1988: Perdere la linea
di Mario Bonatti


L'edizione n. 38 è ricca di spunti e di canzoni in gara, un piatto davvero ricco, anche per quanto concerne le solite brutture, storture e sbavature che favoriranno l'ingresso dell'anno seguente del nuovo patron Aragozzini, una specie di insetticida spruzzato sopra un torta per cacciare le mosche. Un Festival in dieta ingrassante, che comincerà a farsi ridondante e pieno di proposte inutili. Ma ne parleremo a tempo debito.

Nel frattempo l'attenzione di questa edizione è catalizzata dal mitico Processo al Festival, versione festivaliera del "Processo del Lunedì", che allora andava in onda sui Rai Tre, come sempre condotto da pennarossa Aldo Biscardi. In una edizione congegnata con tutti i crismi, le conduzioni di Miguel Bosé e Gabriella Carlucci e gli interventi non ancora al vetriolo di Beppe Grillo, la kermesse del venerdì, con i cantanti che occupano il posto abitualmente riservato a calciatori e allenatori è una pagina infausta delle televisione su cui vale la pena soffermarsi, prima di analizzare le canzoni in gara.

Innanzitutto anche gli anni passati c'era stato un tentativo simile di radunare i partecipanti e metterli sotto torchio, tipo una domanda ciascuno da un giornalista diverso. Nel 1987 la rassegna si era colpevolmente protratta per l'intera serata fino a relegare le Nuove Proposte dalle 24 in poi (una vera vergogna!). Ma l'appuntamento del 1988 faceva in modo che l'intera serata fosse consacrata al dibattito, intervallandolo con contributi filmati che ricordavano i ritornelli delle canzoni in gara. Il risultato è stato un disastro totale: i giornalisti sembravano belve a digiuno da diversi giorni, pronte a sbranarsi sopra il primo brandello di carne. La formula del Processo, che allora ricalcava ancora i canoni di una istruttoria, ha addirittura un presidente di giuria quale l'allora ministro del Turismo e dello Spettacolo Franco Carraro, il quale alla fine decreterà una sentenza davvero spiazzante: cioè che deve stabilire il pubblico degli acquirenti di dischi se e quali canzoni sono belle. La notizia vera viene invece dalla postilla aggiunta dal Ministro: "è il caso di rivedere anche la formula del Processo", con sommo sconforto del Biscardi nazionale che nella sua miopia di giornalista sportivo e solo quello, mai avrebbe prventivato un finale da riunione di condominio. In parole povere era successo che gli addetti contestavano, tanto per cambiare, la qualità complessiva delle canzoni in gara (che invero si era abbassata rispetto all'anno precedente) e uscendo sempre dallo specifico, suscitando risposte risentite, fino a quando uno dei partecipanti, Francesco Nuti, che di professione è attore, sentendosi giustamente trascurato, decide di alzarsi e andarsene via. Dopo alcuni minuti, Luca Barbarossa (rivelazione dell'anno e accusato per il contenuto della sua canzone) dichiara che era stato invitato a cena dallo stesso Nuti, e trova la scusa per raggiungerlo. Dopo alcuni minuti, il critico di turno sostiene che la lista dei partecipanti è eccessiva e andrebbe sfoltita. Detto, fatto: più della metà dei cantanti (i più giovani) lascia il palcoscenico tra lo stupore degli astanti.

Quei pochi (con Ranieri in testa che tiene banco ma almeno con dignità) rimangono a parlare, arrivando quasi a flirtare con i giornalisti senza dimenticare di infilare nel discorso il titolo del proprio pezzo in gara, tanto per rinfrescare la memoria, in uno scenario postbellum di sedie vuote e sparpagliate davanti alla "giuria" del processo. In prinicipio fu Biscardi, poi venne il Dopofestival: ma spero nessuno si offenda se, al momento opportuno, non se ne farà menzione.


BIG
Dicevamo del Festival n. 38, il quinto targato Totip. I Big sono aumentati da 24 a 26, la melassa anche, i cantanti in gara, chi più chi meno, fanno leva sulla lacrimuccia e sulla melodia di impatto emotivo, aumentando notevolmente la percentuale di glucosio. Il vincitore è abbastanza annunciato e comunque non demerita. In fondo Massimo Ranieri con Perdere l'amore sfoggia una esecuzione da par suo, magari a tratti sopra le righe ma perfettamente in sintonia con il suo stile. È un ritorno dopo diversi anni di assenza dal mondo del disco, giocato su una melodia firmata dal sensibile Giampiero Artegiani in coppia con Marcello Marrocchi. Canzone su un fallimento affettivo in età matura, drammone a tinte fosche che sa dove arrivare, canzone che non potrà soddisfare tutti i palati, ma almeno ha una voce su cui contare e un acuto finale che da solo è in grado di far vincere un Festival.

Se non altro Ranieri è un artista assente da tempo, laddove il secondo posto è di nuovo firmato Toto Cutugno, che tuttavia non sfigura del tutto con questa Emozioni (dedicata alla moglie): a parte il titolo che ha un precedente che forse non andava scomodato, è una sobria canzone sospesa tra un tappeto di pianoforte e un pieno orchestrale. Forse il Toto, quando non si sbrodola col nazionalpopolare, trova anche soluzioni accettabili, sebbene la sua onnipresenza sia di per sé fastidiosa, considerando anche i suoi crimini perpetrati da autore.

La sorpresa viene dal terzo posto firmato Luca Barbarossa: non sapremo mai da chi e da cosa sia nata l'idea di cambiare all'ultimo momento la canzone da presentare: invece della scanzonata "Quartiere" ecco L'amore rubato, che parla di stupro quasi senza mezzi termini. A parte la scelta (che fa parlare, eccome) di presentarla a Sanremo, è un pezzo sincero di un Barbarossa maturo che raccoglie i frutti della sua lunga gavetta (arriverà al primo posto nella classifiche con il relativo album). Bella la melodia, di gran respiro melodico, che fonde pop e romanità come ci aveva abituato anche anni prima, le parole ogni tanto cadono nel banale (la ragazza presa e lasciata sull'erba) e nella carenza di verosimiglianza (il discorso diretto del violentatore messo in rima), ma la morale finale di lei che tuttavia continua a sognare un amore autentico e consenziente in fondo non stona in un bailamme di canzoni sentimentali tutte uguali tra loro.

Questo il podio, il resto della graduatoria è pleonastico, a parte l'ennesima affermazione femminile di Marcella che si piazza al quarto posto nonostante un'altra prova luci e ombre: (Dopo la tempesta si ispira spudoratamente a "No woman no cry" di Marley e non spicca per originalità in una sorta di "Montagne verdi" quindici anni dopo).

Non ci resta dunque che tracciare una bella riga in mezzo alla lavagna e segnare i buoni e i cattivi, ma non scriveremo la solita Flavia Fortunato come sempre né di qua né di là con Una bella canzone che in parte resta fedele al titolo ma è solo un onesto tentativo di tenere il passo delle altre signore della canzone più o meno in erba. Qualche buona canzone, ma le insufficienze viaggiano intorno a un ideale 2 meno meno.

Mattatore è Umberto Balsamo che non canta ma scrive due pezzi che si aggiungono a quelli dati in passato alla Zanicchi e alla Berti. Che dire di Italia di Mino Reitano? E' talmente brutta da oltrepassare la cortina del cattivo gusto e diventare sublime. Se non fosse perché la canta uno che ci crede, cioè Mino Reitano, penseremmo che si tratti di una parodia. Invece sembrerebbe di no. Un inno patriottico messo su marcia militare trova l'unica voce con la faccia di bronzo adatta per intonarla. Le strofe sono un riempitivo (pieno di frasi senza senso davanti al quale non si può non sghignazzare) per arrivare al più tronfio dei ritornelli. In 50 edizioni di Sanremo non se ne trova una peggiore.

L'autore siciliano (che pure qualcosa di buono aveva fatto per sé negli anni 70), ha però in serbo un'altra chicca per i Ricchi e Poveri, Nascera Gesù, presa di posizione contro l'ingegneria genetica, argomento d'attualità la cui denuncia è affidata così a un terzetto solitamente molto disimpegnato, che ne parlano come se avessero costituito un apposito comitato o come se il fenomeno fosse diffuso al punto di concepire in questo modo un bimbo sì, e come se non bastasse ecco un irrivente e contradditorio accostamento a Dio, della serie: che vi credete di essere come il Creatore che mettete al mondo dal nulla (?), salvo poi abusare del paragone per dire, con improvvisa ironia: allora saremo tutti come Gesù, che è nato senza essere concepito come gli altri essere umani. E che dire dell'incipit: "Stan cambiando il mondo, ma che stupidi". Da rabbrividire, o se preferite uno schifo e basta.

Gli altri flop al confronto stanno molti gradini in basso. Ma ce ne sono, e di clamorosi: a partire da Anna Oxa che la lacrimuccia se la fa uscire davvero alla fine di Quando nasce un amore, sguaiata serenata all'amato satura di sdolcinate parole, tappeto di tastiere con ripresa trita e ritrita e violini come se piovesse e cascata di campanelli finale.

Annataccia anche per Fiordaliso che si affida anche lei a Cutugno e diventa irriconoscibile rispetto al passato sanremese: Per noi è un macigno scagliato con forza dal terzo piano, che la cantante piacentina canta senza lesinare altisonanti gorgheggi.

Ma i colpi bassi vengono anche da Raf, il fenomeno pop del 1984 da poco assurto alla canzone italiana (esordio con Tozzi in "Gente di mare" l'anno prima). Il singolo scelto per il primo album in madrelingua è di una pesantezza indicibile. Inevitabile follia si trascina tra fastidiose rime in "...ia" (mancava solo "mia zia") e una contorta serie di ipotesi sullo stare o non stare insieme, affossando del tutto un blues già abbastanza noioso nelle premesse.

Non incide il buon Peppino Di Capri con una inconsistente Nun chiagnere (strofa in italiano, ritornello in dialetto), che rimesta alla rinfusa sia il suo stile da night, sia il suo marchio di fabbrica partenopeo.

Freccia in basso anche per i Matia Bazar con La prima stella della sera: francamente dalla voce della Ruggiero ci si aspetta meglio di un rap che lancia una melodia stantia.

Ma non fa meglio Loredana Berté con un pezzo di Tony Cicco Io (stile inconfondibile con quei cori corrivi), molto ritmato ma nulla più, una situazione non melodica riesce ad evitare il melenso ma non la banalità.

Un paio di proposte restano a metà strada: a cominciare da Drupi, con una Era bella davvero che sfoggia ampio respiro r&b, ma senza toccare vette elevate, legata probabilmente a una scommessa di Drupi che si presenta con i blue jeans e la marsina in pieno trionfo del kitch.

Quindi Alan Sorrenti, ultimo della graduatoria, ormai teso verso un nuovo percorso artistico, e a soluzioni non immediate, e non viene capito a fondo con questa dance traversale di impronta orientale Come per miracolo.

Mezza delusione per Zarrillo, promosso a Big, che ritrova tra gli autori il suo ex-compagno di band Giampiero Artegiani (insieme nei Semiramis) ma si fa contagiare anche lui dalla melodia facile con questa Come un giorno di sole alla quale manca qualcosa che la faccia rimanere impressa, e sicuramente non ha né parole né un tema freschissimi.

Il ritorno dei New Trolls, ridotti a tre elementi, non fa che alimentare il ricordo della band che erano. Cielo chiaro è un inno al volo leggero, giocato con un discreto impasto vocale e la suadente voce guida di De Scalzi, ma il ricorso ai suoni elettronici, un tantino esasperati, lascia l'amaro in bocca.

Le ultime perplessità arrivano dall'esordio di Franco Califano. Io (per le strade di quartiere) (parentesi aggiunta a causa dell'omonimia con la Berté) vuole apparire come autobiografica, ma non è sua. Indovinate di chi è: sì, di Cutugno, e la sensazione è che Califano la canti più per onorare il contratto che per passione (infatti non c'è stata mai una vera collaborazione con Toto). "Io con un penale tutto da pulire" è un verso quantomeno azzardato viste le noie avute da Califano con la magistratura, anche se poi il punto d'arrivo è il coronamento degli affetti che fa mettere la testa a posto allo scapestrato di turno. Canzone molto bene confezionata, ma per questo priva di quello slancio che il cantautore romano sa mettere solitamente nelle sue canzoni, complici anche alcune inconfondibili e manierate tracce dello stile Cutugno.

Di proposte degne di nota ne restano dunque meno della metà, tra queste il massimo dei voti è appannaggio della sola Mannoia. Le notti di maggio vale non solo il premio della critica ma anche la sua definitiva consacrazione a signora della canzone d'autore. Una canzone di un Fossati più ispirato che mai, ricorda il tema e la vitalità espressa anni prima da Mia Martini in "E non finisce mica il cielo". Il risultato è di una suggestione in grado di nobilitare un Festival così pieno di quanto sopra citato. Oltre al fascino della rossa Fiorella, le restanti proposte di buon livello si contano sulle dita delle mani.

La nota di colore si chiama Figli di Bubba, la cui canzone Nella valle dei Timbales va lodata non tanto per la sua effettiva riuscita quanto per il coraggio di proporla. Molti contestarono il fatto che un gruppo appena nato entrasse subito nella categoria dei Big: ma in effetti i due leader ne avevano pieno titolo, trattandosi dei due capostipiti della più grande formazione rock italiana, la Premiata Forneria Marconi. Sarebbe interessante incontrare di persona i signori Franz Di Cioccio e Mauro Pagani (proprio lui che due anni dopo lavorerà con De André per l'album "Le nuvole"), per capire cosa gli abbia spinti a radunare con loro sei comici televisivi e attorucoli di seconda mano (tra cui Enzo Braschi ex-paninaro e il bravo Sergio Vastano) per canticchiare una canzoncina ironica demenziale dove si auspica una fuga dal logorio della italica vita moderna a favore di una improbabile isola dove abbonda l'ozio "tra peones, salmones, marones, daiquiri e bonbons" e dove "la femmina è procace mordace sagace fugace capace". Resta tuttavia uno spicchio di spettacolo nello spettacolo la loro esibizione e una provocazione divertente di come a volte il disimpegno si possa fare con un pizzico di "grano salis": inoltre la canzone si avvalse di una bella parolaccetta (che a Sanremo è sempre cosa molto ardita), laddove al posto di "Saluti all'esclusiva, saluti alla TV", nella serata finale (ma anche nel disco) si dice un sonoro "'Fanculo" (alla TV, mica male come provocazione!), il bello è che anche nei testi pubblicati su Sorrisi non c'era traccia di questo epiteto.

A proposito di ritmo, bisogna menzionare il vero vincitore morale e discografico, Tullio De Piscopo, con un passato sanremese di batterista turnista, che porta una bella ventata di rtimo latino. Andamento lento, canzone semplice e senza pretese, diventerà il suo cespite principale per le royalties, coronamento di un artista completo che cresciuto negli angusti meandri del jazz rock ha apportato sempre suoni nuovi alla nostra musica, oltre alle sue doti funamboliche e virtuosistiche con lo strumento cardine del ritmo.

Altra nota positiva arriva da Fausto Leali, che affidandosi al suo team di autori (tra cui Fasano e Berlincioni, non sempre impeccabili sotto il profilo qaualitativo, vedi anno seguente) conferma la sua seconda giovinezza con Mi manchi, canzone da manuale in perfetto stile nightclub, meritandosi il quinto posto finale.

Anche Ron fa la sua figura, con un motivo non immediato che diventerà man mano un suo classico: in fondo Il mondo avrà una grande anima, riassume idealmente il suo primo periodo artistico, sospeso tra quadri espressionisti e pennellate di utopie sintomo di una sua sincera vena poetica che si è affrancata gradualmente da quella del suo maestro Dalla divenendo più naif e meno viscerale, Ron che quest'anno tiene a battesimo Biagio Antonacci.

Altre note liete arrivano neanche a dirlo dalle posizioni di coda. Nino Buonocore propone un'altra bella canzone, forse a tratti corriva, ma comunque apportatrice di un po' di musica di un certo livello. Delicato l'arpeggio che si snoda durante la durata di questa Le tue chiavi non so, misto di samba e jazz forse deboluccia nel testo ma più che apprezzabile all'ascolto.

E poi ci sono i Denovo, che l'anno prima avevano preso parte a una rassegna parallela su gruppi emergenti (vinta da sconosciuti e irriconoscibili Avion Travel) e quest'anno, dopo un discreto riscontro di critica e di passaggi radiofonici con l'album "Persuasioni", sfiorano la prestazione da migliori in campo con Ma che idea, uno squisito melange di jazz e blues, impreziosito da una tromba in pieno stile Herp Albert da pelle d'oca, senza disdegnare la scelta di un testo per nulla banale che risente di un clima culturale molto fiorente nella loro Sicilia, un habitat che saprà creare poi personaggi come Gerardina Trovato e Carmen Consoli, quest'ultima assidua collaboratrice dei due leader dei Denovo, Luca Madonia e Mario Venuti, valenti musicisti. E parafrasando così in dialetto romano: de… novo non c'è altro.

Va segnalata la partecipazione davvero straordinaria del comico toscano Francesco Nuti, che ottiene di partecipare con una delicata serenata scritta da suo cugino e cantata con la spensieratezza di un adolescente timido e innamorato che pensa a un amore ancora da venire ("ma adesso vieni fuori che io mica ti conosco / oppure lascia stare che mi sembra ancora presto"), senza grosse qualità vocali, una voce nasale, e le inflessioni del suo dialetto, ma per questo molto sincera e appassionata. Sarà per te sarà cantata e nobilitata qualche anno dopo dalla voce di Mina che ne farà un bel gioiellino blues.


NUOVE PROPOSTE
Nuove proposte e vecchi malcostumi; cambia il regolamento, e non fa che esasperare maggiormente la scelta del cattivo gusto. I sedici giovani vengono prima ridotti a otto, da otto ne restano quattro, in modo che le eliminazioni scandalo si verificano a due riprese. Tra le quattro finaliste, l'unica canzone accettabile finisce quarta. Complimenti! Molti big scrivono e producono molti di questi giovani, ma le giurie daranno modo di non accorgersene.

Vincono i romani Future con una irritante Canta con noi la cui patina di sentimentalismo che riprende ideali ammuffiti ha l'effetto delle unghie sulle lavagna: sembrava presa dalla colonna sonora di un "Viva la gente" edizione per teenager.

Il secondo posto puzza di raccomandazione lontano un miglio: Stefano Palatresi (futuro pianista al servizio della Rai), cantante night in smoking e sorriso d'ordinanza, sbanca con una canzone swingata di quel Claudio Mattone che, solo per aver scritto "Ancora" di De Crescenzo, si crede adesso un grande autore e si concede con una debolissima canzone d'atmosfera Una carezza d'aiuto fin troppo manierata nel suo stile.

Dio ce ne scampi e liberi dal terzo posto firmato Lijao, altri paladini che senza volerlo hanno preso l'eredità di Luis Miguel (ragazzi di oggi belli e puliti) e credono di poterla contrabbandare aggiungendo qualche chitarra pop. Per noi giovani si presenta come triste espressione di un ramazzottismo di provincia: che dire di versi come "Dai ragazza che sei sola mettiti con me" e del coro all'unisono a simbolizzare la folta carovana degli adolescenti?

Meritava davvero di più Miki: il rocker sassarese (Porru all'anagrafe) almeno ha una personalità da vendere, e la sua ballad Ogni tanto si sogna, (che fa pendant con la proposta dell'anno prima) appare ben articolata nel suo dosare ispirazione e idee proprie, con un modello vocale che non scimmiotta nessuno dei divi del momento.

Quarto lui, ma eliminati ben altri nomi, che a leggerli adesso non si può non rimanere almeno costernati. Tra le eliminazioni eccellenti prima fra tutte Mariella Nava con Uno spiraglio al cuore pezzo difficile ma di indubbio fascino, che risalta la capacità della autrice tarantina di preferire la via della qualità, grazie al suo suono nuovo e acustico e la sua vena poetica che saprà affascinare il mondo della musica che conta (sentite questa: "magari sbaglia / grida un altro nome / nome che adesso mi torna in mente / come un brodo scaldato / e che non sa di niente").

Fuori anche l'esordiente Mietta, che saprà rifarsi l'anno seguente, e infatti dovrà dare la colpa alla canzone Sogno del solito Mattone, un tango immediato ma non abbastanza per portare sugli scudi la sua calda voce.

Fuori un altro debuttante, Biagio Antonacci: Voglio vivere in un attimo non è la sua canzone migliore, ma neanche la peggiore, e vale come degno capitolo primo della sua opera, che sull'esordio gioca su una melodia accattivante dal sapore jazz, forse troppo elaborata e poco istintiva per colpire questa sottospecie di giurie.

Fuori anche Paola Turci, abbonata all'eliminazione, che assapora la finale passando tra le prime otto, ma poi va comunque fuori per il terzo anno di seguito, facendo comunque una dignitosa figura con questa notturna Sarò bellissima, molto raffinata e originale, con un refrain coinvolgente interpretato con un'eleganza fuori dal comune: per il terzo anno consecutivo è premio della Critica nella categoria, scusate se poco).

Altri interpreti meritavano maggiore attenzione: da Bungaro (al secolo Antonio Calò) con una estrosa Sarà forte, (autore eclettico e dalle idee chiare) a Stefania LaFauci (prodotta da Marco Armani) che fa la sua discreta figura con Se fosse vero (pezzo elegante che passa il primo turno), a Stefano Ruffini (prodotto da Grazia Di Michele) che sfoggia una voce possente e limpida e un pezzo di forte impatto emotivo: Canto bolero forse giunge con qualche anno di anticipo rispetto alla moda che lancerà Bocelli delle romanze in canzone. Anche per lui semifinali, ma è una magra consolazione.

Altra esclusa è Andrea Mirò, quarta l'anno prima, che canta un pezzo etereo di Mango, con echi esotici dal contorno onirico. Non è segreto è un'altra vittima delle giurie. E naturalmente, in questo clima, non poteva subire sorte diversa una canzone cantata in dialetto cagliaritano: Mama è una canzone contro le guerre tra clan rivali interpretata dagli Ice e scritta da Piero Marras, il maggiore esponente della musica folk sarda, un pezzo pop bellissimo, con un impasto vocale molto gradevole e una partitura di tutto rispetto. Troppo lusso, forse.

Una graduatoria da leggere dunque al contrario rispetto ai risultati finali. Rimangono giusto alcune defezioni buone e giuste, da un inconsistente Fabio De Rossi, cantautore romano che si copre di ridicolo con una canzone sulla droga che poteva andare dieci anni prima (L'ultima bugia che sarebbe quella di chi dice che si buca per l'ultima volta e poi lo fa lo stesso, patetico!), a Giorgia Fiorio, la bufala degli anni '80, che si fa chiamare solo col suo nome (quando ancora non c'era la Todrani) ed esce definitivamente di scena proprio con il meno malvagio e meno pacchiano dei suoi pezzi Io con te, e per finire Tania Tedesco, fin troppo considerata essendo passata al secondo turno con La notte delle favole ("e la favola sei tu" brrrr). La pupa è prodotta dalla brunetta dei Ricchi e Poveri, e come referenza è più che sufficiente, oltre al pezzo melenso degno di Holly & Hobby o della serie "love is…". Lei ha cantato due volte sul palco dell'Ariston: Nava e Antonacci una, ma anni dopo giustizia sarà fatta. Non dalle giurie.


GRADUATORIA PERSONALE:
1) Le notti di maggio
2) Ma che idea
3) Andamento lento
Nuove Proposte
1) Mama
2) Canto bolero
3) Uno spiraglio al cuore

SHIT SANREMO:
1) Italia
2) Nascerà Gesù
3) Quando nasce un amore

FRASE DELL'ANNO:
"Ma in questa notte di maggio che cosa può bastare /
se non una canzone per farsi ricordare da te?"<
(da "Notti di Maggio", Fiorella Mannoia)

PERLE DI SAGGEZZA:
"Poi mi viene l'emozione / per Firenze che sta là /per Venezia che si muove / e l'eterna Roma è qua"
(da "Italia", Mino Reitano)

MARIO BONATTI

Continua...