( da Sorrisi & Canzoni TV )
Un Disco per l'Estate 1967
Il Disco Per L’Estate edizione 1967 sta chiudendo i battenti. Fra
qualche giorno conosceremo i vincitori di questo torneo di cui abbiamo
già parlato in un articolo precedente
ma il successo di alcuni dischi fa presagire che, finalmente, dopo tre
edizioni non eccelse, la competizione canora voluta fortemente dalla
Rai, che possa spiccare il volo. Non vi aspettate di vedere nomi eccelsi
come quelli di una Rita Pavone, di un Gianni Morandi, di Celentano, di
Mina, della Caselli o di qualche gruppo che va per la maggiore. Il Disco
per L’Estate è – di questi tempi – una palestra per giovani leve e per
cantanti che sono famosi ma non ancora assunti nell’Olimpo degli Dei
canori. Esempio, ci si può trovare una Cinquetti o un Gianni Pettenati.
La Cinquetti è strafamosa. Più per il suo personaggio che per le sue
canzoni. Quindi, più si mette in piazza , meglio è. Lo stesso per
Pettenati: scoppiato qualche mese fa con BANDIERA GIALLA, a Sanremo ha
fatto un quasi flop con LA RIVOLUZIONE, ora cerca il riscatto. Ecco,
questa è la concezione di partecipanti BIG al Disco Per L’Estate.
L’interesse tra la gente è pochino. Si può sollevare solo se c’è qualche
canzone interessante. E quest’anno ce ne sono diverse. Vediamo comunque
la classifica delle canzoni più vendute tra le partecipanti al Disco Per
L’Estate 1967: Caterina Caselli La rinascita di Caterina Caselli si deve a due fattori: la trasmissione televisiva DIAMOCI DEL TU, condotta insieme a Giorgio Gaber, e la sua sigla finale, SONO BUGIARDA. Caterina era reduce da Sanremo: un brutto incidente di percorso. Accoppiata con Sonny & Cher, che sulla carta significava un successo sicuro, fa invece una brutta figura perché i due si presentano in scena quasi ubriachi e cantano la loro canzone - se possibile – ancora peggio di come la canta la Caselli. Risultato, IL CAMMINO DI OGNI SPERANZA, che tra l’altro non era neanche male, buttato fuori. E’ un duro colpo per la Caselli. Come diciamo di continuo su queste colonne, a quei tempi, tutto andava veloce ma lasciava il segno. I cantanti erano seguiti ed idolatrati da milioni di persone che ne conoscevano vita, morte e miracoli. Un loro passo falso significava una sostanziosa perdita di terreno a vantaggio di qualche altro personaggio che nasceva in quel momento. Una come la Caselli, che in un anno aveva lanciato NESSUNO MI PUO’ GIUDICARE, L’UOMO D’ORO, PERDONO, TUTTO NERO, CENTO GIORNI non poteva permettersi una caduta, nonostante che i numeri fossero dalla sua parte. Sanremo ’67, che avrebbe dovuto significare il suo ritorno al passato, suggellato con una vittoria, è stato invece un punto oscuro di quel suo primo periodo. Tanto è vero che IL CAMMINO DI OGNI SPERANZA non l’ha più riproposto in spettacoli televisivi se non a DIAMOCI DEL TU. Si sa, i cantanti sono molto superstiziosi. Cosa fare? In questi casi bisogna prima guardarsi intorno, tendere bene le orecchie e afferrare l’attimo, che in questo caso è la canzone giusta. L’attimo viene afferrato splendidamente e si chiama SONO BUGIARDA, cover di un pezzo americano scritto da Neil Diamond per i Monkees, il gruppo più “in” del 1967. La canzone parte in quarta già nell’intro: un organo che dialoga con la chitarra, la quale accenna un riff molto beat. Basterebbe già questa piccola idea iniziale per far capire la forza di una canzone nata sotto i migliori auspici. E comunque si tratta sempre di una canzone che ha venduto più di un mlione di copie in Usa e ha fatto sfracelli in tutto il mondo. La grinta della Caselli, desiderosa di una rivincita, è un’arma in più che rende SONO BUGIARDA uno dei successi più grandi della primavera-estate 1967. Anche l’immagine della Caselli è rinnovata rispetto al Sanremo passato. Giacche militari, tailleur giacca-pantaloni. Una moda che potrebbe sembrare semplice e spontanea ma che invece è frutto di una mirata ricerca di mercato. Senza considerare che tutti i suoi vestiti sono di sarti giovani ma assolutamente a la page, per usare un termine che andava di moda qualche anno fa. I Rokes I Rokes si sono tagliati i capelli! Così titola un noto settimanale per giovani nel giugno del 1967. La notizia di per sé sarebbe ridicola se non fosse legata a doppio filo al momento musicale attuale. All’inizio della loro carriera i capelli lunghi erano stati la loro bandiera: arrivati dall’Inghilterra a cercar fortuna a Roma, appena fuori dalla stazione Termini, in quella ormai lontana estate del 1963, hanno creato ingorghi e provocato un piccolo tamponamento a Via Marsala. Perché? Perché Shel Shapiro aveva i capelli lunghi, più di quanto un ragazzo “normale” potesse portare nel 1964. Vi assicuro che i capelli di Shel del ’63 (aveva 18 anni) erano della lunghezza di un Fiorello del 2007, con soltanto un po’ di frangia davanti, tanto che Teddy Reno, inorridito da cotanto scempio, glieli fece subito tagliare. Quando erano già nel giro RCA e accompagnavano la Pavone nelle serate sembravano tutti e quattro degli orfanelli ai quali vengono tagliati i capelli con la classica “pentola”. I capelli sono però tornati utili al produttore triestino nel 1965, dopo l’avvento dei Beatles (che di per sé avevano – all’epoca – solo un po’ di zazzera con la classica frangia alla Beatles). Capelli lunghi, idee corte diceva Johnny Hallyday. Ok, ma intanto con quel finto look contestatario ante litteram facevano i soldi a palate, fingendosi arrabbiati e ribelli soltanto davanti ad un microfono e comportandosi nella maniera più conformista possibile nel privato. Non dimentichiamo che sono pur sempre dei sudditi di Sua Maestà la Regina Elisabetta! I capelli dei Rokes della fine del 1965 erano davvero un po’ fuori norma per l’epoca, tanto è vero che nella puntata di STASERA RITA, quando furono ospiti ed usufruirono di una scenografia bellissima che fece epoca (le foto scattate a Via Teulada furono usate per il loro secondo album) alla Rai arrivarono tante lettere di reclamo per aver ospitato in televisione quattro selvaggi come quegli inglesi lì. Erano davvero altri tempi, quando anche una zazzeretta faceva parlare la gente, sia per approvarla che per scandalizzarsi. Nel 1967 siamo davvero un bel passo avanti rispetto a due anni prima. Come diciamo di continuo da queste colonne, due anni degli anni sessanta sono circa dodici della nostra epoca. Le cose si evolvono in maniera impressionante. Nel 1966 pareva che il mondo non potesse andare avanti senza chitarre elettriche e capelli lunghi. Nel 1967, tutti i complessi si sono accorciati i capelli in maniera drastica: dai Beatles ai Rokes. Un nuovo modo di concepire l’immagine sta facendosi avanti: indecisi fra il flower power e la psichedelica d’accatto, i Rokes decidono di saggiare il terreno con i piedi di piombo. In fondo, solo quattro mesi fa erano a Sanremo a cantare un pezzo beat, BISOGNA SAPER PERDERE, con tanto di capelli (per l’epoca) lunghi e tacchi degli stivaletti a battere il ritmo. Il nuovo singolo del gruppo ha un lato A che pare non funzionare: RICORDO QUANDO ERO BAMBINO. Un brano che sarebbe stato a pennello al Lucio Dalla di quel periodo, quello di QUAND’ERO SOLDATO o della stessa BISOGNA SAPER PERDERE cantata in coppia coi Rokes. Ma che muore nelle mani di un complesso come i Rokes, i quali hanno bisogno di qualche cosa di più per colpire la fantasia del pubblico. O forse era soltanto troppo borghese per coloro che dieci mesi prima cantavano CHE COLPA ABBIAMO NOI e E’ LA PIOGGIA CHE VA, canzoni in sintonia con lo spirito giovanile del ’66. Qui parlano di sogni fatti da bambini ormai tramutati in realtà: vivere insieme alla donna che amano. Un po’ pochino. Il pezzo è indubbiamente bello (scritto da Sergio Bardotti) ma che c’entrano loro? Allora bisogna correre ai ripari e lanciare come lato A quello che si era deciso di lanciare come lato B, ECCOLA DI NUOVO, una canzone briosa e divertente, scritta da Cat Stevens, quando ancora era un ragazzo “allegro”: HERE COMES MY BABY diventa ECCOLA DI NUOVO. Indubbiamente i Rokes rendono una canzone carina una sorta di capolavoro del border, ossia il periodo di stasi ed incertezza durato circa un paio di anni tra la fine del beat e l’inizio di quella che sarebbe poi diventata la musica internazionale degli anni settanta. Quella stessa canzone che sia cantata dallo stesso Cat Stevens e dai Tremeloes era una semplice canzoncina. Ma Mike, Shel, Bobby e Johnny non sono i Tremeloes. Loro ci sanno fare, anche se purtroppo l’hanno fatto vedere solo a noi italiani (adesso però tutti quei gruppi che dall’Inghilterra vennero in Italia sono oggetto di culto e di venerazione in UK: basti pensare al Mal e ai Primitives o ai Motowns che hanno improvvisamente scoperto dopo... 40 anni!) Il sound folkloristico dei Rokes, tendente ad un beat rimaneggiato, ottiene abbastanza successo, anche se è nulla in confronto al disco di cui si parlava prima, quel BISOGNA SAPER PERDERE di quattro mesi fa, che veleggiò nelle zone alte delle classifiche e che vendette anche in Germania e Francia. Ecco, i Rokes sono forse l’unico complesso importante italiano (facente parte del gruppetto Equipe 84, Dik Dik, Camaleonti e Nomadi) che non sono sopravvissuti al beat e agli anni sessanta stessi. Loro si sciolgono nel 1970 (anno in cui non hanno comunque lavorato). L’altro gruppo che sembrava dovesse essere annoverato tra i “grandi” della musica beat sono i Giganti, che dopo appena un anno di successi clamorosi (SOLO PER VOI,UNA RAGAZZA IN DUE, PROPOSTA) quando si pensava chissà dove dovessero arrivare (per qualche mese sia i Rokes che l’Equipe hanno tremato) fanno una fine ingloriosa. Il successo aveva dato loro alla testa. Nulla valse il ricompattarsi nel 1970 con un elemento in meno. Ormai il loro momento era finito per sempre. Nancy & Frank Sinatra Tra le tante novità di questo inizio di stagione, non possiamo non parlare di quello che è uno dei bestseller mondiali: SOMETHING STUPID. Frank e Nancy Sinatra uniscono le forze per confezionare uno dei singoli più venduti dell’anno. Un duetto padre e figlia come non se n’erano mai fatti, almeno a questo livello. Una canzone molto bella, di gran classe, cantata ed eseguita in maniera magistrale. Il 1966 aveva visto padre e figlia separati ma insieme nelle classifiche internazionali: STRANGERS IN THE NIGHT lui, THESE BOOTS ARE MADE FOR WALKIN’ lei. Il disco, uscito in Usa e in Inghilterra, si balocca tra il primo e il secondo posto, alternandosi sul podio con le Supremes di THE HAPPENINGS in America o con PUPPET ON A STRING di Sandie Shaw in Inghilterra. Per incidere questo singolo, papà Frank ha fatto le cose in grande, chiamando Lee Hazlewood, uno dei più brillanti produttori-musicisti mai apparsi sulla scena musicale (e ottimo amico nonché producer di Nancy) e lo ha accoppiato a James Bowen. Fu proprio Lee a scovare la canzone, scritta da Carson Parks, che la girò a Nancy la quale, a sua volta, la fece ascoltare al padre che disse in un fiorito linguaggio: cazzo, questa la dobbiamo cantare insieme! Anche se il testo era più adatto per due innamorati che per padre e figlia. Un pezzo orecchiabile e arrangiato in maniera classica, con l’idea degli archi in evidenza, molto vintage all’epoca, se si pensa che il 1967 era l’anno della psichedelia, dell’LSD, della fine ufficiosa del beat e di SGT.PEPPER’S LONELY HEART CLUB BAND, di ARE YOU EXPERIENCED, di STRANGE DAYS, di VELVET UNDERGROUND e di THEIR SATANIC MAJESTIC REQUEST. Un anno particolare ed una stagione ancor più particolare, denominata “summer of love”, per il fiorire di comuni hippy, di amori liberi, di musica stravagante, di fiori nei capelli. E SOMETHING STUPID era la canzone più reazionaria che potesse apparire sulla scena musicale americana: padre e figlia borghesi che cantano insieme con un tappeto di violini da far invidia al Perry Como dei bei tempi? Bella l’idea delle voci in controcanto con quella del padre che supervisiona il tutto (è o non è Frank Sinatra?). Bellissima la ripresa dell’orchestra appena finito il ritornello. Effetto brivido assicurato. Queste sono cose che potevano accadere solo in determinati anni, quando tutto era predisposto perché ciò accadesse: autori, arrangiatori, cantanti, tecnici del suono, musicisti. Il meglio del meglio di sempre, circoscritto in un preciso contesto storico. In Usa come in Uk, in Francia come in Italia. Uno dei capoccia della Reprise (che poi era dello stesso Sinatra) si chiese se fosse o no opportuno che padre e figlia cantassero una canzone d’amore. Sinatra, con l’innato senso di democrazia che lo contraddistingueva rispose: io sono il capo, io decido. E così fu. Naturalmente la ragione era dalla sua parte, visti i risultati. Ma di cosa parla la canzone? La storia di uno che tenta di abbordare una ragazza ma che alla fine sa già che tutto quello che riuscirà a farfugliare sarà qualche stupido “ti amo”. E proprio “QUALCHE STUPIDO TI AMO” è la versione italiana del brano tradotto da Giorgio Calabrese per Sacha Distel e ripreso da un obsoleto Nico Fidenco intento a duettare con Fulvia su dischi Parade. Frank Sinatra Chiusa la pratica “Nancy”, ol’ blue eyes, come veniva chiamato dagli intimi Frank Sinatra (se se lo fosse permesso qualche giornalista lo avrebbe preso a cazzotti in bocca!) ne apre un’altra, di una bellezza travolgente: FRANCIS ALBERT SINATRA & ANTONIO CARLOS JOBIM. Dove Frank canta tre standard americani come CHANGE PARTNERS di Irving Berlin, I CONCENTRATE ON YOU di Cole Porter e BAUBLES, BANGLES AND BEADS, di Wright, Forrest e Borodin, alternandoli a sette magnifiche canzoni del signor Jobim: THE GIRL FROM IPANEMA, DINDI, INSENSATEZ (HOW INSENSITIVE), QUIET NIGHTS AND QUIET STARS (CORCOVADO), IF YOU EVER COME TO ME (INUTIL PAISAGEM), MEDITATION (MEDITAÇAO), ONCE I LOVED (AMOR EM PAZ). Un disco perfetto. Forse di più. Di una classe e di un’eleganza da lasciare di sasso. Bellissima THE GIRL FROM IPANEMA dove Sinatra e Jobim duettano, uno in inglese e l’altro in portoghese, rendendo una canzone capolavoro una pietra miliare della musica di tutti i tempi. Arrangiamenti perfetti, scritti e diretti da Claus Ogerman con la sua orchestra. Il problema è uno solo: dopo un disco così, cosa ci si può inventare? Monkees Beh, abbiamo nominato i Monkees, non possiamo non parlare del loro ultimo disco a 45 giri che è tenuto bloccato al secondo posto dal duo Frank-Nancy. Il nuovo disco si chiama A LITTLE BIT ME A LITTLE BIT YOU ed è stato scritto, ancora una volta, da Neil Diamond. Mike Nesmith, il più dotato del gruppo si sentiva frustrato dal fatto che fino ad allora non aveva potuto incidere neanche un brano che fosse farina del suo sacco. In più c’erano quelle accuse per le quali i Monkees erano un bluff, un prodotto da laboratorio, che non suonavano loro nei dischi etc. etc. Così fecero un patto con il funzionario della RCA che li seguiva nella scelta delle canzoni: da quel momento in poi, per ogni disco uscito, uno dei due lati sarebbe stato appannaggio di Nesmith, di Mickey Dolenz, di Peter Tork o Davy Jones. Quando A LITTLE BIT ME A LITTLE BIT YOU uscì, sul lato B c’era SHE’S HANGS OUT, scritta da uno degli autori che la RCA americana mise a disposizione del gruppo, ossia Jeff Barry. Era stata un’idea del producer Don Kirshner. Che fu licenziato in tronco dopo le lamentele del gruppo ai dirigenti della RCA. Così il produttore dei Monkees divenne Chip Douglas e i supervisori musicali Boyce & Heart, i quali, per spiegarvi chi fossero, dovrei occupare un’intera pagina. Dirò solo che all’epoca, erano un po’ come Holland e Dozier, Leiber e Stoller, King e Goffin e così via. Autori e cantanti delle loro stesse canzoni. Il singolo fu ritirato dal mercato ed accoppiato a THE GIRL I KNEW SOMEWHERE. A LITTLE BIT ME A LITTLE BIT YOU fece il suo esordio al 32° posto nella classifica di Billboard e dopo sei settimane era la seconda canzone più famosa d’America, naturalmente dopo Frankie Boy e Daughter Nancy come li avevano già battezzati i giornali specializzati. La canzone, non uscì mai all’interno di un album ufficiale ma solo due anni dopo in un greatest hits. Il video del brano era abbastanza (per non dire spudoratamente) copiato da quello che Richard Lester inventava per i Beatles. Effetto comica anni ’20, immagini accelerate e i componenti del gruppo che combinavano improbabili disastri. Solo che i Beatles queste cose già le facevano nel 1964. Inutile dire che A LITTLE BIT ME A LITTLE BIT YOU in Italia non se la filò nessuno, vero? Intanto, nel mondo... Ci sarà la terza guerra mondiale? L’interrogativo è divenuto normale in questo giugno 1967. Radio Cairo e radio Tel Aviv annunciano simultaneamente l’inizio delle ostilità sui due fronti israelo-egiziano e israelo-giordano. Nasser decide di chiudere il golfo di Aqaba alle navi israeliane, atto che Israele considerò un casus belli, e chiese alle truppe dell'Onu di ritirarsi dall'Egitto. La mattina del 5 giugno, nel deserto di Negev, le sorti della guerra si mostrano favorevoli ad Israele. Dopo le prime ore di ostilità, Israele aveva posto fuori combattimento le forze aeree egiziane e spezzato la resistenza giordana. Al terzo giorno di guerra, l’esercito israeliano conquista Gaza, la penisola del Sinai, la fortezza di Sharm El Sheikh che controlla l’ingresso del golfo di Akaba, l’intera Cisgiordania con la città di Gerusalemme e, sul fronte siriano, le colline dell’alta Galilea. La guerra lampo, durata sei giorni, avrebbe fatto 679 morti e oltre 2.500 feriti. I caduti egiziani più di mille e i prigionieri, circa 20.000. Le gravi perdite subite dal’Egitto costringono Nasser a dare le dimissioni ma il parlamento le respinge. Il generale Dayan, nominato ministro della difesa il 1 giugno, dichiara intangibili le nuove frontiere isaraeliane che saranno difese, se necessario, con la forza. Giornata nera nella storia dell’aviazione britannica. Un DC-4 e un Argonaut precipitano a poche ore di distanza l’uno dall’altro, sui Pirenei e a Stockport presso Manchester. Nella duplice sciagura perdono la vita 160 persone, tutte di nazionalità inglese. Adottato dalle poste italiane il CAP, codice di avviamento postale. Gli utenti dovranno completare gli indirizzi sulla corrispondenza con un numero di cinque cifre che precederà il nome della località di destinazione. L’innovazione ha lo scopo di rendere più celere lo smistamento della corrispondenza mediante impiego di apparecchi elettonici in grado di “leggere” questo numero. Cosicchè, una lettera, da Roma a Torino, non ci impiegherà più 20 giorni, ma soltanto 19! Christian Calabrese |
  |