Anno: 1969
Altri titoli: -
Interpreti: The Beatles
HitParade: #5, Maggio 1969
Chart annuale: Top 50
Altri interpreti: Rod Stewart
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L'11 di aprile 1969 esce in Inghilterra il diciannovesimo 45 giri dei Beatles. A cinque mesi
dalla pubblicazione del White Album e senza altro materiale nuovo pronto, se si esclude che in
gennaio l'uscita del LP "Yellow Submarine" era stata dettata più da ragioni commerciali e di cassetta
che non artistiche, "Get Back" farà da ponte tra il doppio LP dell'anno precedente e "Abbey Road", di
cui si stavano iniziando proprio allora le prime registrazioni.
"Get Back" nasce in un periodo non felice: parecchi dissidi sono nati tra i componenti del quartetto.
Opinioni diverse su come condurre gli affari, esigenze di indipendenza artistica sempre più prevalenti
e che già si concretizzavano nelle loro prime registrazioni da solisti e, non ultima, una evidente
saturazione del rapporto che legava quattro persone da quasi dieci anni nella morsa di una "sindrome da
gemelli siamesi". Non ultima, l'ingombrante presenza della assillante Yoko Ono sempre ed in ogni occasione
al fianco di John, a turbare un delicato equilibrio di personalità.
Per recuperare l'entusiasmo di un tempo, Paul propose una sorta di ritorno alle origini, al vecchio
buon rock and roll. Basta alle estenuanti sessioni di registrazione, con ore ed ore spese alla ricerca
della "nota giusta". Basta alle innumerevoli sovraincisioni, con i riversamenti tape to tape, gli editing,
le aggiunte di effetti, i nastri rallentati o accelerati. Bisognava tornare a essere immediati, spontanei,
"naturali", come ai tempi del primo LP dove in dieci ore si registrarono quattordici pezzi quasi tutti
"Buona la prima!". La risposta del produttore George Martin fu semplicissima: "Basta che lo vogliate voi,
ragazzi...". "Get Back", ovvero, "Facciamo un passo (o tanti passi) indietro" divenne il manifesto di questa nuova
fase, non solo una canzone, ma una dichiarazione di intenti o una nuova filosofia, non si sa quanto dettata da
consapevolezza o quanto dalla semplice speranza.
Le sessioni di registrazione agli studi Apple furono precedute
da una serie di prove (rehearsals) tenute negli studi cinematografici di Twickenham, sobborgo sud ovest di
Londra. In questa occasione i propositi dei Beatles (poche idee, ma, in compenso, molto confuse) erano di
filmare le loro prove, perché di altro non si trattava, per futuri e non ancora definiti utilizzi. L'essenziale
era suonare, per riprendere il feeling, per restaurare la magia. Il resto, qualunque forma avesse preso,
sarebbe stato definito a posteriori. Ecco allora presente una troupe cinematografica professionale, a loro
completa disposizione, a riprendere ogni cosa, anche apparentemente insignificante. In questo frangente,
la versione di "Get Back" aveva un testo che riferiva, testualmente "don't dig no Pakistans taking all the
people's jobs, get back to where you once belonged". Decisamente esposta politicamente, in occasione delle
registrazioni Apple il testo venne poi opportunisticamente cambiato in quello che conosciamo.
Le registrazioni del 28 gennaio vennero ritenute "sufficientemente grezze" da essere dichiarate buone per i
dischi. In effetti, poi, per il master del 45 giri fu utilizzata una registrazione mentre la base per la
versione "Get Back" che si può ascoltare sul LP "Let It Be" prodotto da Phil Spector è diversa.
"Get Back" può fregiarsi dell'aggettivo "primo" in molti sensi: per la prima volta i Beatles concedevano ad
un musicista che aveva collaborato alle registrazioni il privilegio di essere accreditato sull'etichetta di un
loro disco. Per la prima volta veniva pubblicato un disco registrato negli studi Apple. Per la prima volta
un disco dei Beatles non veniva riferito ad un produttore. Infine, ma questa non era certo una novità,
semmai l'ennesimo capitolo della stessa storia: il disco andò subito al primo posto in classifica. Ma andiamo
con ordine.
Il pianista/organista Billy Preston era una vecchia conoscenza dei Beatles. Un incontro che risale al 1962
quando i quattro, praticamente ancora sconosciuti al di fuori dell'area metropolitana di Liverpool, ancora
macinavano ore ed ore di preziosa gavetta sul palco dello Star-Club di Amburgo. Nel periodo in cui John, Paul,
George ed ancora per poco il batterista originario, Pete Best, rappresentavano il gruppo "residente" del locale
situato in St. Pauli, per definizione "il quartiere della perdizione" della città portuale tedesca, venne
ingaggiato il famoso cantante americano Little Richard. Questi si valeva, fra gli strumentisti del gruppo che lo
accompagnava, di un giovanissimo pianista dotato di straordinaria bravura, Billy Preston, con il quale i Beatles
e George Harrison in particolare, stabilirono immediatamente un rapporto di sincera amicizia. Successivamente,
Preston non mancò l'occasione di rivedere i Beatles in occasione delle loro tournee negli USA. Avvenne poi che
agli inizi del 1969 egli si trovasse a Londra. Passando per un saluto ai vecchi amici presso i nuovi studi della
Apple, si sentì proporre di partecipare alle loro registrazioni. Detto fatto, la sua "mano" si sente ben evidente
al piano Fender Rhodes in diverse registrazioni mentre una testimonianza visiva del cosiddetto "quinto Beatle"
la si può avere vedendo il film "Let It Be", nelle scene girate sul tetto della sede Apple in occasione dell'ultimo,
atipico ma autentico concerto live del gruppo.
A Billy Preston i Beatles concessero un onore negato anche ad Eric Clapton, che pure diede, in occasione della
preparazione del "White Album" il proprio apporto (...e che apporto!) alla registrazione di "While My Guitar
Gently Wheeps". L'etichetta di "Get Back" riportava, nell'accredito degli esecutori: "The Beatles with Billy
Preston". Per diverso tempo, successivamente al rilascio del 45 giri, corsero voci circa l'allargamento
dell'organico dei Beatles a cinque elementi, comprendendovi ufficialmente il tastierista americano. La realtà
dei fatti riservò invece, dopo l'uscita di "Abbey Road", la separazione del gruppo.
Le registrazioni effettuate negli studi situati nel seminterrato della sede Apple di Savile Row, (situata in
una piccola parallela di Regent Street, qualche centinaio di metri a nord-ovest di Piccadilly Circus) furono
le prime mai effettuate dai Beatles in uno studio loro proprio. A onor del vero, si verificò una situazione
tragicomica, certamente inattesa per quelle che dovevano essere le disponibilità tecniche adeguate al gruppo
musicale più famoso del mondo, ma che contribuì a far aprire gli occhi sulla realtà a quattro persone che fino
ad allora, da cinque anni, vivevano completamente isolati dal mondo "normale".
Ogni "star" affermata, è risaputo, deve necessariamente essere assistita, per lo svolgimento delle incombenze
di lavoro ed anche quelle relative alla vita privata, molto spesso, da uno staff di persone che provvede a far
fronte ad una quantità di impegni impossibili da adempiere di persona. Anche i Beatles non potevano sfuggire
alle regola. Il loro entourage era però specchio dell'epopea che stavano vivendo: oltre ai fedelissimi Neil
Aspinall e Mal Evans, che li seguivano con dedizione, discrezione ed efficienza fin dai tempi del Cavern Club
di Liverpool, vi era una variopinta e pittoresca accozzaglia di "amici" presa tra la "Gente Bellissima" della
Swinging London che, più che altro, era tesa a sfruttare la bontà, se non la dabbenaggine, di quattro
arcimiliardari che in fondo, nel loro intimo, erano rimasti quattro provinciali del nord. Alexis Mardas era
uno di questi.
Figlio di un alto funzionario dell'allora regime greco, era giunto a Londra per via, si diceva,
di conoscenze assai importanti presso la Corte dei reali britannici e non tardò ad arrivare nel giro dei
Beatles, presentandosi come creatore di apparecchiature elettroniche rivoluzionarie. Pieno di idee che mancavano
solo di un nonnulla (leggi adeguato finanziamento) per essere realizzate, era l'inventore (sedicente) di un
apparecchio telefonico a riconoscimento vocale, di un campo di forza che, opportunamente installato intorno
ad una casa, teneva a debita distanza i malintenzionati creando un muro d'aria colorata. Alexis divenne, in
breve, il compagno preferito di John Lennon durante le sue scorribande notturne per Londra. Ovviamente, venuto
a conoscenza che i Beatles desideravano uno studio di registrazione all'avanguardia nella loro nuova sede Apple,
si impegnò a dotarlo di una avveniristica macchina a settantadue piste che avrebbe reso quelle degli studi EMI,
dotate di sole otto piste, oggetti di antiquariato se non da museo preistorico. Venne creata una sussidiaria,
la "Apple Electronics", affidata al "magico" Alex che, confortato da un cospicuo finanziamento, si mise al lavoro.
Era l'agosto 1968. Nel gennaio 1969 i Beatles pensarono che gli studi Apple fossero ormai pronti per ospitare
le prime registrazioni. C'era del nuovo materiale che urgeva essere messo su nastro magnetico, anche per impegni
contrattuali presi con la EMI. Entrando nel nuovo studio, i Beatles ed i loro tecnici si trovarono di fronte al
parto del genio: una consolle fatta di ritagli di legno, tenuta insieme da chiodi assortiti, le cui teste
sporgevano dal legno. Che si trattasse di un oggetto per qualche ragione connessa al concetto di elettricità lo
si poteva dedurre dalla vista di un vecchio oscilloscopio che campeggiava esattamente al centro.
Il produttore George Martin si mise le mani nei capelli e, facendo professione di umiltà, chiese urgentemente
l'aiuto degli studi di Abbey Road che si affrettarono a prestare ai Beatles due macchine a quattro piste che,
trasportate l'indomani nei sotterranei della Apple furono collegate in sincronia ed utilizzate come un otto piste.
La meravigliosa macchina a settantadue piste del "magico" Alex fu venduta ad un rigattiere per la cospicua somma
di cinque sterline.
Leonardo Viani
 
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