Anno: 1980
Altri titoli: Out there on my own
Interpreti: Nikka Costa
HitParade: #1, Luglio 1981
Chart annuale: Top 10
Altri interpreti: Irene Cara
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Nella storia di "Out here on my own" incontriamo tre ragazzine prodigio,
la scuola d'arte drammatica più...famosa della storia del cinema e
comparse di lusso come Quincy Jones, Frank Sinatra e (si parva licet)
Tony Renis. Tutto ha inizio con una sedicenne di nome Lesley Gore che
nel 1963 esplode nelle classifiche statunitensi e inglesi con un pezzo
intitolato "It's my party". Tipico esempio di pop adolescenziale che
arriverà anche in Italia col titolo "La mia festa" grazie
all'interpretazione di Richard Anthony. L'originale é prodotto da Quincy
Jones, che avremo modo di ritrovare più avanti. Sul finire del decennio,
la Gore abbandona in parte l'attività di cantante per dedicarsi
soprattutto a quella di autrice di canzoni. Ma non succede nulla di
speciale fino al 1980, anno in cui il fratello Michael compone la
colonna sonora del musical cinematografico "Fame" e le chiede di
scrivere il testo di una delle canzoni, la romantica "Out here on my
own". Nel film il pezzo é eseguito al pianoforte da Irene Cara che veste
i panni della portoricana Coco Hernandez, un'allieva dell'accademia di
New York dove ragazzi di diverse provenienze ed estrazioni sociali,
accomunati dalla sola ambizione di sfondare nel mondo dello spettacolo,
si sottopongono quotidianamente a dure lezioni di ballo, musica e
recitazione. E, naturalmente, di vita. La storia e i personaggi li
conosciamo un pò tutti, anche perché sono stati ripresi da una serie
televisiva dallo stesso titolo (quello italiano é "Saranno famosi"), che
ha avuto un largo seguito anche da noi. E alla quale Irene Cara non ha
preso parte, a differenza di molti altri componenti del cast
originario.
"Out here on my own" é il tipico pezzo "da musical", con l'eroina di
turno che rivolge il pensiero ad un amore lontano e in esso trova la
forza di lottare da sola per realizzare i suoi sogni di successo e fama
("ma queste cose costano..." aggiungerebbe prontamente la professoressa
Grant se ci trovassimo nel telefilm). Frasi scontate come quelle che si
ascoltano nel refrain ("quando sono giù e mi sento triste, chiudo gli
occhi così posso stare con te; amore, fatti forte per me, appartienimi,
aiutami, ho bisogno di te) acquistano maggior vigore e credibilità
grazie ad una voce ricca di pathos e personalità, che lascia trasparire
una padronanza del mestiere da interprete consumata. E Irene, pur
essendo molto giovane (ha poco più di vent'anni), può quasi vantarsi di
esserlo, visto che a soli otto anni incideva già il suo primo LP.
Il pezzo ottiene una candidatura agli Oscar come miglior canzone tratta
da un film; in quell'edizione degli Academy Awards Irene Cara si ritrova
a gareggiare contro se stessa, poiché é anche l'interprete del tema
principale di "Fame", nominato nella stessa categoria. La spunta
quest'ultimo, ma "Out here on my own" é comunque un successo che arriva
fino al diciannovesimo posto della classifica statunitense e alza
ulteriormente le quotazioni dell'artista newyorkese. Tanto é vero che il
suo nome comparirà anche tra le candidature dei Grammy Awards (come
miglior nuova interprete) e dei Golden Globe (come miglior attrice del
genere "commedia e musical"). E la storia potrebbe tranquillamente
concludersi qui. Se non fosse per un'inconsueta "coda" italiana che,
sorprendentemente, ribalterà il sostanziale nulla di fatto della canzone
presso il pubblico non statunitense, facendola arrivare al successo
anche in Europa e in Sudamerica.
Siamo nei primi mesi del 1981. Il celebre musicista, arrangiatore e
produttore italo-americano Don Costa arriva nel nostro paese con la sua
orchestra per una serie di concerti dedicati alle canzoni dei Beatles.
Portandosi dietro (ahinoi) anche la figlia Nikka di soli nove anni. Per
chi é nel giro, non é un mistero che il padre stia facendo di tutto per
farla diventare una piccola star della musica: la porta sempre con sé
nei suoi studi di registrazione di Los Angeles, dove entrano ed escono
di continuo personaggi del calibro di Frank Sinatra, che é anche il
padrino di Nikka, e Quincy Jones (eccolo di nuovo), e la fa cantare in
pubblico non appena se ne presenti l'occasione. Cosa che avviene
puntualmente anche durante il concerto di Milano. Quella sera in sala ci
sono Tony Renis, amico personale di Don Costa che ha agevolato la sua
calata in Italia, e il musicista e produttore Danny B. Besquet. Gli
elementi per un lancio in grande stile della sventurata bimba con i
boccoli biondi e lo sguardo da adulta, a questo punto, ci sono tutti. I
due talent scout le procurano un contratto con la CGD e si mettono in
cerca del pezzo giusto da farle cantare. E alla fine scelgono la strada
più facile: riciclare un successo già collaudato altrove. Tanto non se
ne accorgerà nessuno, perché l'attenzione sarà inevitabilmente attirata
più dall'interprete che non dalla canzone in sé. "The singer not the
song", per dirla con i Rolling Stones.
La scelta finale cade proprio su "Out here on my own", che in Italia
conoscono in pochi e che sembra avere i giusti requisiti per raggiungere
un vasto pubblico. Compresi, naturalmente, i bambini, divenuti ormai
fondamentali per il mercato dei dischi a 45 giri, come dimostra il fatto
che, nonostante il settore sia in calo da alcuni anni, le sigle dei
cartoni animati e, in generale, le canzoni adatte all'infanzia
continuino a vendere come generi di prima necessità.
Il singolo di Nikka Costa, prodotto da Renis e Besquet e leggermente
semplificato nel titolo (ora le prime due parole sono tra parentesi),
esce in primavera, corredato da un videoclip che alterna immagini nelle
quali la piccola canta davanti ad un microfono sotto l'amorevole sguardo
del padre ad altre di "finta" vita familiare dove si fa di tutto per
ritrarla come una bambina normale, che scherza serena col papà, si
diverte tra mille giocattoli e coccola il suo gatto; inutile dire che la
relativa visione desta una tristezza infinita, oggi ancora più di
allora. Anche perché si capisce da lontano un miglio che Nikka quella
vita da bambina normale vorrebbe averla davvero. La stampa, le polemiche
sul malsano utilizzo della minore da parte di un padre troppo ambizioso
e le immancabili imitazioni (simpaticissima quella di Gigi Sabani a
"Fantastico 2") fanno il resto. Nei mesi estivi il singolo, forte anche
di una buona promozione televisiva, balza in testa alla hit parade e ci
rimane per quattordici settimane. Roba da fare impallidire i Baglioni e
i Battisti dei tempi migliori e arrossire di vergogna tutti quelli che
hanno abboccato acquistando il disco. Come da copione, a Nikka viene
concesso di incidere un intero album a suo nome; gli arrangiamenti e la
direzione sono, naturalmente, di Don Costa, che suona anche la chitarra
e compone un paio di pezzi. Questi dischi non sono pubblicati, però,
negli Stati Uniti, dove la bambina rimane una illustre sconosciuta; in
compenso, é famosissima in Sudamerica, dove può permettersi di aprire un
concerto dei Police a Santiago del Cile di fronte a trecentomila
persone.
Nel 1983 Nikka perde il padre. Non sentiremo più parlare di lei fino al
1990, anno in cui, giunta ormai alle soglie della maggiore età,
ricompare a tradimento al Festival di Sanremo per doppiare in inglese
"Vattene amore". Oggi fa la cantante funky-blues, la sua musica e la sua
voce non sono niente male ma il successo, quello vero, non lo ha mai
riacciuffato. Saranno famosi? Beh, non sempre.
(Luca)
 
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