Sanremo 1965
Come sempre, di questi tempi, le canzoni sanremesi hanno letteralmente
invaso la classifica dei singoli più venduti della settimana e faranno
bella mostra di sé per un paio di mesi. Il Festival di Sanremo si è
appena concluso (28-29-30 gennaio) e questa è la prima classifica
dell’anno con le canzoni in essa contemplate. Sanremo si è concluso nel
modo più ovvio e cioè con la vittoria del personaggio "nuovo" dell’anno
precedente, il vincitore morale e cioè Bobby Solo che sebbene abbia
portato una canzone leggermente minore rispetto a quella dell’anno
precedente, ha sbaragliato tutti grazie soprattutto al nome. La canzone
è SE PIANGI SE RIDI, strutturata in modo da mettere in risalto la voce
con toni bassi e caldi del giovane cantante romano. Ci si ritrova lo
stesso stile ed atmosfera della precedente UNA LACRIMA SUL VISO, la
stessa dolcezza ed eleganza nel porgerla al pubblico e le stesse
delicatissime modulazioni di voce, nonostante resti comunque un
succedaneo della precedente. La chitarra solista accompagna
sapientemente la melodia donandole un po’ di quello smalto e vitalità
che le manca e senza i quali, in alcuni punti, risulterebbe ancor di più
pesante e noiosa. La voce è molto bella, niente da dire, e l’esecuzione
perfetta, senza una sbavatura, da gran professionista. E difatti
stravince. In più Bobby Solo in questo periodo fa parecchio presa sul
pubblico femminile anche per quel gioco vocale alla Elvis, che comunica
sensazioni suadenti e sexy, e per l’istinto materno che suscita a causa
del modo in cui il giovane interprete si presenta agli occhi del
pubblico. Moderno ma tranquillo, elegante ma giovanile. C’era poi da
riscattare l’ingiustizia della sconfitta dell’anno precedente, c’era da
confermare il successo strepitoso de UNA LACRIMA SUL VISO e c’era da far
vedere che gli italiani sanno farsi perdonare per gli sbagli e se le
cose sono andate male una volta la successiva andranno meglio. In più,
c’è il fatto che in questo decennio, migliaia di ragazzi sognano una
favola come quella capitata al giovane Bobby (ma anche a Gigliola).
Sconosciuto oggi, domani al primo posto in classifica e protagonista di
film, con tanti soldi e copertine sui giornali. Con stuoli di fans
adoranti. Questo è il sogno dei ragazzi italiani (età media 13-16 anni)
di oggi, anno di grazia 1965. Quarant’anni dopo, il sogno è quello di
diventare la fidanzata di un calciatore o di far parte del cast di
qualche reality show. Tornando alla canzone regina, a quanto pare vince
anche nella classifica dei dischi più venduti perché il singolo è già
saldamente in testa e sinceramente, a parte LE COLLINE SONO IN FIORE,
non sembra ci siano altre pretendenti al trono. La stessa Gigliola
Cinquetti, vincitrice dell’anno passato, neanche appare nella lista dei
primi dieci. La sua canzone è stata davvero un buco nell’acqua e
l’accoppiata Connie Francis (vecchia volpe) Gigliola-BiancoFiore (che
continua strenuamente a non avere l’età) non riesce a superare la
retorica del testo su misura per la classica ragazzina perbene, con
forti pruriti repressi dalla morale. Troppi violini e troppe
melensaggini finiscono per non giovare né l’una né l’altra versione.
Cosa ci si può aspettare da una ragazza che dichiara, come massima
trasgressione, di far finta di studiare il piano ed invece, sottobanco,
legge Emilio Salgari??
New Christy Minstrels
Ad eseguire SE PIANGI SE RIDI in doppia versione è il complesso
americano de I Minstrels che hanno dimostrato di essere davvero
preparati e soprattutto un gruppo vocale nel vero senso della parola.
Mike Bongiorno li chiamava in maniera monotona i menestrelli del
folclore americano. E loro, forse, della vittoria non sanno cosa
farsene. Anzitutto perché è comunque la vittoria di Bobby Solo e non la
loro, in secondo luogo perché i loro obbiettivi vanno oltre la vittoria
in un festival straniero. Volevano farsi conoscere al meglio e ci sono
riusciti. Punto e basta. Il complesso (nove elementi) sfrutta
sapientemente il fatto che sono i preferiti del presidente Johnson, che
li invita per gli intrattenimenti della Casa Bianca. Questo stuzzica un
po’ la fantasia del pubblico (così come i Duran Duran, nel 1983, furono
presentati come i favoriti di Diana, la moglie di Carlo D’Inghilterra).
La televisione si affretta a far loro registrare uno show presentato dal
Quartetto Cetra con la regia di Lyda C. Ripandelli. In più, il disco dei
Minstrels, è uno dei più venduti in assoluto (è secondo in questa
settimana nonostante la loro ragione sociale riporti il nome più antico
del gruppo, quello che si trova sui dischi stampati in America: New
Christy Minstrels). Reca sulle due facciate tutti e due i pezzi
presentati al Festivale cioè la canzone vincitrice e LE COLLINE SONO IN
FIORE. Quest’anno, i dischi di Sanremo non hanno avuto l’effetto
travolgente dell’anno precedente, per il quale parecchie case
discografiche dovettero far fronte a centinaia di migliaia di richieste
d’acquisto senza aver stampato in precedenza un numero adeguato di
copie. L’interpretazione del complesso americano è pressoché perfetta.
Le poche copie disponibili sono andate esaurite nei primi giorni
successivi al festival. Chi avrebbe mai pensato che la versione del
gruppo americano avrebbe potuto vendere più del recordman di vendite
Bobby Solo? Difatti sarebbero primi se si tenesse conto non del solo
lato B del disco ma anche della prima facciata! Chi ha comprato la prima
stampa del disco è in possesso di una piccola rarità, sebbene di poco
valore monetario. Perché si chiamano New Christy Minstrels? Un po’ per
giocare sul nome di menestrelli di Cristo-cristiani, ma soprattutto
perché il loro fondatore ha voluto ricordare un personaggio particolare
dello spettacolo americano: Edwin P. Christy, che durante il periodo dei
pionieri aveva fondato un nucleo itinerante di attori, mimi, girovaghi,
musicisti che davano spettacoli imperniati sui temi più attuali ed
interessanti degli accadimenti dell’epoca (si sta parlando del 1850
circa). Alla morte di Christy, il gruppo si sciolse ma l’eco dei
successi ottenuti negli anni resistette ancora fino al secolo ventesimo.
Fino a quando, nel 1961, un impresario chiamato Randy Sparks prese
spunto da quel leggendario ensemble per produrre un LP di repertorio
simile: ballate in stile cowboys e folk music. Ci voleva però un folto
numero di cantanti giovani e di poche pretese e per questo fece
audizioni su audizioni fin quando scelse il nucleo formato da sette
ragazzi e due ragazze. Il disco vendette duecentomila copie e Sparks si
affrettò a richiamare i componenti fiutando l’affare. Preparò una serie
di date per tutti gli Stati Uniti per farli conoscere dal vivo e il
successo non si fece attendere. Sebbene di un genere completamente
diverso dalla moda del momento, i New Christy Minstrels riuscirono ad
entrare nel cuore e nelle case degli americani più legati alle
tradizioni e alla cultura musicale del paese. Del gruppo fa ancora parte
Barry McGuire, scoperto per caso da Peggy Lee, celeberrima cantante
statunitense degli anni quaranta e cinquanta, quando lui era ancora un
marinaio e cantava a Santa Monica per divertire i suoi commilitoni. La
cantante si innamorò perdutamente di Barry e cercò addirittura di
togliersi la vita quando il giovanotto l’abbandonò per unirsi al gruppo.
Da lì a poco intraprese una carriera di solista e il suo primo disco fu
EVE OF DESTRUCTION, che aprì le danze al periodo pacifista americano.
Mina
SE PIANGI SE RIDI ha inoltre un’altra versione, quella di Mina, sempre
lesta ad accaparrarsi le migliori della rassegna canora e a farne delle
riuscitissime versione personali. Niente a che vedere con la magistrale
esecuzione di E SE DOMANI, del Sanremo precedente, ancora in classifica
al quinto posto. Mina ha trovato una nuova maniera per scegliersi le
canzoni: assistere al festival tranquilla da casa. Scegliere quella o
quelle che più le piacciono e poi reinciderle a tempo di record.
Esecuzione impeccabile, nitida e di classe ma manca qualcosa. Forse
proprio la canzone??? E’ troppo su misura per Bobby Solo, cucita su di
lui nota su nota. Fa eccezione la versione dei Minstrels che trova
subito il modo e di insediarsi a pari merito al primo posto ex aequo con
Bobby Solo. Ma loro ne fanno una versione quasi orchestrale, corale e
poco sensibile alle mode. Non c’è un vero raffronto tra i due
interpreti. Mina invece ne dà un’interpretazione da vera cantante. Il
retro è PIU’ DI TE versione italiana di I WON’T TELL, un’altra canzone
che sembrerebbe sullo stile di Lesley Gore, molto saccheggiato dai
cantanti italiani in questo periodo. Invece a cantarlo in Usa sono The
Four Season, quelli capitanati da Frankie Valli. Il disco, peraltro, non
è neanche in circolazione da noi.
Polemiche per Bobby Solo al momento di presentare la canzone al Gran
Premio Dell’Eurovisione in programma a Napoli per il venti di marzo.
Come ogni anno (fino a quel momento) l’Italia ha partecipato alla
manifestazione con la canzone vincitrice a Sanremo ma le regole scritte
dell‘ Eurofestival dicono che la canzone partecipante deve essere
inedita alla data del 10 febbraio 1965, cioè undici giorni dopo la
conclusione del festival sanremese. Il caso arrivò anche in Parlamento
(e ti pareva...). A molti sembrò inopportuno trasgredire proprio quest’anno
che il festival, in virtù della vittoria della Cinquetti a Copenhagen
l’anno prima, tocca organizzarlo all’Italia. Viene posto quindi all’UER,
Union Europèenne de Radiodiffusion (ah, i tempi belli in cui, negli
eventi internazionali, ancora si parlava la lingua di Moliere; vero,
cari francesi?) un quesito con risposta obbligatoria o quasi che suonava
pressappoco così: volete voi, paesi amici e non belligeranti, fare sì
che l’Italia partecipi con una canzone non inedita alla manifestazione
di cui ci frega molto poco, visto il poco tempo per trovare una canzone
inedita al nostro Bobby Solo? Un coro di sìììì non si fece attendere
molto. Tanto a vincere ci avrebbe pensato France Gall.
La "guerra" RAI-RCA
Ma c’è qualcosa che turba il pre-festival e cioè la guerra scoppiata tra
gli organizzatori e la RCA. La casa discografica romana aveva deciso di
inviare a Sanremo una nutrita schiera di big e giovani. Tra questi Paul
Anka, Alain Barriere, Dalida, Gino Paoli e Neil Sedaka ai quali
affiancare altri cantanti giovani e meno noti per farli conoscere al
pubblico (Riccardo Del Turco, Pierfilippi, Dino, Louiselle) alla stregua
di quanto praticato dalle altre case discografiche. Gli organizzatori
decidono che i posti disponibili per la RCA sono solo tre. I dirigenti
non credono alle loro orecchie. La sola RCA fattura il 60% degli
introiti nazionali legati alla vendita dei dischi e questi pezzenti
degli organizzatori si permettono di decidere il numero dei cantanti che
possono prendere parte al Festival? Viene spedito un ambasciatore che
presenta un ultimatum: o tutti e sei o nessuno. Risultato finale:
nessuno. E’ guerra totale. La RCA promette un controfestival negli
stessi giorni di Sanremo, gli organizzatori vorrebbero invece fosse
trasmesso dopo il festival ufficiale. Al consigliere delegato della Rai
perviene un comunicato ufficiale da parte della AFI (Associazione
Fonografici Italiani) con la minaccia di non programmare nei palinsenti
lo spettacolo della RCA (che avrebbe incluso tutto lo stato maggiore
canoro della casa) altrimenti... ci arrabbiamo! Poi si viene a sapere che
l’AFI non ha inviato nessun documento ufficiale sebbene la carta
intestata sia proprio la loro. Dieci giorni prima del Festival, quattro
case discografiche, e cioè la Decca, La Voce Del Padrone, la Durium e la
Phonogram, che hanno a Sanremo i loro cantanti e le loro canzoni,
inviano una lettera al solito consigliere chiedendo che la radio e la tv
non trasmettano integralmente la manifestazione. La motivazione è :
quando il Festival era organizzato direttamente dalla Rai era sì un
mezzo utile per l’industria discografica ma con il tempo si è
trasformato in un’iniziativa al servizio di alcuni editori. E per questa
ragione alle suddette case discografiche pare ingiusto che alcuni
personaggi approfittino dell’appoggio dei mezzi messi a disposizione
dalla Rai. In più si critica l’acquisto del cantante Fred Bongusto da
parte della Fonit Cetra per conto dell’IRI e a spese del contribuente.
Di tutto e di più, insomma! Comunque quando l’elenco ufficiale dei
partecipanti al quindicesimo Festival rivela l’assenza dei cantanti
targati RCA, la casa dirama un documento ufficiale nel quale si lamenta
che alcune case discografiche ed editrici siano rappresentate in maniera
sproporzionata rispetto alla loro attività sul mercato. A Giuseppe
Ornato, presidente della RCA, risponde Gianni Ravera che accusa la casa
romana di aver sempre cercato di boicottare il lavoro di selezione anche
negli anni precedenti, rifacendo un po’ la storia dei rapporti tra il
Festival e la RCA e che non aveva mai promesso l’inclusione di cinque
sue composizioni nella lista della 24 canzoni (gli interpreti sono 44
perché alcuni cantanti stranieri sono in gara con più canzoni come I
Minstrels e Timi Yuro, Gene Pitney e Jody Miller). Tale promessa non
poteva essere fatta per non venire meno ad un giusto criterio
distributivo che tiene conto degli interessi degli editori e dei
discografici senza privilegi di sorta. Discorso che non farebbe una
piega se non si sapesse delle manovre e dei maneggi che c’erano, ci sono
e ci saranno dietro Sanremo. Anzi, oggi forse meno, perché tanto non si
vende un disco lo stesso... Ma allora come mai la CGD/CBS ha 11 artisti e
dodici canzoni? Perché la Ricordi ne ha sette? Perché la SAAR ne ha sei?
Se la giustizia distributiva di Ravera fosse stata reale, la RCA, che
assorbe il 60% del mercato, avrebbe dovuto essere la prima in assoluto
tanto più che le loro cinque canzoni, tenendo conto delle distribuzioni
discografiche, si sarebbero ridotte a quattro visto che LA VERITA’ di
Paul Anka e NON BASTA SAI di Neil Sedaka appartengono per metà ad altre
case... Senza contare che l’Ariston, casa editrice musicale divenuta
discografica da pochissimo, per meglio amministrare le proprie
composizioni ha ben tre posti assicurati. Se si concedono tre canzoni ad
una casa appena nata e se ne negano cinque alla RCA c’è sicuramente
qualcosa di fondo che non va. Ravera taglia corto sentenziando che
Sanremo è come Roma-Lazio: se i campioni ci sono, bene. Comunque sia il
pubblico ci va lo stesso. Conclude dicendo che ormai cantanti come Paul
Anka e Neil Sedaka, nella loro patria non sono più nessuno. Forse sarà
vero, ma allora perché far venire una cantante in disgrazia come Connie
Francis o un reperto archeologico come Joe Damiano dall’America o tanti
altri di questa edizione che sono veramente dei signor nessuno? Dei
nomi? Il giamaicano Hoagy Lands o il tedesco Bernd Spier. Di Hoagy
Lands tutti sono concordi nel dire che la sua felicità la trovava ogni
sera davanti ad un bicchiere di whisky. I suoi discografici lo marcavano
stretto e la fine del Festival deve essere stata per lui una
liberazione.
Il forfait della RCA è stato un duro colpo per Sanremo e la
mancata partecipazione ha causato altrettanti rifiuti da big stranieri.
Basti osservare il ritardo con il quale gli organizzatori del Festival
hanno comunicato i nomi dei quarantaquattro partecipanti. Segno che non
deve essere stato facile reperire grossi nomi da mettere nella lista. E
sì che la materia prima, all’epoca, non mancava dato che fare il
cantante era forse il mestiere più inflazionato di tutti negli anni
sessanta! Dionne Warwick dice no grazie, lo stesso fa Julie Rogers
(anche se non è un nome davvero importante). Quest’ultima viene
sostituita da Kiki Dee che all’epoca valeva quanto un francobollo in
corso già usato. Ci sono davvero i divi a questa edizione del festival?
La commissione selezionatrice ha fatto terra bruciata sotto i piedi dei
più famosi autori e cantanti. Eliminati Morricone, Luttazzi, D’Anzi,
Renis, Meccia, Fidenco (per fare qualche nome) i cantanti veramente
famosi sono pochini. Di certo non sono Robertino, Franco Tozzi, Remo
Germani, Beppe Cardile, Le Amiche, Nicola di Bari (non sono questi, i
loro anni). C’è Bobby Solo che difatti vince, la Cinquetti (anche lei
reduce dall’annata precedente), Bongusto (che all’attivo ha un paio di
singoli di successo compreso il best seller dell’estate ’64, UNA ROTONDA
SUL MARE). C’è Lauzi che arriva da RITORNERAI, c’è Donaggio. Tutti
simpatici e di nome, ma manca il divo sullo stile di Mina, Celentano, la
Pavone, Morandi. Questo tipo di cantanti mancano e si sente. Ornella
Vanoni stessa, è una cantante di nome che appare spessissimo in tv ma
che ancora non ha instaurato col pubblico italiano il feeling che
avrebbe fatto di lei, dal 1970 in poi, una protagonista assoluta della
scena. E’ancora un oggetto da decifrare, metà borghesia bene milanese,
metà cantante della mala, appellativo rimastole dagli esordi e quindi
"alternativa". La sua canzone è ABBRACCIAMI FORTE e la canta in coppia
con Udo Jurgens, cantante tedesco di nome, anche qui da noi, che però
non rende accessibile il pezzo (un sottile eufemismo per dire che la
canta da schifo). La Vanoni arriva a Sanremo dalla Sicilia. Partita da
Catania in aereo, ha fatto scalo a Roma e quindi proseguito per Genova.
Una bufera di neve ha impedito l’atterraggio all’aeroporto ligure e
l’aereo è stato dirottato a Milano. Salita su un taxi, trova un intoppo
a Novi Ligure, quando la macchina viene bloccata dalla neve. Pagato
l’autista, la povera Vanoni ha dovuto raggiungere, a piedi e nella
tormenta, il nodo ferroviario per salire su un accelerato col quale è
finalmente giunta a Genova. Da qui, uno scherzo arrivare a Sanremo. Ci
immaginiamo con quale stato d’animo.
In questa grossa ed infinita polemica non poteva mancare quella "nana"
di Claudio Villa, ovvero il campione delle polemiche ad oltranza e
nemico giurato del povero Ravera dai tempi dei tempi. Mentre si trovava
ancora in Giappone per un tour chiamato SANREMO NEL MONDO, Villa
ricevette dei provini dalla sua casa discografica. Tra questi avrebbe
dovuto scegliere la canzone che, secondo lui, sarebbe andata bene per
Sanremo. Scelse LA BANDIERA DELL’AMORE, adatta anche nello stile. Con la
solita spavalderia mista al suo solito irruente entusiasmo mandò un
telegramma alla Fonit Cetra scrivendo pressappoco EVVIVA LA BANDIERA.
CLAUDIO. I componenti della commissione selezionatrice bocciarono subito
la lacca della canzone che non era stata incisa da lui ma da terzi. Con
la solita straordinaria modestia che lo contraddistingue, Villa dichiara
che non si può parlare di Sanremo senza che siano in lista i nomi di
Claudio Villa e Domenico Modugno. Ma questi ultimi sono stati esclusi
con una procedura alquanto discutibile. La procedura alquanto
discutibile era l’aver giudicato la sua canzone poco interessante per
l’andamento della manifestazione. E che ci sia Modugno nel mezzo è un
caso. Avrebbe polemizzato anche se fosse stato l’unico ad essere stato
depennato. Sta di fatto che Villa aveva appena vinto la trasmissione
legata alla Lotteria Italia che quell’anno era chiamata NAPOLI CONTRO
TUTTI cantando in finale ‘O SOLE MIO. Peccato che Villa fosse in
sostituzione del tenore Mario Del Monaco che forse avrebbe vinto lo
stesso perché il voto non era legato al cantante ma alla canzone. La
canzone di Modugno era UN PAGLIACCIO IN PARADISO e sicuramente non
avrebbe sfigurato al Festival. La sua canzone è stata dichiarata troppo
difficile per il pubblico sanremese, come se il pubblico televisivo
fosse popolato da cretini (beh, quello di oggi parrebbe di sì, dato il
seguito ingiustificato di personaggi allucinanti che popolano il
Fetival). Questo è stato dichiarato da Ravera e da alcuni giornalisti
facenti parte della selezione, i quali non hanno riscontrato nella
canzone di Modugno l’immediatezza e la presa di altre sue composizioni.
Però circola un’altra voce nell’ambiente: Modugno ha abbandonato la
Fonit Cetra e firmato per la Curci, società della casa editrice che
stampa le sue canzoni. Il passaggio è avvenuto tramite un assegno
cospicuo ed è chiaro che la nuova casa puntava molto su un lancio in
grande stile. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la potenza della Rai
che, proprietaria della Fonit Cetra, decide di fargliela pagare
consigliando agli organizzatori di lasciare a casa Modugno. Lui si
consola recitando in teatro, in una nuova edizione de L’ISOLA DELLE
CAPRE di Ugo Betti. La regia è di Alberto Ruggero. Le sue compagne di
palcoscenico sono Edmonda Aldini, Adriana Asti ed Edda Albertini. Il
personaggio di Modugno è quello di un uomo che, con la sua gioia di
vivere, riesce a dare calore all’esistenza di tutte e tre le donne
sull’isola. Il debutto avviene al Teatro Delle Arti a Roma. Nel
frattempo cominciano le riprese di SCARAMOUCHE (nella foto), sceneggiato
tv di grande successo. Scaramouche, è un personaggio italiano, a
dispetto dal nome, reso celebre anche in Francia da Tiberio Fiorilli, a
metà 1600. Figlio di Capitan Spaventa e nipote di Spezzaferro (questo è
l’albero genealogico di Scaramouche), Scaramuccia, così come si chiamava
all’inizio, prima di approdare a corte, si presenta imbracciando la
chitarra che lo accompagna in serenate a dispetto, alternate a
spacconerie tipiche della maschera. Un personaggio che sembrava scritto
su misura per Modugno, che in queste parti rende benissimo (basti
pensare a RINALDO IN CAMPO). La regia televisiva è di Daniele D’Anza.
Altri silurati sono Tony Renis, Sergio Bruni, Fausto Cigliano, Johnny
Dorelli e Gianni Meccia. Era stato escluso anche Nico Fidenco ma, col
ritiro dei cantanti della RCA dal festival, sarebbe stato escluso
ugualmente.
Tornando allo spettacolo della RCA, questo viene organizzato proprio in
concomitanza con la serata finale del Festival di Sanremo. Ma viene
registrato e non mandato in diretta, con buona pace di tutti. Il titolo
è PICK UP. E’ costato una cinquantina di milioni (che non sono
pochissimi nel 1965) ed è stato fatto con tutti i crismi. La casa
discografica non ha badato a spese per mettere in difficoltà la macchina
sanremese ed offrire ai telespettatori un programma davvero interessante
come a dire guardate cosa vi perderete a Sanremo. Paul Anka presenta due
canzoni, quella che avrebbe dovuto portare a Sanremo (LA VERITA’) e il
retro, un brano in romanesco (solo alcune parole) che di certo suonano
buffe nella bocca del cantante canadese. Il titolo è SENZA TE IO ME
MORO. LA VERITA’ è un bel pezzo con un arrangiamento possente e moderno
che sicuramente avrebbe fatto la sua bella figura nel contesto sanremese
e considerando il successo riscontrato da Paul Anka l’anno precedente
con OGNI VOLTA sicuramente avrebbe avuto buone chance di vittoria
finale. Alain Barriere presenta invece VIVRO’ e QUATTRO RAGIONI PER
AMARTI, canzone che avrebbe presentato a Sanremo (ma prima della
polemica aveva già deciso di non parteciparvi e la RCA aveva fatto il
nome di Riccardo Del Turco con PARLA DI TE). Visto che c’è, fa
ascoltare anche il suo ultimo successo E PIU’ TI AMO, altra bella
canzone. Poi Dalida che presenta ASCOLTAMI (che avrebbe dovuto essere
doppiata a Sanremo da Louiselle). Gino Paoli con PRIMA DI VEDERTI e
SARA’ LO STESSO (il lato A è occupato dal primo titolo sebbene la
canzone più immediata sia la seconda), Neil Sedaka che canta NON BASTA
MAI e DAREI DIECI ANNI. Poi Riccardo Del Turco ed una serie di ospiti
d’onore del calibro di Gianni Morandi, Rita Pavone, Michele, Edoardo
Vianello, Jimmy Fontana, Donatella Moretti, Dino, Sergio Endrigo, Nico
Fidenco (artisti RCA) e attori come Giulietta Masina e Vittorio Gassman.
Presentazione di Walter Chiari. Sicuramente c’è molta più bella gente
qui che a Sanremo e, con tutta probabilità, se fosse andato in onda
nello stesso periodo, avrebbe certamente rubato pubblico al festivalone.
Difatti, al Teatro Sistina di Roma dove viene registrato, succede il
finimondo. Alcune migliaia di giovani hanno tentato di prendere
d’assalto il teatro resistendo ad ogni appello di calma proveniente
dalla forza pubblica. La strada è rimasta completamente bloccata per
alcune ore. La RCA era intenzionata a presentare lo spettacolo in altra
sede, più idonea all’evento. Si era pensato al Palazzetto Dello Sport
dell’Eur. La rivista musicale Ciao Amici aveva stampato un tagliando che
presentato all’ingresso avrebbe dovuto consentire l’entrata gratuita
allo spettacolo. Alle quattordici, diecimila ragazzi erano davanti al
teatro che può contenere soltanto 1600 posti. Mano a mano che il tempo
passava la gente continuava a raggiungere il Sistina e tutta la zona, da
Piazza Barberini a Via Francesco Crispi, era ormai completamente invasa
da orde di ragazzini. Quando lo spettacolo ha avuto inizio e le porte
del teatro sono state sbarrate, la fiumana di ragazzi fuori ha provocato
il finimondo. Basti dire che a Roma, fino a quel momento, non si erano
mai viste scene di quel genere. In preda alla rabbia, quella degli
esclusi, i ragazzi hanno tentato di invadere il teatro, rompendo vetri e
danneggiando tutte le macchine parcheggiate per la strada, staccando le
maniglie delle portiere e inveendo contro gli agenti di polizia. Cosa
del tutto normale se invece del 1965 si fosse nel 1975. I poliziotti non
erano avvezzi a manifestazioni del genere e non potevano usare le
maniere forti perché l’età dei ragazzi era davvero molto bassa, dai
quindici ai venti anni al massimo. Il tetro è stato messo a soqquadro e
un dipendente ferito e ricoverato in ospedale. Un maresciallo dei
Carabinieri viene colpito da una maniglia divelta che gli frantuma il
setto nasale. Un ragazzo di diciassette anni viene ricoverato al San
Giacomo. Insomma qualcosa di davvero inedito per l’Italia. Qualcosa che
poi vedremo periodicamente e a cui non faremo più caso. Certo è che fa
effetto scoprire lo stupore a quell’epoca delle forze dell’ordine per
questo genere di situazioni. Specialmente per chi il disordine
sistematico l’ha sempre visto da quando è nato. Parlo di tutti quelli
nati dopo il 1968. Pensare che soltanto nel 1965 scene simili erano
inedite o relative soltanto a situazioni poltiche estreme (governo
Tambroni o post bellico).
Timi Yuro
Come è stato detto, la mancanza di big si nota particolarmente
quest’anno, acuita dalla trasmissione a dispetto della RCA. C’è però una
cantante americana che è accoppiata con Don Miko e con Peppino Gagliardi
che canta E POI VERRA’ L’AUTUNNO e TI CREDO che non fa rimpiangere
troppo gli assenti. Il suo nome è Timi Yuro sebbene nella vita si chiami
Rosa Maria Timotea Aurro, discendente da una famiglia di emigrati
italiani di Rocchetta al Volturno in provincia di Campobasso. Nata a
Chicago, dal nome sembrava giapponese visto che a Sanremo c’è davvero
una rappresentante del paese del sol levante che si chiama Ito Yukari.
Quasi tutti si erano già scordati della canzone HURT, che tanto successo
ebbe a cavallo fra il 1961 e il 1962. La canzone poi avrebbe avuto una
versione italiana nel 1967 da parte di Fausto Leali col titolo di A CHI,
che lanciò definitivamente il cantante bresciano nell’olimpo dei grandi.
Timi canta con un’estensione di voce che pare sovrumana. Nei toni bassi
raggiunte quote accessibili forse a qualche tenore e in quelli elevati
potrebbe gareggiare con la tromba di Armstrong. Dirle brava è dirle poco
ma, come capita sempre in Italia, se ne parla molto in quei giorni, poi
passata l’onda lunga del Festival, viene dimenticata e succede che, alla
sua versione delle due canzoni in gara nel momento dell’acquisto,
vengano preferite quelle di Gagliardi e Don Miko. Durante le prove Timi
era seduta in un angoletto vestita come possono vestire soltanto le
burine americane. Un confettino rosa con tacchi di raso color carta da
zucchero. Capelli come andavano due anni prima ma una professionalità ed
una voce da far spavento. La gente in sala ridacchiava alla sua
apparizione. Fino a quando il maestro le ha dato il tempo. Quando
comincia con la frase e poi verrà, e poi verrà l’autunno, il teatro
smette di ridere e la guarda incredulo. Sta cantando senza microfono e
senza sforzo, dal momento che era la prima lettura della canzone. Una
voce portentosa sbigottisce i presenti che alla fine applaudono così
entusiasticamente che il teatro pare gremito e in realtà non sono che in
un centinaio tra cantanti, critici e giornalisti. Di TI CREDO ne fa una
canzone jazzata, portando la voce dai registi più bassi agli acuti come
se stesse assolvendo ad un impegno del tutto normale. TI CREDO, così
com’è stata scritta, è comunque una canzone davvero particolare se si
pensa che non sarebbe dovuta andare nella bocca di una Maria Callas ma
di una qualsiasi ragazza o donna mentre studia o lavora per casa. Invece
sembra svilupparsi intorno a preziosistiche modulazioni strane e
pericolose per una normale canzone, nata per concorrere in una gara e
non per diventare un esempio di bella scrittuta musicale. Il testo non è
male anche se le immagini evocanti, viste con lo spirito odierno,
appaiono superate. Io credo a quello che mi dici perché sei per me ciò
che il mare è per la spiaggia, per quello che l’acqua è per la sete
eccetera. Ma passato l’entusiasmo ritorna la sfiducia, la tensione e
l’incertezza che continuamente fa trepidare e mettere in dubbio l’amore
dell’altro. Yuri resta comunque la grande sconfitta di questa edizione
perché nessuna delle sue due canzoni arriva alla finale. Il pianto è
d’obbligo ma il sorriso trova di nuovo spazio sul suo viso quando la tv
se la contende in più trasmissioni. Da ROTOCARLO, show televisivo di
Carlo Dapporto e Miranda Martino, a LA FIERA DEI SOGNI con Mike
Bongiorno. Ha assunto la figura di vincitrice morale del quindicesimo
festival ed è sotto l’attenzione di tutti. Attenzione che, come detto in
precedenza, viene scemando man mano che il tempo passa e il ricordo si
affievolisce. A Sanremo, a parte la bella voce e l’abbigliamento
considerato kitsch, ha colpito il suo stranissimo modo di parlare
italiano. Suo e della madre che l’accompagnava. Difatti si esprimeva con
un forte accento molisano misto a parole inglesi, come capita di sentire
nei film con personaggi italo americani. Ad un giornalista, credendo di
fare un’offerta particolarmente allettante disse: "a casa teniamo la
piscina. Vienece a truvà che tengo la stanza per i furastieri". A parte
queste note folcloristiche, Timi Yuro nel 1969, dopo aver cambiato casa
discografica (dalla Liberty alla Mercuri) lasciò la carriera artistica
causa matrimonio. Nel 1976, il complesso soul dei Manhattans rilancia
HURT in versione discomusic e la Yuro fu incoraggiata a ricominciare ma
nel 1980 subì un intervento alla gola (un cancro) e perse la sua potente
voce. Un dramma psicologico a dir poco devastante per una cantante.
Nello stesso periodo la solita HURT raggiunse di nuovo le vette delle
classifiche in Olanda e lei incise due album per il mercato olandese. Nel
1984 il cancro ritornò ad aggredirla alla gola e lei mollò tutto. Timi
Yuro muore nella sua casa di Las Vegas nel marzo del 2004.
Ito Yukari
Strane e buffe le voci che circolavano sulla cantante giapponese Ito
Yukari. Qualcuno ha diffuso la voce che non era una vera cantante ma una
giapponese nata e domiciliata in una cittadina del Piemonte e prelevata
quasi a forza dagli organizzatori per dare un tocco di esotismo alla
manifestazione. Come se Ravera, in groppa ad un cavallo bianco, fosse
andato a rapirla a casa sua mentre magari stava cucinando il sushi. E’
la prima volta che esce fuori dal Giappone, di italiano conosce solo le
parole della canzone di Pallavicini e Kramer (L’AMORE HA I TUOI OCCHI) e
il suo inglese è molto stentato. Il suo entusiasmo per Sanremo le arriva
dal fatto che durante le sue esibizioni in patria canta spessissimo
canzoni italiane tradotte in nipponico. E tra queste proprio le due più
famose dell’anno precedente, quella della Cinquetti e quella di Bobby
Solo. Il testo è abbastanza banale: l’amore rimane per sempre negli
occhi di chi ha amato e anche se ancora non lo si conosce, deve avere
per forza degli occhi come i tuoi.
Dusty Springfield
Altra brava cantante è Dusty Springfield (vero nome Mary Isabel
Catherine Bernadette O’Brien) accoppiata a Gianni Mascolo. Cantano la
canzone DI FRONTE ALL’AMORE, scritta da Umberto Bindi. E’ un bel pezzo
confezionato con la consueta eleganza dall’autore genovese, con una vaga
reminiscenza gershwiniana nel ritornello. Gianni Mascolo fa la sua parte
ma sinceramente la canzone non avrebbe storia se fosse stata affidata
soltanto a lui. Fa il suo effetto più sul palco che nel disco, dove
appare troppo artificiosa. Il primo disco della Springfield in italiano
era uscito pochissimo tempo prima e si intitolava TANTO SO CHE POI MI
PASSA accoppiato a STUPIDO STUPIDO. Successo commerciale, sotto zero. E’
anche vero che il gusto del pubblico si va affinando sempre più. Anni
prima un cantante tipo Bruno Lauzi non sarebbe stato pensabile. Il flop
del ’61 di Paoli è lì a dimostrarlo. I giovani in realtà non vengono più
direttamente dalle campagne come capitava qualche anno prima. Ora i
debuttanti hanno almeno un passato a Castrocaro e qualche serata nelle
balere italiane di provincia. Le grandi case discografiche li smistano a
pacchi di sei nelle manifestazioni e i cantanti affermati fanno loro da
padrini, trattandoli da pari grado. C’è una realtà professionistica e
industriale che fa a pugni con le colombe della Pizzi degli anni
cinquanta anche se non mancano personaggi stonati come campane o che non
sentono la musica. Ad esempio, Vittorio Inzaina che nel suo piccolo è
riuscito in un impresa davvero difficilissima: cantare tutta la sua
canzone in Si bemolle con l’orchestra che suonava in La. Senza sbagliare
mai! Caso opposto: Iva Zanicchi partecipa al suo primo Sanremo due anni
dopo aver vinto a Castrocaro. La sua casa discografica ha voluto
aspettare e farne una cantante con un timbro vocale subito riconoscibile
e personale, ma soprattutto farne una cantante preparata per affrontare
un pubblico vasto e spietato come quello sanremese. E’ vero che
l’industria si basa anche su tentativi folli piuttosto che su una valida
ed obiettiva valutazione del mercato ma è altrettanto vero che in pochi
mesi non si possono inventare nuovi cantanti dal nulla. Difatti, con
tutto il rispetto, Inzaina è rimasto Inzaina, la Zanicchi è tuttora
l’Aquila di Ligonchio. Sebbene non abbia più lo stesso naso ed anche
quel soprannome sarebbe ormai decaduto per mancanza di prove. Nel 1965
non si scherza più. L’industria discografica è una delle industrie che
tirano di più e la presenza di quasi trecento giornalisti accreditati
contro i sei del 1951 sta a dimostarlo. La famosa catena di cantaggio,
così come scherzosamente la chiamano gli addetti al lavoro.
Rita Pavone
Un personaggio che non ha certo bisogno di Sanremo per vendere dischi è
Rita Pavone, reduce da una seguitissima serie televisiva per ragazzi in
prima serata con i più bei nomi dello spettacolo di prosa italiano. Una
super produzione in cui lei è la protagonista principale, nel
personaggio di Giannino Stoppani, alias Gian Burrasca. Di questa
trasmissione abbiamo già parlato in un precedente articolo (per chi
volesse approfondire l’argomento, leggere il commento della settimana
del 2 maggio 64).
L’idea di far interpretare il personaggio maschile ad una ragazza
come la Pavone e a ridurre il celebre Giornalino per la tv è venuta a
Lina Wertmuller, la regista. Non mancarono polemiche. Ma non è certo la
prima volta che un uomo interpreta una donna o viceversa, basti pensare
a quante Giuliette e Desdemone ai tempi di Shakespeare furono incarnate
da ragazzi perché alle donne era proibito calcare le scene. Lo stesso
Umberto Eco scrisse ai tempi, a proposito del caso sollevatosi, di come
la Pavone sia la prima diva della canzone a non apparire davvero donna,
che Rita Pavone fu davvero strepitosa ed è soprattutto alla sua presenza
che lo sceneggiato dovette un successo così clamoroso. Anzi, da quel
momento, un libro datato come quello scritto da Vamba, ricominciò a
macinare copie su copie e a farsi leggere dalle nuove generazioni che di
una storia di un monello di quasi settant’anni prima non sarebbe
importato proprio niente. E anche oggi, questo libro è rimasto nella
letteratura italiana, grazie proprio alla potenza evocativa di quello
sceneggiato e della sua particolarissima colonna sonora. Una colonna
sonora degna di tutto rispetto. Trovatine musicali a bizzeffe, idee e
fantasia a non finire, atmosfere evocative degli anni in cui si svolge
l’azione del racconto praticamente perfette, una buona dose di umorismo
anche nel ricordare certi temi visti non con nostalgia (un bambino di 8
anni è difficile che abbia nostalgia. Questo è il concetto che deve
essere passato nella mente di Nino Rota) ma con spirito allegro e
divertente. Grandissimo lavoro quindi dell’autore delle musiche ma anche
di Luis Enriquez, eccelso arrangiatore particolarmente ispirato in
questo disco. Grande anche la Wertmuller, oltre che come regista anche
come autrice di testi, sempre divertente e mai scontata. Il piccolo
capo-po-polavoro (per usare un termine preso a prestito dal testo) della sigla
iniziale, VIVA LA PAPPA COL POMODORO, che vende più di duecentomila
copie, ha il contributo musicale di Anton Karas, l’autore de IL TERZO
UOMO. Suona la cetra, che è lo strumento che accompagna il brano,
rendendolo riconoscibile sin dalle prime note. A dispetto dal titolo
volutamente infantile è davvero una signora canzone con un testo
pre-sessantottino. Così come contestatore pro tempore è Giannino
Stoppani. Sul retro del singolo troviamo una dolce SEI LA MIA MAMMA, in
cui la Pavone ritorna ad essere se stessa, dimenticando per un attimo
Giannino Stoppani. Stranamente in alcuni passaggi la canzone ricorda
vagamente NON E’ FACILE AVERE DICIOTT’ANNI e Rita la canta come se
stesse eseguendo una normale canzone "da grandi". Il resto del LP è una
girandola di idee divertenti ma anche di licenze "poetiche". Come il
simpatico TANGO DELLA SCUOLA (il tango, a quell’epoca, ancora non era
stato compiutamente importato in Italia dall’Argentina). Oppure il brano
strumentale CHARLESTON che come si sa, non riviveva ancora in quegli
anni. Poi c’è I GATTI DI ROMA, un affresco molto particolare che
tratta dei monumenti e delle vie della capitale parlando dei gatti che,
a quanto pare, scorrazzano tranquillamente dal Corso al Gianicolo senza
il rischio di finire sotto una macchina. Anche perché, nel 1908, di
macchine ce ne dovevano essere pochine. I gatti ovunque, uno sull’elmo
di un corazziere, un altro dentro il cappuccio di un frate cappuccino,
altri in testa a Marc’Aurelio e Garibaldi (le statue). Esagerata messa
in scena, forse, ma comunque carina. E ancora, una salgariana I TIGROTTI
DI MOMPRACEM, cantata con foga come a ribadire l’interesse della
gioventù del primo novecento per la lettura avventurosa in stile Verne o
Salgari (ma questo Salgari, che scrittore, è proprio il mago delle
avventure), un’avveniristica IL 1909, in cui si elencano tutte le novità
di quegli anni, un sacco di scoperte nuove che ci aiutano meglio a
campar, come dice nella canzone. Il telegrafo, il fonografo, la
ferrovia, la fotografia c’è persino l’elettricità. Le signore vogliono
fumare e i signori vogliono volar. E lui stesso, Giannino, ci confessa
che si elettrizza col progresso, termimando con ma che bella la
modernità. In tutto sono 14 brani e il CD è stato ripubblicato per una
collana chiamata ORIGINAL SOUNDTRACK nel 1999, naturalmente con una
distribuzione catastrofica. IL GIORNALINO è un divertentissimo spaccato
d’epoca reso incandescente dalla bravura degli attori (tra gi altri
Valeria Valeri, Ivo Garrani, Milena Vukotic, Arnoldo Foà, Sergio Tofano,
Bice Valori, Roberto Chevalier, Odoardo Spadaro) e dalla grinta quasi
animalesca di una Rita Pavone al massimo fulgore. Uno sceneggiato che
dovrebbero passare nelle scuole elementari di oggi, quasi d’obbligo.
Peppino Di Capri
Va bene, forse l’astro di Peppino Di Capri sarà anche un pò calato qui
in Italia. Difatti i suoi dischi non raggiungono più vette altissime
nelle classifiche, così come capitava nei primi anni del decennio in
corso. Colpa delle nuove leve ma soprattutto della ventata nuova che
arriva dall’Inghilterra. Sta di fatto che il Peppino nazionale, a
gennaio, era negli Usa per una tournèe. La sfortuna ha voluto che sia
capitato in una delle peggiori annate che si ricordino. Freddo record e
bufere di neve in tutto il nord del paese. Teatri e cinema semideserti
anche perché la radio e la tv raccomandavano di non uscire se non il
minimo indispensabile. Peppino e i suoi Rockers (due chitarre
elettriche, un sassofono, una batteria e le tastiere suonate dallo
stesso cantante) sono riusciti a far arrivare al Carnegie Hall un numero
di spettatori superiore alle più rosee previsioni. Certo, erano tutti
italo-americani ma il fatto ha contribuito a far ritrovare il sorriso
all’impresario italo-americano Erberto Landi. Il giorno dopo, nella
stessa sala, si sarebbe esibito un certo Herbert Von Karajan con
l’Orchestra Filarmonica di New York. Di Capri ha proseguito il suo tour
in Usa e in Canada e sempre con un buon successo di pubblico. Il suo
ultimo 45 giri l’ha presentato in una trasmissione tv, IL MACCHIETTARO.
Il titolo è IERI ed è stata scritta da Ricky Gianco e Leo Chiosso. Come
spesso accadeva per i dischi di alcune case discografiche come la Carish,
il retro reca due pezzi invece che uno soltanto. E sono FORSE LO SO
(MAYBE I KNOW di Lesley Gore) e PERCHE’, cover di un brano dei Dave Clark
Five che si intitola BECAUSE. Da anni Peppino impara a memoria le
classifiche discografiche estere, le nuove tendenze musicali e i balli
di moda e li trasforma in pezzi di successo adattandoli al pubblico
italiano. Così fu per il twist, il madison, il surf, etc. Certo, come si
è detto, il successo non è più quello travolgente di un volta ma lui
ancora si fa notare in mezzo alla miriade di novità della musica odierna
(1965).
Il Commissario Maigret
Ritorna in tv IL COMMISSARIO MAIGRET al quale, incautamente, si è voluto
dare un seguito qualche mese fa con il povero Castellitto nel ruolo che
fu di Cervi. Il paragone col vecchio Maigret, anche se involontario, ha
schiantato questa riedizione in termini di audience. Questa serie (la
versione 1965), con la regia di Gino Landi, sta avendo un successo di
pubblico sopra ogni rosea previsione. Rifiuto di ogni suspense
artificiosa e ricerca di atmosefere particolari, una buona penetrazione
psicologica dei personaggi sono le chiavi del successo dello sceneggiato
il cui merito è senza dubbio degli attori Gino Cervi e Andreina Pagnani
(naturalmente anche di tutti i bravi comprimari che vengono dalla prosa)
e dello stesso regista. Il personaggio a cui dà vita Gino Cervi combacia
perfettamente con l’immagine uscita dalle pagine di Simenon. Successo
della trasmissione televisiva, successo della sigla. Un binomio che per
il 90% delle volte è d’uopo. In questo caso il successo arriva da un
singolo che reca una vecchia canzone francese, scelta ad hoc dal regista
per introdurre il telespettatore in quella Parigi misteriosa e
nostalgica fatta di bistrot, brasserie ma anche della Morgue in cui
Simenon ambienta le sue vicende. Il titolo è LE MAL DE PARIS e il
cantante è Mouloudji, che oltretutto è anche attore e
commediografo-poeta, uno dei personaggi più singolari del panorama
d’oltralpe. Il nome viene dal padre, che era arabo mentre la madre era
francese. La canzone, che nella sua esecuzione ebbe molta fortuna nel
primo dopoguerra, rinfresca il successo dopo vent’anni grazie al
telefilm. Sul retro lo risentiamo in un’altra vecchia canzone famosa, UN
JOUR TU VERRAIS, anche questa edita già nel 1954.
Ennio Morricone
Per restare in casa RCA, parliamo di un disco davvero interessante, per
due motivi: uno tecnico e l’altro estetico. Per quel che riguarda il
primo c’è da dire che è stato inciso con il nuovo sistema Dynagroove,
una tecnologia di registrazione stereo all’avanguardia che estrae dai
solchi un suono pulitissimo. Il motivo estetico riguarda la stupenda
armonizzazione ed orchestrazione negli arrangiamenti e nei suoni che
l’autore Ennio Morricone ha saputo dare a vecchie e più recenti canzoni.
Il disco a 33 giri si chiama MUSICA SUL VELLUTO e pare siano occorsi tre
anni per realizzare questo prodotto di difficile classificazione. E’
ancora un disco di musica leggera o siamo già su altri livelli, cioè
nell’alveo della musica da concerto? Le canzoni sono molto note. Da
PARLAMI D’AMORE MARIU’ ad AMOREVOLE. Della seconda canzone, che non è
altro che una discreta canzone di qualche anno prima, Morricone fa un
piccolo gioiello. Flussi e riflussi di suoni impastati che cominciano
fievoli e lontani per arrivare ad un pieno strumentale bello tondo.
Certo è che se non ci fosse stato il flauto di Severino Gazzelloni, il
pianoforte di Luis Enriquez, la chitarra di Alessandroni, l’arpa di Anna
Palomba, arpista della gloriosa (allora) orchestra della Rai Tv di Roma
la cosa si sarebbe fatta forse un po’ più ardua per Morricone. Resta
quindi un bellissimo disco che racchiude in se il compendio di anni di
esperienze vocali, strumentali, armoniche ed elettroniche, di ritmiche e
timbriche degne di un musicista di enorme livello e d’avanguardia. Un
disco che dovrebbe essere assolutamente ristampato dall’infame collana
della BMG chiamata, a sproposito, GLI INDIMENTICABILI, che ristampa
titoli già editi decine di volte su cd tralasciando altri di cui è
difficile reperire il vinile se non pagando cento o duecento euro. Tutto
per interessi di bottega di alcuni squallidissimi personaggi che
gravitano a mo’ di sciacalli attorno a ciò che resta della defunta RCA
italiana. Per la cronaca, dal 33 giri è stato estrapolato un singolo che
reca PARLAMI D’AMORE MARIU’ e sul retro IL SILENZIO. Ciò quasi prima che
di quest’ultimo brano se ne interessasse Dalida e Nini Rosso. In realtà,
la versione di Rosso fu stampata nello stesso periodo ma ebbe successo
soltanto in estate. Sembra piuttosto strano che ben due interpreti si
siano presi contemporaneamente cura di un brano che si conosceva da
sempre.
Vanna Brosio
Non esiste solo Sanremo. Vanna Brosio, della quale abbiamo già parlato
in un altro articolo, tenta il bis dopo il discreto successo di COME MIO
PADRE, presentato al Disco Per l’Estate 1964. Vanna Brosio, più famosa
come cugina dell’ambasciatore Manlio Brosio, niente di meno che
segretario della NATO (ehm... ehm...!), non ripete il bis perché le
canzoncine incluse nel disco a quarantacinque giri sono davvero poca
cosa. ED ORA TE NE VAI e NON RISPONDO DI ME sono una pallida copia di
almeno altre cento canzoni di seconda categoria dell’epoca, con ritmi e
versi che si rifanno ad altri stili (la Pavone, per esempio o anche
Rosy). Vanna può oggigiorno consolarsi soltanto vedendo le quotazioni
del suo disco, nelle mostre odierne, arrivare a prezzi che oscillano tra
i venti e i trenta euro, proprio per la difficile reperibilità di questo
suo vinile. Con quella canzone partecipa anche ad una puntata de LA
FIERA DEI SOGNI.
Raffaella Carrà
Una storia che negli ultimi trentacinque anni, cioè da quando la
protagonista è diventata famosa, ce la siamo sentita ripetere
un’infinità di volte: Il Colonnello Von Ryan e cioè Frank Sinatra e
Raffaella Pelloni in arte Carrà. E’ di questo periodo la storia infinita
che l’allora attrice di belle speranze Raffaella va narrando quando le
si presenta l’occasione. E se non viene, la fa capitare lei. Allora,
cominciamo dall’inizio: Raffaella è una ragazzuola emiliana piena di
tenacia e caparbietà, fisicamente molto differente da quella a cui siamo
abituati dagli anni settanta. Capelli mori e lunghi, meno raffinata ma
forse più genuina. Vuole "arrivare" ad ogni costo e si impegna come una
matta per trovare scritture sia in cinema che alla televisione. In
giugno (del 1964) stava registrando lo sceneggiato tv I CAMALEONTI e
durante una pausa una collega le confida che Sinatra si trova a Roma e
che lei (la collega) è stata presa per una parte importante. Raffaella
chiama allora la sua agente che dal canto suo già sapeva come la
produzione del film stesse effettivamente cercando una giovane donna
(18-20) in grado di parlare almeno un po’ di inglese. Ma la parte era
stata già presa quindi Raffaella si mise l’anima in pace. Un paio di
mesi dopo, sempre impegnata nella realizzazione de I CAMALEONTI, la
Carrà riceve una telefonata dalla sua agente che le chiede di farsi
trovare dal casting director della Fox, il quale le consegnò una scena
in tre cartelle da leggera l’indomani a Cinecittà. Infatti, davanti al
regista Robson e ad altri pezzi grossi della Fox, recitò la sua parte
senza paura ed emozione perché quasi sicura che comunque fosse andata la
scelta non sarebbe caduta su di lei. Invece tre giorni dopo l’agente la
chiama a casa dicendole che l’avevano presa e che avrebbe recitato con
Sinatra. Il quale, alla fine, la mitraglierà alla stazione di Anagni
credendola una spia. Da questo episodio la Carrà si è sapientemente
saputa costruire un passato professionale solido e consistente che l’ha
aiutata negli anni a venire. Ma sarà solo nel 1970 che spiccherà
veramente il volo (e senza Colonnelli Von Ryan che le sparano alle
spalle).
Novità varie
Novità di interesse comune nazionale in questo inizio di anno? La prima
è che da domenica 21 febbraio alle ore 11, in cronaca diretta da
Bologna, andrà in onda la Messa domenicale in lingua italiana e non
latina, come fino ad allora si era sempre usato. E a celebrarla sarà il
Cardinale Giacomo Lercaro, presidente della commissione per l’attuazione
della riforma liturgica, che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ha
approvato il 4 dicembre 1964. Questo perché la liturgia tornasse ad
essere un veicolo d’insegnamento e mezzo semplice e spontaneo per
avvicinarsi a Dio e si scrollasse da dosso un ritualismo spesso
incomprensibile ai più.
Da sabato 23 gennaio 1965, per la prima volta in Italia, si può chiamare
per telefono Roma e Milano, e viceversa, direttamenente da casa solo
anteponendo al numero dell’utente il prefisso 02 o 06. Per coloro che
sono nati dopo questa "innovazione" forse potrà sembrare strano che
soltanto da 40 anni e dopo circa 60 e più dall’invenzione del
telefono, si sia arrivati a questo. Le prossime tappe che verranno
aggiunte saranno Genova e Firenze. Quindi, se un utente in questo anno
vorrà chiamare da Torino a Roma non potrà fare lo 06 ma dovrà
interpellare un’operatrice! Era il 1965, sembra un secolo...
Christian Calabrese