di Mario Bonatti
Ancora più ombre che luci tra le Nuove Proposte e le giurie. Già le giurie, che fanno il brutto e il cattivo tempo, ma a quanto pare non lo fanno solo queste. Infatti si è a lungo parlato di misteriosi stravolgimenti della classifica finale dei Big, che avrebbe (e il condizionale è d'obbligo) dato come canzone più votata quella di Marco Masini, seguita da Amedeo Minghi e quindi da Cocciante. Invece a ritirare il premio sale il favoritissimo Cocciante e (a furor di popolo?) Renato Zero, mentre la Nuova Proposta uscente si accontenta del terzo posto. Sospetti a parte, era inevitabile che una figura artistica del calibro di Riccardo Cocciante, nella sua unica e inususale partecipazione sanremese, non ne rimediasse una vittoria come se gli fosse dovuta, anche in misura più ingente rispetto agli stessi Pooh dell'anno prima. E il discorso analogo si può fare per il piazzato Renato Zero (che comunque tornerà due anni dopo).
I BIG Dando un'occhiata allo specifico musicale, Se stiamo insieme è sin dalle prime note un classico del repertorio dell'italofrancese, coadiuvato dal testo di un Mogol divorzista, cerebrale, a tratti metaforico, per finire in un tripudio di sentimenti e nostalgia dalla parte di un uomo abbandonato, testo strabordante che l'abilità interpretativa di Cocciante riesce a tenere nelle righe di una melodia non immediata che l'arrangiamento orchestrale amplifica raggiungendo un godibile pathos, malgrado un certo rischio di caduta massi. Insomma, vince Cocciante e così sia. Al secondo posto il Renatone nazionale, che celebra 25 anni di carriera e il ritiro dalle scene (senza notare la repentina crescita del suo naso) ma almeno presenta un bellissimo motivo di Mariella Nava dedicato alla terza età che soffre: Spalle al muro ha la capacità di allontanare ogni pietismo e ricorso alla compassione, e risalta, grazie anche a un dispiego orchestrale magniloquente ma impeccabile, la dignità delle persone anziane che vengono messe da parte con la propria solitudine e l'ineludibile decadimento (fisico ma non psichico), fino a tradurre la vecchiaia in uno stato mentale che va aldilà del dato anagrafico o clinico. "Vecchio diranno che sei vecchio / e tutta la tua rabbia viene su" cantata dall'istrionismo di Renato non può non suscitare una certa emozione. Un secondo posto che premia anche il genio di questa cantautrice ormai affermata, se non nelle Hit Parade, tra la critica più esigente, al punto che si può affermare sia che Mariella è la più "renatozerica" tra le nuove leve ma anche che lo stesso Zero abbia attinto, con questo sodalizio, alla sua fonte per tenere viva e sempre fresca, rinnovandola, la propria cifra artistica. Ed ecco al terzo posto il buon Marco Masini, già popolare dall'anno passato, che accresce la sua popolarità nel bene e nel male. Perché lo fai, accolta positivamente dal suo pubblico, sarà via via una clamorosa autorete. Pensare che "Disperato" affrontava lo stesso problema della tossicodipendenza e dell'emarginazione con un certo garbo. Non contento Bigazzi tira fuori dal suo magazzino una serenata strappalacrime di un bravo ragazzo che, per i casi della vita, sta insieme a una tossica che purtroppo non sa come uscirne. La ricerca della frase ad effetto lacrimuccia, delle rime facili, e delle similitudini bigazziane faranno inopinatamente di Masini il cantautore delle tragedie giovanili, come se lui fosse l'unico cantatutore a cantare di cose tragiche, mentre invece l'unico artefice di questa boutade è appunto Bigazzi, a cui non pareva vero che venisse alla luce una canzone che pare lo stesso Tozzi avesse rifiutato nei suoi fulgidi anni 70. Quindi "Perché lo fai " sarebbe una canzone già vecchia, risalente a quando la droga era ancora un argomento sulla bocca di tutti. Canzone sbagliata nel posto sbagliato, non irresistibile neanche dal lato orchestrale, che a lungo andare peserà sulla popolarità del bravo fiorentino che davanti all'opinione pubblica musicofila diverrà un menagramo tout court. Questo era dunque il podio, il resto essendo tutti a pari merito. Tra le proposte meglio accolte c'è il già menzionato Tozzi che trova un elisir di giovinezza con Gli altri siamo noi, canzone sulla solidarietà universale, un po' troppo imparentata sia con gli eccessi del suo pigmalione Bigazzi, sia con le tematiche di "Si può dare di più", che adesso si caricano di luoghi comuni e demagogie sparpagliate. Occasione sprecata per dare lustro a una gradevole e orecchiabile melodia. Altri personaggi salgono alla ribalta: tra questi Pierangelo Bertoli, finalmente idoneo alla manifestazione dopo anni di selezioni disattese. Il sensibile cantautore emiliano sceglie di presentarsi con un gruppo rock emergente originario del Nord Sardegna, chiedendo loro di tradurre una loro canzone. Ecco dunque che dal connubio Bertoli e Tazenda nasce Spunta la luna dal monte, versione più innocua di "Disamparados", canzone sugli emarginati della civiltà sperequata. I tre componenti del gruppo, formati dalla caratteristica voce di Andrea Parodi, dall'autore delle musiche Luigi Marielli e da Gigi Camedda, si alternano cantando il loro ritornello in idioma logudorese, in un'operazione etnica degna di nota e di fatto riescono a lanciarsi anche loro sulla scena musicale, facendo conoscere alla più vasta platea un rock trasversale di ottima fattura. Comunque grande successo dello chansonnier sulla sedia a rotelle che raccoglie una nuova fetta di popolari consensi. Attesi dalla prova del nove le due rivelazioni dell'anno passato: Amedeo Minghi e Mietta corrono da soli, sempre sotto il marchio del nuovo corso espressionista del cantautore romano. Questi con Nené non vince ma convince con una delle sue migliori prove, una canzone d'amore in punta di dita rivolta a un personaggio dai contorni sfumati quasi evanescenti, forse anche una bambina appena nata o una figlia (Minghi ne ha due), la cui bellezza viene scandita attraverso delle felici e coraggiose scelte lessicali, fino al bellissimo finale spiazzante, dove viene stravolta il più consueto canone della forma canzone: invece di dare nuove parole alla melodia, si dà nuova melodia alle parole. Mietta dal canto suo si accartoccia nel Minghi più lirico e scivola nella melodia di ampio dispiego vocale con una Dubbi no, lenta e a volte impacciata come certe macchine troppo carrozzate, che contribuisce a dare a questo Festival un eccesso di pomposità. Impeccabile tuttavia la bravura canora e il carattere di questa bellissima e calda voce. Sempre restando in tema di premiati, ecco la stessa Mariella Nava proporsi con la sua voce, scegliendo una strada impervia: Gli uomini è una canzone tutt'altro che immediata, con venature jazz da ascoltare e riascoltare. Lodevole la scelta di affidarsi all'incerto piuttosto che al certo: si tratta pur sempre di un pezzo che descrive con lucida aderenza alla realtà alcuni esempi di umanità maschile davanti a cui prendere le distanze, in cerca di un nuovo Rinascimento dell'uomo moderno, riconducibile anche aldilà dell'ambito strettamente sentimentale e non solo rapportato alle rispondenze dell'universo femminile ("No non sono quelli i vincitori / spesso son proprio loro i traditori"). Merce preziosa per un Sanremo che non perde certo il pelo ma non il vizio di proporre una certo quantità di spazzatura, fortunatemente concentrata in un numero non eccessivo di proposte. In cima alle brutture la inedita coppia formata da Giovanna Coletti detta Jo Squillo e Sabrina Salerno, l'una ex-rivelazione di un pop innovativo di cui ha perso lei stessa le tracce, l'altra reduce da un'annata di successi con una discomusic estiva raffinata come un bubblegum, cantata in inglese e ostentata attraverso le sue doti fisiche. Ne vien fuori un Siamo donne, scialbo r&b da cui prendere le distanze come fa la sopracitata Nava da certi uomini: pezzo a tratti irritante, cantato su un piede solo, scritto con la sinistra e degno di certi autogol ("Oltre le gambe c'è di più... un universo immenso e più") e di profondità prossima allo zero ("Attento che cadi" è il tormentone del pezzo). Altra delusione proviene dal genio di Gianni Bella, lui sì che cade in uno dei più infelici testi di Mogol che rievoca le sue passeggiate infantili, di quando risaliva La fila degli oleandri in bici e poi si toglieva la maglietta e beveva una gazosa, ricordi che vengono accostati alla voce stridula e gorgheggiante del catanese che non brilla certo di fascino con questa melodia piatta e stereotipata. Mezzo passo falso anche per Raf, tanto convicente nei suoi album quanto troppo ingessato al cospetto del Festival. Oggi un dio non ho di fatto è una ennesima bigazzata, che filosofeggia senza averne cognizione di causa: un blues che si incarta dando il fumo ma non l'arrosto. E per fortuna il resto della cricca di Big fa la sua degna figura: Eduardo De Crescenzo con E la musica va persiste nella sua ricerca musicale con un pezzo che trasuda di sonorità mediterranee a tutto tondo (o a tutto bacino se preferite). Fiordaliso si toglie gli abiti da prima comunione firmati Cutugno e torna con un aspetto più fresco e sensuale grazie a un blues giocato in punta di pianoforte a tratti autobiografico intitolato Il mare più grande che c'è (sottotitolo: I love you man). Loredana Berté sfoggia un pezzo di Pino Daniele In questa città, che calza a pennello con le sue espressive corde vocali. Riccardo Fogli riesce a rinnovarsi nobilitando vieppiù il suo stile tardoromantico, e facendo la sua figura con questa intimistica Io ti prego di ascoltare. Felice bis anche per Grazia Di Michele con Se io fossi un uomo, leggermente indulgente al melodico a discapito del country, ma sempre raffinato come è nel suo stile, che finalmente viene apprezzato da una parte maggiore di pubblico dopo essere stato rinchiuso nel limbo del "vorrei ma non posso". Se la cavano persino Albano & Romina Power, che almeno accantonano il ruffiano a vantaggio di una ispirata riflessione sull'amore coniugale che rivive nell'età del declino e si rinnova per la sola forza dell'amore e della volontà reciproca. Certo non si poteva immaginare che Oggi sposi, la loro ultima partecipazione sanremese in coppia, si sarebbe rivoltata contro di loro nella vita privata. Dietrologie a parte, è un pezzo di tutto rispetto, pur nel loro stile di scarse vedute. Le impressioni migliori arrivano da Rossana Casale, che torna dopo due anni con un frizzante suite di suoni africani che ricondue all'elemento della Terra, interpretandola in una vasta gamma vocale e una varietà di suggestioni sonore. Ritmo a go-go anche per Ladri di Biciclette, finalmente assurti a Big, che ci riportano indietro nella New Orleans di un tempo con questo motivo dal contenuto demenziale, ottimo però come pretesto per intimare Sbatti ben su del be-bop, risultando così coinvolgente come solo certa musica sa fare. Tutto sommato non è poi così malvagio il quadro complessivo: a renderlo ancora più credibile ci pensa il dottor cardiologo Enzo Jannacci, che vista la sua specializzazione medica sa davvero come prendere al cuore, senza pietismi né prosopopee da intellettuale. Non teme nessun confronto La fotografia, arrangiata tra l'altro da Celso Valli. In pochi minuti, Jannacci concentra con una straordinaria capacità di sintesi, una fatto di cronaca non reale ma verosimile di un piccolo deliquente tredicenne che durante una tentata rapina alla lavanderia viene ucciso probabilmente dagli stessi gestori in legittima difesa. Sul luogo del delitto, tra gente morbosamente curiosa e un maresciallo dei carabinieri intento a un distaccato lavoro di routine, accorre il padre alcolizzato e anche lui ladro, che, esprimendosi in un italiano sghimbescio, realizza di essere lui il primo responsabile di questa vita spezzata, e pur nella sua difficile situazione psicofisica cerca in tutti i modi di far riflettere la gente che passa, richiamando alla loro attenzione il marcio che ricopre la loro società che ostenta benessere ma trasuda una malavita che esige un innocente contributo di sangue da "un morto di soli tredici anni" che "non si è neanche accorto che moriva". Unico mezzo di testimonianza una fotografia, (riprodotta anche sulla copertina del disco) dove lui è "quello col vino" e il figlio dei due è quello "senza motorino", sottinteso che ha meno di quattordici anni. Interpretazione viscerale a tratti in recitar cantando, da grande artista poliedrico, per una delle più belle esibizioni della storia sanremese.
STRANIERI NB: Il voto vuole considerare la differenza della cover rispetto all'originale, e se e quanto ne sia migliorata o peggiorata la resa complessiva; pertanto i voti vanno da -5 a +5 passando per lo zero contrassegnato dal segno = .
LAURA BRANIGAN: Don't walk away (Non te ne andare) - Il mare più grande che c'è (I love you man)
DEE DEE BRIDGEWATER: Just tell me why (Dimmi solo perché) - Perché lo fai
CARMEN: You're on my mind (Sei nella mia mente) - Terra
RANDY CRAWFORD: If I were in your shoes (Se fossi nei tuoi panni) - Se io fossi un uomo
GLORIA GAYNOR: Together we can (Insieme possiamo) - La fila degli oleandri
HARRIET: All that we are (Tutto ciò che siamo) - In questa città
OFRA HAZA: Today I'll pray (Oggi pregherò) - Oggi un dio non ho
JOHN HENDRICKS: Lemme hear some o' that be-bop(Sbatti ben su del be-bop) - Sbatti ben su del be-bop
GRACE JONES: Still life (Ancora vita) - Spalle al muro
HOWARD JONES: Other people are us (Gli altri siamo noi) - Gli altri siamo noi
UTE LEMPER: The photograph (La fotografia) - La fotografia
PHIL MANZANERA: And the beat goes on (E la musica va) - E la musica va
MONCADA: Y ya viene amaneciendo (E l'alba sta sorgendo) - Spunta la luna dal monte
SARAH JANE MORRIS: I'm missing you (Mi manchi) - Se stiamo insieme
TYRONE POWER JR: Just married (Oggi sposi) - Oggi sposi
LEO SAYER: All alone (Completamente da solo) - Dubbi no
SHANNON: Part-time lovers (Amanti a mezzo servizio) - Siamo donne
SOLD OUT: Listen to me (Ascoltami) - Io ti prego di ascoltare
BONNIE TYLER: Endless night (Notte senza fine) - Nené
CAROL WHEELER: Coming home (Verso casa) - Gli uomini
NUOVE PROPOSTE Dopo Masini, tocca a Paolo Vallesi. Pupillo di Caterina Caselli, ma anch'egli prodotto dal team di Bigazzi, trionfa tra i giovani con un garbato pezzo minimalista dedicato a Le persone inutili, quelle che non hanno "né voce né riflettori". Una scelta volta dunque alla semplicità e ai buoni sentimenti, da parte di un cantautore volenteroso che però esaurirà ben presto il suo filone creativo. Una proposta che spicca anche in virtù del complessivo scarso apporto delle altre canzoni in gara, specie dopo la prima scrematura che elimina i due pezzi migliori, e purtroppo non è una novità. Andiamo per ordine. Dietro al riccioluto toscano giunge una ex impegata dell'Unità Sanitaria di Brescia. Irene Fargo si impone come voce nuova, dall'aspetto retrò ma in qualche modo maliarda. La donna di Ibsen è un tentativo di rispolverare gli stilemi delle arie melodrammatiche aggiungendo tinte intellettuali di per sé anche lodevoli (si potrebbe discutere a lungo sul ruolo della donna nei drammi dell'autore norvegese, nella fattispecie Nora di "Casa di bambola" a cui paiono ispirarsi gli autori). Ma il complesso dell'operazione non può risultare un po' datata e furbetta. Peggio tuttavia il terzo posto di Rita Forte, cantante di piano bar che si aggrappa a una manciata di tentativi di emulazione con un pezzo pesante e sciatto. E' soltanto una canzone dice, eppure resterà il trampolino di lancio per una brillante carriera televisiva, tra cui il talk show di Rispoli su TeleMontecarlo e vari programmi per massaie. Doveva e poteva essere l'occasione per un trio di cantanti riuniti forse in un'unica proposta. Agli occhi delle giurie, Bungaro, Conidi e Di Bella non hanno niente in comune con Morandi Ruggeri e Tozzi che vinsero quattro anni prima, ma il connubio che porta alla realizzazione di E noi qui è dignitoso e al passo coi tempi, magari troppo idealistico nel sognare un mondo senza cattive notizie, ma sincero. La canzone fonde magistralmente i tre stili, quello jazzistico e raffinato di Antonio Calò detto Bungaro, già presente a Sanremo nel 1988 senza successo, la vena rock del romano Marco Conidi, maschera riuscita a metà del duro-ma-romantico, e l'originalità del siciliano Rosario Di Bella, autore sempre coerente con le sue scelte artistiche che andrebbero rivalutate come esempio di terza via della musica d'autore. Non vincono loro e pazienza, ma il quadro restante è piuttosto povero. Troppo evanescente la voce e le atmosfere suggerite da Patrizia Bulgari con Giselle; troppo arcaico il clone di Mario Castelnuovo, tale Giovanni Nuti con una Non è poesia che sembra uscita da un castello del Settecento; scontato il pop di Paola De Mas già dal titolo Notte di periferia, ma anche dalle trovate dell'arrangiamento e dell'impostazione vocale; inascoltabili le Compilations, cinque lolite provenienti da "Domenica in" con una imbarazzante Donne del 2000 che ammiccano a un pubblico di teenager millantando qualità da band vocale; accettabile invece la prova dei Fandango Che grossa nostalgia, pezzo da piano bar ben cantato da Amalia, figlia di un deputato parlamentare. Dulcis in fundo, Marco Carena, uno dei primi successi televisivi del Costanzo Show, cabarettista apolide che con canzoni demenziali rimesta nei luoghi comuni della comicità più banale, che confondono anche alcune trovate eventualmente felici. Dunque più che divertire sconcerta la sua Serenata tutta incentrata sulla tecnica della balbuzie maliziosa e delle rime a sfondo sessuali suggerite e poi eluse, che narra di un poveraccio che rimorchia ma non consuma e alla fine si dedica allo stesso hobby del protagonista di "Disperato erotico stomp" di Dalla. Insomma se dopo il primo ascolto si ridacchia dei giochini verbali smargiassi tipo "chia... chiacchiera con me" o "sco... scordati di lei" oppure "sono le sette e penso ancora alle tue... parole" fino al climax finale "chi se ne frega, mi dedicherò una se... renata", dopo ci si chiede se era davvero necessario tutto ciò. Tra gli esclusi, immeritata l'uscita dei Timoria, premio della critica con una elegantissima L'uomo che ride (da un omonimo dramma di Cechov) che mette in risalto le avanguardie sonore vocali e culturali avanzate dalla rock band di Omar Pedrini, con Francesco Renga alla voce, troppo lusso per i giudici popolari. Maltrattato anche il giovane cantautore Rudy Marra (echi di Carboni e Lolli nel suo stile) che parla senza i pietismi dello stesso coevo Masini di un amico perduto tra i flutti della droga dal quale l'io narrante si è salvato per poter provare un certo rimorso, storia di un anonimo Gaetano la cui nostalgia si racchiude in due frasi: "come eravamo stupidi" e nel triste calembour: "eri ero" (dove ero sta per "eroinomane"). Per fortuna a queste due uscite eccellenti fanno compagnia alcune stupidate di proporzioni notevoli. Su tutte il maestro Gianni Mazza, assurto a una certa popolarità televisiva di estroso direttore d'orchestra, vassallo del feudo di Michele Guardì. Il siciliano, che già negli anni 60 incideva canzoni, ha la facciatosta di mettersi tra le Nuove Proposte, con un rigurgito arboriano di pessimo gusto: Il lazzo, cumulo di idiozie che finge di trovare del tutto fortuita la rima di questa parola un po' arcaica con un'altra più diffusa nel linguaggio corrente ma intanto non fa che rimarcarlo. Brutta prova anche per Dario Gai, che fa la cosa sbagliata proponendo una elegia nientedemeno che delle battone assidue frequentatrici degli abitacoli dei TIR e delle corsie autostradali, rinominate appunto Sorelle d'Italia, tentativo fallito di ilarità. Giuste anche le uscite di Gitano con una squallida e velleitaria Tamuré e di Stefania La fauci che al terzo tentativo sceglie una via impervia con una Caramba troppo criptica e dai contorni troppo vaghi per attirare l'attenzione. E un altro Festival è andato.
GRADUATORIA PERSONALE: 1) La fotografia 2) Spalle al muro 3) Terra Nuove Proposte 1) L'uomo che ride 2) E noi qui 3) Gaetano
SHIT SANREMO:
FRASE DELL'ANNO:
PERLE DI SAGGEZZA: MARIO BONATTI
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