Anno: 1967
Altri titoli: Senza luce (trad. di Mogol)
Interpreti: Procol Harum
HitParade: #1, Settembre 1967
Chart annuale: Top 10
Altri interpreti: I Dik Dik
(Top 30, #1 Novembre 1967) - Fausto Leali (Top 100, #13 Settembre 1967) - Wess and the Airedales
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Prendete un anno di grande fermento musicale, il 1967, e ambientateci un autore di
testi ermetico, problematico, introspettivo, dai (non sempre) chiari riferimenti
tematici alla Mitologia Greca. Aggiungete un pianista di formazione classica e nel
cui calderone creativo ribolliscono nuove idee e inusuali soluzioni armoniche.
Ponete che lo stesso pianista sappia anche cantare con un timbro di voce molto
personale, inconfondibile. Completate gli ingredienti fondamentali con un organista
Hammond trovato leggendo una inserzione su "Melody Maker" che ci sappia mettere
le note giuste. Infine, a corollario, aggiungete un buon bassista ed un discreto
batterista. Miscelate ben bene e date al cocktail un nome nuovo, evocativo di
atmosfere inquietanti legate più al mito che al presente epocale (anche se, per
l'obbiettività della cronaca, si trattava semplicemente del nome preso a
prestito da un gatto!): ecco pronti i Procol Harum di "A Whiter Shade Of Pale",
balzati dal nulla agli onori del N° 1 nelle chart inglesi nel breve volgere di tre
settimane dall'uscita del loro disco di esordio.
Il consuntivo economico dell'epoca, ossia a fine 1967, dirà di oltre sei milioni
di dischi venduti in tutto il mondo nella versione originale e di innumerevoli covers
che, da allora a venire ai nostri giorni assomma a 243.
La genesi di "A Whiter Shade Of Pale" ha fatto versare fiumi di inchiostro: nel bene
e nel male, a causa (o per merito) dell'ampia ispirazione alla musica di J. S. Bach
che Gary Brooker, il pianista autore delle musiche, e Matthew Fisher, l'organista
che elaborò l'ormai celeberrimo "obbligato" introduttivo fanno trasparire nella loro
"opera prima". Ispirazione che, onestamente, i due tastieristi non si sognarono mai
di negare e che diede vita, di fatto, a quel genere di musica popolare che qualcuno
definì "Progressive Rock" e che ebbe successivamente interessanti (ma anche, e perché
no, stucchevoli e noiosi) sviluppi principalmente nel lavoro di gruppi quali Genesis,
King Krimson, Yes, Moody Blues, Gentle Giant e numerosi altri.
"A Whiter Shade Of Pale" piacque immediatamente al grande pubblico, che ne decretò,
come già detto, un immediato e straordinario successo, qualità che si riconosce a volte
ai grandi capolavori. L'evidenza immediata (per chi, come noi in Italia, era piuttosto
lontano, se non del tutto impedito, ad apprezzare il testo, sia a causa della lingua,
che per la difficile comprensibilità dello slang biascicato di Brooker, unitamente
all'ermeticità dell'autore) stava nella parte giocata dall'introduzione dell'organo
Hammond di Matthew Fisher, fino ad allora, come gli altri, un perfetto sconosciuto,
che si scolpiva indelebilmente nella mente dell'ascoltatore. A chi ne aveva
voglia, poi, restava la briga di analizzare i "se" ed i "ma", i "perché" ed i "per
come" legati a dissertazioni più o meno dotte, più o meno pertinenti il "sacrilego
saccheggio" (perché così fu anche definito") perpetrato ai danni dell"Aria" dalla
Suite in Re, BWV 1068 e del Preludio Corale "Wachet auf, ruft uns die Stimme" BWV 645
di J.S. Bach. Il vero, autenticamente popolare, quindi universale, riconoscimento al
successo dei nostri, stava però nel fatto che piaceva alla gente comune, che
fischiettava allegramente il motivo nel farsi la barba al mattino o per strada
andando a lavorare.
I primi a trovarsi spiazzati da tanto successo furono però gli stessi Procol Harum.
Oberati di impegni cui malapena riuscirono a far fronte, tra serate, apparizioni
alle varie TV nazionali, tour internazionali, trovarono appena il tempo di cambiare
in corsa due elementi dell'organico, il batterista ed il chitarrista rimpiazzati
rispettivamente da B.J. Wilson e da Robin Trower, (già noti a Gary Brooker per aver
militato con il pianista nei "Paramounts"), di entrare in sala di incisione per
registrare la loro seconda fatica su 45 giri, chiamati dal pubblico impaziente (e
spinti dagli gnomi discografici, sempre sensibili più al lato economico che
all'arte) alla replica che si concretizzò, nell'autunno 1967, nell'uscita di "Homburg".
Leonardo Viani
 
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