Settimana 06 Febbraio 1965
( da Musica & Dischi )

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1Se piangi se ridi Bobby Solo € 10
2Le colline sono in fiore New Christy Minstrels€ 10
3Amici miei Gene Pitney € 10
4Si vedrà Les Surfs € 10
5E se domani Mina € 12
6Invece no Petula Clark € 11
7Io che non vivo senza te Pino Donaggio € 10
8Non sono degno di te Gianni Morandi € 10
9Viva la pappa col pomodoroRita Pavone € 10
10Abbracciami forte Ornella Vanoni € 10
 

Sanremo 1965

Come sempre, di questi tempi, le canzoni sanremesi hanno letteralmente invaso la classifica dei singoli più venduti della settimana e faranno bella mostra di sé per un paio di mesi. Il Festival di Sanremo si è appena concluso (28-29-30 gennaio) e questa è la prima classifica dell’anno con le canzoni in essa contemplate. Sanremo si è concluso nel modo più ovvio e cioè con la vittoria del personaggio "nuovo" dell’anno precedente, il vincitore morale e cioè Bobby Solo che sebbene abbia portato una canzone leggermente minore rispetto a quella dell’anno precedente, ha sbaragliato tutti grazie soprattutto al nome. La canzone è SE PIANGI SE RIDI, strutturata in modo da mettere in risalto la voce con toni bassi e caldi del giovane cantante romano. Ci si ritrova lo stesso stile ed atmosfera della precedente UNA LACRIMA SUL VISO, la stessa dolcezza ed eleganza nel porgerla al pubblico e le stesse delicatissime modulazioni di voce, nonostante resti comunque un succedaneo della precedente. La chitarra solista accompagna sapientemente la melodia donandole un po’ di quello smalto e vitalità che le manca e senza i quali, in alcuni punti, risulterebbe ancor di più pesante e noiosa. La voce è molto bella, niente da dire, e l’esecuzione perfetta, senza una sbavatura, da gran professionista. E difatti stravince. In più Bobby Solo in questo periodo fa parecchio presa sul pubblico femminile anche per quel gioco vocale alla Elvis, che comunica sensazioni suadenti e sexy, e per l’istinto materno che suscita a causa del modo in cui il giovane interprete si presenta agli occhi del pubblico. Moderno ma tranquillo, elegante ma giovanile. C’era poi da riscattare l’ingiustizia della sconfitta dell’anno precedente, c’era da confermare il successo strepitoso de UNA LACRIMA SUL VISO e c’era da far vedere che gli italiani sanno farsi perdonare per gli sbagli e se le cose sono andate male una volta la successiva andranno meglio. In più, c’è il fatto che in questo decennio, migliaia di ragazzi sognano una favola come quella capitata al giovane Bobby (ma anche a Gigliola). Sconosciuto oggi, domani al primo posto in classifica e protagonista di film, con tanti soldi e copertine sui giornali. Con stuoli di fans adoranti. Questo è il sogno dei ragazzi italiani (età media 13-16 anni) di oggi, anno di grazia 1965. Quarant’anni dopo, il sogno è quello di diventare la fidanzata di un calciatore o di far parte del cast di qualche reality show. Tornando alla canzone regina, a quanto pare vince anche nella classifica dei dischi più venduti perché il singolo è già saldamente in testa e sinceramente, a parte LE COLLINE SONO IN FIORE, non sembra ci siano altre pretendenti al trono. La stessa Gigliola Cinquetti, vincitrice dell’anno passato, neanche appare nella lista dei primi dieci. La sua canzone è stata davvero un buco nell’acqua e l’accoppiata Connie Francis (vecchia volpe) Gigliola-BiancoFiore (che continua strenuamente a non avere l’età) non riesce a superare la retorica del testo su misura per la classica ragazzina perbene, con forti pruriti repressi dalla morale. Troppi violini e troppe melensaggini finiscono per non giovare né l’una né l’altra versione. Cosa ci si può aspettare da una ragazza che dichiara, come massima trasgressione, di far finta di studiare il piano ed invece, sottobanco, legge Emilio Salgari??

New Christy Minstrels

Ad eseguire SE PIANGI SE RIDI in doppia versione è il complesso americano de I Minstrels che hanno dimostrato di essere davvero preparati e soprattutto un gruppo vocale nel vero senso della parola. Mike Bongiorno li chiamava in maniera monotona i menestrelli del folclore americano. E loro, forse, della vittoria non sanno cosa farsene. Anzitutto perché è comunque la vittoria di Bobby Solo e non la loro, in secondo luogo perché i loro obbiettivi vanno oltre la vittoria in un festival straniero. Volevano farsi conoscere al meglio e ci sono riusciti. Punto e basta. Il complesso (nove elementi) sfrutta sapientemente il fatto che sono i preferiti del presidente Johnson, che li invita per gli intrattenimenti della Casa Bianca. Questo stuzzica un po’ la fantasia del pubblico (così come i Duran Duran, nel 1983, furono presentati come i favoriti di Diana, la moglie di Carlo D’Inghilterra). La televisione si affretta a far loro registrare uno show presentato dal Quartetto Cetra con la regia di Lyda C. Ripandelli. In più, il disco dei Minstrels, è uno dei più venduti in assoluto (è secondo in questa settimana nonostante la loro ragione sociale riporti il nome più antico del gruppo, quello che si trova sui dischi stampati in America: New Christy Minstrels). Reca sulle due facciate tutti e due i pezzi presentati al Festivale cioè la canzone vincitrice e LE COLLINE SONO IN FIORE. Quest’anno, i dischi di Sanremo non hanno avuto l’effetto travolgente dell’anno precedente, per il quale parecchie case discografiche dovettero far fronte a centinaia di migliaia di richieste d’acquisto senza aver stampato in precedenza un numero adeguato di copie. L’interpretazione del complesso americano è pressoché perfetta. Le poche copie disponibili sono andate esaurite nei primi giorni successivi al festival. Chi avrebbe mai pensato che la versione del gruppo americano avrebbe potuto vendere più del recordman di vendite Bobby Solo? Difatti sarebbero primi se si tenesse conto non del solo lato B del disco ma anche della prima facciata! Chi ha comprato la prima stampa del disco è in possesso di una piccola rarità, sebbene di poco valore monetario. Perché si chiamano New Christy Minstrels? Un po’ per giocare sul nome di menestrelli di Cristo-cristiani, ma soprattutto perché il loro fondatore ha voluto ricordare un personaggio particolare dello spettacolo americano: Edwin P. Christy, che durante il periodo dei pionieri aveva fondato un nucleo itinerante di attori, mimi, girovaghi, musicisti che davano spettacoli imperniati sui temi più attuali ed interessanti degli accadimenti dell’epoca (si sta parlando del 1850 circa). Alla morte di Christy, il gruppo si sciolse ma l’eco dei successi ottenuti negli anni resistette ancora fino al secolo ventesimo. Fino a quando, nel 1961, un impresario chiamato Randy Sparks prese spunto da quel leggendario ensemble per produrre un LP di repertorio simile: ballate in stile cowboys e folk music. Ci voleva però un folto numero di cantanti giovani e di poche pretese e per questo fece audizioni su audizioni fin quando scelse il nucleo formato da sette ragazzi e due ragazze. Il disco vendette duecentomila copie e Sparks si affrettò a richiamare i componenti fiutando l’affare. Preparò una serie di date per tutti gli Stati Uniti per farli conoscere dal vivo e il successo non si fece attendere. Sebbene di un genere completamente diverso dalla moda del momento, i New Christy Minstrels riuscirono ad entrare nel cuore e nelle case degli americani più legati alle tradizioni e alla cultura musicale del paese. Del gruppo fa ancora parte Barry McGuire, scoperto per caso da Peggy Lee, celeberrima cantante statunitense degli anni quaranta e cinquanta, quando lui era ancora un marinaio e cantava a Santa Monica per divertire i suoi commilitoni. La cantante si innamorò perdutamente di Barry e cercò addirittura di togliersi la vita quando il giovanotto l’abbandonò per unirsi al gruppo. Da lì a poco intraprese una carriera di solista e il suo primo disco fu EVE OF DESTRUCTION, che aprì le danze al periodo pacifista americano.

Mina

SE PIANGI SE RIDI ha inoltre un’altra versione, quella di Mina, sempre lesta ad accaparrarsi le migliori della rassegna canora e a farne delle riuscitissime versione personali. Niente a che vedere con la magistrale esecuzione di E SE DOMANI, del Sanremo precedente, ancora in classifica al quinto posto. Mina ha trovato una nuova maniera per scegliersi le canzoni: assistere al festival tranquilla da casa. Scegliere quella o quelle che più le piacciono e poi reinciderle a tempo di record. Esecuzione impeccabile, nitida e di classe ma manca qualcosa. Forse proprio la canzone??? E’ troppo su misura per Bobby Solo, cucita su di lui nota su nota. Fa eccezione la versione dei Minstrels che trova subito il modo e di insediarsi a pari merito al primo posto ex aequo con Bobby Solo. Ma loro ne fanno una versione quasi orchestrale, corale e poco sensibile alle mode. Non c’è un vero raffronto tra i due interpreti. Mina invece ne dà un’interpretazione da vera cantante. Il retro è PIU’ DI TE versione italiana di I WON’T TELL, un’altra canzone che sembrerebbe sullo stile di Lesley Gore, molto saccheggiato dai cantanti italiani in questo periodo. Invece a cantarlo in Usa sono The Four Season, quelli capitanati da Frankie Valli. Il disco, peraltro, non è neanche in circolazione da noi.

Polemiche per Bobby Solo al momento di presentare la canzone al Gran Premio Dell’Eurovisione in programma a Napoli per il venti di marzo. Come ogni anno (fino a quel momento) l’Italia ha partecipato alla manifestazione con la canzone vincitrice a Sanremo ma le regole scritte dell‘ Eurofestival dicono che la canzone partecipante deve essere inedita alla data del 10 febbraio 1965, cioè undici giorni dopo la conclusione del festival sanremese. Il caso arrivò anche in Parlamento (e ti pareva...). A molti sembrò inopportuno trasgredire proprio quest’anno che il festival, in virtù della vittoria della Cinquetti a Copenhagen l’anno prima, tocca organizzarlo all’Italia. Viene posto quindi all’UER, Union Europèenne de Radiodiffusion (ah, i tempi belli in cui, negli eventi internazionali, ancora si parlava la lingua di Moliere; vero, cari francesi?) un quesito con risposta obbligatoria o quasi che suonava pressappoco così: volete voi, paesi amici e non belligeranti, fare sì che l’Italia partecipi con una canzone non inedita alla manifestazione di cui ci frega molto poco, visto il poco tempo per trovare una canzone inedita al nostro Bobby Solo? Un coro di sìììì non si fece attendere molto. Tanto a vincere ci avrebbe pensato France Gall.

La "guerra" RAI-RCA

Ma c’è qualcosa che turba il pre-festival e cioè la guerra scoppiata tra gli organizzatori e la RCA. La casa discografica romana aveva deciso di inviare a Sanremo una nutrita schiera di big e giovani. Tra questi Paul Anka, Alain Barriere, Dalida, Gino Paoli e Neil Sedaka ai quali affiancare altri cantanti giovani e meno noti per farli conoscere al pubblico (Riccardo Del Turco, Pierfilippi, Dino, Louiselle) alla stregua di quanto praticato dalle altre case discografiche. Gli organizzatori decidono che i posti disponibili per la RCA sono solo tre. I dirigenti non credono alle loro orecchie. La sola RCA fattura il 60% degli introiti nazionali legati alla vendita dei dischi e questi pezzenti degli organizzatori si permettono di decidere il numero dei cantanti che possono prendere parte al Festival? Viene spedito un ambasciatore che presenta un ultimatum: o tutti e sei o nessuno. Risultato finale: nessuno. E’ guerra totale. La RCA promette un controfestival negli stessi giorni di Sanremo, gli organizzatori vorrebbero invece fosse trasmesso dopo il festival ufficiale. Al consigliere delegato della Rai perviene un comunicato ufficiale da parte della AFI (Associazione Fonografici Italiani) con la minaccia di non programmare nei palinsenti lo spettacolo della RCA (che avrebbe incluso tutto lo stato maggiore canoro della casa) altrimenti... ci arrabbiamo! Poi si viene a sapere che l’AFI non ha inviato nessun documento ufficiale sebbene la carta intestata sia proprio la loro. Dieci giorni prima del Festival, quattro case discografiche, e cioè la Decca, La Voce Del Padrone, la Durium e la Phonogram, che hanno a Sanremo i loro cantanti e le loro canzoni, inviano una lettera al solito consigliere chiedendo che la radio e la tv non trasmettano integralmente la manifestazione. La motivazione è : quando il Festival era organizzato direttamente dalla Rai era sì un mezzo utile per l’industria discografica ma con il tempo si è trasformato in un’iniziativa al servizio di alcuni editori. E per questa ragione alle suddette case discografiche pare ingiusto che alcuni personaggi approfittino dell’appoggio dei mezzi messi a disposizione dalla Rai. In più si critica l’acquisto del cantante Fred Bongusto da parte della Fonit Cetra per conto dell’IRI e a spese del contribuente. Di tutto e di più, insomma! Comunque quando l’elenco ufficiale dei partecipanti al quindicesimo Festival rivela l’assenza dei cantanti targati RCA, la casa dirama un documento ufficiale nel quale si lamenta che alcune case discografiche ed editrici siano rappresentate in maniera sproporzionata rispetto alla loro attività sul mercato. A Giuseppe Ornato, presidente della RCA, risponde Gianni Ravera che accusa la casa romana di aver sempre cercato di boicottare il lavoro di selezione anche negli anni precedenti, rifacendo un po’ la storia dei rapporti tra il Festival e la RCA e che non aveva mai promesso l’inclusione di cinque sue composizioni nella lista della 24 canzoni (gli interpreti sono 44 perché alcuni cantanti stranieri sono in gara con più canzoni come I Minstrels e Timi Yuro, Gene Pitney e Jody Miller). Tale promessa non poteva essere fatta per non venire meno ad un giusto criterio distributivo che tiene conto degli interessi degli editori e dei discografici senza privilegi di sorta. Discorso che non farebbe una piega se non si sapesse delle manovre e dei maneggi che c’erano, ci sono e ci saranno dietro Sanremo. Anzi, oggi forse meno, perché tanto non si vende un disco lo stesso... Ma allora come mai la CGD/CBS ha 11 artisti e dodici canzoni? Perché la Ricordi ne ha sette? Perché la SAAR ne ha sei? Se la giustizia distributiva di Ravera fosse stata reale, la RCA, che assorbe il 60% del mercato, avrebbe dovuto essere la prima in assoluto tanto più che le loro cinque canzoni, tenendo conto delle distribuzioni discografiche, si sarebbero ridotte a quattro visto che LA VERITA’ di Paul Anka e NON BASTA SAI di Neil Sedaka appartengono per metà ad altre case... Senza contare che l’Ariston, casa editrice musicale divenuta discografica da pochissimo, per meglio amministrare le proprie composizioni ha ben tre posti assicurati. Se si concedono tre canzoni ad una casa appena nata e se ne negano cinque alla RCA c’è sicuramente qualcosa di fondo che non va. Ravera taglia corto sentenziando che Sanremo è come Roma-Lazio: se i campioni ci sono, bene. Comunque sia il pubblico ci va lo stesso. Conclude dicendo che ormai cantanti come Paul Anka e Neil Sedaka, nella loro patria non sono più nessuno. Forse sarà vero, ma allora perché far venire una cantante in disgrazia come Connie Francis o un reperto archeologico come Joe Damiano dall’America o tanti altri di questa edizione che sono veramente dei signor nessuno? Dei nomi? Il giamaicano Hoagy Lands o il tedesco Bernd Spier. Di Hoagy Lands tutti sono concordi nel dire che la sua felicità la trovava ogni sera davanti ad un bicchiere di whisky. I suoi discografici lo marcavano stretto e la fine del Festival deve essere stata per lui una liberazione.

Il forfait della RCA è stato un duro colpo per Sanremo e la mancata partecipazione ha causato altrettanti rifiuti da big stranieri. Basti osservare il ritardo con il quale gli organizzatori del Festival hanno comunicato i nomi dei quarantaquattro partecipanti. Segno che non deve essere stato facile reperire grossi nomi da mettere nella lista. E sì che la materia prima, all’epoca, non mancava dato che fare il cantante era forse il mestiere più inflazionato di tutti negli anni sessanta! Dionne Warwick dice no grazie, lo stesso fa Julie Rogers (anche se non è un nome davvero importante). Quest’ultima viene sostituita da Kiki Dee che all’epoca valeva quanto un francobollo in corso già usato. Ci sono davvero i divi a questa edizione del festival? La commissione selezionatrice ha fatto terra bruciata sotto i piedi dei più famosi autori e cantanti. Eliminati Morricone, Luttazzi, D’Anzi, Renis, Meccia, Fidenco (per fare qualche nome) i cantanti veramente famosi sono pochini. Di certo non sono Robertino, Franco Tozzi, Remo Germani, Beppe Cardile, Le Amiche, Nicola di Bari (non sono questi, i loro anni). C’è Bobby Solo che difatti vince, la Cinquetti (anche lei reduce dall’annata precedente), Bongusto (che all’attivo ha un paio di singoli di successo compreso il best seller dell’estate ’64, UNA ROTONDA SUL MARE). C’è Lauzi che arriva da RITORNERAI, c’è Donaggio. Tutti simpatici e di nome, ma manca il divo sullo stile di Mina, Celentano, la Pavone, Morandi. Questo tipo di cantanti mancano e si sente. Ornella Vanoni stessa, è una cantante di nome che appare spessissimo in tv ma che ancora non ha instaurato col pubblico italiano il feeling che avrebbe fatto di lei, dal 1970 in poi, una protagonista assoluta della scena. E’ancora un oggetto da decifrare, metà borghesia bene milanese, metà cantante della mala, appellativo rimastole dagli esordi e quindi "alternativa". La sua canzone è ABBRACCIAMI FORTE e la canta in coppia con Udo Jurgens, cantante tedesco di nome, anche qui da noi, che però non rende accessibile il pezzo (un sottile eufemismo per dire che la canta da schifo). La Vanoni arriva a Sanremo dalla Sicilia. Partita da Catania in aereo, ha fatto scalo a Roma e quindi proseguito per Genova. Una bufera di neve ha impedito l’atterraggio all’aeroporto ligure e l’aereo è stato dirottato a Milano. Salita su un taxi, trova un intoppo a Novi Ligure, quando la macchina viene bloccata dalla neve. Pagato l’autista, la povera Vanoni ha dovuto raggiungere, a piedi e nella tormenta, il nodo ferroviario per salire su un accelerato col quale è finalmente giunta a Genova. Da qui, uno scherzo arrivare a Sanremo. Ci immaginiamo con quale stato d’animo.

In questa grossa ed infinita polemica non poteva mancare quella "nana" di Claudio Villa, ovvero il campione delle polemiche ad oltranza e nemico giurato del povero Ravera dai tempi dei tempi. Mentre si trovava ancora in Giappone per un tour chiamato SANREMO NEL MONDO, Villa ricevette dei provini dalla sua casa discografica. Tra questi avrebbe dovuto scegliere la canzone che, secondo lui, sarebbe andata bene per Sanremo. Scelse LA BANDIERA DELL’AMORE, adatta anche nello stile. Con la solita spavalderia mista al suo solito irruente entusiasmo mandò un telegramma alla Fonit Cetra scrivendo pressappoco EVVIVA LA BANDIERA. CLAUDIO. I componenti della commissione selezionatrice bocciarono subito la lacca della canzone che non era stata incisa da lui ma da terzi. Con la solita straordinaria modestia che lo contraddistingue, Villa dichiara che non si può parlare di Sanremo senza che siano in lista i nomi di Claudio Villa e Domenico Modugno. Ma questi ultimi sono stati esclusi con una procedura alquanto discutibile. La procedura alquanto discutibile era l’aver giudicato la sua canzone poco interessante per l’andamento della manifestazione. E che ci sia Modugno nel mezzo è un caso. Avrebbe polemizzato anche se fosse stato l’unico ad essere stato depennato. Sta di fatto che Villa aveva appena vinto la trasmissione legata alla Lotteria Italia che quell’anno era chiamata NAPOLI CONTRO TUTTI cantando in finale ‘O SOLE MIO. Peccato che Villa fosse in sostituzione del tenore Mario Del Monaco che forse avrebbe vinto lo stesso perché il voto non era legato al cantante ma alla canzone. La canzone di Modugno era UN PAGLIACCIO IN PARADISO e sicuramente non avrebbe sfigurato al Festival. La sua canzone è stata dichiarata troppo difficile per il pubblico sanremese, come se il pubblico televisivo fosse popolato da cretini (beh, quello di oggi parrebbe di sì, dato il seguito ingiustificato di personaggi allucinanti che popolano il Fetival). Questo è stato dichiarato da Ravera e da alcuni giornalisti facenti parte della selezione, i quali non hanno riscontrato nella canzone di Modugno l’immediatezza e la presa di altre sue composizioni. Però circola un’altra voce nell’ambiente: Modugno ha abbandonato la Fonit Cetra e firmato per la Curci, società della casa editrice che stampa le sue canzoni. Il passaggio è avvenuto tramite un assegno cospicuo ed è chiaro che la nuova casa puntava molto su un lancio in grande stile. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la potenza della Rai che, proprietaria della Fonit Cetra, decide di fargliela pagare consigliando agli organizzatori di lasciare a casa Modugno. Lui si consola recitando in teatro, in una nuova edizione de L’ISOLA DELLE CAPRE di Ugo Betti. La regia è di Alberto Ruggero. Le sue compagne di palcoscenico sono Edmonda Aldini, Adriana Asti ed Edda Albertini. Il personaggio di Modugno è quello di un uomo che, con la sua gioia di vivere, riesce a dare calore all’esistenza di tutte e tre le donne sull’isola. Il debutto avviene al Teatro Delle Arti a Roma. Nel frattempo cominciano le riprese di SCARAMOUCHE (nella foto), sceneggiato tv di grande successo. Scaramouche, è un personaggio italiano, a dispetto dal nome, reso celebre anche in Francia da Tiberio Fiorilli, a metà 1600. Figlio di Capitan Spaventa e nipote di Spezzaferro (questo è l’albero genealogico di Scaramouche), Scaramuccia, così come si chiamava all’inizio, prima di approdare a corte, si presenta imbracciando la chitarra che lo accompagna in serenate a dispetto, alternate a spacconerie tipiche della maschera. Un personaggio che sembrava scritto su misura per Modugno, che in queste parti rende benissimo (basti pensare a RINALDO IN CAMPO). La regia televisiva è di Daniele D’Anza. Altri silurati sono Tony Renis, Sergio Bruni, Fausto Cigliano, Johnny Dorelli e Gianni Meccia. Era stato escluso anche Nico Fidenco ma, col ritiro dei cantanti della RCA dal festival, sarebbe stato escluso ugualmente.

Tornando allo spettacolo della RCA, questo viene organizzato proprio in concomitanza con la serata finale del Festival di Sanremo. Ma viene registrato e non mandato in diretta, con buona pace di tutti. Il titolo è PICK UP. E’ costato una cinquantina di milioni (che non sono pochissimi nel 1965) ed è stato fatto con tutti i crismi. La casa discografica non ha badato a spese per mettere in difficoltà la macchina sanremese ed offrire ai telespettatori un programma davvero interessante come a dire guardate cosa vi perderete a Sanremo. Paul Anka presenta due canzoni, quella che avrebbe dovuto portare a Sanremo (LA VERITA’) e il retro, un brano in romanesco (solo alcune parole) che di certo suonano buffe nella bocca del cantante canadese. Il titolo è SENZA TE IO ME MORO. LA VERITA’ è un bel pezzo con un arrangiamento possente e moderno che sicuramente avrebbe fatto la sua bella figura nel contesto sanremese e considerando il successo riscontrato da Paul Anka l’anno precedente con OGNI VOLTA sicuramente avrebbe avuto buone chance di vittoria finale. Alain Barriere presenta invece VIVRO’ e QUATTRO RAGIONI PER AMARTI, canzone che avrebbe presentato a Sanremo (ma prima della polemica aveva già deciso di non parteciparvi e la RCA aveva fatto il nome di Riccardo Del Turco con PARLA DI TE). Visto che c’è, fa ascoltare anche il suo ultimo successo E PIU’ TI AMO, altra bella canzone. Poi Dalida che presenta ASCOLTAMI (che avrebbe dovuto essere doppiata a Sanremo da Louiselle). Gino Paoli con PRIMA DI VEDERTI e SARA’ LO STESSO (il lato A è occupato dal primo titolo sebbene la canzone più immediata sia la seconda), Neil Sedaka che canta NON BASTA MAI e DAREI DIECI ANNI. Poi Riccardo Del Turco ed una serie di ospiti d’onore del calibro di Gianni Morandi, Rita Pavone, Michele, Edoardo Vianello, Jimmy Fontana, Donatella Moretti, Dino, Sergio Endrigo, Nico Fidenco (artisti RCA) e attori come Giulietta Masina e Vittorio Gassman. Presentazione di Walter Chiari. Sicuramente c’è molta più bella gente qui che a Sanremo e, con tutta probabilità, se fosse andato in onda nello stesso periodo, avrebbe certamente rubato pubblico al festivalone. Difatti, al Teatro Sistina di Roma dove viene registrato, succede il finimondo. Alcune migliaia di giovani hanno tentato di prendere d’assalto il teatro resistendo ad ogni appello di calma proveniente dalla forza pubblica. La strada è rimasta completamente bloccata per alcune ore. La RCA era intenzionata a presentare lo spettacolo in altra sede, più idonea all’evento. Si era pensato al Palazzetto Dello Sport dell’Eur. La rivista musicale Ciao Amici aveva stampato un tagliando che presentato all’ingresso avrebbe dovuto consentire l’entrata gratuita allo spettacolo. Alle quattordici, diecimila ragazzi erano davanti al teatro che può contenere soltanto 1600 posti. Mano a mano che il tempo passava la gente continuava a raggiungere il Sistina e tutta la zona, da Piazza Barberini a Via Francesco Crispi, era ormai completamente invasa da orde di ragazzini. Quando lo spettacolo ha avuto inizio e le porte del teatro sono state sbarrate, la fiumana di ragazzi fuori ha provocato il finimondo. Basti dire che a Roma, fino a quel momento, non si erano mai viste scene di quel genere. In preda alla rabbia, quella degli esclusi, i ragazzi hanno tentato di invadere il teatro, rompendo vetri e danneggiando tutte le macchine parcheggiate per la strada, staccando le maniglie delle portiere e inveendo contro gli agenti di polizia. Cosa del tutto normale se invece del 1965 si fosse nel 1975. I poliziotti non erano avvezzi a manifestazioni del genere e non potevano usare le maniere forti perché l’età dei ragazzi era davvero molto bassa, dai quindici ai venti anni al massimo. Il tetro è stato messo a soqquadro e un dipendente ferito e ricoverato in ospedale. Un maresciallo dei Carabinieri viene colpito da una maniglia divelta che gli frantuma il setto nasale. Un ragazzo di diciassette anni viene ricoverato al San Giacomo. Insomma qualcosa di davvero inedito per l’Italia. Qualcosa che poi vedremo periodicamente e a cui non faremo più caso. Certo è che fa effetto scoprire lo stupore a quell’epoca delle forze dell’ordine per questo genere di situazioni. Specialmente per chi il disordine sistematico l’ha sempre visto da quando è nato. Parlo di tutti quelli nati dopo il 1968. Pensare che soltanto nel 1965 scene simili erano inedite o relative soltanto a situazioni poltiche estreme (governo Tambroni o post bellico).

Timi Yuro

Come è stato detto, la mancanza di big si nota particolarmente quest’anno, acuita dalla trasmissione a dispetto della RCA. C’è però una cantante americana che è accoppiata con Don Miko e con Peppino Gagliardi che canta E POI VERRA’ L’AUTUNNO e TI CREDO che non fa rimpiangere troppo gli assenti. Il suo nome è Timi Yuro sebbene nella vita si chiami Rosa Maria Timotea Aurro, discendente da una famiglia di emigrati italiani di Rocchetta al Volturno in provincia di Campobasso. Nata a Chicago, dal nome sembrava giapponese visto che a Sanremo c’è davvero una rappresentante del paese del sol levante che si chiama Ito Yukari. Quasi tutti si erano già scordati della canzone HURT, che tanto successo ebbe a cavallo fra il 1961 e il 1962. La canzone poi avrebbe avuto una versione italiana nel 1967 da parte di Fausto Leali col titolo di A CHI, che lanciò definitivamente il cantante bresciano nell’olimpo dei grandi. Timi canta con un’estensione di voce che pare sovrumana. Nei toni bassi raggiunte quote accessibili forse a qualche tenore e in quelli elevati potrebbe gareggiare con la tromba di Armstrong. Dirle brava è dirle poco ma, come capita sempre in Italia, se ne parla molto in quei giorni, poi passata l’onda lunga del Festival, viene dimenticata e succede che, alla sua versione delle due canzoni in gara nel momento dell’acquisto, vengano preferite quelle di Gagliardi e Don Miko. Durante le prove Timi era seduta in un angoletto vestita come possono vestire soltanto le burine americane. Un confettino rosa con tacchi di raso color carta da zucchero. Capelli come andavano due anni prima ma una professionalità ed una voce da far spavento. La gente in sala ridacchiava alla sua apparizione. Fino a quando il maestro le ha dato il tempo. Quando comincia con la frase e poi verrà, e poi verrà l’autunno, il teatro smette di ridere e la guarda incredulo. Sta cantando senza microfono e senza sforzo, dal momento che era la prima lettura della canzone. Una voce portentosa sbigottisce i presenti che alla fine applaudono così entusiasticamente che il teatro pare gremito e in realtà non sono che in un centinaio tra cantanti, critici e giornalisti. Di TI CREDO ne fa una canzone jazzata, portando la voce dai registi più bassi agli acuti come se stesse assolvendo ad un impegno del tutto normale. TI CREDO, così com’è stata scritta, è comunque una canzone davvero particolare se si pensa che non sarebbe dovuta andare nella bocca di una Maria Callas ma di una qualsiasi ragazza o donna mentre studia o lavora per casa. Invece sembra svilupparsi intorno a preziosistiche modulazioni strane e pericolose per una normale canzone, nata per concorrere in una gara e non per diventare un esempio di bella scrittuta musicale. Il testo non è male anche se le immagini evocanti, viste con lo spirito odierno, appaiono superate. Io credo a quello che mi dici perché sei per me ciò che il mare è per la spiaggia, per quello che l’acqua è per la sete eccetera. Ma passato l’entusiasmo ritorna la sfiducia, la tensione e l’incertezza che continuamente fa trepidare e mettere in dubbio l’amore dell’altro. Yuri resta comunque la grande sconfitta di questa edizione perché nessuna delle sue due canzoni arriva alla finale. Il pianto è d’obbligo ma il sorriso trova di nuovo spazio sul suo viso quando la tv se la contende in più trasmissioni. Da ROTOCARLO, show televisivo di Carlo Dapporto e Miranda Martino, a LA FIERA DEI SOGNI con Mike Bongiorno. Ha assunto la figura di vincitrice morale del quindicesimo festival ed è sotto l’attenzione di tutti. Attenzione che, come detto in precedenza, viene scemando man mano che il tempo passa e il ricordo si affievolisce. A Sanremo, a parte la bella voce e l’abbigliamento considerato kitsch, ha colpito il suo stranissimo modo di parlare italiano. Suo e della madre che l’accompagnava. Difatti si esprimeva con un forte accento molisano misto a parole inglesi, come capita di sentire nei film con personaggi italo americani. Ad un giornalista, credendo di fare un’offerta particolarmente allettante disse: "a casa teniamo la piscina. Vienece a truvà che tengo la stanza per i furastieri". A parte queste note folcloristiche, Timi Yuro nel 1969, dopo aver cambiato casa discografica (dalla Liberty alla Mercuri) lasciò la carriera artistica causa matrimonio. Nel 1976, il complesso soul dei Manhattans rilancia HURT in versione discomusic e la Yuro fu incoraggiata a ricominciare ma nel 1980 subì un intervento alla gola (un cancro) e perse la sua potente voce. Un dramma psicologico a dir poco devastante per una cantante. Nello stesso periodo la solita HURT raggiunse di nuovo le vette delle classifiche in Olanda e lei incise due album per il mercato olandese. Nel 1984 il cancro ritornò ad aggredirla alla gola e lei mollò tutto. Timi Yuro muore nella sua casa di Las Vegas nel marzo del 2004.

Ito Yukari

Strane e buffe le voci che circolavano sulla cantante giapponese Ito Yukari. Qualcuno ha diffuso la voce che non era una vera cantante ma una giapponese nata e domiciliata in una cittadina del Piemonte e prelevata quasi a forza dagli organizzatori per dare un tocco di esotismo alla manifestazione. Come se Ravera, in groppa ad un cavallo bianco, fosse andato a rapirla a casa sua mentre magari stava cucinando il sushi. E’ la prima volta che esce fuori dal Giappone, di italiano conosce solo le parole della canzone di Pallavicini e Kramer (L’AMORE HA I TUOI OCCHI) e il suo inglese è molto stentato. Il suo entusiasmo per Sanremo le arriva dal fatto che durante le sue esibizioni in patria canta spessissimo canzoni italiane tradotte in nipponico. E tra queste proprio le due più famose dell’anno precedente, quella della Cinquetti e quella di Bobby Solo. Il testo è abbastanza banale: l’amore rimane per sempre negli occhi di chi ha amato e anche se ancora non lo si conosce, deve avere per forza degli occhi come i tuoi.

Dusty Springfield

Altra brava cantante è Dusty Springfield (vero nome Mary Isabel Catherine Bernadette O’Brien) accoppiata a Gianni Mascolo. Cantano la canzone DI FRONTE ALL’AMORE, scritta da Umberto Bindi. E’ un bel pezzo confezionato con la consueta eleganza dall’autore genovese, con una vaga reminiscenza gershwiniana nel ritornello. Gianni Mascolo fa la sua parte ma sinceramente la canzone non avrebbe storia se fosse stata affidata soltanto a lui. Fa il suo effetto più sul palco che nel disco, dove appare troppo artificiosa. Il primo disco della Springfield in italiano era uscito pochissimo tempo prima e si intitolava TANTO SO CHE POI MI PASSA accoppiato a STUPIDO STUPIDO. Successo commerciale, sotto zero. E’ anche vero che il gusto del pubblico si va affinando sempre più. Anni prima un cantante tipo Bruno Lauzi non sarebbe stato pensabile. Il flop del ’61 di Paoli è lì a dimostrarlo. I giovani in realtà non vengono più direttamente dalle campagne come capitava qualche anno prima. Ora i debuttanti hanno almeno un passato a Castrocaro e qualche serata nelle balere italiane di provincia. Le grandi case discografiche li smistano a pacchi di sei nelle manifestazioni e i cantanti affermati fanno loro da padrini, trattandoli da pari grado. C’è una realtà professionistica e industriale che fa a pugni con le colombe della Pizzi degli anni cinquanta anche se non mancano personaggi stonati come campane o che non sentono la musica. Ad esempio, Vittorio Inzaina che nel suo piccolo è riuscito in un impresa davvero difficilissima: cantare tutta la sua canzone in Si bemolle con l’orchestra che suonava in La. Senza sbagliare mai! Caso opposto: Iva Zanicchi partecipa al suo primo Sanremo due anni dopo aver vinto a Castrocaro. La sua casa discografica ha voluto aspettare e farne una cantante con un timbro vocale subito riconoscibile e personale, ma soprattutto farne una cantante preparata per affrontare un pubblico vasto e spietato come quello sanremese. E’ vero che l’industria si basa anche su tentativi folli piuttosto che su una valida ed obiettiva valutazione del mercato ma è altrettanto vero che in pochi mesi non si possono inventare nuovi cantanti dal nulla. Difatti, con tutto il rispetto, Inzaina è rimasto Inzaina, la Zanicchi è tuttora l’Aquila di Ligonchio. Sebbene non abbia più lo stesso naso ed anche quel soprannome sarebbe ormai decaduto per mancanza di prove. Nel 1965 non si scherza più. L’industria discografica è una delle industrie che tirano di più e la presenza di quasi trecento giornalisti accreditati contro i sei del 1951 sta a dimostarlo. La famosa catena di cantaggio, così come scherzosamente la chiamano gli addetti al lavoro.

Rita Pavone

Un personaggio che non ha certo bisogno di Sanremo per vendere dischi è Rita Pavone, reduce da una seguitissima serie televisiva per ragazzi in prima serata con i più bei nomi dello spettacolo di prosa italiano. Una super produzione in cui lei è la protagonista principale, nel personaggio di Giannino Stoppani, alias Gian Burrasca. Di questa trasmissione abbiamo già parlato in un precedente articolo (per chi volesse approfondire l’argomento, leggere il commento della settimana del 2 maggio 64). L’idea di far interpretare il personaggio maschile ad una ragazza come la Pavone e a ridurre il celebre Giornalino per la tv è venuta a Lina Wertmuller, la regista. Non mancarono polemiche. Ma non è certo la prima volta che un uomo interpreta una donna o viceversa, basti pensare a quante Giuliette e Desdemone ai tempi di Shakespeare furono incarnate da ragazzi perché alle donne era proibito calcare le scene. Lo stesso Umberto Eco scrisse ai tempi, a proposito del caso sollevatosi, di come la Pavone sia la prima diva della canzone a non apparire davvero donna, che Rita Pavone fu davvero strepitosa ed è soprattutto alla sua presenza che lo sceneggiato dovette un successo così clamoroso. Anzi, da quel momento, un libro datato come quello scritto da Vamba, ricominciò a macinare copie su copie e a farsi leggere dalle nuove generazioni che di una storia di un monello di quasi settant’anni prima non sarebbe importato proprio niente. E anche oggi, questo libro è rimasto nella letteratura italiana, grazie proprio alla potenza evocativa di quello sceneggiato e della sua particolarissima colonna sonora. Una colonna sonora degna di tutto rispetto. Trovatine musicali a bizzeffe, idee e fantasia a non finire, atmosfere evocative degli anni in cui si svolge l’azione del racconto praticamente perfette, una buona dose di umorismo anche nel ricordare certi temi visti non con nostalgia (un bambino di 8 anni è difficile che abbia nostalgia. Questo è il concetto che deve essere passato nella mente di Nino Rota) ma con spirito allegro e divertente. Grandissimo lavoro quindi dell’autore delle musiche ma anche di Luis Enriquez, eccelso arrangiatore particolarmente ispirato in questo disco. Grande anche la Wertmuller, oltre che come regista anche come autrice di testi, sempre divertente e mai scontata. Il piccolo capo-po-polavoro (per usare un termine preso a prestito dal testo) della sigla iniziale, VIVA LA PAPPA COL POMODORO, che vende più di duecentomila copie, ha il contributo musicale di Anton Karas, l’autore de IL TERZO UOMO. Suona la cetra, che è lo strumento che accompagna il brano, rendendolo riconoscibile sin dalle prime note. A dispetto dal titolo volutamente infantile è davvero una signora canzone con un testo pre-sessantottino. Così come contestatore pro tempore è Giannino Stoppani. Sul retro del singolo troviamo una dolce SEI LA MIA MAMMA, in cui la Pavone ritorna ad essere se stessa, dimenticando per un attimo Giannino Stoppani. Stranamente in alcuni passaggi la canzone ricorda vagamente NON E’ FACILE AVERE DICIOTT’ANNI e Rita la canta come se stesse eseguendo una normale canzone "da grandi". Il resto del LP è una girandola di idee divertenti ma anche di licenze "poetiche". Come il simpatico TANGO DELLA SCUOLA (il tango, a quell’epoca, ancora non era stato compiutamente importato in Italia dall’Argentina). Oppure il brano strumentale CHARLESTON che come si sa, non riviveva ancora in quegli anni. Poi c’è I GATTI DI ROMA, un affresco molto particolare che tratta dei monumenti e delle vie della capitale parlando dei gatti che, a quanto pare, scorrazzano tranquillamente dal Corso al Gianicolo senza il rischio di finire sotto una macchina. Anche perché, nel 1908, di macchine ce ne dovevano essere pochine. I gatti ovunque, uno sull’elmo di un corazziere, un altro dentro il cappuccio di un frate cappuccino, altri in testa a Marc’Aurelio e Garibaldi (le statue). Esagerata messa in scena, forse, ma comunque carina. E ancora, una salgariana I TIGROTTI DI MOMPRACEM, cantata con foga come a ribadire l’interesse della gioventù del primo novecento per la lettura avventurosa in stile Verne o Salgari (ma questo Salgari, che scrittore, è proprio il mago delle avventure), un’avveniristica IL 1909, in cui si elencano tutte le novità di quegli anni, un sacco di scoperte nuove che ci aiutano meglio a campar, come dice nella canzone. Il telegrafo, il fonografo, la ferrovia, la fotografia c’è persino l’elettricità. Le signore vogliono fumare e i signori vogliono volar. E lui stesso, Giannino, ci confessa che si elettrizza col progresso, termimando con ma che bella la modernità. In tutto sono 14 brani e il CD è stato ripubblicato per una collana chiamata ORIGINAL SOUNDTRACK nel 1999, naturalmente con una distribuzione catastrofica. IL GIORNALINO è un divertentissimo spaccato d’epoca reso incandescente dalla bravura degli attori (tra gi altri Valeria Valeri, Ivo Garrani, Milena Vukotic, Arnoldo Foà, Sergio Tofano, Bice Valori, Roberto Chevalier, Odoardo Spadaro) e dalla grinta quasi animalesca di una Rita Pavone al massimo fulgore. Uno sceneggiato che dovrebbero passare nelle scuole elementari di oggi, quasi d’obbligo.

Peppino Di Capri

Va bene, forse l’astro di Peppino Di Capri sarà anche un pò calato qui in Italia. Difatti i suoi dischi non raggiungono più vette altissime nelle classifiche, così come capitava nei primi anni del decennio in corso. Colpa delle nuove leve ma soprattutto della ventata nuova che arriva dall’Inghilterra. Sta di fatto che il Peppino nazionale, a gennaio, era negli Usa per una tournèe. La sfortuna ha voluto che sia capitato in una delle peggiori annate che si ricordino. Freddo record e bufere di neve in tutto il nord del paese. Teatri e cinema semideserti anche perché la radio e la tv raccomandavano di non uscire se non il minimo indispensabile. Peppino e i suoi Rockers (due chitarre elettriche, un sassofono, una batteria e le tastiere suonate dallo stesso cantante) sono riusciti a far arrivare al Carnegie Hall un numero di spettatori superiore alle più rosee previsioni. Certo, erano tutti italo-americani ma il fatto ha contribuito a far ritrovare il sorriso all’impresario italo-americano Erberto Landi. Il giorno dopo, nella stessa sala, si sarebbe esibito un certo Herbert Von Karajan con l’Orchestra Filarmonica di New York. Di Capri ha proseguito il suo tour in Usa e in Canada e sempre con un buon successo di pubblico. Il suo ultimo 45 giri l’ha presentato in una trasmissione tv, IL MACCHIETTARO. Il titolo è IERI ed è stata scritta da Ricky Gianco e Leo Chiosso. Come spesso accadeva per i dischi di alcune case discografiche come la Carish, il retro reca due pezzi invece che uno soltanto. E sono FORSE LO SO (MAYBE I KNOW di Lesley Gore) e PERCHE’, cover di un brano dei Dave Clark Five che si intitola BECAUSE. Da anni Peppino impara a memoria le classifiche discografiche estere, le nuove tendenze musicali e i balli di moda e li trasforma in pezzi di successo adattandoli al pubblico italiano. Così fu per il twist, il madison, il surf, etc. Certo, come si è detto, il successo non è più quello travolgente di un volta ma lui ancora si fa notare in mezzo alla miriade di novità della musica odierna (1965).

Il Commissario Maigret

Ritorna in tv IL COMMISSARIO MAIGRET al quale, incautamente, si è voluto dare un seguito qualche mese fa con il povero Castellitto nel ruolo che fu di Cervi. Il paragone col vecchio Maigret, anche se involontario, ha schiantato questa riedizione in termini di audience. Questa serie (la versione 1965), con la regia di Gino Landi, sta avendo un successo di pubblico sopra ogni rosea previsione. Rifiuto di ogni suspense artificiosa e ricerca di atmosefere particolari, una buona penetrazione psicologica dei personaggi sono le chiavi del successo dello sceneggiato il cui merito è senza dubbio degli attori Gino Cervi e Andreina Pagnani (naturalmente anche di tutti i bravi comprimari che vengono dalla prosa) e dello stesso regista. Il personaggio a cui dà vita Gino Cervi combacia perfettamente con l’immagine uscita dalle pagine di Simenon. Successo della trasmissione televisiva, successo della sigla. Un binomio che per il 90% delle volte è d’uopo. In questo caso il successo arriva da un singolo che reca una vecchia canzone francese, scelta ad hoc dal regista per introdurre il telespettatore in quella Parigi misteriosa e nostalgica fatta di bistrot, brasserie ma anche della Morgue in cui Simenon ambienta le sue vicende. Il titolo è LE MAL DE PARIS e il cantante è Mouloudji, che oltretutto è anche attore e commediografo-poeta, uno dei personaggi più singolari del panorama d’oltralpe. Il nome viene dal padre, che era arabo mentre la madre era francese. La canzone, che nella sua esecuzione ebbe molta fortuna nel primo dopoguerra, rinfresca il successo dopo vent’anni grazie al telefilm. Sul retro lo risentiamo in un’altra vecchia canzone famosa, UN JOUR TU VERRAIS, anche questa edita già nel 1954.

Ennio Morricone

Per restare in casa RCA, parliamo di un disco davvero interessante, per due motivi: uno tecnico e l’altro estetico. Per quel che riguarda il primo c’è da dire che è stato inciso con il nuovo sistema Dynagroove, una tecnologia di registrazione stereo all’avanguardia che estrae dai solchi un suono pulitissimo. Il motivo estetico riguarda la stupenda armonizzazione ed orchestrazione negli arrangiamenti e nei suoni che l’autore Ennio Morricone ha saputo dare a vecchie e più recenti canzoni. Il disco a 33 giri si chiama MUSICA SUL VELLUTO e pare siano occorsi tre anni per realizzare questo prodotto di difficile classificazione. E’ ancora un disco di musica leggera o siamo già su altri livelli, cioè nell’alveo della musica da concerto? Le canzoni sono molto note. Da PARLAMI D’AMORE MARIU’ ad AMOREVOLE. Della seconda canzone, che non è altro che una discreta canzone di qualche anno prima, Morricone fa un piccolo gioiello. Flussi e riflussi di suoni impastati che cominciano fievoli e lontani per arrivare ad un pieno strumentale bello tondo. Certo è che se non ci fosse stato il flauto di Severino Gazzelloni, il pianoforte di Luis Enriquez, la chitarra di Alessandroni, l’arpa di Anna Palomba, arpista della gloriosa (allora) orchestra della Rai Tv di Roma la cosa si sarebbe fatta forse un po’ più ardua per Morricone. Resta quindi un bellissimo disco che racchiude in se il compendio di anni di esperienze vocali, strumentali, armoniche ed elettroniche, di ritmiche e timbriche degne di un musicista di enorme livello e d’avanguardia. Un disco che dovrebbe essere assolutamente ristampato dall’infame collana della BMG chiamata, a sproposito, GLI INDIMENTICABILI, che ristampa titoli già editi decine di volte su cd tralasciando altri di cui è difficile reperire il vinile se non pagando cento o duecento euro. Tutto per interessi di bottega di alcuni squallidissimi personaggi che gravitano a mo’ di sciacalli attorno a ciò che resta della defunta RCA italiana. Per la cronaca, dal 33 giri è stato estrapolato un singolo che reca PARLAMI D’AMORE MARIU’ e sul retro IL SILENZIO. Ciò quasi prima che di quest’ultimo brano se ne interessasse Dalida e Nini Rosso. In realtà, la versione di Rosso fu stampata nello stesso periodo ma ebbe successo soltanto in estate. Sembra piuttosto strano che ben due interpreti si siano presi contemporaneamente cura di un brano che si conosceva da sempre.

Vanna Brosio

Non esiste solo Sanremo. Vanna Brosio, della quale abbiamo già parlato in un altro articolo, tenta il bis dopo il discreto successo di COME MIO PADRE, presentato al Disco Per l’Estate 1964. Vanna Brosio, più famosa come cugina dell’ambasciatore Manlio Brosio, niente di meno che segretario della NATO (ehm... ehm...!), non ripete il bis perché le canzoncine incluse nel disco a quarantacinque giri sono davvero poca cosa. ED ORA TE NE VAI e NON RISPONDO DI ME sono una pallida copia di almeno altre cento canzoni di seconda categoria dell’epoca, con ritmi e versi che si rifanno ad altri stili (la Pavone, per esempio o anche Rosy). Vanna può oggigiorno consolarsi soltanto vedendo le quotazioni del suo disco, nelle mostre odierne, arrivare a prezzi che oscillano tra i venti e i trenta euro, proprio per la difficile reperibilità di questo suo vinile. Con quella canzone partecipa anche ad una puntata de LA FIERA DEI SOGNI.

Raffaella Carrà

Una storia che negli ultimi trentacinque anni, cioè da quando la protagonista è diventata famosa, ce la siamo sentita ripetere un’infinità di volte: Il Colonnello Von Ryan e cioè Frank Sinatra e Raffaella Pelloni in arte Carrà. E’ di questo periodo la storia infinita che l’allora attrice di belle speranze Raffaella va narrando quando le si presenta l’occasione. E se non viene, la fa capitare lei. Allora, cominciamo dall’inizio: Raffaella è una ragazzuola emiliana piena di tenacia e caparbietà, fisicamente molto differente da quella a cui siamo abituati dagli anni settanta. Capelli mori e lunghi, meno raffinata ma forse più genuina. Vuole "arrivare" ad ogni costo e si impegna come una matta per trovare scritture sia in cinema che alla televisione. In giugno (del 1964) stava registrando lo sceneggiato tv I CAMALEONTI e durante una pausa una collega le confida che Sinatra si trova a Roma e che lei (la collega) è stata presa per una parte importante. Raffaella chiama allora la sua agente che dal canto suo già sapeva come la produzione del film stesse effettivamente cercando una giovane donna (18-20) in grado di parlare almeno un po’ di inglese. Ma la parte era stata già presa quindi Raffaella si mise l’anima in pace. Un paio di mesi dopo, sempre impegnata nella realizzazione de I CAMALEONTI, la Carrà riceve una telefonata dalla sua agente che le chiede di farsi trovare dal casting director della Fox, il quale le consegnò una scena in tre cartelle da leggera l’indomani a Cinecittà. Infatti, davanti al regista Robson e ad altri pezzi grossi della Fox, recitò la sua parte senza paura ed emozione perché quasi sicura che comunque fosse andata la scelta non sarebbe caduta su di lei. Invece tre giorni dopo l’agente la chiama a casa dicendole che l’avevano presa e che avrebbe recitato con Sinatra. Il quale, alla fine, la mitraglierà alla stazione di Anagni credendola una spia. Da questo episodio la Carrà si è sapientemente saputa costruire un passato professionale solido e consistente che l’ha aiutata negli anni a venire. Ma sarà solo nel 1970 che spiccherà veramente il volo (e senza Colonnelli Von Ryan che le sparano alle spalle).

Novità varie

Novità di interesse comune nazionale in questo inizio di anno? La prima è che da domenica 21 febbraio alle ore 11, in cronaca diretta da Bologna, andrà in onda la Messa domenicale in lingua italiana e non latina, come fino ad allora si era sempre usato. E a celebrarla sarà il Cardinale Giacomo Lercaro, presidente della commissione per l’attuazione della riforma liturgica, che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ha approvato il 4 dicembre 1964. Questo perché la liturgia tornasse ad essere un veicolo d’insegnamento e mezzo semplice e spontaneo per avvicinarsi a Dio e si scrollasse da dosso un ritualismo spesso incomprensibile ai più.

Da sabato 23 gennaio 1965, per la prima volta in Italia, si può chiamare per telefono Roma e Milano, e viceversa, direttamenente da casa solo anteponendo al numero dell’utente il prefisso 02 o 06. Per coloro che sono nati dopo questa "innovazione" forse potrà sembrare strano che soltanto da 40 anni e dopo circa 60 e più dall’invenzione del telefono, si sia arrivati a questo. Le prossime tappe che verranno aggiunte saranno Genova e Firenze. Quindi, se un utente in questo anno vorrà chiamare da Torino a Roma non potrà fare lo 06 ma dovrà interpellare un’operatrice! Era il 1965, sembra un secolo...

Christian Calabrese