WALK ON THE WILD SIDE
(di Lou Reed - Dossena - Monti)

  • Anno: 1972
  • Altri titoli: -
  • Interpreti: -

  • HitParade: -
  • Chart annuale: -

  • Altri interpreti: Patty Pravo
  • Come la letteratura, anche la musica ha chi sublima il vizio sottraendolo al giudizio della morale corrente. Il Baudelaire in versione pop rock si chiama Lou Reed, aveva cominciato con un altro tipo di musica, quello newyorchese di quel periodo, pagando dazio, in parte, anche a Bob Dylan. Era il 1966 e lavorava con i Velvet Underground. Dopo aver lasciato i Velvet Underground, pubblica l'omonimo Lou Reed, primo album da solista. L'album passa letteralmente inosservato sia dalla critica che dal pubblico.
    In questo periodo di crisi personale e professionale, Lou incontra David Bowie e Mick Ronson, che decidono di produrre a Londra il suo secondo album: Transformer.
    Qualche tempo prima, Reed aveva avuto l'incarico di trarre un musical da un libro di Nelson Algren intitolato Walk On The Wild Side: il progetto non va in porto, ma nel lavoro preliminare aveva creato un pezzo, intitolato come il libro e dedicato alla corte bizzarra di personaggi conosciuti all'epoca in cui lavorava con i Velvet alla Factory di Andy Warhol.
    Ogni strofa si riferisce a uno di loro, dipingendone brevi tratti e caratterizzando ciascuno con espliciti riferimenti al mondo della droga, della transessualità e della prostituzione. Nessun accento drammatico o moralistico, ma solo un invito, ripetuto più volte, a condividere la trasgressione ("Take a walk on the wild side").
    L'intero album è incentrato su questi argomenti, e se la scelta è dettata dall'incontro con Bowie, che stava sperimentando quelle sonorità e quel modo di porsi di fronte al pubblico che poi sarebbe stato definito "glam rock", è anche vero che il raccontare ed esibire sfrontatamente la propria sessualità nasce dall'esperienza diretta del protagonista nella Factory.
    Da Bolan a Lou Reed senza dimenticare i Roxy Music, nei primi anni '70 è tutta una gara a chi trasgredisce di più. Il numero delle star argentate, laccate ed ambigue avrà il suo clou con i Silver Head (nuovi astri 1973) che della volgarità e dell'aggressività faranno i loro cavalli di battaglia. Lou Reed aveva conosciuto Bowie a New York ed aveva compreso che quel giovane efebico era nient'altro che la proiezione romantica di lui stesso e dei Velvet Underground. Bowie, d'altronde, non nascondeva l'influenza che aveva ricevuto dall'ex gruppo di Reed e durante la tournèe americana la manifestava palesemente cantando brani del repertorio dei primi Velvet. Oltretutto aveva dedicato proprio a Lou Reed Queen Bitch, uno dei brani più travolgenti dell'album Hunky Dory. Ora eccolo in veste di produttore-ammiratore di questo poliedrico artista trasformato nel look, così come recita anche il titolo del long playing.
    Lou Reed è un Frankenstein ambiguo che concede parte della sua immagine alla moda imperversante in questo periodo: occhi bistrati alla David Bowie e platform shoes, cioè zatteroni, alla Elton John.

    Il personaggio di Holly, con cui si apre Walk on the wild side, è un travestito/attore di origine portoricana, che ha lavorato in alcuni film di Warhol, tra cui Trash, i rifiuti di New York, che ebbe una discreta circolazione anche in Italia, e Women in revolt. Recentemente autore di una divertente autobiografia intitolata Coi tacchi alti nei bassifondi (A low life on high heels).
    Subito dopo facciamo conoscenza con Candy, il cui vero nome era James Lawrence Slattery. Debuttò nel 1968, a soli 21 anni, nel film Flesh e la sua carriera fu stroncata dalla leucemia nel 1974. Il suo nome ricorre anche in un'altra canzone di Lou Reed, Candy Says, incisa con i Velvet Underground.
    Alla terza strofa compare il personaggio più conosciuto: "Little Joe" altro non è che Joe D'Allesandro, modello e prostituto prima di recitare per Warhol e ottenere qualche parte nel cinema "ufficiale". I jeans della famosa e discussa copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones sono indossati da lui.
    "Sugar Plum Fairy" è un personaggio del balletto "Lo Schiaccianoci", ma è anche il soprannome di un noto spacciatore che frequentava Andy Warhol e la Factory.
    Nell'ultima strofa compare Jackie (Curtis), altro travestito-attore, che morì nel 1972 dopo aver preso parte a due soli film.

    All'inizio, Lou Reed non voleva che il brano venisse pubblicato a 45 giri, temendo che le stazioni radio ne bandissero la programmazione: ma prima che i funzionari della BBC si accorgessero del significato dei versi, delle allusioni al sesso orale, alla droga, al mondo degli omosessuali e degli emarginati, il brano era già salito tra i primi dieci della Hit Parade britannica, e destinato a rimanervi per molti mesi.
    In USA Walk On The Wild Side diventò il disco più gettonato nei juke-box, ma la censura fu molto più pesante, e in qualche caso il brano fu trasmesso con una serie di bip al posto delle frasi incriminate.
    In Italia la canzone viene ripresa da Patty Pravo che la include nell'album Pazza Idea e ne stravolge il significato, intitolandola I giardini di Kensington.

    La forza del pezzo stava nell'atmosfera intimista e conversazionale, nello splendido arrangiamento jazzato (ad opera di Mick Ronson) costruito intorno ad un giro di basso di Herbie Flowers, e nell'affascinante sax di Ronnie Ross, oltre all'irresistibile coro "and the coloured girls go". Sino allora per radio non si era mai sentito niente di simile. Il particolare sound di basso fu ottenuto doppiando un normale basso elettrico con le stesse note suonate su una chitarra. Una specie di controcanto alla voce di Lou Reed.

    Sul retro un'altra grande canzone, Vicious, nella quale, con una sublimazione sadomaso al posto della frusta, per battere l'amante, viene usato un fiore. Forse non è mai stato sottolineato che questa canzone è molto simile ad un'altra, un caposaldo del beat: Wild Thing dei bravissimi Troggs (canzone datata 1966), alla quale probabilmente Lou Reed si è ispirato.
    Un disco che non dovrebbe mancare nella discoteca ideale e che non manca di interessare anche chi non ama eccessivamente quel tipo di musica. Proprio come chi scrive.

    (Christian Calabrese)