Settimana 14 Maggio 1966
( da Telestar )

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1La fisarmonica Gianni Morandi € 10
2E ti avrò Sandie Shaw € 11
3Michelle Beatles € 30
4E’ stato facile Michele € 11
519th nervous breakdown Rolling Stones € 30
6Resta Equipe 84 € 11
7These boots are made… Nancy Sinatra € 11
8Riderà Little Tony € 10
9Qui ritornerà Rita Pavone € 10
10Per qualche dollaro in piùEnnio Morricone€ 12
 

Swinging London

Quella del 1966 è la primavera più londinese del secolo. Londra detta la moda nel mondo e il mondo, a sua volta, per essere alla moda passa da Londra. Qui hanno i loro stati maggiori Mary Quant, l’inventrice della minigonna, lanciata proprio nel 1966 (sebbene una pubblicità ingannevole e bugiarda anticipi la data al 1963), John Stephens che è il creatore "commerciale" di Carnaby Street, qui c’è Biba (altra grande firma della moda) e Lord Sutch. Qui vivono i Rolling, i Beatles, gli Who, Julie Christie, Terence Stamp, Jane Shrimpton e Twiggy (due modelle-icone del periodo). E’ qui che si fa tappa obbligatoria se si vuole essere al centro del mondo ed è qui che fra circa due mesi ci saranno i mondiali e naturalmente sarà l’Inghilterra a vincerli sebbene con un goal fantasma di Bobby Chaltron (unica vittoria nella storia per una nazione che millanta l’invenzione del gioco del calcio). Sono i giovani che detengono ormai i posti chiave in ogni settore della vita (gli inglesi chiamano questa rivoluzione Youthquake) perché la Londra del 1966, che i turisti attirati come mosche sul miele imparano a conoscere, è il cuore di un nuovo impero che non conta sulla fedeltà dei reggimenti scozzesi con le cornamuse sulla spalla ma di milioni e milioni di ragazze in minigonna sparse in tutto il mondo, di milioni di dischi venduti nei quattro continenti da gruppi come i Beatles e i Rolling Stones, di chitarre elettriche e di capelli (ancora) medio-lunghi con il segno della pace disegnato sulla giacca jeans o di pelle. Si lasciano fotografare con la pigrizia di primitivi sorpresi da esploratori del secolo scorso, sia a Piccadilly Circus che a Piazza di Spagna perché, davvero è il caso di dire, dal 1966 in poi tutto il mondo è paese. Al momento pare che non ci sia altra città al mondo a farle concorrenza per libertà di costumi, qualità e varietà di vita. Il ritrovato benessere economico trova ulteriore incentivo nella tolleranza verso le scelte individuali che è sempre stata congeniale al popolo inglese. A Chlesea, Pimlico e South Kensington, laddove si è spostato il centro cittadino, un gran numero di scapoli e nubili (i famosi singles) dentro all’ingranaggio “Londra”, giovani professionisti nella moda e nell’industria musicale decidono di farne il loro regno. Spuntano come funghi i flatlets e i bedsitters , due modi molto “in” di chiamare gli affittacamere. A King’s Road il sabato pomeriggio sembra di vivere in una città fuori da ogni dimensione e collocazione reale. Uomini e donne dalle chiome e dai vestiti più folli entrano ed escono dai negozi che ormai hanno ben poco di anglosassone inteso come sostantivo di classico e austero. I negozi si chiamano Bazaar (di Mary Quant), Granny Takes A Trip, Hang On You. Nomi davvero particolari per negozi di abbigliamento specie all’epoca. Come particolari erano i vestiti in vendita e gli accessori. Gli orologi, le ragazze, non li portano più al polso:non vanno più al polso ma all’avambraccio. Naturalmente è grande sia il quadrante che il cinturino. I Mods vestono modernista, parkas, abiti francesi da collegiale, scooter italiani, con le Clarks ai piedi e con pantaloni stretti in fondo, mentre gli acerrimi rivali Rockers con giubotti di pelle e stivali. La gioia di vivere ha traslocato da Parigi e Roma a Londra, il bel mondo londinese è un fast set e non conosce distanze di tempo e luogo. Improvvisamente i figli della classe operaia si trovano proiettati nello star system e diventano modelli per milioni di persone in tutto il mondo che a Carnaby Street trova tutto quello che gli occorre e a poco prezzo per emulare gli idoli nell’abbigliamento. Lo standard riservato alle ragazze era quello che l’haute coiffure londinese aveva imposto nel mondo e cioè lo stile Jean Shrimpton che a sua volta si rifaceva alla Juliette Greco degli anni 1946-47. Capelli a baschetto con frangia dai quali far spuntare a malapena gli occhi sottolineati da un eye-liner a sua volta sormontato da ciglia finte e mascara. Carnaby Street è volubile come la moda inglese e cambia pelle ogni 6-7 mesi, a seconda dei dettami che questo o quello stilista impone alla gioventù di allora. Quella strada diviene l’immagine stessa della città per chi non abita a Londra, tanto è vero che parecchi negozi di abbigliamento in Italia si fregiano del nome di Carnaby Street. Nell’intervista che facemmo a Giuliana Valci, in un passaggio non riportato, ci descriveva l’atmosfera della Londra del 1966 (era andata insieme alle collettive di Rita Pavone per uno spettacolo alla BBC). Una cosa impossibile da far capire a chi non è stato lì in quel momento. Già due anni dopo era tutto diverso, tutto più artificiale, finto gioioso per turisti. I nomi dei locali londinesi rimbalzano in tutto il mondo a cominciare dal famosissimo Marquee Club al numero 165 di Oxford Street dove tutti (ma proprio tutti) passavano per bere qualcosa e ascoltare un complesso nuovo che il giorno dopo sarebbe stato sulla prima pagina di New Musical Express. Un po’ come il Piper di Roma. Anche il Flamingo era un altro locale molto alla moda tanto che i Manfred Mann gli dedicarono una canzone (PRETTY FLAMINGO). La Discoteque era invece uno di quei club dove si ascoltavano solo dischi e non esibizioni dal vivo. The Scene era il locale più chic dell’epoca , tanto che i disc jockey avevano ogni giorno pile e pile di dischi arrivati quotidianamente da tutto il mondo, mandati dalle case discografiche che facevano promozione ai loro artisti. Tornando alla moda, c’è chi insiste nel dire che in realtà l’inventore della minigonna era stato il sarto francese Courreges (quello degli abiti bianco e neri) e forse, se per minigonna si intende mezza spanna sopra il ginocchio, non hanno tutti i torti. Andrè Courreges aveva anticipato di qualche mese la Quant nella collezione 1965-66 proprio con gli abiti bicolori con gonne mezza spanna sopra il ginocchio. Ma è senza dubbio stata Mary Quant a portare alle masse uno stile di vita abbordabile per prezzi e facilità di reperimento. Nel 1966 ogni donna avrebbe fatto carte false per andare in giro con una mini griffata MQ. La Bardot e Nancy Sinatra erano affezionate clienti. Nell’inverno ’66, George Harrison sposa la modella Patty Boyd: entrambi si vestono con abiti confezionati da Mary Quant. Audrey Hepburn, per girare il film DUE PER LA STRADA si fa cucire tutti gli abiti da Mary Quant. Nello stesso anno, la Regina Elisabetta II insigna la celebre conterranea con l’O.B.E, il titolo di baronetto, l’Order of the British Empire e Mary lo va a ritirare naturalmente in minigonna.

Dio come ti amo

DIO COME TI AMO è la canzone che ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo e che all’Eurofestival, cantata da Domenico Modugno, è invece arrivata all’ultimo posto. Ora esiste anche un film tratto dalla canzone che in Spagna ha avuto molto successo (sicuramente molto di più che in Italia) e che viene interpretato da Gigliola Cinquetti. Un film di produzione italo spagnola, ambientato in parte a Barcellona. Racconta di una nuotatrice (la stessa Cinquetti) la quale salva la vita ad un’altra atleta, di origini spagnole. Una trama semplice dal sapore di favola (un ragazzo ricco che la crede una principessa mentre lei è solo figlia di due custodi napoletani) intermezzata da brani eseguiti dalla stessa cantante. Naturalmente il lieto fine è d’obbligo. Il cinema non ha esitato un attimo ad accaparrarsi tutti quei personaggi che dalla tv e dalla canzone hanno avuto massima pubblicità anche se le credenziali in loro possesso per comparire sullo schermo non avrebbero autorizzato simili compromessi. Un film come se ne facevano moltissimi all’epoca: prendi una canzone di successo e il suo interprete, inventati una trama esigua per far da contorno ad almeno 4 o 5 altri brani e schiaffali su celluloide. Il successo (almeno in provincia) non mancherà. Questo è davvero un filmettino (niente a che vedere con le mega produzioni di Rita Pavone) ma confrontato ad idiozie attuali, tipo TROPPO BELLI, è da premio oscar! Per questo e tante altre belle cose degli ultimi anni non finiremo mai di ringraziare quelle due cime della cultura italiana che sono la signora De Filippi e il suo compagno. Tra gli altri interpreti Carlo Croccolo, Raimondo Vianello, Nino Taranto, Micaela Pignatelli e Mark Damon. Restando in tema cinematografico, undici miliardi (pari al 45.11% degli incassi globali del mercato cinematografico italiano) sono stati introitati da film di produzione nazionale. Questi dati si riferiscono al 30 aprile 1966, alla fine degli otto mesi della stagione cinemtografica iniziata a fine agosto 1965. 314 i film prodotti in Italia: un numero assolutamente fantascientico ed irreale se confrontato con i livelli attuali. 97 i film americani. Un dato al limite dell’assurdo in un mercato odierno totalmente monopolizzato dal cinema a stelle e strisce. Il merito di allora va ai grandissimi personaggi su cui poteva contare la cinematografia italiana. Il demerito attuale è da ascriversi all’insistenza di voler produrre film di partito, con attori di partito e incassi da vergogna. Una buona dose di demerito va anche imputata ai critici cinematografici (anch’essi di partito) che dalla fine degli anni ottanta hanno dettato la linea ai registi, per cui ogni film o commedia all’italiana veniva demonizzata sin dal primo ciak come becera o comunque poco elegante. Il film deve contenere un messaggio sociale, dicono loro. Quello recepito dal pubblico è invece il non andare più a vedere i film italiani.

Rita Pavone

Rita Pavone è il personaggio femminile che insieme a Mina fa più parlare di se in questa primavera, sia per i suoi successi discografici sia perché ha salvato Studio Uno dalla catastrofe incombente. Le prime due serie della stagione, quella con la Vanoni e con la Milo erano andate malissimo. Ci è voluta la grinta e il grande appeal che la Pavone esercita sul pubblico per risalire la china dell’auditel (anche se all’epoca ancora – e fortunamente – non esisteva). Si tratta più di un risultato personale che di Studio Uno. I giornali inneggiano al suo successo e ai suoi prossimi impegni cinematografici e discografici. Gli stesso giornalisti però fanno finta di scordarsi cosa dissero della Pavone nel 1962, l’anno di lancio: è una cantante ridicola, non le diamo neanche un anno di vita. Di anni ne sono passati quattro e quattro anni negli anni sessanta - dal punto di vista musicale - sono magari 12 di un’altra qualsiasi decade quanto a mode, ritmi e situazioni che si evolvono ad un ritmo elevatissimo. Qual è la chiave segreta del successo di Rita? Sicuramente la sua casa discografica e il suo manager Teddy Reno. Ma anche e soprattutto il suo innato senso musicale, la sua incredibile verve, il piglio sicuro dei piemontesi quando si lasciano alle spalle il provincialismo torinese, la illimitata sicurezza in se stessa (a volte esagerata come quando a Studio Uno imita la Monroe – mentre è perfetta nei panni della Dietrich) che ne fanno un animale da palcoscenico come pochi al mondo. Quando arriva sul video, già a partire della sigla (IL GEGHEHE’ con i collettoni e le collettine che ripresi dall’alto formano le iniziali RP) l’indice di gradimento comincia a salire come se fosse inseguito dalla febbre terzana. Lancia anche un ballo, il See-Saw, ma clamorosamente non sfonda sebbene la canzone che accompagni il lancio del ballo sia molto carina (LA SAI TROPPO LUNGA) con quell’introduzione di chitarra a dodici corde suonata dal fratello di Little Tony, Enrico Ciacci (che l’ha anche scritta). Tutti gli spettatori, di tutte le età, si divertono e si lasciano trasportare da questi 50 chili di lentiggini e voglia di strafare, Fino ad ora ha dimostrato di capire il pubblico e s’è messa in riga con lui dandogli quello che vuole: qualche urlaccio, un po’ di sguaiataggine, un po’ di sentimento. Nella sua prima apparizione televisiva ad ALTA PRESSIONE, quando un giovanissimo (quasi diciottenne) Gianni Morandi la prendeva dalla culla per simboleggiare la nuova nata nella musica leggera, fu apostrofata malamente da un ragazzo del pubblico: le disse , con spiccato accento romanesco, anvedi questa quanto è bassa. E c’hai pure le gambe storte. Un’altra al suo posto si sarebbe messa a piangere, offesa. Lei invece, dimostrando di avere gli attributi, rispose io sono una nana ed ho le gambe storte ma guadagno anche un sacco di soldi. Tu invece, sei grande e grosso ma a giudicare dalla testa credo proprio che non combinerai niente nella vita. Tutti applaudirono questa ragazzetta che all’apparenza sembrava così buffa ed indifesa. Il buongiorno, come sempre, si vede dal mattino.

Cantaeuropa

Ezio Radaelli in una conferenza stampa annuncia le manifestazioni di cui sarà patron durante l’estate. Oltre al Cantagiro è previsto il taglio del nastro del primo Cantaeuropa, manifestazione che partirà da Roma il 28 di agosto per concludersi il 12 settembre. Alla manifestazione, che è stata definita la vetrina della canzone italiana in Europa, parteciperanno dieci cantanti scelti dall’organizzazione, indipendentemente dalla posizione conquistata in classifica durante il Cantagiro. Cantanti, giornalisti e tecnici viaggeranno su un treno speciale munito di tutti i confort che il 1966 poteva loro concedere in materia di media e cioè sala stampa, televisione, radiotelefono e telescriventi (l’antenato del telex e del fax). Il convoglio farà la prima tappa a Marsiglia, toccherà poi Barcellona, Parigi, il Lussemburgo, Amburgo, Berlino Est ed Ovest, Monaco, Varsavia, Vienna, Zurigo e Ginevra. Alla frontiera di ogni paese saranno aggiunte al treno due carrozze per i giornalisti della nazione visitata e lo spettacolo sarà diviso in due parti: nella prima si esibirano soltanto le voci nuove della nazione ospitante e tra di loro saranno scelti ogni volta un cantante ed una cantante che saranno poi chiamati ad un ulteriore selezione europea. Nella seconda parte si esibiranno invece i dieci cantanti italiani. Il Cantaeuropa non avrà classifiche ed ogni volta saranno riservati dei posti ai lavoratori emigranti italiani. La formula e l’intenzione sono buone ma come sempre tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Una formula interessante ma che avrà soltanto due edizioni per le solite combine dietro le quinte di discografici trafficoni e col dente avvelenato.

Fred Bongusto

Alcune novità discografiche prodotte proprio in questi giorni, scelte tra quelle non di grande successo. Fred Bongusto esce con un singolo su etichetta Fonit Cetra dal titolo STUPENDAMENTE GIOVANE, che altro non è che un vecchio motivo francese intitolato JE BAISE VOTRE MAINS, MADAME. La versione italiana è a cura di Vito Pallavicini. Sul retro QUELLA COSA CHE, elegante motivo musicato da Pino Calvi e scritto da Enrico Vaime. Un'accoppiata che sa tanto di televisione e difatti è la sigla della trasmissione televisiva CARTA BIANCA. La cosa buffa è che Bongusto (o meglio la sua casa discografica) lancia in contemporanea un altro singolo a distanza di meno di un mese. Il singolo in questione avrà invece discreto successo forse perché partecipante al Disco Per L’Estate o forse perché indubbiamente migliore del primo titolo. La canzone si chiama PRIMA C’ERI TU (che vincerà l’edizione di quest'anno del Disco Per L’Estate) e parla di mare, cielo ed occhi blu: un testo scontato che si muove sulla falsariga di altri successi di Bongusto come FRIDA o DOCE DOCE ma grazie anche all’arrangiamento e alla buona orchestrazione di Chiaramello, Bongusto raggiunge livelli canori e musicali molto morbidi sciogliendosi in sonorità e modulazioni intense e particolarmente adatte alla stagione estiva. Il retro, valido anche quello, si intitola TU NON SBAGLI MAI. Fred Bongusto nonostante non sia stato mai un campione di vendite - a parte rari casi – riesce sempre ad arrivare al pubblico con la sua capacità professionale che spesso supplisce alla banalità dei motivi presentati. Questo fino al 1966, sia chiaro.

Rita Monico

Altro disco da segnalare è quello inciso da una debuttante di sedici anni, Rita Monico. Lavora per la ARC, figlia minore della RCA e quindi sinonimo di professionalità estrema. In questo disco d’esordio incide nientemeno che WHAT THE WORLD NEEDS NOW IS LOVE tradotta col titolo italiano di QUANDO TU VORRAI. Interpretata molto bene e con grinta. Indubbie le sue qualità che comunque come sempre non fanno rima con successo assicurato. Sul retro la colonna sonora del film THRILLING, composta da Sergio Bardotti, Ennio Morricone e Gianni Musy. Anche questa non disprezzabile, altro non fosse che per i nomi illustri che hanno firmato la canzone.

Tony Cucchiara

Eccoci invece ad un singolo che avrà un discreto successo, anche se non eccezionale, nella prossima stagione estiva. La canta Tony Cucchiara, un ragazzo siciliano che ormai è nel giro da parecchi anni ma non ha mai avuto finora il successo che forse avrebbe meritato. Nonostante le occasioni non gli siano mancate tra sigle tv e partecipazioni a programmi televisivi importanti. Tony Cucchiara si presenta ai suoi fan con due motivi che lo allontanano dalla linea melodica tracciata finora (molto più spostata verso una ricerca musicale particolare e vicina al folk). Il primo (il lato A) è SE VUOI ANDARE VAI, canzone che partecipa anche al Disco Per L’Estate di quest’anno. Un brano di chiari intenti commerciali per un rilancio di una carriera rimasta un po’ nel bozzolo a cui manca però l’espressività malinconica che ha caratterizzato la produzione del primo Cucchiara. Insieme al retro (di minore impatto rispetto al primo titolo) IL NOSTRO AMORE, ha gli elementi giusti per trovarsi un posto al sole nella battaglia canora estiva. L’arrangiamento di Willy Brezza rende il pezzo vivace e competitivo nonostante abbia però una marcia in meno per quel che concerne il suono giovane ’66. Cucchiara tuttavia non abbandona completamente la linea folk e decide di continuare ad esercitare la sua passione musicale insieme alla moglie e ad incidere dischi parallelamente alla sua carriera di solista sotto il nome di Tony & Nelly, dove Nelly sta per Nelly Fioramonti, interprete molto interessante ma scarsamente commerciale. Nel 45 giri, in circolazione da pochissimi giorni hanno inciso SARA’ LUNEDI’ che è la trascrizione di un brano americano molto dolce e struggente dalla limpida melodia e l’accompagnamento quasi a minuetto. Racconta la storia di una ragazza giovanissima che è impaziente di sposarsi nonostante qualcuno le suggerisca di prolungare ancora per un po’ la sua “stagione dei sogni”. Sul retro QUANDO L’AMORE MUORE, un’idea musicale dello stesso Tony. Sono due belle composizioni valorizzate da uno strumentale complesso e morbido, rese dagli interpreti con una buona gamma di contrasti vocali molto vividi. Questo è il loro primo disco. C’è comunque da dire che il loro genere, impropriamente all’epoca chiamato folk, in realtà con la tradizione siciliana, almeno all’inizio, non ha nulla a che vedere. Difatti già alla fine del 1966 fu ribattezzato col nome di Linea Verde, nell’ambito della quale si muovevano cantanti che si occupavano di temi sociali e di protesta.

Nini Rosso

Ultima segnalazione è quella di Nini Rosso, questo baffuto signore quarantenne che in un mondo di cantanti giovanissimi riesce a vendere cinque milioni di copie della sua versione de IL SILENZIO. Un bel mistero anche se, ad onor del vero, il disco è andato fortissimo in tutto il nord Europa. Adesso la Durium lancia il nuovo singolo, CONCERTO PER UN ADDIO, in cui ormai Nini Rosso non si cura neanche più di accennare qualche frase qui e là come accadeva per i precedenti dischi ma suona a tutto spiano la sua tromba (che una volta gli serviva per folli acrobazie jazz) fra angelici coretti femminili un po’ anacronistici. Nonostante ciò, forse sull’onda lunga de IL SILENZIO, Nini Rosso riesce a vendere un buon numero di dischi e piazzarsi tra le ventesima e la quarantesima posizione della hit parade italiana.

I Delfini

Ogni anno il mondo della musica leggera porta alla ribalta nomi e voci nuove. Quest’anno sembrerebbe sia abbastanza prodigo di scoperte. E’ un fatto che da alcuni mesi la moda dei complessi ispirati a formazioni d’oltremanica o d’oltreoceano ha preso piede in misura sempre più marcata anche se nella maggior parte dei casi – almeno fino ad oggi - i complessi italiani non hanno fatto altro che riprendere successi mondiali e rifarli in lingua oppure costruirne altri sulla falsariga dei modelli stranieri. E’ logico quindi che sopravviveranno alla distanza solo quelli che riusciranno a fondere i due moduli: quello cosiddetto beat con la sensibilità musicale italiana. Uno dei pochissimi complessi che faceva tutto in casa, nel senso che scriveva e suonava le proprie canzoni senza affidarsi a traduzioni di brani inglesi od americani, era quello de I Delfini. Però, almeno all’inizio, avevano dovuto pagare pegno anche loro ai colleghi stranieri: esordiscono con un singolo che mette d’accordo i sostenitori dei Beatles e quelli dei Rolling Stones. Le canzoni sono le cover di TELL ME dei Rolling (diventata TU DEVI RITORNARE DA ME) e I WANNA BE YOUR MAN dei Beatles (cantata in lingua inglese anche se re-intitolata VOGLIO ESSERE IL TUO UOMO). Il disco viene però ritirato dal mercato per una diatriba tra la CDB, la loro casa discografica, e le edizioni Southern Music, diatriba che viene risolta in modo amichevole dopo poco tempo. La cosa comunque non agevola per nulla l’incisione perché il complesso più in vista in Italia, e cioè l’Equipe 84, ne fa una versione molto più moderna ed attuale della loro, la quale a paragone sembra poca cosa. I Delfini comunque non si danno per vinti e vanno avanti per la loro strada. Alcune notizie per tracciarne una mini biografia: sono quattro ragazzi di Padova e se dovessimo confrontarli a qualche complesso estero, per il genere che fanno almeno all’inizio, potremmo accostarli agli Herman’s Hermit o ai Merseybeats. E’uno dei primi gruppi che usa il sassofono nelle incisioni, in un mondo nel quale imperversano formazioni tipo, con basso, batteria e chitarre . Di certo è che la primavera-estate 1966 è un periodo che li vede protagonisti alla grande in tv ed è una cosa che stupisce parecchi: chi sono questi qui che tutto ad un tratto sono onnipresenti nelle trasmissioni tv? Nel 1966, passare in televisione frequentemente, a meno che non si facesse parte del Ghota della canzone, era considerato un lusso. I Delfini in pochissimo tempo sono stati presentati in programmi come Studio Uno, Aria Condizionata, Andiamoci Piano, Chissà Chi Lo Sa e perfino in uno show tutto per loro intitolato 15 MINUTI CON I DELFINI. Forse un po’ troppo per un complesso che sebbene esista da tre anni, non ha mai avuto un boom discografico tale da giustificare una massiccia promozione tv di questo livello. Una loro canzone è stata molto trasmessa recentemente a Bandiera Gialla: il titolo è STASERA SONO SOLO. Sei settimane di permanenza. Poi, a maggio lanciano il loro successo più grande, TU TE NE VAI che diventa Disco Giallo a Bandiera Gialla ed ottiene un buon successo anche sul fronte vendite. La canzone è davvero ben costruita e la riprova è che la incidono in inglese e la lanciano nientemeno che in America a Ed Sullivan Show col titolo YOU WENT AWAY. L’accoppiano a MR. VOLARE, la famosissima canzone di Modugno rivista e corretta a ritmo di beat con sfumature rhytm’n’’blues, cantata in inglese con solamente il ritornello in italiano. Il lancio americano non riesce ma una multinazionale, la Decca, li nota e li mette sotto contratto. I Delfini si montano la testa e lasciano la loro casa discografica, quella cioè che li ha lanciati. Per la Decca incidono un singolo che portano al Disco Per L’Estate 1967, BEAT BEAT HURRA’ ma è un buco nell’acqua. Il beat è ormai agli sgoccioli e l’idea di richiamarne il nome nel titolo si dimostra quasi controproducente. Con la coda tra le gambe ritornano alla CDB (che nel periodo di passaggio alla Decca aveva utilizzato una loro canzone per farne una sigla ad un programma tv con Enrico Simonetti e Isabella Biagini dal titolo IL SIGNORE HA SUONATO) ma ormai il loro momento sembra passato. Nel frattempo Renzo Levi Minzi, il leader del gruppo, incide anche dei singoli per conto proprio con la dicitura di Renzo Dei Delfini: C’ERA UN MURO ALTO (canzone di protesta con riferimenti al muro di Berlino) e PIOGGIA DI IMMAGINI. Cosa abbastanza insolita, per un gruppo che non aveva avuto all’attivo successi da classifica, è che la loro casa discografica gli faccia incidere addirittura due long playing, I DELFINI e I DELFINI N.2, molto ricercati nel mercato del collezionismo. Una loro canzone del 1968 è significativa e profetica allo stesso momento, I SOGNI SONO FINITI. I sogni dei Delfini sono davvero finiti, nonostante un ritorno di fiamma nel 1970 con una canzone intitolata IL MIO CONCERTO. Ma il panorama musicale nel frattempo, dal loro scioglimento nel 1968 all’ultimo tentativo del ’70 ha già cambiato pelle due volte e i Delfini sono rimasugli di un epoca vicinissima ma musicalmente lontana anni luce. Nel 1977, chissà perché, decidono di ritentare nuovamente e lo fanno con un singolo che tra l’altro non è niente male, ELOISA e LAILA. Ma cosa c’entra un complesso come loro con arrangiamenti in stile discomusic? Niente. E difatti... Resta il rimpianto di un gruppo che sicuramente avrebbe potuto dare un buon apporto alla musica dell’epoca e che se solo fosse stato in grado di gestirsi avrebbe potuto lottare ad armi pari con i big.

Festivalbar

Sono stati resi noti i dischi e i cantanti partecipanti al III° Trofeo Moccia (Festivalbar), che attribuisce ai gettonatori del jukebox il compito di indicare per la stagione estiva i dischi di maggior successo. Sono quindici in tutto e questo è l’elenco:

Wilma Goich in L’UOMO DI IERI
Little Tony in RIDERA’
Petula Clark in L’AMORE E’ IL VENTO
Gidiuli in GRAZIE
The Rolling Stones in CON LE MIE LACRIME
Sacha Distel in SIGNOR CANNIBALE
Les Surfs in MERITAVO MOLTO DI PIU’
Gino Paoli in A CHE COSA TI SERVE AMARE
Leo Sardo in QUESTA SERA COME SEMPRE
The Beach Boys in SLOOP JOHN B
Caterina Caselli in PERDONO
Pino Donaggio in IO MI DOMANDO
Ricky Gianco in CREDO CHE
Nicola D’Alessio in SANGUE AMARO
The Yardbirds in SHAPES OF THINGS

Chi vincerà? Per saperlo bisogna aspettare la fine di agosto ma se qualcuno azzarda un’ipotesi tipo Gidiuli o Nicola D’Alessio sicuramente meglio non giochi al totocalcio, perché le scommesse non fanno per lui.

Questa settimana il mio amico David Guarnieri ci parlerà della trasmissione tv STUDIO UNO (anch’io ne avevo fatto un breve accenno parlando di Rita Pavone e della sua partecipazione nella penultima serie di quest’anno). Ma prima di passare il testimone a David è interessante far sapere ai nostri lettori di cosa si è discusso in una interrogazione parlamentare di quei giorni, interrogazioni parlamentari che ancora tengono banco al giorno d’oggi con dei pretesti solitamente assurdi. L’on. Greggi della DC presentò alla Camera un’interrogazione, rivolta ai Ministri delle Poste e Telecomunicazioni e della Pubblica Istruzione, per sapere se, in una puntata di Studio Uno, alcune scene non avessero costituito, per caso, l’inizio di una nuova e progressiva inserzione nei programmi televisivi di situazioni atte alla diffusione e all’esaltazione di ridicole mode giovanili che umiliavano di fatto e non favorivano l’educazione e la crescita delle giovani generazioni. Ma di che scene parlava (o farneticava) questo oscuro onorevole? A Studio Uno edizione 1966, su due pedane differenziate si fronteggiavano due complessi od un cantante ed un complesso, solitamente abbastanza famosi o, in qualche caso, da lanciare. Le ragazzine sotto la pedana indossavano la minigonna ed accennavano a qualche passo di shake (o magari muovevano solo le mani). Questo per fare di Studio Uno un programma non soltanto di stampo tipo ceto medio e di prima serata, ma capace anche di attrarre un pubblico giovane che in quel particolare periodo fuggiva la tv preferendole la discoteca. La ragazza vestita eccentricamente a cui si riferiva l’onorevole era una teenager del pubblico in brodo di giuggiole per i Rokes i quali, sempre secondo l’onorevole democristiano, si agitavano alla maniera dei Beatles tra l’indifferenza del pubblico infastidito dalle scene stesse. Ora non si vuole pretendere che l’onorevole in questione sapesse a memoria la differenza di presenza scenica dei Rokes e quella dei Beatles , ma almeno che non confonda la curiosità del pubblico (che, dalle immagini, appare divertito e compiaciuto da questa esibizione) con la noia e il fastidio, questo sì, lo pretendiamo. Anche i giornali dell’epoca (naturalmente quelli non dedicati ad un pubblico giovane) erano sulla stessa linea, preoccupati però che un’ulteriore campagna denigratoria facesse invece proselitismo e propaganda e trasformasse i giovani piperini (frequentatori del Piper) in martiri della libertà. Chi sono queste ragazze salite, loro malgrado, agli onori della cronaca? Sotto le pedane del Delle Vittorie ce ne sono una trentina: ragazzine figlie di funzionari Rai, figlie di uscieri, amiche dell’amica che ha un aggancio al Delle Vittorie. Tutte con la passione del ballo, della musica e del Piper. Sono studentesse, hanno un età media di sedici anni, capelli lunghi con frangia e minipull su minigonne optical. La gomma da masticare sempre in bocca, occhi mascarati che prendono vita solo per i tipi alla Rokes o per i giovani frequentatori dei locali da ballo così alla moda e differenti dalla maggior parte delle loro usuali frequentazioni scolastiche. Appena sentono una nota cominciano ad emettere guaiti come neppure le gatte osano fare nel periodo del calore. Essendo ancora in un’età “fanciullesca” per loro è una fortuna che Studio Uno si registri nelle prime ore del pomeriggio del sabato perché molte di loro hanno dei genitori che probabilmente non le farebbero uscire, da sole, di notte. Studio Uno è la parentesi più significativa della settimana, oltre alla domenica pomeriggio passata al Piper. Un momento, quello delle pedane, in cui possono sfogare il loro entusiasmo, mostrare in tv l’ultima minigonna comprata in Via del Corso, una forma di evasione dalla scuola, dalle regole della famiglia e da padri forse severi. A Milano sta dilagando una sorta di razzismo generazionale nei confronti dei ragazzi, colpevoli solo di vestire alla moda: quattro locali sono stati chiusi per cinque giorni e la polizia staziona di mattina davanti alle discoteche per controllare che i ragazzi non vadano lì invece di andare a scuola. Unica eccezione il Paip’s di Corso Europa dove il gestore ha consigliato ai ragazzi frequentatori di accorciarsi un po’ le chiome per non dare adito a battaglie moralizzatrici da parte delle istituzioni. C’è da considerare che i capelli lunghi del 1966 erano ridicoli se paragonati a quelli del decennio successivo: il complesso dei Giganti era considerato un complesso di capelloni (i Rokes addirittura venivano tacciati come animali da zoo), Lucio Dalla considerato un folle capelluto (lui che di capelli ne ha sempre avuti pochini e ancora non aveva adottato il parrucchino degli ultimi tempi). Questo forse da l’idea del clima che si viveva all’epoca. Clima da dittatura sovietica, dove a Mosca, la Komsomolskaja Pravda indica i personaggi da perseguire giuridicamente, perché, come scrive il giornalista sovietico, la fedeltà al partito e all’ideologia si misura anche attraverso la lunghezza dei capelli. E la soluzione è quella di affidare i giovani ai magistrati o, nei casi più lievi, ai comitati di caseggiato, per una specie di riunione condominiale politicizzata dove sicuramente c’era qualche personaggio infiltrato del partito. Perchè Il Grande Fratello ha i capelli all’umbertina.

Per la serie chi resta e chi va, è la volta di Gilberto Govi, che scende dal carrozzone ad ottantuno anni, essendo nato a Genova il 22 ottobre 1885. Muore per una complicazione broncopolmonare conseguente ad un attacco influenzale per il quale si era messo a letto cinque giorni prima. Nel territorio del teatro dialettale Govi aveva compiuto un impresa colossale: partendo quasi da zero non solo aveva dato vita ad un organico repertorio in vernacolo genovese ma, con la tenacia di un infaticabile impegno professionale aveva fatto sì che il dialetto genovese (non certamente comprensibile a chi genovese non è) avesse una vasta intellegibilità su scala nazionale. Tanto che la Rai, negli anni precedenti, aveva trasmesso le commedie in dialetto dell’attore ed autore di Genova e furono un grosso successo. Ricordiamo I MANEGGI PER MARITARE UNA FIGLIA con la quale inaugurò nel 1957 il restaurato Teatro Margherita di Genova e segnò un nuovo dilagare della popolarità dell’allora ultra settantenne attore. Govi creò la sua compagnia teatrale chiamata La Dialettale Genovese nel 1916 e da allora non l’abbandonò più. Il segreto del successo dell’attore (come di molti altri del periodo) era costituito dalla bonarietà dei personaggi interpretati, dalla straordinaria comunicativa degli attori e dalla rappresentazione di un mondo familiare riconoscibile da chiunque anche se caricaturato. E soprattutto il non scadere mai nella volgarità, ultima spiaggia per attori falliti e mediocri (il 99% di quelli che bazzicano Zelig). Gilberto Govi è ancora un nome importante a quasi quarant’anni dalla morte e va a fare bella mostra di sé in un’ipotetica galleria di suoi contemporanei come Angelo Musco, Petrolini, Checco Durante e Viviani.

Christian Calabrese

 


STUDIO UNO (maggio 1966)
di David Guarnieri

La saga di “Studio Uno” è giunta quasi al termine. L’edizione numero quattro del celebre spettacolo, ideato e progettato da Antonello Falqui e Guido Sacerdote, si snoda in quattro cicli, di cinque puntate ciascuno. I testi sono firmati da Lina Wertmüller, l’orchestra è diretta dal m° Bruno Canfora, i costumi sono realizzati da Folco, le scenografie da Cesarini da Senigallia, le coreografie, curate nientemeno che da Hermes Pan (premio Oscar 1937 per il film “Una magnifica avventura” di George Stevens), artefice tra l’altro del successo di grandi “star” come Fred Astaire e Ginger Rogers. Il conduttore dello show è Lelio Luttazzi (già cerimoniere dell’edizione 1965 di “Studio Uno”). Le premesse per un’altra affermazione per il maxi show del Canale Nazionale ci sono tutte, eppure, fin dalle prime puntate il consenso è, a dir poco modesto. La primadonna della prima tranche del varietà è Sandra Milo, la quale viene letteralmente fatta a pezzi dalla stampa e dal pubblico. Piacciono poco anche i comici, i Gufi, ritenuti particolarmente ostici per il pubblico “popolare” ed i due ballerini americani, Brascia & Tybee, rispediti immediatamente al mittente. La seconda serie dello spettacolo, vede quale vedette, Ornella Vanoni, eroina della critica e del pubblico raffinato, ma ancora poco compresa dalla maggioranza dei teleutenti. Accanto alla sofisticata Vanoni appaiono Raimondo Vianello e i Mattison, un trio di fantasisti statunitensi. L’indice di gradimento si risolleva, ma di sicuro non si può parlare di grande successo. I dirigenti Rai, delusi dai risultati ottenuti, accusano il regista e gli autori, rei di avere proposto uno show pretenzioso, di certo non in linea con i gusti della maggior parte dei telespettatori. A questo punto, Falqui, Sacerdote e la Wertmüller tentano il tutto per tutto per cercare di salvare il programma, puntando su un quintetto di “star”: Walter Chiari, Barrie Chase, Franca Valeri, Bice Valori e Rita Pavone. La cantante torinese, reduce dall’affermazione tv di “Stasera, Rita!”, programma diretto sempre da Antonello Falqui (lo spettacolo rappresentò l’Italia al concorso della “Rosa d’oro di Montreux”), coglie l’occasione per lanciare le nuove canzoni per l’estate 1966: “Qui ritornerà” (cover di “Here It Comes Again” dei Fortunes), “Cam Cam Cammello”, “Che vuoi” e “La sai troppo lunga”, togliendosi lo sfizio di far esordire suo fratello, Carlo Pavone, in veste di cantante. I due si esibiscono nel brano “Pavone Carlo Story” (disco che non otterrà alcun successo). “Pel di carota”, accompagnata dai “Collettoni” e dalle “Collettine”, riproporrà con il solito eclettismo alcune caratterizzazioni di personaggi celebri: da Marlene Dietrich a Jerry Lewis, da Carmen Miranda a Milly, da Ginger Rogers a Ridolini, da Domenico Modugno a Rita Hayworth. La danzatrice ospite del programma è la sensuale Barrie Chase, la quale unisce classe ed aggressività, ottenendo sicuri risultati. Lo spazio della comicità è retto, come al solito alla grande, da tre leoni del palcoscenico come Walter Chiari, Franca Valeri e Bice Valori. Oltre al cast fisso, intervengono diversi ospiti: Anthony Quinn, Ricardo, Mike Liddell e gli Atomi, Maria Monti, Teddy Randazzo, The Ancients (gruppo guidato da Manuel De Sica), Paul Anka, Nancy Sinatra, Tony Del Monaco, Gino Paoli, i Flippers, Johnny Hallyday e Milva. La “Pantera di Goro” e la Pavone propongono un numero musicale nel quale si scambiano alcune canzoni del proprio repertorio. Rita canta “Nessuno di voi”, “Il primo mattino del mondo” e “Quattro vestiti” e Milva interpreta “La partita di pallone”, “Pel di carota” e “La bretella”. L’intenzione degli autori è quella di ripetere il pirotecnico duetto Mina – Pavone di “Stasera, Rita!”, anche se, il risultato non si può definire dello stesso livello. Per Rita, comunque, questa esperienza di “Studio Uno” si rivela un ottimo successo, visto che, uno dopo l’altro, giungono in Hit Parade i dischi lanciati nelle cinque puntate del programma: “Qui ritornerà”, “La sai troppo lunga” e le due sigle del varietà, “Il geghegè”, un elettrizzante shake e “Fortissimo”, senza dubbio, uno dei pezzi più belli incisi dall’artista di Torino. Il terzo ciclo di “Studio Uno” si conclude, ottenendo un notevole risultato di ascolto e di gradimento. Gli ospiti d’onore di questa serie (Pavone, Chiari, Chase, Valori e Valeri), lasciano il posto ai protagonisti delle ultime cinque puntate della trasmissione: Mina, Alice ed Ellen Kessler, Luciano Salce e Caterina Caselli, ma di questo, ne parleremo in un’altra occasione.

David Guarnieri