di Mario Bonatti
BIG Vince dunque una sorta di ospite d’onore, ma con merito e senza snobbare l’evento. Elisa, che prima di adesso aveva cantato solamente in inglese, si imbatte in un buon testo del prodigo Zucchero, il quale sdoganò anche un certo Sting facendogli cantare "Muoio per te" che comunque era una cover. Questa Luce miscela con sapienza gli stimoli provenienti da un sound adulto, di un rock ad ampio respiro continentale, fitto di richiami agli specimen degli artisti più affermati, insieme alle sollecitazioni di un testo che trasporta su un terreno irto di simbolismi una unione a due fortemente calata nel malessere esistenziale di cui è figlia la nostra generazione. Il sottotitolo (tramonti a Nord Est) che non a caso è la provenienza di Elisa, ne dà anche una collocazione precisa insieme geografica e storica, come a volerne rievocare anche il rigido clima che insieme alla collocazione temporale (immaginate una sera umida di nebbia) offre scenari notturni dove il calore di due corpi "nella stessa lacrima" esprime al meglio il pathos dell’intero pezzo. In parole povere è una signora canzone, che deve avere affascinato anche il presidente della giuria Gino Paoli che condivide con Elisa la città natale. Ma Sanremo esige ugualmente il suo tributo alla normalità. Ed ecco dunque un podio in sintonia con i gusti della platea. Non che Giorgia e i Matia Bazar abbiano fatto una cattiva figura, ma sicuramente sono state assegnate delle medaglie ben più inaudite nella gestione Totip, ma in questi casi un "c’è di meglio" non è solo una frase di commento da circostanza. La Todrani si affida a un gospel bianco con questa Di sole e d’azzurro che risalta le sue doti vocali in una serenata tra il bucolico e il mistico, dove il ritornello si rende, per questioni di crescendo emozionale, più scontato di un buon inciso che ha il merito di proporsi anche in finale di canzone evitando melensi gorgheggi. Quanto ai sempreverdi Matia, è sempre più Mezzanotte e dintorni. Per la calda voce della bella Silvia, ci vogliono atmosfere calde anche a costo di rimetterci in originalità. Questa nostra grande storia d’amore si propone già dal titolo un tantino ridondante, e la voce solista sembra oscurare tutto il resto. Questa medaglia (o faccia?) di bronzo appare come una sorta di risarcimento per non avere ottenuto un piazzamento l’anno prima. Ma i Matia, ingordi, pretenderanno di più l’anno seguente. Del resto il Festival è il ripetersi di una serie di usanze, soprattutto nelle graduatorie finali. Infatti ecco nelle posizioni di rincalzo due tra i motivi più interessanti proposti in questa edizione. Un ispirato Zarrillo, pur ricorrendo a una melodia altamente lirica, fa una buona riuscita con questa elegia dell’ideale applicato all’amore. L’acrobata, è proprio il caso di dirlo, si mantiene in equilibrio in virtù delle sue venature blues e grazie a un testo che mira a un nuovo concetto di poesia amorosa, pur nel solco della tradizione. Uno Zarrillo maturo, al riparo da facili sentimentalismi. E nuova linfa la trova anche Paola Turci grazie al sodalizio con Carmen Consoli che per lei e insieme a lei scrive Saluto l’inverno. Non c’è solo la consapevolezza di un’artista (la "cantantessa") la cui impronta si scorge ormai immediatamente, ma ci sono anche le finora represse istintualità rock della cantautrice romana che colora con la sua voce consumata un inno a un cambio di vita che è anche una virata nelle sue scelte artistiche, sempre dimidiate tra innovazione e melodia, almeno per quanto attiene alle scelte pro Festival. Paola si meriterà una tournée proprio con Carmen e con un Max Gazzé che è sempre una garanzia di valore aggiunto. Scorrendo la classifica ecco qualche inevitabile sabbia mobile di cui si dissemina la manifestazione. La Nuova Proposta in carica Jenny B. conferma la sua propensione al nulla, bissando la sua voce sguaiata e il suo accento né carne né pesce in questa Anche tu di cui si poteva decisamente fare a meno, e che non riuscirà a farle acquisire uno spessore da interprete, forse scontando inesorabilmente il fio di avere duettato con Piotta. In settima posizione si gongola Alex Britti, da Paoli osannato per le sue doti di arrangiatore e session man. Sono contento pare fotografare il momento di fulgore e di successo discografico che attraversa ormai da due anni il chitarrista romano, che in questa occasione pare vivere di rendita, con questo pezzo elaborato in avvio e poi improvvisamente sciatto, in una specie di "Oggi sono io: due anni dopo" che si rivela anche di difficoltosa esecuzione a causa di un timbro molto basso in avvio di ritornello, che Britti quasi non coglie nelle serate in cui si esibisce. Il solito vestitino elegante da esibire per fare bella figura. Quanto a Gigi D’Alessio c’è ben poco da dire: Tu che ne sai è un pezzo alla D’Alessio e può bastare. Bandito il dialetto napoletano, l’Iglesias del Sud Pontino che come Julio tradiva sempre il suo accento, si volge ormai all’intera popolazione che fatalmente abbocca. Peccato perché con un’altra voce e una revisione al banale testo anche questa situazione pop avrebbe potuto dare qualche elemento positivo. Non sfigura e non si esalta invece l’esordio festivaliero di Fabio Concato che si dà al jazz e, da consumato artista qual è, non scende a compromessi proponendo Ciao ninin una dolce serenata intimista e minimalista dove converge tutto il suo genio senza appunto strafare. Una partecipazione distaccata che ricorda come a volte Sanremo non vada idolatrato più di tanto e quindi può bastare anche come mero passaggio promozionale. Quanto alla regina (capricciosa) di Sanremo, Anna Oxa, in perenne trasformazione, si affida alla moda della multirazzialità, inneggiando a L’eterno movimento meritandosi un ipotetico Oscar dello Smargiasso. Giungendo in ritardo anche sul tema della universalità, tutta la sua performance sembra scopiazzata a dismisura, dal titolo che rimanda a un rampante Jovanotti fino al dispiego d’archi in colpevole stile anni '80 e finendo con una esibizione a piedi nudi che purtroppo per lei aveva già fatto Sandie Shaw. Più dignitoso invece il ritorno di Peppino Di Capri che non si allontana da questi argomenti di forte attualità e pensa a una storia d’amore di un emigrato nordafricano che pensa alla sua amata che ha dovuto lasciare per aiutarla a vivere. Pioverà è la speranza di un refrigerio dell’anima ma anche esistenziale, dove il sole cocente vuol dire lavoro duro nei campi di pomodori (riferimento alla fiorente comunità extracomunitaria di Villa Literno, in provincia di Caserta). Una ballad sottotitolata "habibi ené ("amore mio" in arabo) che stupisce in positivo per l’abilità del musicista caprese di rinnovarsi sempre e non vivere di ricordi legati al suo twist. E' un Sanremo di ritorni, non tutti brillanti. Gianni Bella, che ha fatto la fortuna di Celentano che troneggia in cima alle classifiche con gli album le cui canzoni sono da lui scritte insieme a Mogol, pensa che sia il momento propizio per tornare lui sul proscenio. E mal gliene incoglie. Il profumo del mare è solo un ricordo sbiadito in una canzone che si presenta con buone credenziali musicali, ma esordisce con un pacchiano "Hai appena ucciso un uomo" e poi naufraga (appunto) in una congerie di frasi fatte e vocalizzi a cui Bella accede con sforzo, facendo immediatamente pensare a questa canzone come a uno scarto dei fortunati dischi del Molleggiato. Assente da dieci anni dall’Ariston, Gianni Bella riesce nell’impresa di bissare una... impresa al contrario, vale a dire due brutti testi di Mogol consecutivi, e non è impresa da poco. C’era riuscito solo Mike Francis con un intero album in italiano, ma questa è un’altra storia. Dopo i fasti delle giurie "anarchiche", tornano nelle ultime posizioni i pezzi di rottura. Prima di questi vi si colloca la spumeggiante Syria prodotta da Biagio Antonacci che, pur senza acquisire lo spessore di una interprete di lusso, almeno si è scrollata la terribile identità da Lolita lacrimosa con la quale si era presentata anni fa. Fantasticamenteamore (rigorosamente tutto attaccato) presenta invece un ritmo fresco e coinvolgente, e forse anche troppo ispirato alla discomusic storica di cui tradisce qualche rimando nell’inciso ("Never can say goodbye" che comunque risale ai ’60). Il colpo di scena riguarda invece proprio l’argomento trattato: una persona amata di cui si ricordano i bei momenti trascorsi insieme tempo addietro, ma non perché ora la storia sia finita, quanto perché lui è passato a miglior vita. Un finale spiazzante che in parte giustifica anche questo ricorso ai suoni di qualche anno fa e che, ammiccamenti a parte, vuole una tantum affrontare il tema del distacco forzato rievocandone i momenti felici e mostrando gratitudine per questi. In fondo Antonacci sa il fatto suo, benché Syria (che ha collaborato al testo) faccia sempre la sua figura da studentessa brava che non si applica o si accontenta di un 6. Eccole dunque le retrovie, dallo spessore artistico più o meno rilevante. I due paladini dell’hip-hop, Sottotono, offrono una ventata di suoni nuovi e uno stile che tra alti e bassi sta proliferando anche in Italia. Non possono non aderire alla campagna "no Martini no party", vale a dire portare un pezzo che sia confacente al loro stile ma senza spiazzare più di tanto la platea; tuttavia il risultato è interessante, e se per certi aspetti è una performance che si preannuncia non a caso... sottotono rispetto al loro stile graffiante, per altri aspetti ci tiene a debita distanza da certe ruffianate con le quali avevano da tempo invaso le radio. Mezze verità affronta il tarlo dell’ipocrisia e dell’ingratitudine nei rapporti interpersonali, scorre abilmente tra suoni di giradischi, due strofe con refrain e inciso al doppio delle battute, nel classico stile hip-hop, senza dimenticare di mettere la sordina quando deve dire nella vita si trovano dei "figli di puttana", e la Carrà che li ringrazia per la versione clean. Molto poco clean sara invece la gazzarra sollevata da Valerio Staffelli, inviato di Striscia la Notizia che verrà alle mani con i due in occasione dell’occasione del Tapiro e finirà in rianimazione. Ma questa è un’altra musica, anzi non è musica. Quintorigo e Bluvertigo chiudono la classifica ma non sono certo da considerare ultimi, al contrario. Per i primi si tratta di un ritorno dopo due anni: per gli altri di un debutto. Morgan, che nonostante il look gotico ambiguo è in attesa di una bimba da Asia Argento, conduce la sua band foriera di un pop all’avanguardia ma senza narcisismo, che anzi non lesina manciate di sana ironia e che sa condurre l’orecchio su un tappeto elettronico non fine a se stesso, sollecitandolo a continui rimandi a qualcosa di altro che forse si perde nella memoria collettiva. L’assenzio che già è il nome di una sostanza obliante che rimanda alla cupa malinconia, riassume una elencazione di situazioni e stati d’animo che vogliono disegnare l’identikit di un trentenne medio degli anni 2000, sospeso tra l’accoglienza di un futuro preso in modo acritico e i rimpianti per i suoi ideali andati a ramengo. Resa musicale quasi impeccabile, per una band che approda a Sanremo già matura e lo dimostra in pieno. Quanto a John De Leo e compagnia, Bentivoglio Angelina è un’altra schioppettata sul perbenismo festivaliero. Non a caso, tra i deliri vocali del solista, si consuma un efferato delitto degno di Carlo Emilio Gadda. Già il nome della sventurata, se letto come una frase di senso compiuto ("ben ti voglio angelina") è un desiderio e insieme un destino di divenire cadavere (piccolo angelo) per mano di un folle che poi si pente anche del gesto. Una storia passionale consumata in uno squallido motel da una mente consapevole del gesto estremo ma sulla cui sanità mentale si dubita. Il sassofono che introduce prima e commenta poi e gli effetti di distorsione insieme a dei cori di commento sopra le righe rivestono tutto di un umorismo nero che affonda nelle più turpe perversioni sessuali, laddove il delitto non ne è che una conseguenza, logica nella sua illogicità. L’intermezzo che simula il suono di un grammofono con ricorso al falsetto e il finale swing dove le ultime due note sono le stesse di "Volare" cambiando il "con te" in "con me", fanno di questa canzone una sorta di fantasma anni '50 nascosto a lungo nei meandri dell’Ariston che, cibatosi degli echi di decenni e decenni di canzoni, si palesa con tutto l’armamentario dei rimasugli da lui inglobati. Il coacervo testuale di disarmonica armonia a cui i Quintorigo sono ormai affini, fa il resto: descrive la vicenda anche nei dettagli e procede per flash e rapide inquadrature. Perché Sanremo evidentemente non è sempre solo Sanremo. NUOVE PROPOSTE Vince una boy band di adolescenti, scoperti da Caterina Caselli. Pazienza! Qualche buon gruppo fa capolino: altri personaggi più immediati mettono le basi sulle future stagioni alla ribalta. Si punta al disimpegno nella quasi totalità dei casi ma ci si trova comunque al cospetto di una gamma cromatica ad ampio raggio, con alcune situazioni gradevoli ed altre di cui si poteva fare a meno. Tra le cose inutili fanno spicco proprio i vincitori Gazosa, con un titolo che rimanda a "Bella" di Jovanotti che cantava proprio Stai con me forever. Questi quattro enfants prodiges degli strumenti arrivano dal Centro Italia squillanti e sorridenti come quei telefoni cellulari ormai prossimi a diventare nuovi status symbol dei ragazzi in età puberale. Il loro primo successo ovviamente piace ai loro coetanei ma è di una insulsaggine senza precedenti: benché animato dalle migliori intenzioni, questo confronto di una adolescente con il proprio io infantile, richiama con troppa facilità e dubbio gusto l'ingresso nell'età dello sviluppo, tema già affrontato da artisti più validi. La voce della solista? Come tante, senza alcuna referenza per generi che non sia questo bubble-gum. Succede solo a Sanremo? Diamo subito una scorsa a quello che c’è di valido. Restando nel corrivo, sembra già meno fastidioso quel Turuturu nella testa di Francesco Boccia e Giada Caliendo, napoletani, lei figlia del leader del Giardino dei Semplici, e più semplice di così. Non che sia un capolavoro questo scioglilingua da post-Zecchino, ma almeno c’è più sincerità rispetto a chi vuole spacciarsi per complesso pop, e al confronto con la gazzosa, il sapore è almeno di un chinotto dissetante. Tra i migliori comunque spunta la voce calda di Francesco Renga, già dei Timoria, con una Raccontami viscerale e coinvolgente dal primo ascolto, un Moses che si situa sulla stessa falsariga, meritandosi la seconda piazza nonostante una certa debolezza nell’insieme della sua Ascoltami, i Carlito (anima rock con licenza di stupire) in una commovente storia di ragazza allo sbando di nome Emily, ritratto per niente manierato e molto fedele al momento presente (sono citati i Subsonica nel testo!), e la ternana Carlotta Quadraccia. Dopo alcuni discutibili esordi con situazioni ai limiti del buongusto, questa Promessa è la quadratura del cerchio di una nuova via musicale che prova a mescolare (a volte con successo) i suoni swing con gli arrangiamenti elettronici. Qualche buona intuizione lessicale nelle metafore di questo impegno di amore duraturo, insieme a sincopi e sospensioni dall’effetto immediato, lasciano il segno mostrando che anche che si può ottenere della musica leggera che abbia anche un certo criterio di qualità. E la voce nasale della Carlotta fa, come si dice in questi casi, la sua porca figura. Cosa resta? Tante buone intenzioni naufragate. A cominciare da un duo napoletano (anche troppo!) che partendo da sonorità al passo coi tempi, partoriscono una musichina monotona come poche che tagliuzza tematiche prese qua e là, inventando una storia ai limiti dell’inverosimile, quella di un ragazzo senza lavoro che si accontenta di entrare nell’arma dei Carabinieri, salvo essere restio a usare le armi (obiezione in divisa?) e nel frattempo, alla faccia di Bossi e dei preti, si innamora corrisposto di un altro gay ma settentrionale, e alla fine muore come vittima di non si sa quale conflitto a fuoco: Targato NA appare piuttosto come una presa in giro ai napoletani veri, tanto è vero che "na na na" sono i gorgheggi che iniziano e concludono il pezzo di Principe e Socio M., giustamente scomparsi dalle scene. Così come sono stati inghiottiti da un giusto oblio altre di queste proposte: un anonimo Stefano Ligi con dei Battiti invero poco incisivi, nonostante la referenza di Lucio Dalla che lo produce; un irritante Ricky Anelli col sorriso da ammiccatredicenne che esclama Ho vinto un viaggio ma prima di partire commette l’imprudenza di passare per il teatro Ariston a spiegare che il viaggio era "nel tuo cuore" (ora si chiama cuore!); una appariscente Sara 6 (già vocalist nei Taglia 42) che ci fa una lezione sulla Bocca di cui nessuno sentiva il bisogno, troppo scontata in tutti i suoi fondamentali; un imbarazzante gruppo sardo, gli Isola Song, una meritata maglia nera che non rende onore alla tradizione rock della loro terra, preferendo rendere uno sciatto e ruffiano omaggio alla canzone di Nilla Pizzi che mezzo secolo fa vinceva il primo Festival, come dire Grazie di "Grazie dei fiori"; e per finire Pincapallina, band che riesce a inorridire anche peggio dei vincitori Gazosa, con una Quando io che poteva benissimo essere scritta da alcuni comici di Zelig per parodiare la musica pop. "Cosa c’è di strano se ti amo brutto come sei... fatti miei" basta da solo per darle la palma di peggiore Nuova Proposta della storia. Avrebbero invece meritato una nuova chance gli Xsense, che con Luna pagano l’imbarazzo del debutto e la preoccupazione di portare un testo immediato, ma forse dovevano avere le idee chiare in fatto di pop. Nuove possibilità le hanno e le sfruttano sia i Velvet, che dopo questa banale Nascosto dietro un vetro sfonderanno con l’estiva e ironica "Boy band", sia Paolo Meneguzzi che dopo la timida Ed io non ci sto più troverà nuovi successi e consensi, da un pubblico adolescente, quindi di bocca buona ma che almeno avrà conquistato con adeguate scelte produttive che lo faranno uscire da questa babele di proposte. Tra queste la stampa assegna il suo premio a Roberto Angelini, country singer con tanto di chitarra e sgabello: forse non c’era di meglio, ma per certi versi costui merita la palma di più immeritato premio dei giornalisti. Qui si parla (quasi letteralmente, perché Angelini trascina la voce!) di una storia altrettanto patetica dove un ragazzo padre presenta a suo figlio un certo Sig. Domani per nascondere il suo stato di miseria che troverà la sua fine in una rapina finita nel peggiore dei modi. Dieci anni prima un certo Jannacci ci aveva già pensato con una "fotografia" molto bene focalizzata. Se questi sono i nuovi cantautori, rinchiudiamoci nella nostra stanza stringendo al petto il vinile di "Panama e dintorni" di Fossati. Ma il peggio delle Nuove Proposte dovrà ancora arrivare.
GRADUATORIA PERSONALE: 1) Bentivoglio Angelina 2) L'acrobata 3) Saluto l'inverno
NUOVE PROPOSTE
SHIT SANREMO: MARIO BONATTI
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