Swinging London
Quella del 1966 è la primavera più londinese del secolo. Londra detta la
moda nel mondo e il mondo, a sua volta, per essere alla moda passa da
Londra. Qui hanno i loro stati maggiori Mary Quant, l’inventrice della
minigonna, lanciata proprio nel 1966 (sebbene una pubblicità ingannevole
e bugiarda anticipi la data al 1963), John Stephens che è il creatore
"commerciale" di Carnaby Street, qui c’è Biba (altra grande firma della
moda) e Lord Sutch. Qui vivono i Rolling, i Beatles, gli Who, Julie
Christie, Terence Stamp, Jane Shrimpton e Twiggy (due modelle-icone del
periodo). E’ qui che si fa tappa obbligatoria se si vuole essere al
centro del mondo ed è qui che fra circa due mesi ci saranno i mondiali e
naturalmente sarà l’Inghilterra a vincerli sebbene con un goal fantasma
di Bobby Chaltron (unica vittoria nella storia per una nazione che
millanta l’invenzione del gioco del calcio). Sono i giovani che
detengono ormai i posti chiave in ogni settore della vita (gli inglesi
chiamano questa rivoluzione Youthquake) perché la Londra del 1966, che i
turisti attirati come mosche sul miele imparano a conoscere, è il cuore
di un nuovo impero che non conta sulla fedeltà dei reggimenti scozzesi
con le cornamuse sulla spalla ma di milioni e milioni di ragazze in
minigonna sparse in tutto il mondo, di milioni di dischi venduti nei
quattro continenti da gruppi come i Beatles e i Rolling Stones, di
chitarre elettriche e di capelli (ancora) medio-lunghi con il segno
della pace disegnato sulla giacca jeans o di pelle. Si lasciano
fotografare con la pigrizia di primitivi sorpresi da esploratori del
secolo scorso, sia a Piccadilly Circus che a Piazza di Spagna perché,
davvero è il caso di dire, dal 1966 in poi tutto il mondo è paese. Al
momento pare che non ci sia altra città al mondo a farle concorrenza per
libertà di costumi, qualità e varietà di vita. Il ritrovato benessere
economico trova ulteriore incentivo nella tolleranza verso le scelte
individuali che è sempre stata congeniale al popolo inglese. A Chlesea,
Pimlico e South Kensington, laddove si è spostato il centro cittadino,
un gran numero di scapoli e nubili (i famosi singles) dentro
all’ingranaggio “Londra”, giovani professionisti nella moda e
nell’industria musicale decidono di farne il loro regno. Spuntano come
funghi i flatlets e i bedsitters , due modi molto “in” di chiamare gli
affittacamere. A King’s Road il sabato pomeriggio sembra di vivere in
una città fuori da ogni dimensione e collocazione reale. Uomini e donne
dalle chiome e dai vestiti più folli entrano ed escono dai negozi che
ormai hanno ben poco di anglosassone inteso come sostantivo di classico
e austero. I negozi si chiamano Bazaar (di Mary Quant), Granny Takes A
Trip, Hang On You. Nomi davvero particolari per negozi di abbigliamento
specie all’epoca. Come particolari erano i vestiti in vendita e gli
accessori. Gli orologi, le ragazze, non li portano più al polso:non
vanno più al polso ma all’avambraccio. Naturalmente è grande sia il
quadrante che il cinturino. I Mods vestono modernista, parkas, abiti
francesi da collegiale, scooter italiani, con le Clarks ai piedi e con
pantaloni stretti in fondo, mentre gli acerrimi rivali Rockers con
giubotti di pelle e stivali. La gioia di vivere ha traslocato da Parigi
e Roma a Londra, il bel mondo londinese è un fast set e non conosce
distanze di tempo e luogo. Improvvisamente i figli della classe operaia
si trovano proiettati nello star system e diventano modelli per milioni
di persone in tutto il mondo che a Carnaby Street trova tutto quello che
gli occorre e a poco prezzo per emulare gli idoli nell’abbigliamento. Lo
standard riservato alle ragazze era quello che l’haute coiffure
londinese aveva imposto nel mondo e cioè lo stile Jean Shrimpton che a
sua volta si rifaceva alla Juliette Greco degli anni 1946-47. Capelli a
baschetto con frangia dai quali far spuntare a malapena gli occhi
sottolineati da un eye-liner a sua volta sormontato da ciglia finte e
mascara. Carnaby Street è volubile come la moda inglese e cambia pelle
ogni 6-7 mesi, a seconda dei dettami che questo o quello stilista impone
alla gioventù di allora. Quella strada diviene l’immagine stessa della
città per chi non abita a Londra, tanto è vero che parecchi negozi di
abbigliamento in Italia si fregiano del nome di Carnaby Street.
Nell’intervista che facemmo a Giuliana Valci, in un passaggio non
riportato, ci descriveva l’atmosfera della Londra del 1966 (era andata
insieme alle collettive di Rita Pavone per uno spettacolo alla BBC). Una
cosa impossibile da far capire a chi non è stato lì in quel momento. Già
due anni dopo era tutto diverso, tutto più artificiale, finto gioioso
per turisti. I nomi dei locali londinesi rimbalzano in tutto il mondo a
cominciare dal famosissimo Marquee Club al numero 165 di Oxford Street
dove tutti (ma proprio tutti) passavano per bere qualcosa e ascoltare un
complesso nuovo che il giorno dopo sarebbe stato sulla prima pagina di
New Musical Express. Un po’ come il Piper di Roma. Anche il Flamingo era
un altro locale molto alla moda tanto che i Manfred Mann gli dedicarono
una canzone (PRETTY FLAMINGO). La Discoteque era invece uno di quei club
dove si ascoltavano solo dischi e non esibizioni dal vivo. The Scene era
il locale più chic dell’epoca , tanto che i disc jockey avevano ogni
giorno pile e pile di dischi arrivati quotidianamente da tutto il mondo,
mandati dalle case discografiche che facevano promozione ai loro
artisti. Tornando alla moda, c’è chi insiste nel dire che in realtà
l’inventore della minigonna era stato il sarto francese Courreges
(quello degli abiti bianco e neri) e forse, se per minigonna si intende
mezza spanna sopra il ginocchio, non hanno tutti i torti. Andrè
Courreges aveva anticipato di qualche mese la Quant nella collezione
1965-66 proprio con gli abiti bicolori con gonne mezza spanna sopra il
ginocchio. Ma è senza dubbio stata Mary Quant a portare alle masse uno
stile di vita abbordabile per prezzi e facilità di reperimento. Nel 1966
ogni donna avrebbe fatto carte false per andare in giro con una mini
griffata MQ. La Bardot e Nancy Sinatra erano affezionate clienti.
Nell’inverno ’66, George Harrison sposa la modella Patty Boyd: entrambi
si vestono con abiti confezionati da Mary Quant. Audrey Hepburn, per
girare il film DUE PER LA STRADA si fa cucire tutti gli abiti da Mary
Quant. Nello stesso anno, la Regina Elisabetta II insigna la celebre
conterranea con l’O.B.E, il titolo di baronetto, l’Order of the British
Empire e Mary lo va a ritirare naturalmente in minigonna.
Dio come ti amo
DIO COME TI AMO è la canzone che ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo e
che all’Eurofestival, cantata da Domenico Modugno, è invece arrivata
all’ultimo posto. Ora esiste anche un film tratto dalla canzone che in
Spagna ha avuto molto successo (sicuramente molto di più che in Italia) e
che viene interpretato da Gigliola Cinquetti. Un film di produzione
italo spagnola, ambientato in parte a Barcellona. Racconta di una
nuotatrice (la stessa Cinquetti) la quale salva la vita ad un’altra
atleta, di origini spagnole. Una trama semplice dal sapore di favola (un
ragazzo ricco che la crede una principessa mentre lei è solo figlia di
due custodi napoletani) intermezzata da brani eseguiti dalla stessa
cantante. Naturalmente il lieto fine è d’obbligo. Il cinema non ha
esitato un attimo ad accaparrarsi tutti quei personaggi che dalla tv e
dalla canzone hanno avuto massima pubblicità anche se le credenziali in
loro possesso per comparire sullo schermo non avrebbero autorizzato
simili compromessi. Un film come se ne facevano moltissimi all’epoca:
prendi una canzone di successo e il suo interprete, inventati una trama
esigua per far da contorno ad almeno 4 o 5 altri brani e schiaffali su
celluloide. Il successo (almeno in provincia) non mancherà. Questo è
davvero un filmettino (niente a che vedere con le mega produzioni di
Rita Pavone) ma confrontato ad idiozie attuali, tipo TROPPO BELLI, è
da premio oscar! Per
questo e tante altre belle cose degli ultimi anni non finiremo mai di
ringraziare quelle due cime della cultura italiana che sono la signora
De Filippi e il suo compagno. Tra gli altri interpreti Carlo Croccolo,
Raimondo Vianello, Nino Taranto, Micaela Pignatelli e Mark Damon.
Restando in tema cinematografico, undici miliardi (pari al 45.11% degli
incassi globali del mercato cinematografico italiano) sono stati
introitati da film di produzione nazionale. Questi dati si riferiscono
al 30 aprile 1966, alla fine degli otto mesi della stagione
cinemtografica iniziata a fine agosto 1965. 314 i film prodotti in
Italia: un numero assolutamente fantascientico ed irreale se confrontato
con i livelli attuali. 97 i film americani. Un dato al limite
dell’assurdo in un mercato odierno totalmente monopolizzato dal cinema a
stelle e strisce. Il merito di allora va ai grandissimi personaggi su
cui poteva contare la cinematografia italiana. Il demerito attuale è da
ascriversi all’insistenza di voler produrre film di partito, con attori
di partito e incassi da vergogna. Una buona dose di demerito va anche
imputata ai critici cinematografici (anch’essi di partito) che dalla
fine degli anni ottanta hanno dettato la linea ai registi, per cui ogni
film o commedia all’italiana veniva demonizzata sin dal primo ciak come
becera o comunque poco elegante. Il film deve contenere un messaggio
sociale, dicono loro. Quello recepito dal pubblico è invece il non
andare più a vedere i film italiani.
Rita Pavone
Rita Pavone è il personaggio femminile che insieme a Mina fa più parlare
di se in questa primavera, sia per i suoi successi discografici sia
perché ha salvato Studio Uno dalla catastrofe incombente. Le prime due
serie della stagione, quella con la Vanoni e con la Milo erano andate
malissimo. Ci è voluta la grinta e il grande appeal che la Pavone
esercita sul pubblico per risalire la china dell’auditel (anche se
all’epoca ancora – e fortunamente – non esisteva). Si tratta più di un
risultato personale che di Studio Uno. I giornali inneggiano al suo
successo e ai suoi prossimi impegni cinematografici e discografici. Gli
stesso giornalisti però fanno finta di scordarsi cosa dissero della
Pavone nel 1962, l’anno di lancio: è una cantante ridicola, non le diamo
neanche un anno di vita. Di anni ne sono passati quattro e quattro anni
negli anni sessanta - dal punto di vista musicale - sono magari 12 di
un’altra qualsiasi decade quanto a mode, ritmi e situazioni che si
evolvono ad un ritmo elevatissimo. Qual è la chiave segreta del successo
di Rita? Sicuramente la sua casa discografica e il suo manager Teddy
Reno. Ma anche e soprattutto il suo innato senso musicale, la sua
incredibile verve, il piglio sicuro dei piemontesi quando si lasciano
alle spalle il provincialismo torinese, la illimitata sicurezza in se
stessa (a volte esagerata come quando a Studio Uno imita la Monroe –
mentre è perfetta nei panni della Dietrich) che ne fanno un animale da
palcoscenico come pochi al mondo. Quando arriva sul video, già a partire
della sigla (IL GEGHEHE’ con i collettoni e le collettine che ripresi
dall’alto formano le iniziali RP) l’indice di gradimento comincia a
salire come se fosse inseguito dalla febbre terzana. Lancia anche un
ballo, il See-Saw, ma clamorosamente non sfonda sebbene la canzone che
accompagni il lancio del ballo sia molto carina (LA SAI TROPPO LUNGA)
con quell’introduzione di chitarra a dodici corde suonata dal fratello
di Little Tony, Enrico Ciacci (che l’ha anche scritta). Tutti gli
spettatori, di tutte le età, si divertono e si lasciano trasportare da
questi 50 chili di lentiggini e voglia di strafare, Fino ad ora ha
dimostrato di capire il pubblico e s’è messa in riga con lui dandogli
quello che vuole: qualche urlaccio, un po’ di sguaiataggine, un po’ di
sentimento. Nella sua prima apparizione televisiva ad ALTA PRESSIONE,
quando un giovanissimo (quasi diciottenne) Gianni Morandi la prendeva
dalla culla per simboleggiare la nuova nata nella musica leggera, fu
apostrofata malamente da un ragazzo del pubblico: le disse , con
spiccato accento romanesco, anvedi questa quanto è bassa. E c’hai pure
le gambe storte. Un’altra al suo posto si sarebbe messa a piangere,
offesa. Lei invece, dimostrando di avere gli attributi, rispose io sono
una nana ed ho le gambe storte ma guadagno anche un sacco di soldi. Tu
invece, sei grande e grosso ma a giudicare dalla testa credo proprio che
non combinerai niente nella vita. Tutti applaudirono questa ragazzetta
che all’apparenza sembrava così buffa ed indifesa. Il buongiorno, come
sempre, si vede dal mattino.
Cantaeuropa
Ezio Radaelli in una conferenza stampa annuncia le manifestazioni di cui
sarà patron durante l’estate. Oltre al Cantagiro è previsto il taglio
del nastro del primo Cantaeuropa, manifestazione che partirà da Roma il
28 di agosto per concludersi il 12 settembre. Alla manifestazione, che è
stata definita la vetrina della canzone italiana in Europa,
parteciperanno dieci cantanti scelti dall’organizzazione,
indipendentemente dalla posizione conquistata in classifica durante il
Cantagiro. Cantanti, giornalisti e tecnici viaggeranno su un treno
speciale munito di tutti i confort che il 1966 poteva loro concedere in
materia di media e cioè sala stampa, televisione, radiotelefono e
telescriventi (l’antenato del telex e del fax). Il convoglio farà la
prima tappa a Marsiglia, toccherà poi Barcellona, Parigi, il
Lussemburgo, Amburgo, Berlino Est ed Ovest, Monaco, Varsavia, Vienna,
Zurigo e Ginevra. Alla frontiera di ogni paese saranno aggiunte al treno
due carrozze per i giornalisti della nazione visitata e lo spettacolo
sarà diviso in due parti: nella prima si esibirano soltanto le voci
nuove della nazione ospitante e tra di loro saranno scelti ogni volta un
cantante ed una cantante che saranno poi chiamati ad un ulteriore
selezione europea. Nella seconda parte si esibiranno invece i dieci
cantanti italiani. Il Cantaeuropa non avrà classifiche ed ogni volta
saranno riservati dei posti ai lavoratori emigranti italiani. La formula
e l’intenzione sono buone ma come sempre tra il dire e il fare c’è di
mezzo il mare. Una formula interessante ma che avrà soltanto due
edizioni per le solite combine dietro le quinte di discografici
trafficoni e col dente avvelenato.
Fred Bongusto
Alcune novità discografiche prodotte proprio in questi giorni, scelte
tra quelle non di grande successo. Fred Bongusto esce con un singolo su
etichetta Fonit Cetra dal titolo STUPENDAMENTE GIOVANE, che altro non è
che un vecchio motivo francese intitolato JE BAISE VOTRE MAINS, MADAME.
La versione italiana è a cura di Vito Pallavicini. Sul retro QUELLA COSA
CHE, elegante motivo musicato da Pino Calvi e scritto da Enrico Vaime.
Un'accoppiata che sa tanto di televisione e difatti è la sigla della
trasmissione televisiva CARTA BIANCA. La cosa buffa è che Bongusto (o
meglio la sua casa discografica) lancia in contemporanea un altro
singolo a distanza di meno di un mese. Il singolo in questione avrà
invece discreto successo forse perché partecipante al Disco Per L’Estate
o forse perché indubbiamente migliore del primo titolo. La canzone si
chiama PRIMA C’ERI TU (che vincerà l’edizione di quest'anno del Disco Per
L’Estate) e parla di mare, cielo ed occhi blu: un testo scontato che si
muove sulla falsariga di altri successi di Bongusto come FRIDA o DOCE
DOCE ma grazie anche all’arrangiamento e alla buona orchestrazione di
Chiaramello, Bongusto raggiunge livelli canori e musicali molto morbidi
sciogliendosi in sonorità e modulazioni intense e particolarmente adatte
alla stagione estiva. Il retro, valido anche quello, si intitola TU NON
SBAGLI MAI. Fred Bongusto nonostante non sia stato mai un campione di
vendite - a parte rari casi – riesce sempre ad arrivare al pubblico con
la sua capacità professionale che spesso supplisce alla banalità dei
motivi presentati. Questo fino al 1966, sia chiaro.
Rita Monico
Altro disco da segnalare è quello inciso da una debuttante di sedici
anni, Rita Monico. Lavora per la ARC, figlia minore della RCA e quindi
sinonimo di professionalità estrema. In questo disco d’esordio incide
nientemeno che WHAT THE WORLD NEEDS NOW IS LOVE tradotta col titolo
italiano di QUANDO TU VORRAI. Interpretata molto bene e con grinta.
Indubbie le sue qualità che comunque come sempre non fanno rima con
successo assicurato. Sul retro la colonna sonora del film THRILLING,
composta da Sergio Bardotti, Ennio Morricone e Gianni Musy. Anche questa
non disprezzabile, altro non fosse che per i nomi illustri che hanno
firmato la canzone.
Tony Cucchiara
Eccoci invece ad un singolo che avrà un discreto
successo, anche se non eccezionale, nella prossima stagione estiva. La
canta Tony Cucchiara, un ragazzo siciliano che ormai è nel giro da
parecchi anni ma non ha mai avuto finora il successo che forse avrebbe
meritato. Nonostante le occasioni non gli siano mancate tra sigle tv e
partecipazioni a programmi televisivi importanti. Tony Cucchiara si
presenta ai suoi fan con due motivi che lo allontanano dalla linea
melodica tracciata finora (molto più spostata verso una ricerca musicale
particolare e vicina al folk). Il primo (il lato A) è SE VUOI ANDARE
VAI, canzone che partecipa anche al Disco Per L’Estate di quest’anno. Un
brano di chiari intenti commerciali per un rilancio di una carriera
rimasta un po’ nel bozzolo a cui manca però l’espressività malinconica
che ha caratterizzato la produzione del primo Cucchiara. Insieme al
retro (di minore impatto rispetto al primo titolo) IL NOSTRO AMORE, ha
gli elementi giusti per trovarsi un posto al sole nella battaglia canora
estiva. L’arrangiamento di Willy Brezza rende il pezzo vivace e
competitivo nonostante abbia però una marcia in meno per quel che
concerne il suono giovane ’66. Cucchiara tuttavia non abbandona
completamente la linea folk e decide di continuare ad esercitare la sua
passione musicale insieme alla moglie e ad incidere dischi
parallelamente alla sua carriera di solista sotto il nome di Tony &
Nelly, dove Nelly sta per Nelly Fioramonti, interprete molto
interessante ma scarsamente commerciale. Nel 45 giri, in circolazione da
pochissimi giorni hanno inciso SARA’ LUNEDI’ che è la trascrizione di un
brano americano molto dolce e struggente dalla limpida melodia e
l’accompagnamento quasi a minuetto. Racconta la storia di una ragazza
giovanissima che è impaziente di sposarsi nonostante qualcuno le
suggerisca di prolungare ancora per un po’ la sua “stagione dei sogni”.
Sul retro QUANDO L’AMORE MUORE, un’idea musicale dello stesso Tony. Sono
due belle composizioni valorizzate da uno strumentale complesso e
morbido, rese dagli interpreti con una buona gamma di contrasti vocali
molto vividi. Questo è il loro primo disco. C’è comunque da dire che il
loro genere, impropriamente all’epoca chiamato folk, in realtà con la
tradizione siciliana, almeno all’inizio, non ha nulla a che vedere.
Difatti già alla fine del 1966 fu ribattezzato col nome di Linea Verde,
nell’ambito della quale si muovevano cantanti che si occupavano di temi
sociali e di protesta.
Nini Rosso
Ultima segnalazione è quella di Nini Rosso,
questo baffuto signore quarantenne che in un mondo di cantanti
giovanissimi riesce a vendere cinque milioni di copie della sua versione
de IL SILENZIO. Un bel mistero anche se, ad onor del vero, il disco è
andato fortissimo in tutto il nord Europa. Adesso la Durium lancia il
nuovo singolo, CONCERTO PER UN ADDIO, in cui ormai Nini Rosso non si
cura neanche più di accennare qualche frase qui e là come accadeva per i
precedenti dischi ma suona a tutto spiano la sua tromba (che una volta
gli serviva per folli acrobazie jazz) fra angelici coretti femminili un
po’ anacronistici. Nonostante ciò, forse sull’onda lunga de IL SILENZIO,
Nini Rosso riesce a vendere un buon numero di dischi e piazzarsi tra le
ventesima e la quarantesima posizione della hit parade italiana.
I Delfini
Ogni anno il mondo della musica leggera porta alla ribalta nomi e voci
nuove. Quest’anno sembrerebbe sia abbastanza prodigo di scoperte. E’ un
fatto che da alcuni mesi la moda dei complessi ispirati a formazioni
d’oltremanica o d’oltreoceano ha preso piede in misura sempre più
marcata anche se nella maggior parte dei casi – almeno fino ad oggi - i
complessi italiani non hanno fatto altro che riprendere successi
mondiali e rifarli in lingua oppure costruirne altri sulla falsariga dei
modelli stranieri. E’ logico quindi che sopravviveranno alla distanza
solo quelli che riusciranno a fondere i due moduli: quello cosiddetto
beat con la sensibilità musicale italiana. Uno dei pochissimi complessi
che faceva tutto in casa, nel senso che scriveva e suonava le proprie
canzoni senza affidarsi a traduzioni di brani inglesi od americani, era
quello de I Delfini. Però, almeno all’inizio, avevano dovuto pagare
pegno anche loro ai colleghi stranieri: esordiscono con un singolo che
mette d’accordo i sostenitori dei Beatles e quelli dei Rolling Stones.
Le canzoni sono le cover di TELL ME dei Rolling (diventata TU DEVI
RITORNARE DA ME) e I WANNA BE YOUR MAN dei Beatles (cantata in lingua
inglese anche se re-intitolata VOGLIO ESSERE IL TUO UOMO). Il disco
viene però ritirato dal mercato per una diatriba tra la CDB, la loro
casa discografica, e le edizioni Southern Music, diatriba che viene
risolta in modo amichevole dopo poco tempo. La cosa comunque non agevola
per nulla l’incisione perché il complesso più in vista in Italia, e cioè
l’Equipe 84, ne fa una versione molto più moderna ed attuale della loro,
la quale a paragone sembra poca cosa. I Delfini comunque non si danno
per vinti e vanno avanti per la loro strada. Alcune notizie per
tracciarne una mini biografia: sono quattro ragazzi di Padova e se
dovessimo confrontarli a qualche complesso estero, per il genere che
fanno almeno all’inizio, potremmo accostarli agli Herman’s Hermit o ai
Merseybeats. E’uno dei primi gruppi che usa il sassofono nelle
incisioni, in un mondo nel quale imperversano formazioni tipo, con
basso, batteria e chitarre . Di certo è che la primavera-estate 1966 è
un periodo che li vede protagonisti alla grande in tv ed è una cosa che
stupisce parecchi: chi sono questi qui che tutto ad un tratto sono
onnipresenti nelle trasmissioni tv? Nel 1966, passare in televisione
frequentemente, a meno che non si facesse parte del Ghota della canzone,
era considerato un lusso. I Delfini in pochissimo tempo sono stati
presentati in programmi come Studio Uno, Aria Condizionata, Andiamoci
Piano, Chissà Chi Lo Sa e perfino in uno show tutto per loro intitolato
15 MINUTI CON I DELFINI. Forse un po’ troppo per un complesso che
sebbene esista da tre anni, non ha mai avuto un boom discografico tale
da giustificare una massiccia promozione tv di questo livello. Una loro
canzone è stata molto trasmessa recentemente a Bandiera Gialla: il
titolo è STASERA SONO SOLO. Sei settimane di permanenza. Poi, a maggio
lanciano il loro successo più grande, TU TE NE VAI che diventa Disco
Giallo a Bandiera Gialla ed ottiene un buon successo anche sul fronte
vendite. La canzone è davvero ben costruita e la riprova è che la
incidono in inglese e la lanciano nientemeno che in America a Ed
Sullivan Show col titolo YOU WENT AWAY. L’accoppiano a MR. VOLARE, la
famosissima canzone di Modugno rivista e corretta a ritmo di beat con
sfumature rhytm’n’’blues, cantata in inglese con solamente il ritornello
in italiano. Il lancio americano non riesce ma una multinazionale, la
Decca, li nota e li mette sotto contratto. I Delfini si montano la testa
e lasciano la loro casa discografica, quella cioè che li ha lanciati.
Per la Decca incidono un singolo che portano al Disco Per L’Estate 1967,
BEAT BEAT HURRA’ ma è un buco nell’acqua. Il beat è ormai agli sgoccioli
e l’idea di richiamarne il nome nel titolo si dimostra quasi
controproducente. Con la coda tra le gambe ritornano alla CDB (che nel
periodo di passaggio alla Decca aveva utilizzato una loro canzone per
farne una sigla ad un programma tv con Enrico Simonetti e Isabella
Biagini dal titolo IL SIGNORE HA SUONATO) ma ormai il loro momento sembra
passato. Nel frattempo Renzo Levi Minzi, il leader del gruppo, incide
anche dei singoli per conto proprio con la dicitura di Renzo Dei
Delfini: C’ERA UN MURO ALTO (canzone di protesta con riferimenti al muro
di Berlino) e PIOGGIA DI IMMAGINI. Cosa abbastanza insolita, per un
gruppo che non aveva avuto all’attivo successi da classifica, è che la
loro casa discografica gli faccia incidere addirittura due long playing,
I DELFINI e I DELFINI N.2, molto ricercati nel mercato del
collezionismo. Una loro canzone del 1968 è significativa e profetica
allo stesso momento, I SOGNI SONO FINITI. I sogni dei Delfini sono
davvero finiti, nonostante un ritorno di fiamma nel 1970 con una canzone
intitolata IL MIO CONCERTO. Ma il panorama musicale nel frattempo, dal
loro scioglimento nel 1968 all’ultimo tentativo del ’70 ha già cambiato
pelle due volte e i Delfini sono rimasugli di un epoca vicinissima ma
musicalmente lontana anni luce. Nel 1977, chissà perché, decidono di
ritentare nuovamente e lo fanno con un singolo che tra l’altro non è
niente male, ELOISA e LAILA. Ma cosa c’entra un complesso come loro con
arrangiamenti in stile discomusic? Niente. E difatti... Resta il rimpianto
di un gruppo che sicuramente avrebbe potuto dare un buon apporto alla
musica dell’epoca e che se solo fosse stato in grado di gestirsi avrebbe
potuto lottare ad armi pari con i big.
Festivalbar
Sono stati resi noti i dischi e i cantanti partecipanti al III° Trofeo
Moccia (Festivalbar), che attribuisce ai gettonatori del jukebox il
compito di indicare per la stagione estiva i dischi di maggior successo.
Sono quindici in tutto e questo è l’elenco:
Wilma Goich in L’UOMO DI IERI
Little Tony in RIDERA’
Petula Clark in L’AMORE E’ IL VENTO
Gidiuli in GRAZIE
The Rolling Stones in CON LE MIE LACRIME
Sacha Distel in SIGNOR CANNIBALE
Les Surfs in MERITAVO MOLTO DI PIU’
Gino Paoli in A CHE COSA TI SERVE AMARE
Leo Sardo in QUESTA SERA COME SEMPRE
The Beach Boys in SLOOP JOHN B
Caterina Caselli in PERDONO
Pino Donaggio in IO MI DOMANDO
Ricky Gianco in CREDO CHE
Nicola D’Alessio in SANGUE AMARO
The Yardbirds in SHAPES OF THINGS
Chi vincerà? Per saperlo bisogna aspettare la fine di agosto ma se
qualcuno azzarda un’ipotesi tipo Gidiuli o Nicola D’Alessio sicuramente
meglio non giochi al totocalcio, perché le scommesse non fanno per lui.
Questa settimana il mio amico David Guarnieri ci parlerà della
trasmissione tv STUDIO UNO (anch’io ne avevo fatto un breve accenno
parlando di Rita Pavone e della sua partecipazione nella penultima serie
di quest’anno). Ma prima di passare il testimone a David è interessante
far sapere ai nostri lettori di cosa si è discusso in una interrogazione
parlamentare di quei giorni, interrogazioni parlamentari che ancora
tengono banco al giorno d’oggi con dei pretesti solitamente assurdi.
L’on. Greggi della DC presentò alla Camera un’interrogazione, rivolta ai
Ministri delle Poste e Telecomunicazioni e della Pubblica Istruzione,
per sapere se, in una puntata di Studio Uno, alcune scene non avessero
costituito, per caso, l’inizio di una nuova e progressiva inserzione nei
programmi televisivi di situazioni atte alla diffusione e
all’esaltazione di ridicole mode giovanili che umiliavano di fatto e non
favorivano l’educazione e la crescita delle giovani generazioni. Ma di
che scene parlava (o farneticava) questo oscuro onorevole? A Studio Uno
edizione 1966, su due pedane differenziate si fronteggiavano due
complessi od un cantante ed un complesso, solitamente abbastanza famosi
o, in qualche caso, da lanciare. Le ragazzine sotto la pedana
indossavano la minigonna ed accennavano a qualche passo di shake (o
magari muovevano solo le mani). Questo per fare di Studio Uno un
programma non soltanto di stampo tipo ceto medio e di prima serata, ma
capace anche di attrarre un pubblico giovane che in quel particolare
periodo fuggiva la tv preferendole la discoteca. La ragazza vestita
eccentricamente a cui si riferiva l’onorevole era una teenager del
pubblico in brodo di giuggiole per i Rokes i quali, sempre secondo
l’onorevole democristiano, si agitavano alla maniera dei Beatles tra
l’indifferenza del pubblico infastidito dalle scene stesse. Ora non si
vuole pretendere che l’onorevole in questione sapesse a memoria la
differenza di presenza scenica dei Rokes e quella dei Beatles , ma
almeno che non confonda la curiosità del pubblico (che, dalle immagini,
appare divertito e compiaciuto da questa esibizione) con la noia e il
fastidio, questo sì, lo pretendiamo. Anche i giornali dell’epoca
(naturalmente quelli non dedicati ad un pubblico giovane) erano sulla
stessa linea, preoccupati però che un’ulteriore campagna denigratoria
facesse invece proselitismo e propaganda e trasformasse i giovani
piperini (frequentatori del Piper) in martiri della libertà. Chi sono
queste ragazze salite, loro malgrado, agli onori della cronaca? Sotto le
pedane del Delle Vittorie ce ne sono una trentina: ragazzine figlie di
funzionari Rai, figlie di uscieri, amiche dell’amica che ha un aggancio
al Delle Vittorie. Tutte con la passione del ballo, della musica e del
Piper. Sono studentesse, hanno un età media di sedici anni, capelli
lunghi con frangia e minipull su minigonne optical. La gomma da
masticare sempre in bocca, occhi mascarati che prendono vita solo per i
tipi alla Rokes o per i giovani frequentatori dei locali da ballo così
alla moda e differenti dalla maggior parte delle loro usuali
frequentazioni scolastiche. Appena sentono una nota cominciano ad
emettere guaiti come neppure le gatte osano fare nel periodo del calore.
Essendo ancora in un’età “fanciullesca” per loro è una fortuna che
Studio Uno si registri nelle prime ore del pomeriggio del sabato perché
molte di loro hanno dei genitori che probabilmente non le farebbero
uscire, da sole, di notte. Studio Uno è la parentesi più significativa
della settimana, oltre alla domenica pomeriggio passata al Piper. Un
momento, quello delle pedane, in cui possono sfogare il loro entusiasmo,
mostrare in tv l’ultima minigonna comprata in Via del Corso, una forma
di evasione dalla scuola, dalle regole della famiglia e da padri forse
severi. A Milano sta dilagando una sorta di razzismo generazionale nei
confronti dei ragazzi, colpevoli solo di vestire alla moda: quattro
locali sono stati chiusi per cinque giorni e la polizia staziona di
mattina davanti alle discoteche per controllare che i ragazzi non vadano
lì invece di andare a scuola. Unica eccezione il Paip’s di Corso Europa
dove il gestore ha consigliato ai ragazzi frequentatori di accorciarsi
un po’ le chiome per non dare adito a battaglie moralizzatrici da parte
delle istituzioni. C’è da considerare che i capelli lunghi del 1966
erano ridicoli se paragonati a quelli del decennio successivo: il
complesso dei Giganti era considerato un complesso di capelloni (i Rokes
addirittura venivano tacciati come animali da zoo), Lucio Dalla
considerato un folle capelluto (lui che di capelli ne ha sempre avuti
pochini e ancora non aveva adottato il parrucchino degli ultimi tempi).
Questo forse da l’idea del clima che si viveva all’epoca. Clima da
dittatura sovietica, dove a Mosca, la Komsomolskaja Pravda indica i
personaggi da perseguire giuridicamente, perché, come scrive il
giornalista sovietico, la fedeltà al partito e all’ideologia si misura
anche attraverso la lunghezza dei capelli. E la soluzione è quella di
affidare i giovani ai magistrati o, nei casi più lievi, ai comitati di
caseggiato, per una specie di riunione condominiale politicizzata dove
sicuramente c’era qualche personaggio infiltrato del partito. Perchè Il
Grande Fratello ha i capelli all’umbertina.
Per la serie chi resta e chi va, è la volta di Gilberto Govi, che scende
dal carrozzone ad ottantuno anni, essendo nato a Genova il 22 ottobre
1885. Muore per una complicazione broncopolmonare conseguente ad un
attacco influenzale per il quale si era messo a letto cinque giorni
prima. Nel territorio del teatro dialettale Govi aveva compiuto un
impresa colossale: partendo quasi da zero non solo aveva dato vita ad un
organico repertorio in vernacolo genovese ma, con la tenacia di un
infaticabile impegno professionale aveva fatto sì che il dialetto
genovese (non certamente comprensibile a chi genovese non è) avesse una
vasta intellegibilità su scala nazionale. Tanto che la Rai, negli anni
precedenti, aveva trasmesso le commedie in dialetto dell’attore ed
autore di Genova e furono un grosso successo. Ricordiamo I MANEGGI PER
MARITARE UNA FIGLIA con la quale inaugurò nel 1957 il restaurato Teatro
Margherita di Genova e segnò un nuovo dilagare della popolarità
dell’allora ultra settantenne attore. Govi creò la sua compagnia
teatrale chiamata La Dialettale Genovese nel 1916 e da allora non
l’abbandonò più. Il segreto del successo dell’attore (come di molti
altri del periodo) era costituito dalla bonarietà dei personaggi
interpretati, dalla straordinaria comunicativa degli attori e dalla
rappresentazione di un mondo familiare riconoscibile da chiunque anche
se caricaturato. E soprattutto il non scadere mai nella volgarità,
ultima spiaggia per attori falliti e mediocri (il 99% di quelli che
bazzicano Zelig). Gilberto Govi è ancora un nome importante a quasi
quarant’anni dalla morte e va a fare bella mostra di sé in un’ipotetica
galleria di suoi contemporanei come Angelo Musco, Petrolini, Checco
Durante e Viviani.
Christian Calabrese
 
STUDIO UNO (maggio 1966)
di David Guarnieri
La saga di
“Studio Uno” è giunta quasi al termine. L’edizione numero quattro del
celebre spettacolo, ideato e progettato da Antonello Falqui e Guido
Sacerdote, si snoda in quattro cicli, di cinque puntate ciascuno. I
testi sono firmati da Lina Wertmüller, l’orchestra è diretta dal m°
Bruno Canfora, i costumi sono realizzati da Folco, le scenografie da
Cesarini da Senigallia, le coreografie, curate nientemeno che da Hermes
Pan (premio Oscar 1937 per il film “Una magnifica avventura” di George
Stevens), artefice tra l’altro del successo di grandi “star” come Fred
Astaire e Ginger Rogers. Il conduttore dello show è Lelio Luttazzi (già
cerimoniere dell’edizione 1965 di “Studio Uno”). Le premesse per
un’altra affermazione per il maxi show del Canale Nazionale ci sono
tutte, eppure, fin dalle prime puntate il consenso è, a dir poco
modesto. La primadonna della prima tranche del varietà è Sandra Milo, la
quale viene letteralmente fatta a pezzi dalla stampa e dal pubblico.
Piacciono poco anche i comici, i Gufi, ritenuti particolarmente ostici
per il pubblico “popolare” ed i due ballerini americani, Brascia &
Tybee, rispediti immediatamente al mittente. La seconda serie dello
spettacolo, vede quale vedette, Ornella Vanoni, eroina della critica e
del pubblico raffinato, ma ancora poco compresa dalla maggioranza dei
teleutenti. Accanto alla sofisticata Vanoni appaiono Raimondo Vianello e
i Mattison, un trio di fantasisti statunitensi. L’indice di gradimento
si risolleva, ma di sicuro non si può parlare di grande successo. I
dirigenti Rai, delusi dai risultati ottenuti, accusano il regista e gli
autori, rei di avere proposto uno show pretenzioso, di certo non in
linea con i gusti della maggior parte dei telespettatori. A questo
punto, Falqui, Sacerdote e la Wertmüller tentano il tutto per tutto per
cercare di salvare il programma, puntando su un quintetto di “star”:
Walter Chiari, Barrie Chase, Franca Valeri, Bice Valori e Rita Pavone.
La cantante torinese, reduce dall’affermazione tv di “Stasera, Rita!”,
programma diretto sempre da Antonello Falqui (lo spettacolo rappresentò
l’Italia al concorso della “Rosa d’oro di Montreux”), coglie l’occasione
per lanciare le nuove canzoni per l’estate 1966: “Qui ritornerà” (cover
di “Here It Comes Again” dei Fortunes), “Cam Cam Cammello”, “Che vuoi” e
“La sai troppo lunga”, togliendosi lo sfizio di far esordire suo
fratello, Carlo Pavone, in veste di cantante. I due si esibiscono nel
brano “Pavone Carlo Story” (disco che non otterrà alcun successo). “Pel
di carota”, accompagnata dai “Collettoni” e dalle “Collettine”,
riproporrà con il solito eclettismo alcune caratterizzazioni di
personaggi celebri: da Marlene Dietrich a Jerry Lewis, da Carmen Miranda
a Milly, da Ginger Rogers a Ridolini, da Domenico Modugno a Rita
Hayworth. La danzatrice ospite del programma è la sensuale Barrie Chase,
la quale unisce classe ed aggressività, ottenendo sicuri risultati. Lo
spazio della comicità è retto, come al solito alla grande, da tre leoni
del palcoscenico come Walter Chiari, Franca Valeri e Bice Valori. Oltre
al cast fisso, intervengono diversi ospiti: Anthony Quinn, Ricardo, Mike
Liddell e gli Atomi, Maria Monti, Teddy Randazzo, The Ancients (gruppo
guidato da Manuel De Sica), Paul Anka, Nancy Sinatra, Tony Del Monaco,
Gino Paoli, i Flippers, Johnny Hallyday e Milva. La “Pantera di Goro” e
la Pavone propongono un numero musicale nel quale si scambiano alcune
canzoni del proprio repertorio. Rita canta “Nessuno di voi”, “Il primo
mattino del mondo” e “Quattro vestiti” e Milva interpreta “La partita di
pallone”, “Pel di carota” e “La bretella”. L’intenzione degli autori è
quella di ripetere il pirotecnico duetto Mina – Pavone di “Stasera,
Rita!”, anche se, il risultato non si può definire dello stesso livello.
Per Rita, comunque, questa esperienza di “Studio Uno” si rivela un
ottimo successo, visto che, uno dopo l’altro, giungono in Hit Parade i
dischi lanciati nelle cinque puntate del programma: “Qui ritornerà”, “La
sai troppo lunga” e le due sigle del varietà, “Il geghegè”, un
elettrizzante shake e “Fortissimo”, senza dubbio, uno dei pezzi più
belli incisi dall’artista di Torino. Il terzo ciclo di “Studio Uno” si
conclude, ottenendo un notevole risultato di ascolto e di gradimento.
Gli ospiti d’onore di questa serie (Pavone, Chiari, Chase, Valori e
Valeri), lasciano il posto ai protagonisti delle ultime cinque puntate
della trasmissione: Mina, Alice ed Ellen Kessler, Luciano Salce e
Caterina Caselli, ma di questo, ne parleremo in un’altra occasione.
David Guarnieri