il critico Gianni Cesarini). Per tutto l'inizio '900, infatti, dopo numerosi successi (nel 1893, in una famosa edizione di "Pagliacci" De Lucia debutta come vero e proprio cantante verista), il tenore inizia drasticamente a diminuire i suoi impegni, giustificati dai contratti discografici con la HMV e Fonotipia che lo tengono impegnato per lungo tempo in sala d'incisione. Nel 1917, nella cara Napoli, De Lucia decide di chiudere la sua carriera con l'opera di Mascagni "Amico Fritz". Un addio pieno di commozione con ovazioni e applausi interminabili del pubblico. Michele Uda (critico del Pungolo), per l'occasione, definisce la voce di De Lucia incantatrice: "…il pubblico scopre nella sua ugola una dolcezza colma d'espressioni carezzevoli, un fraseggiare così netto, un'intonazione più che sicura…". Chiusa la parentesi del palcoscenico, il tenore decide di dedicarsi all'insegnamento ed all'incisione di dischi. Il 24 maggio del 1917, infatti, De Lucia firma un contratto discografico di £ 36.000 con la Phonoelectro (Phonotype) di Americo Esposito per l'incisione di tre brani al mese, per un arco di tre anni. Il contratto, invece, si allunga fino al 1922 con "Marechiaro", ultima incisione in assoluto del tenore. Anche il minimo dei tre brani mensili non sarà mai rispettato. De Lucia, infatti, incide, in questo lasso di tempo, migliaia di 78g. Nel solo 1917, partendo dal 24 maggio, data della prima incisione, il tenore registra, con l'Orchestra Sassano, ben cento canzoni (quasi tutte romanze).
Discografia Maggio-Dicembre 1917 (Nr. Catalogo - Titolo
Durante il sodalizio con la Phonoelectro di Esposito, Fernando De Lucia duetta (su supporto a 78g) con il baritono Giorgio Schottler, il baritono Antonio Anticorona Armentano, il soprano Angela De Angelis, il mezzo soprano Vida Ferluga, il basso/baritono Luigi Mugnoz, il baritono Francesco Novelli, il soprano Maria Resemba, il soprano Nina Sabatano, il basso Stefano Valentino, il tenore Angelo Di Tommaso ed, infine, il soprano Olga Perugino. Nonostante avesse detto addio ai palcoscenici, De Lucia si esibisce il 3 agosto 1921 nella chiesa di S. Francesco di Paola, in occasione dei funerali del suo amico Enrico Caruso. Egli interpreta, tra la sua commozione e quella dei presenti, la preghiera "Pietà Signore" di Rossini attribuita a Stradella. Il 20 novembre del 1921 il tenore, senza orchestra, con il solo accompagnamento al violoncello del M° Sergio Viterbini, lascia la sua ultima traccia, incidendo, sempre per la Phonoelectro, "Se torni ancor" (Torna-Denza), "Ave Maria" (Gounod) e "O doux printemps d'autrofois (Elègie-Massenet). Poi, il 24 settembre del 1922, con il solo accompagnamento di chitarre e mandolini (diretti dal M° Raffaele Calace), il tenore incide per l'ultima volta un motivo dedicato a Napoli "Marechiaro" di Salvatore Di Giacomo e F. P. Tosti. Il suo personalissimo stile ha fatto sì che egli non fosse solo amato da un pubblico colto, ma anche dal popolo, incantato da canzoni quali "A surrentina" (dove il tenore raggiunge stupefacenti toni estatici e nostalgici), "Nun me guardate cchiù" (De Lucia tocca momenti di tensione assai forti), "Si chiagnere me siente" (un vero gioiello d'interpretazione con accenti dolorosi e di grande commozione), "Napule" (si ascolta il particolare vibrato stretto del cantante) o "Autunno" (un gran capolavoro d'interpretazione dove si sposa la lirica con la canzonetta, il fado ed il folk). Naturalmente, a canzoni piedigrottesche, De Lucia aggiunge i classici motivi partenopei del repertorio lirico: "Canta pe mme", "Fenesta ca lucive", "O sole mio", "Catarì", "Voce e notte", "Torna a Surriento", "Funiculì funiculà" e altri. Confortato dall'affetto della sua cara Elvira e dei suoi figli, De Lucia muore a Napoli il 21 febbraio del 1925. ANTONIO SCIOTTI
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