Anno: 1959
Altri titoli: -
Interpreti: Fred Buscaglione
HitParade: #3
#5, Agosto 1978
Chart annuale: Top 20
Altri interpreti: -
Testo e accordi
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Guarda che luna è stato uno degli ultimi successi di Fred Buscaglione: entrò infatti
nelle classifiche nella primavera del 1959, un anno prima dell'incidente in cui il cantante
perse prematuramente la vita. Volare era stata pubblicata l'anno precedente, e infatti
nell'esecuzione si sentono almeno in parte gli influssi del "nuovo stile italiano", anche se
musicalmente i voli pindarici non sono in realtà molti.
Interessante notare come il brano non sia della premiata ditta Buscaglione-Chiosso, ma del maestro
Walter Malgoni, che in quel periodo compose una serie di hit; ecco forse perché lo stile è un po'
diverso da quello che ci si aspetterebbe dal buon Fred.
Il brano è in mi minore, senza alcuna modulazione; ho preferito indicare come tempo 12/8 e non 4/4
perché sento molto forte il ritmo terzinato, ma la scelta è indubbiamente discutibile.
Introduzione
| Mim |
Si9 | Mim Re | Sol Re7 | Sol Si7
|
Mim:
i
V i VII
III VII III V
Sol:
V I V
I III ?
Se
l'introduzione non vi sembra proprio sconosciuta, avete perfettamente ragione:
ricorda infatti l'inizio della Sonata "Chiaro di Luna" di Beethoven (per i
puristi: op. 27, n. 2), anche se non si può certo parlare di plagio quanto di
citazione: un po' come se Fred guardasse la luna, gli venisse in mente il buon
vecchio Ludovico van, e poi partisse con quello che a
lui viene in mente con la luna. Composta da
cinque battute, l'introduzione inizia con un arpeggio di pianoforte che
stabilisce la tonalità, salvo sembrare passare subito alla relativa maggiore,
con una successione Re-Sol-Re-Sol che parrebbe cambiare tutte le carte in
tavola; ma è proprio qua che si passa dall'arpeggio agli accordi ribattuti che
rimettono in chiaro le cose con una perfetta cadenza sull'accordo di settima
della dominante.
Strofa 1
| Mim |
Si7 | Mi7 | Lam |
Si7 | Mim | Fa#7 |
Si7 |
Mim:
i
V
I iv
V
i V-di-V V
Il brano non ha un vero e proprio ritornello, ma è costituito da due
strofe tra di loro simili, di cui la prima viene anche riciclata come intermezzo
strumentale. Entrambe le strofe sono composte da otto battute: le prime quattro
sono uguali nelle due versioni, mentre le seconde variano.
Ascoltando il brano, balza subito all'orecchio l'uso continuato
dell'appoggiatura nella melodia. Nella prima parte gli accordi variano
sull'appoggiatura do-si ("guarda che LU-na,
guarda che MA-re, io questa
NOT-te senza TE
do-vrò...") mentre nella seconda parte si ha una progressione in discesa
che parte dall'appoggiatura si-la per scendere, attraverso quella la-sol, alla
fine con un sol-fa#. Il basso inizia a scendere cromaticamente, con la
successione mi-re#-re che una volta arrangiata - notate il passaggio alla
relativa maggiore - invita ad arrivare sul quarto grado; nella parte finale
abbiamo una cadenza molto forte, con la doppia dominante che risolve sulla
dominante.
Strofa 2
| Mim |
Si7 | Mi7 | Lam | Lam6 Fa7 |
Mim | Lam7 Si7 | Mim
|
Mim:
i
V
I
iv bII
i iv
V i
La seconda versione della strofa inizia come detto allo stesso modo; ma poi il
passaggio dal la minore al mi minore avviene di nuovo cromaticamente, usando la
cosiddetta "sesta napoletana". Questo accordo, sul secondo grado maggiore
abbassato di un mezzo tono, a dire il vero non è napoletano e non è nemmeno una
sesta! Più precisamente il nome "napoletana" potrebbe essere collegato al suo
uso nella musica rinascimentale napoletana, oppure perché l'accordo può essere
ricavato suonando la scala minore detta napoletana. Il nome "sesta", invece,
deriva dal datto che generalmente veniva suonato nel primo rivolto, quindi nella
posizione "di sesta". Nella musica tonale viene sempre preceduto da un accordo
con una nota sul secondo grado, e seguito dalla tonica. Qua infatti è preceduto
da un la minore a cui viene aggiunto il fa diesis; in altri casi, come nella
beatlesiana Things We Said Today, il
passaggio è II-bII-I in spregio come al solito a tutte le regole armoniche
classiche. La sezione termina con la classica cadenza autentica, con l'accordo
maggiore di dominante.
Finale
| Lam |
Mim Sol/Re | Do7+ Si | Mim Lam | Mim | Mim9 |
Mim: iv i III
VI V i
iv i
La parte finale del brano è indubbiamente orchestrale, di quelle che sembra
aprano una porta dopo l'altra: il tutto in sei sole battute, di cui due
contengono l'accordo finale. Si inizia con un classico: l'accordo di
sottodominante che ti fa pregustare il passaggio alla dominante che invece non
c'è, perché l'orchestra si ferma e l'interprete canta senza accompagnamento le
ultime note. Tornati finalmente al nostro accordo sulla tonica, abbiamo il basso
che questa volta non segue una scala discendente, perché continua a muoversi;
però all'atto pratico porta l'orecchio a sentire gli accordi che ho indicato qui
sopra. D'altra parte sia l'accordo di sol, soprattutto se gli si aggiunge una
sesta che non fa mai male, che quello di do ampliato con la settima maggiore non
sono altro che travestimenti di un mi minore con aggiunta un'ulteriore nota. A
questo punto è implicito tornare alla tonica passando dall'accordo di dominante;
ma non è ancora finita perché questa volta abbiamo una cadenza plagale, e dopo
di questa il "punto esclamativo finale", cioè l'accordo di mi minore con
l'aggiunta di un fa#. Questo finale jazzistico nel 1959 stava iniziando ad
essere portato anche nella musica leggera passando per il rock'n'roll, e tra
qualche anno sarebbe diventato così comune da venire quasi a noia, ma per il
momento era un tocco di novità.
Come abbiamo visto, questa canzone non ha
grandi voli pindarici dal punto di vista armonico. Eppure ha indubbiamente un
suo fascino: non abbastanza per diventare un evergreen, ma comunque sufficiente
per essere riproposta di quando in quando, e diventare il titolo di trasmissioni
televisive (Rai, 2005) e produzioni teatrali (con la Banda Osiris, Enrico Rava e
Gianmaria Testa, non esattamente gli ultimi arrivati). E garantisco che il
motivetto resta per un po' in testa, quando la si ascolta.
.mau.
 
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