di Mario Bonatti
L'edizione n. 37 sarà ricordata anche per un involontario quanto triste coup de théatre del reuccio Claudio Villa, il quale, ammalatosi al cuore il giorno di Capodanno (suo 55° compleanno), muore il pomeriggio di quel sabato 7 febbraio, giorno della finale, e la cui scomparsa, paventata nell'edizione del giornale di mezza sera che lo annunciava ancora soltanto grave, viene resa pubblica da Baudo tra l'esibizione di Scialpi e quella di Albano & Romina, gettando nello sconforto totale molti dei partecipanti, tra cui Morandi, che ancora deve esibirsi e scoppia in lacrime. Una pagina degna, pur nella sua tragicità, di entrare nella storia della manifestazione. Tornando allo specifico musicale, ci troviamo di fronte a una discreta edizione festivaliera, con una discreta presenza di belle canzoni, e un discreto incremento della qualità delle Nuove Proposte, non tutte all'altezza ma apportatrici di un'aria nuova.
BIG Le proposte dei campioni salgono a 24, e vincono i favoriti. Non poteva essere altrimenti, poiché si tratta di una sinergia di tre artisti già affermati. Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, e Umberto Tozzi, i quali chiamandosi semplicemente con i loro tre cognomi messi in ordine alfabetico vincono con una sobria canzone sulla solidarietà e sull'impegno civile. Si può dare di più, congegnata con sapienza aziendale, riesce dunque non solo di facile presa, ma anche di buona fattura, grazie al lavoro di Bigazzi e alla prima apparizione di Raf come autore in italiano. Diventerà l'inno ufficiale della nazionale Cantanti. Morandi coglie così la prima vittoria al Festival, a pochi anni dalla sua seconda giovinezza artistica; Umberto Tozzi ritrova la gloria (a proposito di…) dopo alcuni anni di effettiva scomparsa dalle scene e un evidente appannamento del suo modo di fare pop, che tuttavia non tornerà più quello degli anni 70. Ruggeri riuscirà invece a lanciarsi definitivamente, prendendo dunque un treno non di prima classe ma dalla destinazione certa. Essendo lui cantautore, si è dovuto dunque adeguare agli stilemi di un pop più corrivo per mettere così sugli scudi la propria maniera di fare rock, che stava comunque dando i suoi risultati con le precedenti presenze a Sanremo. Una vittoria quindi non così compromissoria: sicuramente se avessero portato sull'Ariston la facciata B del disco "La canzone della verità" (un pezzo di Ruggeri) avrebbero potuto anche vincere e con una referenza migliore, ma questo col senno di poi dei discografici non è dimostrabile. Quindi una vittoria studiata ma almeno onesta. Dietro ai tre, il solito trend. Cutugno secondo, con un piede solo, si affida ai Figli, proponendo una accozzaglia di melodia smargiassa (echi di Dalla nell'inciso, echi di sé stesso nel refrain) e parole che rigurgitano luoghi comuni targati anni 80; i poveri figli indifesi che però crescono e, con un po' di fantasia e altro, alla fine diventano padri anche loro, sventolano dunque sul palcoscenico come rassicurante e pippobaudesco vessillo filodemocristiano. Al terzo posto non potevano mancare Albano & Romina Power, favoriti dal meccanismo Totip, sebbene, a onor del vero, vada riconosciuto che questa "Nostalgia canaglia" non ha solo difetti, scorre via con disinvoltura, un testo abbastanza ispirato su una tematica non consueta e per niente ruffiana, insieme a un arrangiamento che guarda avanti. Forse troppo per meritarsi la terza posizione, ma, come si dice parafrasando il proverbio, non tutte le ciambelle della canzone facile riescono col buco del cattivo gusto. Avrebbe meritato sicuramente il redivivo Fausto Leali, prodotto da un Cutugno pigliatutto presente con ben quattro pezzi. La voce italiana del blues compie un vero e proprio miracolo, plasmando, con la sua caratteristica voce, un pezzo comunque ben fatto, molto evocativo a tratti panelliano, che ha come premessa la frase del titolo Io amo, che affrancandosi dal ricorso al pronome di seconda persona si trasforma in una sorta di inno universale all'amore monogamo, vera e propria vincitrice morale di quest'anno. Cutugno è dunque il classico alunno che quando vuole applicarsi sa farlo. Infatti al quinto posto arriva un'altra sua canzone, scritta insieme allo stesso Peppino Di Capri, dosando sapientemente melodia tradizionale e capacità rimatorie; Il sognatore è un vero e proprio capolavoro del genere confidenziale, non una parola è fuori posto, e la figura dell'uomo in cerca di una vita in grado di essere vissuta con la giusta passione e un pizzico di autentico sentimento sembra uscire fuori dai personaggi modugniani degli anni '50, una testimonianza finalmente valida e fatalmente effimera di come poter dare nuovi stimoli alla vituperata melodia nostrana. Scorrendo la classifica iridata, come da programma alcune delle proposte più deludenti si prendono le prima metà della stessa. A cominiciare da Marcella, che resta tuttavia la prima donna del Festival (Romina a parte), con il suo sesto posto e Tanti auguri. Canzone che parte con una premessa da gospel e cade di schianto sotto atmosfere natalizie, nonostante il titolo si riferisca a un amaro saluto rivolto da una lei alla sua vecchia fiamma e alla nuova compagna di costui (un umorismo involontario?), cosa che non impedirà a molti radiodipendenti di sceglierla come canzone da dedicare al proprio amato. Marcella dunque col pollice verso, ma c'è di peggio. Ecco infatti i Ricchi e Poveri con la quarta proposta cutugnesca Canzone d'amore, vera e propria concentrazione di ammiccamenti e banalità, una marcetta di una orecchiabilità a tratti stomachevole, che i tre damerini intonano in pieno… trionfo del tronfio, dalla brunetta che apre con un'intro a dir poco ridicola, un Angelo che gongola e gorgheggia su una base bombata al massimo, e il baffo Franco che si sforza di non stonare e finisce poi per fare da sostegno esclamando "canzone" in battere mentre il ritornello intona in levare. Disgustosarama, al pari dell'ineffabile Christian con una Aria e musica che spiazza tutti riuscendo a proporsi esattamente come ha sempre fatto, e arrivando a stupire chi pensava che non sarebbe stato possibile dare un seguito alle sue precedenti esibizioni: "Io non vivo senza te / senza l'amore… ed io prima sempre insicuro / io un uomo vero": che dire di più?. Per fortuna che di (ver)gogne ce ne sono volute poche. Chi invece si tiene a livelli di sostanza equidistanti dalla carne e dal pesce, sono: Lena Biolcati, Nuova Proposta assurta per diritto di vincita, che denota una voce importante ma la usa in una canzone Vita mia che fa la figura di un Cristiano che canti con il supporto di un Cyrano, in questo caso l'autore Facchinetti, da sempre indulgente verso la celebrazione dell'io, specie se io artistico. Poco costrutto anche per Flavia Fortunato, che si rifugia nello strappalacrime con Canto per te ma non riesce davvero a diventare una cantante di spessore (non si va oltre una bella metafora inclusa nel testo: "una chitarra senza Mi"). Così così anche per Scialpi che non toglie i camperos né appende il chiodo al chiodo, però si dimentica della sua indole rock per inneggiare a una gioventù tutt'altro che bruciata (forse solo lambita da un accendino) in un trionfo dell'edonismo da riflusso, risultando piuttosto inadeguato con una Bella età ("basta un disco una bibita in fresco e una moto che va", sarà!) che cantata da un coetaneo suona piuttosto dissonante. Non lascia tracce il ritorno delle Orme, che si rifugiano nei meandri di un pop poco brillante e poco profondo al punto da far apparire la pur dignitosa Dimmi che cos'è come un canto del cigno di ciò che è stato. In costante ricerca ma con la conseguente alea di delusione, il prode Mario Castelnuovo, che unisce sacro e profano con Madonna di Venere, quadro medievale che inneggia all'immortalità di certi archetipi artistici in una canzone godibile ma qua e là fuori sink. Il flop involontario lo compie invece Patty Pravo, che fa la sua figura con Pigramente signora, pezzo che le calza a pennello, un vestito elegante che si scopre però preso da uno scampolo usato, essendo la melodia copiata di peso da una canzone inglese di un gruppo misconosciuto al grande pubblico, vanificando così un bel testo dal sapore autobiografico. Nel limbo del "potrei ma non voglio" due personaggi dalla differente connotazione: Tony Esposito che ripropone un sequel di "Kalimba de luna" (hit esivo di tre anni prima) e si limita a una ventata di suoni nuovi e percussioni originali con questa cartolina egizia (Sinuè) supportata come sempre dai suoi strumenti e dalla voce solista di Gianluigi Di Franco. Luca Barbarossa invece dopo i fasti dell'anno prima si accontenta di una metafora tra vita e videotape con questa Come dentro un film che paga dazio alle scelte e alle regole legate al pezzo facile facile, quando la stessa estate vincerà Saint-Vicent con una piccola gemma intimista intitolata "Roberto". Risalendo la china, ecco anche le trovate felici targate Sanremo 1987, da affiancare ai già citati Leali e Di Capri: a cominciare dalla maglia nera Nada con un suadente quanto difficile Bolero, denso di magia e di quel gusto del sofisticato che animerà l'ex pulcino di Gabro nella sua seconda metà della carriera. Continuando con Nino Buonocore, raffinato chitarrista di scuola jazz dalla erre moscia che scalda i cuori con una Rosanna di stampo internazionale (è il nome della moglie), che anche a una semplice associazione mentale, non stona affatto con l'onomima canzone pop dei Toto. E poi l'esordio sanremese di Sergio Caputo, paladino del jazz, del country colto e dell'esotico di classe, alle prese con un delizioso mambo che ridisegna con fare fumettistico e sotto una visuale innovativa l'eroe dei due mondi, che Caputo ci restituisce in una dimensione umana. Ed ecco che Il Garibaldi innamorato, oltre che un pezzo freschissimo, diventa un'operazione di scomposizione dell'immaginario collettivo, spostando la figura dell'eroe risorgimentale a quella di fedele marito di Anita, appiattendo volutamente il carisma militaresco del generale nizzardo, nell'ottica di un Caputo che (da genio quale egli è) non ha mai dato per scontato nessun modello né musicale né letterario. È una buona annata anche per Mango, che si conferma in grande forma, anche senza bissare il successo discografico dell'anno prima con questa eterea e suggestiva Dal cuore in poi, che saprà tuttavia spianare il terreno per la sua estate dalle uova d'oro (quella di "Bella d'estate" e l'album dal profetico titolo "Adesso"). Bene anche Eduardo De Crescenzo con L'odore del mare, felice connubio tra melodia partenopea ed echi di fumoso blues, così come la bella Dori Ghezzi, che si conferma a livelli da vera signora della canzone con E non si finisce mai, innalzando a livelli elevati un pezzo sull'amore interiore che, con altre corde vocali, rischiava di perdersi nel limbo di un accademico omaggio alle voci nere. Le presenze femminili di spicco non mancano: Rossana Casale propone la bellissima Destino della coppia Morra & Fabrizio, riflessione in chiave laica sulle tematiche escatologiche, situazione jazz dalla spiccata componente melodica e supportata da una voce degna della migliore Halliday. Chiude la sfilata una certa Fiorella Mannoia, premio della critica con ciò che è il suo cavallo di battaglia: Quello che le donne non dicono premia la sua personalità, ormai a un passo dalla consacrazione, e la vena dell'autore Enrico Ruggeri, che insieme al fido Luigi Schiavone firma questa acuta dissertazione (ancora più profonda se si pensa che l'ha scritta un uomo) su ciò che le donne serbano dentro di sé sin dal primo giorno in cui affrontano il dilemma della loro sessualità, o anche solo della loro femminilità, e la rapportano all'altra metà del cielo, gli uomini che senza colpe, anzi proprio per cause naturali, non sanno leggere nel loro cuore, e forse sarebbero lieti di poterlo fare, offrendo a queste parole il compito almeno di dare un'idea: "Siamo così / è difficile spiegare certe giornate amare / lascia stare / tanto ci potrai trovare qui". Un pezzo del genere salva da solo un Festival: ha invece fatto da spumante su una torta tutto sommato gustosa.
NUOVE PROPOSTE Nuove Proposte crescono, nel senso che le industrie investono sempre più nei virgulti, offrendo loro l'occasione per mettersi in mostra, non solo perché li mandano a Sanremo, ma perché li vestono di suoni che possono non passare inosservati. Questa è la tendenza della quarta edizione giovani, positiva aldilà del valore dei singoli. A cominciare dai nonfinalisti, dove le eliminazioni di dubbio gusto sembrano essere soltanti un paio. Per la seconda volta Paola Turci non raggiunge le finali. Se "L'uomo di ieri" era sembrata retrò, questa Primo tango lo è davvero e di più. Una cocciuta coerenza artistica che fa onore alla cantautrice romana che qualche anno dopo riuscirà ad affermarsi come voce pop e a dimostrare che nulla è stato vano, neanche questo inizio raffinato che la fa apprezzare dalla critica. Il pezzo non è certo immediato, ma sa distinguersi, in virtù della connotazione esotica data dal ballo argentino, accennato nell'arrangiamento. L'altra esclusione riguarda Alessandro Bono, cantautore senza grandi picchi che almeno quest'anno esordisce con un audace pezzo che sembra proporre nuove letture del rock italiano, almeno così traspare da questa Nel mio profondo fondo. Il rock paradossalmente fa e farà fatica ad imporsi proprio nell'ambito a prima vista più congeniale, quale quello di una categoria giovani. Infatti se ne vanno a casa altri figliocci del genere, da tale Charlie Deanesi, vagamente blues in Stringimi le mani, Berger, sfacciatamente country in Non cadere mai in ginocchio, Teo, che prova a far leva sull'ironia demenziale ma cicca clamorosamente con questa Ma che bella storia (che narra di un appuntamento galante rovinato da un felino con conseguente ritornello: "ma chi GATTO me l'ha fatto fare", e nessuno si mise a ridere!), e Umberto Marzotto, fratello della famosa Marta, che almeno ha il coraggio della sincerità ma si parla addosso in questa Conta chi canta, riflessione sui pro e contro di chi deve farsi valere portandosi il fardello di un cognome (idea originale, male supportata dalla musica e dall'arrangiamento); e per finire il bis del duo Chiari e Forti, finalisti l'anno prima ma non quest'anno dove fanno un passo indietro con Campi d'atterraggio e difatti atterrano definitivamente. Parente alla Turci è l'esclusione di Paolo Scheriani, artista talmente fuori dai cliché al punto da sembrare di averlo fatto scientamente, la sua L'esteta è di livello superiore, forse anche inadeguato per Sanremo (anche se così non dovrebbe essere, ma tant'è). Largo dunque ai finalisti, tutti accomunati da suoni molto più adatti al primo ascolto. A cominciare dagli esponenti pop: Ricky Palazzolo, primo emulo di Ramazzotti in ordine cronologico, rende omaggio alla British Invasion con In volo nel futuro, un tappeto di tastiere su una base ritmata e parole di idealistico ottimismo; Miki, medaglia d'argento con un buon pop intitolato Straniero e interpretato con il piglio di un veterano; Claudio Patti (bocciato nel 1985) che tenta la via del new-romantic con ma senza averne le capacità, anzi avvicinandosi al timbro vocale di Mario Castelnuovo con questa La forza della mente, dal retrogusto retrodatato. Otto finalisti complessivamente eterogenei: oltre al ritmo c'è la melodia. Al terzo posto si classificano i Future, giovane pop band con tanto di voce femminile e con un tardivo parto in stile anni 70 (con una frase che sembra scopiazzata dalla canzone che vinse nel 1976), il cui titolo Briciole di pane fa ricorso alla fiaba di Pollicino e rende ancora meno credibile il loro biglietto da visita (si chiamano "futuro"), al punto da avere come solo elemento catalizzatore l'idea di Pippo Baudo di ribattezzare il loro nome pronunciandolo non all'inglese "fiuciur" ma all'italiana, forse in quanto romani. C'è melodia e melodia: ecco infatti una bella voce femminile, tale Andrea Mirò che arriva quarta con un suggestivo quadro dal sapore classicheggiante Notte di Praga, che denota la personalità di un'artista che cavalca anche lei l'onda di un pop raffinato al femminile (portato non solo dalla Turci, ma dalla De Sio, la Di Michele, la Casale…) e che nel 2002 farà da direttrice d'orchestra a Enrico Ruggeri. Un caso a parte è Enrico Cifiello con Un bacio alla mia età: si tratta infatti di un dodicenne salernitano dalla voce già impostata e pronto per questo jazz non disprezzabile banalizzato da una tematica che insiste proprio sui suoi anni, salvo poi giocare a fare l'adulto ("dammi tutto l'amore che puoi"), della serie: dalla voce non si direbbe che non è neanche un teenager, ma provvediamo subito a metterlo in evidenza. Episodio isolato ma in fondo neutro, le giurie non cadono nel tranello di un premio sull'anagrafe che sarebbe stato eccessivo (ma ci cascheranno gli anni seguenti tra Pausini, Gazosa, Tatangelo…). Infatti non si può dire che sia tanto giovane il Giovane che vince la categoria: Michele Zarrillo, delle cui qualità nessuno discute, approfitta di un regolamento non ancora perfezionato che gli permette di accedere tra le Nuove Proposte soltanto perché non è ancora Big. Il cantautore romano, non solo ha partecipato a Sanremo nel 1981 (finalista) e 1982 (eliminato), ma vanta una gavetta in uno dei gruppi di rock progressivo più all'avanguardia nel genere, il Rovescio della Medaglia attivo nella prima metà degli anni 70, e che aveva anche fatto da voce solista al progetto Semiramis (stesso genere) pubblicando un solo disco che tuttavia è tenuto da conto tra i cultori e non ha nulla da invidiare ai lavori di Banco, Orme, PFM. L'eliminazione patita con "Una rosa blu" riuscirà a farlo sparire per qualche anno e a tornare come nuovo. Dunque La notte dei pensieri mette in risalto in modo cristallino la sua esperienza, e in virtù di questa si impone. Motivo che ripropone i suoni dell'organo Hammond (quelli alla Procol Harum) e si fa largo con una interpretazione maiuscola e un testo ben studiato, più evocativo che narrativo, che affronta il tema amoroso da un'angolazione inconsueta, non a caso "notturna". Comunque una bella canzone, e una edizione delle Nuove Proposte che promette bene per il prosieguo, (e invece manterrà malissimo l'anno seguente), come dimostra anche l'esordio dell'ultima artista non ancora citata. Mariella Nava, tarantina classe 1963, dopo aver mandato un nastro a Morandi per farle ascoltare una struggente canzone che Gianni inciderà, ed essersi diplomata in composizione, viene prodotta dal team della Rca capitanato da Antonio Coggio (coautore con Baglioni). La sua prima creatura a vedere la luce è questa Fai piano, titolo che sembra un manifesto programmatico di chi si è sempre distinta oltre che per le sue doti di autrice anche per la sua umiltà e il suo continuo mettersi in discussione e mai pavoneggiarsi dei complimenti. Il titolo invece è solo l'inizio di una accorata preghiera rivolta, col pensiero più che con le parole, all'amato che sta per cogliere il fiore della sua verginità, perché nulla vada sprecato o speso con eccessivo pathos, di questo momento sospeso nel tempo, che lei comunque intende vivere pienamente e in assoluta libertà. Un biglietto da visita di inestimabile valore, per una cantautrice che oltre a tracciare un nuovo sentiero nel filone melodico della musica d'autore, si impone come autrice di testi di grande talento e dall'audacia che poche colleghe (nella già ristretta cerchia al femminile) prima d'ora aveva mostrato. Chi avrebbe pensato per esempio a un verso come "umida bambina" o una canzone come "Dentro di me" che sarà censurata dalla Rai? Mariella raggiunge il lotto delle finaliste e tra queste si piazza ultima. Leggendo tra le righe, l'esito migliore per dimostrare il valore della sua personalità artistica.
GRADUATORIA PERSONALE: 1) Quello che le donne non dicono 2) Il sognatore 3) Il Garibaldi innamorato Nuove Proposte 1) Fai piano 2) La notte dei pensieri 3) Notte di Praga
SHIT SANREMO:
FRASE DELL'ANNO:
PERLE DI SAGGEZZA: MARIO BONATTI
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