Settimana 7 Dicembre 1968
( da Bella + Ciao Big )

Qui sotto la classifica della settimana con le quotazioni di Giancarlo Di Girolamo, uno dei più noti collezionisti e commercianti italiani di vinile. Il prezzo segnato a margine dei titoli corrisponde a quello assunto dai dischi in condizioni ottime (non usati) nelle odierne mostre-mercato.

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1Applausi Camaleonti € 11
2Sentimento Patty Pravo € 11
3Rain and tears Aphrodite’s Child€ 11
4Il giocattolo Gianni Morandi € 10
5Tu che m’hai preso il cuor Gianni Morandi € 10
6Insieme a te non ci sto più Caterina Caselli € 11
7Zum zum zum Sylvie Vartan € 11
8Una chitarra cento illusioniMino Reitano € 10
9Hey Jude Beatles € 20
10Monja Peter Holm € 10

Classifica 33 giri

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1Wheels of fire Cream € 30
2Mina alla Bussola Mina € 30
3In search of the lost chordMoody Blues € 25
4Gianni 5 Gianni Morandi € 40
5Fabrizio De Andrè Fabrizio De Andr耠50
Una classifica, questa, particolarmente condizionata dall’andamento e dalla presenza dei cantanti nella gara annuale di Canzonissima. Patty Pravo, Gianni Morandi, Caterina Caselli e Mino Reitano sono passati indenni o quasi sotto le forche caudine della terribile competizione canora, spietata a volte, di manica larga, altre. Questa edizione presentata dal trio Mina-Panelli-Chiari (e della quale abbiamo parlato in un altro articolo) passerà alla storia dei primi undici anni di trasmissioni legate alla Lotteria Italia come il più spettacolare referendum sulla canzone italiana. Il pubblico ha avuto modo di ascoltare e confrontare 48 interpreti, Mina compresa. Ossia tutta la creme della canzone italiana eccezion fatta per Celentano, Rita Pavone, Bobby Solo e l’oriunda Dalida: più di venti milioni di spettatori ogni sabato sera.

Patty Pravo

Nella trasmissione del 30 novembre, decima puntata,la vera trionfatrice avrebbe dovuto essere Patty Pravo che dalle giurie interne aveva racimolato 42 mila punti mentre dal collegamento esterno, a Parigi (dal Lido, le votanti erano le Bluebells), era riuscita ad ottenere la miseria di 13 mila punti (13 soltanto, ma ad ogni punto ne corrispondono mille) facendosi battere dalla Sannia che forse era più simpatica alle ballerine del Lido. Difatti prende 35 mila punti. La lotta fra donne della decima puntata vede alla prima posizione Marisa Sannia con 60 mila punti e Patty Pravo con 55 mila. Ci penseranno le cartoline da casa a rimetterla in carreggiata. Ultima e quindi fuori gioco la Cinquetti con 40 mila punti. Patty Pravo ha presentato la canzone che ha portato alla Mostra di Venezia, SENTIMENTO. Gran bella canzone, melodica moderna, cantata molto bene (nel limite della possibilità canore della cantante) interpretata con grande magnetismo e con mestiere, da quel grande personaggio che è. Sicuramente arriverà in finale, i presupposti ci sono tutti. E’ il personaggio nuovo o quasi nuovo. La trasformazione da musa del beat piperino a vera cantante è ormai compiuta. Fino ad un anno fa era una cantante di nicchia, molto fotografata dai giornali più per le sue dichiarazioni controcorrente che per le sue canzoni. Insolente, sfacciata, parlava quando ne aveva voglia e faceva sempre quello che le pareva (almeno così dava ad intendere l’immagine che la sua casa discografica faceva trapelare). Saliva sul palco con la sua voce roca e il suo personaggio di ragazza tosta e volitiva. I suoi pantaloni a vita bassa con cinturone e fibbia gigante, i mini abiti rossi fanno tendenza tra i giovanissimi. Diventa la regina del beat italiano. Una coltellata nella schiena della tradizione. L’unico vero personaggio emerso dalla mediocrità e dall’appiattimento del vivaio canoro italiano. Due anni soltanto dal suo esordio con RAGAZZO TRISTE. La voce grezza e male impostata degli esordi è diventata estesa e senza incertezze. Per accorgersene basta ascoltare, che so, QUI E LA’ e per controprova GLI OCCHI DELL’AMORE. LA BAMBOLA è stato il giro di vite. Il personaggio spregiudicato e costruito degli esordi lascia il posto ad una ragazza molto sofisticata. Ora sorride dalle copertine di tutte le riviste, si veste da Valentino, i suoi capelli sono sempre più biondi ed è costantemente circondata da segretarie e press agent. Gira in Rolls Royce e ha come compagno un biondo inglese che si chiama Gordon Faggetter, che è stato il batterista del suo complesso, The Cyan Three, e che in seguito, fino a tutti gli anni settanta, continuerà con i Cyan e accompagnerà Patty nelle incisioni dei dischi. Da uno stereotipo in stile Angelo Azzurro alla BAMBOLA. Ma in fondo questa canzone è solo una parentesi, anche se indubbiamente felice. A parte il successo commerciale, quel brano, visti i trascorsi, doveva essere interpretato con sentimento ed ironia. Come avrebbe potuto essere credibile una tipa che prima ti dice oggi qui domani là, io vado e vivo così e poi piagnucola tu mi fai girar come fossi una bambola? A vent’anni Patty è pronta per un’altra fase della sua lunghissima e bizzarra carriera. Comincia a pensare in grande, dall’alto dei suo vent’anni compiuti ad aprile. E lo fa con una serie di incisioni da incorniciare, a partire proprio da SENTIMENTO con quel suo retro GLI OCCHI DELL’AMORE in cui appare nella copertina finalmente bellissima; questo grazie anche al servizio fotografico di Fernando Muscinelli, che passerà alla storia dell’immagine italiana legata al mondo della canzone, come uno dei più azzeccati. Suoi sono anche gli scatti utilizzati per la foto di copertina apribile del suo primo album, dove lei appare distesa su un divano dal design moderno, vestita di bianco, con accanto un giradischi che fa girare un disco con l’etichetta Piper, la stessa per la quale incide Patty, sottomarca della RCA. Una foto ad effetto, molto elegante, che dà un’immagine precisa della Patty Pravo versione 1968. Dico versione 1968 perché ad ogni anno, come d’altronde accade per Mina, corrisponde una Patty Pravo differente. Il 1968 è sicuramente un anno chiave per la ragazza veneziana. E’ l’inizio della sua vera carriera e, parlando per immagini, è sicuramente l’anno in cui i suoi fans amano collocare l’icona Patty.

Gianni Morandi

C’è da dire che quest’anno Canzonissima è come un libro giallo nel quale si è già scoperto l’assassino con netto anticipo. L’assassino, in questo frangente, si chiama Gianni Morandi, che ha creato un divario di punti incolmabile tra lui e il secondo nella classifica generale, che è Claudio Villa. Ad oggi Morandi ha un totale di quasi un milione e seicentomila punti contro i cinquecentoventisettemila di Villa. Impossibile rimontare. A differenza dell’anno scorso Partitissima (così si chiamava) è stata vinta sul filo di lana da Dalida a scapito della Pavone. Morandi ha stracciato tutti. Merito delle canzoni presentate e della poca concorrenza. E pensare che i realizzatori della trasmissione aggiungendo i voti di tre giurie a quelli del pubblico avevano congegnato le cose in modo da provocare incertezze e suspense. Sarebbero riusciti nell’impresa se nel lotto dei concorrenti non ci fosse stato un tipetto come Morandi, desideroso di rivincite dopo un anno e mezzo di sosta ai box di partenza causa naja. La classifica generale dei primi sei è la seguente (per ora):
1 Gianni Morandi con 1.598.401 punti
2 Claudio Villa con 527.701
3 Johnny Dorelli con 308.669
4 Orietta Berti con 247.393
5 Al Bano con 231.786
6 Patty Pravo con 212.053

Sergio Endrigo

Sergio Endrigo è un altro dei partecipanti a Canzonissima. Si presenta con CANZONE PER TE e passa il turno senza problemi. Anzi, è il primo in classifica della puntata che lo vede in lizza. Contesta le giurie, che con lui sono state magnanime, ma con altri suoi colleghi, terribili. Basti pensare a cantanti che il pubblico considera finiti e che in qualche modo, come facevano gli imperatori romani, decidono di affossare pubblicamente e definitivamente con tanto di pollice verso. Una gogna televisiva, una mancanza di rispetto incredibile per chi attraversa un momento delicato della propria carriera. Il Colosseo dista in linea d’aria dal Teatro Delle Vittorie appena qualche chilometro ma il gusto di umiliare in sala sembra sia una nota dominante di questa edizione. Dai la possibilità ad una persona normale, anche mite, di esercitare un qualsiasi tipo di potere su un altro come lui e vedrai cosa riesce a combinare. Bindi, Jula De Palma, Gloria Christian, Edoardo Vianello. Cantanti di altri periodi (tanto vicini ma tanto lontani, in questi anni che sembrano correre via cinque per volta per come si evolve velocemente moda e costume) vedono assegnarsi zero sui tabelloni illuminati nel silenzio carico di imbarazzo della sala. Certe volte interrotto da un ancora più patetico applauso di incoraggiamento. Anche la Vanoni che non è l’ultima arrivata si vede assegnare soltanto sette punti (è anche vero che in quel periodo la Vanoni non era vista di buon occhio dal pubblico medio e che il suo boom arriverà solo qualche tempo dopo, a quasi 40 anni). Sergio Endrigo si lamenta di questo, ma anche di Mina che, secondo lui, da un punto di vista etico e morale, non dovrebbe cantare in surplace in una trasmissione dove altri cantanti si scannano a vicenda. In questi giorni sta uscendo un LP ( ENDRIGO – Fonit Cetra) con alcuni brani vecchi ed altri inediti. Tra gli inediti è stato inserito CANZONE DELLA LIBERTA’, colonna sonora del film L’ALIBI (musica di Ennio Morricone e testo di Lucignani) dove si possono ascoltare anche le voci di Giovanni XXIII, John Kennedy e Martin Luther King. Poi un pezzo che non c’entrava niente col resto, BACK HOME SOMEDAY, colonna sonora di LE COLT CANTARONO E FU TEMPO DI MASSACRO. Poi LA COLOMBA, tratta da una canzone degli inizi degli anni quaranta dell’autore argentino Gustavino su testo di Rafael Alberti. Nata come romanza, questa melodia è stata arrangiata in maniera consona ai tempi ma senza subire sostanziali modifiche. In idioma spagnolo il titolo era SE EQUIVOCO’ LA COLOMBA (por ir al norte fuè al sur). La prima frase italiana recita infatti: "ma si sbagliò la colomba, cercava il nord ma era il sud". E’ la storia di un amore che non riesce a trovare la giusta direzione, un amore che è alla ricerca spasmodica di un qualcosa da amare ma che non riesce a trovare. La colomba scambia il nord per il sud, il giorno con la notte, il mare per il cielo. Trattandosi di un simbolo, la colomba, può essere assoggettata ad ogni tipo di interpretazione. LA COLOMBA è tratta dal ciclo FRA IL GAROFANO E LA SPADA, un gruppo di poesie composte tra il 1939 e il 1940. Per fugare ogni dubbio diciamo subito che Rafael Alberti riceve sul campo la medaglia di intellettuale ad honorem (e quindi tutti gli omaggi possibili dalla critica) a prescindere dalla sua qualità d’artista per il motivo, tipico di quegli anni, di essere contro Franco (lui era spagnolo) o comunque a favore dell’asse spostata ad est Europa. Endrigo è della stessa parrocchia e quindi eccoli convolati a nozze. Inutile dire che grazie a questa canzone e susseguente pubblicità, tutti i nostri artisti impegnati nella lotta contro qualcosa (non importa cosa, l’importante è essere contro) scoprono Rafael Alberti e anche Gassman incide un LP di poesie del nostro. Da fare come regalo di Natale a chi soffre d’insonnia. E’ sicuramente una bella canzone, molto evocativa ma anche difficile. Ma nonostante ciò, nella puntata di Canzonissima del 23 novembre arriva seconda in sala dietro solo alla piagnona Shirley Bassey, nel senso che quando finisce di cantare si commuove da sola e comincia a piangere. Il retro de LA COLOMBA è un omaggio a Che Guevara visto dal punto di vista umano piuttosto che politico. Il titolo è ANCH’IO TI RICORDERO’. La sensibilità del cantautore salva la canzone da quella che avrebbe potuto essere una caduta nella banalità. Poi Endrigo, in semifinale, porta CAMMINANDO E CANTANDO cover di PRA NAO DIZER QUE NAO FALEI DAS FLORES di Gerardo Vandrè. Vuole strafare perché non è una canzone adatta a tutti i tipi di pubblico e sicuramente non a quello dove i suoi antagonisti sono Gianni Morandi, Little Tony, una Caterina Caselli rinvigorita e Shirley Bassey che canta una bellissima canzone, rimpiange, ma non arriva in finale. Si approssimano le feste natalizie (la canta il 21 dicembre). La giuria esterna (la squadra del Cagliari) lo relega ultimo della terna e la giuria del Delle Vittorie non lo tratta meglio. Forse anche per un altro motivo: prima della votazione finale dei sei cantanti, in sala si è stati testimoni di un brutto gesto di Endrigo nei confronti della Caselli. Quest’ultima, eseguita la canzone che l’avrebbe portata in finale, riceve alcuni fiori da Walter Chiari, che li aveva raccolti per terra, lanciati da qualcuno che li aveva così offerti alla cantante come omaggio. Caterina torna verso la platea per riprendere posto ed offre i fiori ai suoi colleghi seduti accanto a lei. Un omaggio simpatico che Sergio Endrigo rifiuta in malo modo perché, secondo lui, era stata una cosa voluta, una montatura pubblicitaria. La Caselli giura di no e la cosa sarebbe finita male se non ci si fossero messi di mezzo gli altri cantanti a calmare le acque. Chiari, che stava per lanciare il prossimo collegamento da Roma, se ne avvede e non riesce a celare perfettamente la tensione perché ogni tanto getta uno sguardo alla platea. Il gesto poco cavalleresco di Endrigo si può giustificare col malumore per la bassa votazione e per non aver saputo accettare un gesto di simpatia spontanea (?) del pubblico nei confronti di una cantante che, in fondo, era ancora nessuno. Come abbiamo detto altre volte Endrigo può essere un personaggio scomodo e forse anche antipatico ai più ma la coerenza che impiega nel suo lavoro è encomiabile. Nonostante la vittoria a Sanremo continua per la strada che ha tracciato sin dall’inizio senza nulla concedere a mode e a facili clichè. Basti vedere due sue composizioni del 1967, dedicate al dilagare straripante ed invadente della moda beat: DOVE CREDI DI ANDARE e PERCHE’ NON DORMI FRATELLO.

Bandiera Gialla

BANDIERA GIALLA, il noto programma radiofonico di Gianni Boncompagni trasloca per una sera alla rassegna romana di Natale, oggi al Palazzo dei Congressi dell’EUR. I biglietti per parteciparvi naturalmente sono ad invito e si forma subito la classica coda fuori del palazzo. Ragazzi che tentano di commuovere gli uscieri con le più disparate scuse, come quelli che dicono io sono l’amico dell’amico di quel tale e cose del genere. Niente di più o di meno di quello che succede fuori gli studi di Via Asiago ogni qualvolta si registra la trasmissione, da tre anni a questa parte. Come sempre succede in queste occasioni non ci sarà gara di dischi e classifica finale. Solo una esibizione di complessi e cantanti per festeggiare il Natale con qualche giorno di anticipo e fare contenti più ragazzi possibile. Difatti il Palazzo dei Congressi è sicuramente più ampio dello studio di Via Asiago ma è anche vero che, comunque sia, i fortunati sono sempre i soliti: figli di dipendenti Rai, di autori, di personaggi dello spettacolo e dei loro amici. Così è e così sempre sarà. BANDIERA GIALLA è giunta al suo quarto anno di trasmissione e sembra abbia perso mordente. Ciò che suonava rivoluzionario in quell’autunno 1965 ora sembra più istituzionale, più ufficiale. Quella clamorosa concessione ai giovani da parte dei funzionari Rai dell’epoca in un contesto storico preciso ora sa grottescamente di vecchio. I giovani hanno ormai tutto: per loro esistono linee di abbigliamento, stampa, vacanze a tema, prodotti di bellezza, istituti demoscopici che saggiano costantemente il terreno per conto delle industrie a scoprire quale sarà il prossimo pacchetto di caramelle da lanciare e quale nome dargli. Casomai manca l’opposto, cioè qualcuno che si preoccupi un po’ delle persone che da tempo hanno passato i quaranta. Difatti la tv se ne accorge e comincia a confezionare programmi ad hoc come NOI MAGGIORENNI, con Carlo Loffredo, dove fa il suo debutto una (non ancora biondo platino) Minnie Minoprio. Tornando a BANDIERA GIALLA, forse Boncompagni non si accorge (o forse sì) che c’è stata un evoluzione nel pubblico ed è inutile che, se i ragazzi presenti richiedono a gran voce un disco di Jimi Hendrix o di Arthur Conley, lui chiami ancora in causa una cantante come la Caselli che ormai al pubblico dei 15-18enni ha ben poco da dire (se ne accorgerà Arbore durante una trasmissione di SPECIALE PER VOI fra due-tre mesi). BANDIERA GIALLA ormai cerca di imporre i prodotti delle case discografiche magari a scapito della qualità e dei veri gusti del pubblico. Se si tolgono le motivazioni e gli scopi per i quali il programma vide la luce, forse è il caso di ammainare la bandiera gialla ed issare quella bianca. Difatti ALTO GRADIMENTO è quasi alle porte, anche se con un’impronta meno giovanilistica, e con questo una serie di programmi rimpiazzeranno ottimamente la decana delle trasmissioni radiofoniche ad uso e consumo dei giovani. Tornando alla puntata speciale i quattro, fra personaggi o gruppi principali, sono i Ricchi e Poveri, Little Tony, i Camaleonti e Rocky Roberts. I Ricchi e Poveri non sono famosissimi. Hanno partecipato al Cantagiro in estate con la versione italiana della canzone dei Love Affair EVERLASTING LOVE, tradotta col titolo di L’ULTIMO AMORE. A Bandiera Gialla, per tre sabati consecutivi hanno allietato i ragazzini della Roma bene con il loro ultimo singolo e cioè LA MIA LIBERTA’ che sebbene non riesca a vendere molto è piacevole e si fa ascoltare tranquillamente. I Ricchi e Poveri sono una scoperta del duo Boncompagni ed Arbore ed è logico che sebbene non abbiano raggiunto ancora la grande popolarità i due ci tengano particolarmente nel presentarli al pubblico di loro riferimento. I quattro ragazzi genovesi sono bravi e in questo primo momento della loro (lunga) carriera si sforzano di somigliare ai Mama’s & Papa’s e nel loro repertorio ci riescono eccome. Perfettamente sincronizzati, sono affiatatissimi vocalmente e danno il meglio di loro più dal vivo che nelle incisioni che stranamente, almeno queste prime, sembrano fiacchette. Sarà forse il repertorio che la CBS, casa discografica a cui per ora sono legati, ha scelto per loro. Troppo smaccatamente beat e border per un gruppo che si valorizza più nelle atmosfere tranquille e rarefatte che nelle chitarre elettriche. Il retro del 45 giri (copertina poco curata e veramente inguardabile) è QUELLO CHE MI HAI DATO. Il secondo gruppo è quello messo su da Little Tony. In realtà si tratta di Little Tony stesso che sta girando l’Italia con il fratello e con una band ricca di ottoni e di fiati, adattissimi per suonare il R’n’B. Difatti il buon Piccolo Tony vuole fare sfoggio della sua abilità nel cavalcare la tigre del momento, cioè il pane quotidiano di Wilson Pickett. E seppur con qualche limite (la voce non è certo adatta al genere) ci riesce o perlomeno ci prova. Certo è che quando comincia ad intonare una canzone tipo IT’S A MAN MAN’S WORLD sembra si accinga a stornellare il BARCAROLO ROMANO più che ad assomigliare (seppur vagamente) a James Brown. Il fatto è che essendo lui un tipo molto sicuro di sé, non si rende conto fino a che punto possa osare. Il bello è che lo fa e gli va pure bene! Il suo ultimo disco è tutt’altro che un pezzo scatenato, si chiama LACRIME, accoppiato a STASERA MI PENTO ma si guarda bene dal cantarlo davanti al pubblico esigente e giudicatore dei ragazzi convenuti. Preferisce puntare su alcune canzoni dell’ultimo LP, cioè IL BIG LITTLE TONY, che sono più adatte alla serata in corso. Ad esempio il successo di Brenton Wood della primavera scorsa, GIMME A LITTLE SIGN. Canzoni che lo costringono ad uscire dal suo solito clichè. Terzo gruppo è quello di Rocky Roberts che questa volta è coadiuvato dai Pyranas, orchestra giovane ma solo strumentale, in forza alla RCA e che è ottima nel rifacimento di pezzi famosi riarrangiandoli nella maniera più consona al loro stile (anche loro si affidano molto al R’n’B). Rocky Roberts non ha bisogno di presentazioni. Si presenta con una manciata di canzoni molto appropriate al suo personaggio di uomo di gomma. Un saggio delle sua capacità l’ha dato proprio in una delle prime puntate di Canzonissima, quando indossando pantaloni e corsetto in lamè e camicie con jabots canta SONO TREMENDO contorcendosi in movimenti e passi impossibili per i comuni mortali, così difficili da eseguire se non si è fatti di materiale pieghevole, da scatenare l’applauso spontaneo del pubblico in sala. I tanti applausi non hanno portato voti sufficienti a farlo proseguire nella gara. Tornando alla serata all’EUR, Rocky convince tutti già alla prima canzone ma questo era già scritto. E’ l’unico in Italia a potersi permettere di riproporre i successi della black music americana senza far storcere la bocca. Cosa normalissima giacché è americano e proviene da quella scuola. Il quarto gruppo è quello dei Camaleonti, complesso primo in classifica con la canzone APPLAUSI. Ormai sono dei big della musica leggera. Il 1968 è stato il loro anno, non c’è dubbio. Un tris di successi da lasciare intontiti. Aprono l’anno con L’ORA DELL’AMORE (settecentomila copie vendute), proseguono in estate con IO PER LEI (350 mila) ed ora è la volta degli APPLAUSI, che sicuramente meritano. In questa canzone la voce solista non è quella di Tonino Cripezzi, ma quella di Livio Macchia, il ricciolone con i baffi alla Gengis Khan. Voce possente e adattissima al brano in questione molto di più di quella di Cripezzi, più soffice delicata, adatta per canzoni nello stile di IO PER LEI. Hanno preso il nome dal titolo del romanzo sceneggiato televisivo omonimo, che la televisione stava trasmettendo nel periodo in cui hanno cominciato, perché usavano, per la scena, una divisa di colore diverso l’uno dall’altro. Ma anche perché quando suonavano nelle serate di provincia erano soliti partire con un ritmo andante sullo shake, nonostante che il pubblico fosse molto vario. Poteva esserci il ragazzino di sedici anni come il nonno di ottanta. E quando vedevano che la gente era di una certa età e preferiva qualcosa di differente, tiravano fuori dal loro repertorio tanghi e valzer aggiunti proprio per un pubblico particolare. A dicembre la CBS consegna loro il disco d’oro per le vendite dei loro 45 giri nel corso di tutto il 1968. Madrina d’eccezione Françoise Hardy. Naturalmente risulteranno essere il complesso più venduto di tutto l’anno.

The Beatles

Pronta la strenna natalizia dei Beatles. In Inghilterra è già uscita ed è andata esaurita nello stesso giorno. Il Guinness dei Primati recita infatti che quasi due milioni di copie sono andate vendute nella prima settimana negli Stati Uniti. Uno dei tanti record dei Beatles. Si tratta di un album tutto bianco, con all’interno due long playing e quattro grandi fotografie dei componenti. Non ha titolo, c’è solo scritto in sovraimpressione THE BEATLES, ma il mondo lo chiamerà the white album. Il primo album omonimo dopo sei anni vorticosi di carriera dove stili e gusti si sono succeduti nello spazio di pochi mesi l’uno dall’altro. Un anno dopo uno dei dischi più celebrati del ventesimo secolo (SGT.PEPPER’S). Qualcosa però era cambiato rispetto alle registrazioni dell’album precedente. I rapporti tra i quattro si erano ulteriormente incrinati. Yoko Ono aveva già fatto irruzione nella vita di Lennon e in poco tempo era riuscita a succhiargli il cervello con la cannuccia, plagiandolo in maniera evidente ed imbarazzante. Tant’è vero che i quattro si isolavano spesso in sale diverse per completare i propri brani e al missaggio finale l’ultima parola, quella definitiva, non era più corale ma del singolo autore. Le sessioni iniziano il 30 maggio 1968 con REVOLUTION e finiscono con JULIA il 13 ottobre dello stesso anno. Il disco esce con l’etichetta APPLE, quella fondata dai Beatles, finora utilizzata per altri artisti a causa del contratto che li legava alla PARLOPHONE, anche se la prima apparizione su APPLE risale a tre mesi prima, alla fine di agosto, quando esce nei negozi il singolo HEY JUDE. Trenta i motivi. Genio, inventiva ed umorismo sono gli ingredienti del disco in questione che si può anche definire un compendio di generi musicali tanto sono variegati gli stili utilizzati per le trenta canzoni. A partire dalla citazione a Chuck Berry che nel 1959 aveva scritto BACK IN THE USA, i Beatles inventano BACK IN THE URSS, un’ironica e tagliente esultanza di un gruppo musicale che rientra a Miami dall’Unione Sovietica. Il problema è che nello stesso periodo i carri armati sovietici stavano invadendo Praga e molte persone non gradirono questo scherzo musicale; la John Birch Society accusò i Beatles di fomentare il comunismo. La tensione durante le sessioni di registrazione del brano era molto alta tanto che ad un certo punto Ringo Starr, per una discussione con Paul su un assolo di batteria lasciò gli studi. La canzone termina con un sibilo di aereo che si allontana e si unisce alle note iniziali di DEAR PRUDENCE, dedicata a Prudence Farrow, sorella di Mia Farrow, conosciuta da John sulle rive del Gange in India. Poi c’è GLASS ONION, con frasi ermetiche nelle quali si potrebbe leggere tra le righe la stanchezza di un rapporto di gruppo tirato avanti per inerzia e per motivi di businness. Ma anche rivalità compositiva e divergenze personali tra Lennon e McCartney. Nella canzone Lennon cita altre canzoni come STRAWBERRY FIELDS FOREVER e I AM THE WALRUS (I’ve told you about strawberry fields, you know the place where nothing is real e I’ve told you about the walrus and me-man, the walrus was Paul). Ma c’è anche spazio per lo scemo sulla collina (THE FOOL ON THE HILL) I’ve told you about the fool on the hill e ancora altre citazioni come LADY MADONNA e FIXING A HOLE. Poi c’è la garbata presa per i fondelli del blues da classifica, di gran moda in quel 1968 grazie a personaggi come John Mayal e i Fleetwood Mac in YER BLUES. C’è la presa in giro della contestazione giovanile con REVOLUTION in cui dicono che se continuerai ad agitare cartelli con sopra l’effige di Mao non riuscirai a convincere nessuno, facendo riferimento ai maoisti e alla cruenta rivoluzione culturale cinese che fece milioni di morti. Lennon dirà non aspettatevi di vedermi sulle barricate a meno che non sia con un fiore in mano. La rivista Time dedica anche un articolo alla canzone apprezzandone la critica agli attivisti ma alcune associazioni di destra americane trovarono nelle liriche qualcosa in più e cioè l’ammonimento a non forzare troppo la mano altrimenti la rivoluzione maoista sarebbe fallita. Dissero che i Beatles erano dei sovversivi col culo foderato di sterline. Lennon era comunque molto influenzabile sulle scelte politiche (Yoko Ono ne sa qualcosa) e cambiava parere molto spesso sottoponendosi a continue autocritiche. C’è anche la controrisposta alla stessa con REVOLUTION NUMBER NINE, in cui ripetono all’infinito la parola number nine quasi a voler ricordare la monotonia con la quale i contestatori ripetono slogan mandati a memoria. Il tutto utilizzando una composizione in stile elettronico ricca di contrapposizioni musicali. Otto minuti di musica d’avanguardia. Con un orecchio a Stockhausen ed un altro ad un pubblico meno colto è comunque qualcosa di veramente atipico nel panorama Beatles. Loro, i restanti tre Beatles non volevano nemmeno includerlo nel disco (era una composizione di John & Yoko), un pezzo da musica sperimentale alienante. Perché number 9? Perché in studio c’era un nastro che serviva ai tecnici della EMI per provare l’impianto con una voce che diceva : questa è la serie di test Emi numero 9. E poi perché Lennon considerava il 9 il suo numero fortunato oltre che il giorno del suo compleanno (9 ottobre). In WHY DON’T WE DO IT IN THE ROAD c’è l’esplicito invito a fare l’amore per strada scrollandosi da dosso tutti i tabù. Tanto, sono sicuri, nessuno ci guarderà (no one will be watching us). Paul ha fatto tutto da solo tanto che John ci rimane male del fatto che non aveva neanche chiesto un parere a lui e agli altri del gruppo. Poi c’è la prima canzone scritta da Ringo, DON’T PASS ME BY in uno stile country western abbellito da un violino bluegrass. Per chi non lo sapesse il bluegrass è una musica per strumenti a corda. Derivata dalle musiche inglesi, scozzesi e irlandesi, il bluegrass prende il nome dallo stato del Kentucky, chiamato "the Bluegrass State" dove l’erba è così scura che sembra blu e nel Kentucky nacque Bill Monroe, il creatore di questo genere musicale. Poi c’è una canzone dal significato controverso e comunque deleterio e vedremo il perché. Paul lesse un’intervista in cui Pete Townshend degli Who dichiarava che con I CAN SEE FOR MILES il gruppo (gli Who) avesse inciso la canzone più rumorosa della storia del rock. E così i Beatles incidono una specie di hard rock che prende il nome dallo scivolo a spirale dei luna park inglesi. Un certo Charles Manson, una specie di hippie a capo di una setta a Los Angeles, sentendo questa canzone si convince che i Beatles volessero comunicare con lui svelandogli il segreto della fine del mondo. Quando ciò sarebbe accaduto, a capo della sua banda guidata da Rocky Raccoon (un'altra canzone dell’album), avrebbe dovuto fare strage di porcellini (PIGGIES è ancora un altro brano del disco). Fatto sta che nel 1969 gli hippie assaltano la casa di Roman Polanski ed uccidono tutti gli ospiti compresa la bella moglie del regista Sharon Tate (che tra l’altro era anche incinta) a coltellate. Dal fatto fu tratto un libro ed uno sceneggiato tv che fu trasmesso nel 1976 e la Capitol, casa americana che aveva la distribuzione della APPLE in Usa, decide di lanciare un singolo con questa canzone ma per non farsi accusare di sciacallaggio la incluse al lato B di GOT TO GET INTO MY LIFE. Non c’era nessuna necessita di stampare un singolo nel 1976 con due canzoni vecchie di 8 e 10 anni se non quello di cavalcare la tigre. Fatto sta che il disco raggiunse la terza posizione nelle classifiche americane: potenza dei Beatles! Continuiamo con la recensione del disco parlando ancora di due canzoni (sono trenta e francamente mi sembrerebbe esagerato parlare di tutte). La prima è WHILE MY GUITAR GENTLY WEEPS e la seconda è JULIA. La prima è senza alcun dubbio una delle più belle canzoni incise dal gruppo, scritta in gran parte in India da George che suona anche l’organo Hammond, e dove troviamo coinvolto anche l’amico Eric Clapton come chitarra solista (allora militava nei Cream). George si trovava in macchina con Clapton e gli propose di suonare con loro. La registrazione avviene il 6 settembre 1968. Sicuramente la più bella canzone scritta da Harrison. JULIA è una canzone di Lennon dedicata a sua madre Julia Stanley con la quale ebbe un rapporto non facile. Lei sposò il padre di John e dopo due anni dalla nascità del bambino si separarono; il piccolo andò ad abitare dalla sorella di Julia, Mimi. Comunque sia Julia influenzò molto il figlio nell’interesse per la musica ed era in grado di suonare qualsiasi strumento. Era una madre molto risoluta e in gamba e John l’amava. Nel 1958 morì investita da una macchina. Questa canzone sembra quasi un rito propiziatorio: il figlio che invoca la madre in una maniera cantilenante e alla quale chiede una benedizione per il suo nuovo amore Yoko Ono. Le parole dicono Julia, la figlia dell’oceano mi sta chiamando. Occhi di conchiglia, sorriso di vento mi sta chiamando. Il riferimento a Yoko Ono e alla sua nazionalità è fin troppo evidente. D’altronde la ruffiana aveva già cominciato ad aiutarlo alla stesura del testo quando lui era in India, spedendogli cartoline simboliche e scrivendogli che Julia era su una nuvola e che avrebbe dovuto cercarla nel cielo. Yoko Ono continuava imperterrita nel suo tentativo (per interessi personali) di plagio nei confronti di un uomo caratterialmente molto debole. Lo coinvolge e convince a fare cose fuori dal mondo, a proteste clamorose, ad esibizionismi inutili. A novembre esce il primo LP di Yoko per la Apple. Disco che nessuno probabilmente le avrebbe mai fatto incidere. Il titolo è UNFINISHED MUSIC NO.1 – TWO VIRGINS. Ma per dargli un minimo di mercato viene coinvolto anche il suo compagno che il 28 novembre viene condannato per possesso di marijuana che lascia fuori dai guai la stessa Ono dicendo che era solo per uso personale. Ad ottobre difatti i poliziotti sorpresero la coppia nell’appartamento di Ringo Starr fatti di brutto.
Un po’ di cronaca nera nel mondo dei Beatles: viene trovato impiccato l’avvocato dei Beatles, che era uno degli uomini di legge più noti al mondo. Aveva tre studi legali: uno a Londra, uno a New York e il terzo a Beverly Hills, essendo lui il consulente legale dei nomi più illustri dell’aristocrazia britannica e dello show businness anglofono. Famoso per i suoi party che dava nella sua villa ad Holywoood o a Londra, era un sincero amico dei quattro. Tanto che diede a Ringo Starr le chiavi di casa quando si trattò di farlo restare lontano dai flash delle macchine fotografiche della stampa al momento del suo matrimonio. Era implicato nel rapimento del capo della polizia di Panama. Il suo nome era David Jacobs ed aveva 56 anni.

Franco Say

Per la serie "le promesse mancate (ma non per colpa loro)" questa volta tracciamo il profilo di un cantante che avrebbe sicuramente meritato di più: Franco Say. Vero nome Franco Martelletti, è nato nel 1946 a Lagosta, una picola provincia dalmata. Con la fine della guerra passa sotto la giurisdizione jugoslava e sotto i macellai del maresciallo Tito. Per non finire nelle foibe titine (un divertente gioco di società jugoslavo dal titolo butta un italiano nelle fenditure carsiche e falla franca per tutta la vita) i genitori decidono di cambiare aria con una più respirabile ed arrivano a Roma. Si fermano insieme ad altri profughi poco prima di Ostia Lido, ad Acilia. Nasce il Villaggio Giuliano, che prende il nome dai profughi della Venezia Giulia e con il tempo si forma una comunità a sé stante di diecimila anime. Un giorno del 1968 Franco Say accompagna il suo amico Amedeo Minghi alla Ricordi, dove questi militava da circa due anni. Franco aveva già composto alcune canzoni e si era fatto le ossa giovanissimo nel complesso di Don Marino Barreto Jr. Quel giorno doveva essere proprio il suo giorno fortunato, quello che gli avrebbe cambiato la vita. Un discografico lo nota e gli chiede se avesse qualcosa da fargli sentire e se avesse potuto cantare qualcosa. Franco viene messo sotto contratto. Ora gli serve un nome d’arte perché Martelletti non sembra suonare bene (e poi c’è già un Martelli in circolazione). Lui obietta che ha cominciato a fare qualcosina nei night club col nome d’arte di Frank Martell ma questa abbreviazione che fa assumere al suo cognome un falso suono anglofono non soddisfa molto i discografici che propendono per Say, nome che potrebbe dire tutto o niente ma comunque dire. Say oltre ad essere un nome sardo traduce il verbo dire in inglese. Non si sa come è stato lanciato ma se avessero utilizzato qualche slogan tipo: Franco Say ha molto da dirvi, acquistate il suo disco e ve ne accorgerete o qualcosa di simile sarebbe stato carino o almeno in linea con i lanci pubblicitari dell’epoca. La sua voce è molto bella, ottimamente impostata, alla Tom Jones, con il vantaggio (o lo svantaggio?) di cantare in italiano. Ora manca il disco d’esordio. Cosa fargli cantare? La casa discografica pensa a qualcosa che si scostasse almeno un poco dalla produzione del momento e così gli fa incidere la versione italiana di MAC ARTHUR PARK di Richard Harris, L’AMORE VERDE. La versione originale, su RCA, è davvero particolare: per la prima volta in Italia sui due lati c’è la stessa canzone (parte prima e seconda) e la durata e di oltre sette minuti. Un espediente voluto forse dalla casa discografica che forse non sapeva cos’altro fargli cantare e non credeva poi così tanto nel successo del disco. Anche perché far entrare un brano di sette e passa minuti su una facciata di 45 giri non è cosa impossibile. HEY JUDE, uscito qualche mese fa, era della stessa durata. Il retro è un’altra cover, NON CAMBIA NIENTE, traduzione di un brano del folk singer del momento David McWilliams. La canzone non vende così tanto da arrivare nelle prime posizioni ma proprio per il fatto di venir proposta da una bella voce in un brano particolare come quello cantato dall’attore, si fa notare. Da questo momento Franco comincia ad incidere dischi interessanti per la Ricordi. Uno di questi sarà C’E’ QUESTO SOLE CHE, bellissima canzone che porterà senza fortuna al Disco Per l’Estate 1969. Sempre per la Ricordi, oltre ad incidere altri singoli, prenderà parte a svariate compilation tra il 1969 e il 1970 e si fa onore nelle versioni di alcune canzoni sanremesi che spesso interpreta molto meglio di quanto non sia riuscito agli interpreti originali. In questo 1968 partecipa alla Caravella di Bari e alla Mostra di Musica Leggera di Venezia, sempre con L’AMORE VERDE.

Peter Holm

Altro cantante nuovo per le classifiche italiane è lo svedese Peter Holm, scoperto in Francia e lanciato come parente per via materna dei reali di Svezia. La canzone che canta e che porta al successo da noi è MONJA, di una noia assoluta: il successo di MONYA (così viene indicata nella copertina del singolo) è europeo. Entra nelle classifiche di Svezia, Francia, Belgio, Olanda, Danomarca, Svizzera, Germania, Austria, Spagna etc. e sarà anche reincisa da varie orchestre. Forse adatta alle feste natalizie e al Capodanno, riscuote un bel successo anche nella versione dei Communicatives, un gruppo strumentale che incide per la Durium. Peter invece incide per la casa francese Rare, consorella della Barclay del gruppo SIF. Nel 1966 Peter si fa notare in patria col suo complesso, The New Generation, grazie alla canzone TWO FACES. In Francia fa una tournée con la Mathieu che gli assicura una forte popolarità. Biondo, alto e con gli occhi azzurri, piace molto alle ragazze. In estate (questa del 1968) lancia MONJA (con la J nel resto d’Europa) che come abbiamo detto, sfonda un po’ ovunque. E perché non in Italia, si saranno detti i discografici del biondo Peter? Difatti, bastano un paio di partecipazioni televisive e Peter Holm diventa uno dei cantanti più acquistati delle prossima feste natalizie. E questo malgrado la brutta canzone. Peter Holm poi sposerà Joan Collins (uno dei tanti mariti) ma questa è un’altra storia.

Gigi Rizzi

La possibilità di incidere un disco di questi tempi non la si nega a nessuno. Tantomeno ad un tipetto come Gigi Rizzi, l’amore estivo della Bardot, un uomo oggetto, un sedotto ed abbandonato che nonostante questa non eccelsa fama di scaricato riesce a conquistare una pubblicità incredibile . Dischi e film per uno che soltanto mesi prima era un semplice playboy. La Durium, la casa discografica che l’ha scritturato, per fargli incidere questa canzone lo paga un milione e mezzo e siccome non è un bravo cantante, lui recita, alla stregua di un Alberto Lupo che ha lanciato la moda dei dischi parlati. E per questo disco la Durium non ha risparmiato mezzi. 24 violini, 4 viole, 4 violoncelli, un contrabasso, organo e pianoforte. Un’orchestra in sala d’incisione costa cara. Così come costano i parolieri: Giorgio Calabrese cura un testo che all’inizio non aveva nessuna voglia di firmare. Avrebbe voluto usare uno pseudonimo ma la Durium ci teneva molto a presentare il disco del suo esordiente di lusso, in sala stampa, con la firma di un autore famoso nei credits. E così fu. Per la musica si è pensato di giocare al risparmio: ci pensa Marcello Minerbi, il capo dei Marcellos Ferial e dirigente della casa milanese. Il disco si intitola L’ULTIMA VOLTA col sottotitolo ruffianissimo di DEDICATO A BRIGITTE. Il testo, naturalmente, scritto alla bisogna, è pieno di frasi gonfie di rimpianto e di nostalgia per un amore breve e perfetto ma definitivamente perduto. Per fortuna, le parole sono tutt’altro che banali (scritto in modo molto discorsivo e moderno) con frasi davvero inconsuete per un disco di quel genere, generalmente smielato all’inverosimile. La canzone vende abbastanza sotto le feste natalizie anche perché nel frattempo Rizzi partecipa ad un paio di trasmissioni televisive e il pubblico italiano è curioso di conoscere dal vivo colui che ha visto per tutta l’estate sulle pagine dei rotocalchi in coppia con una BB (come dimostrano le foto di cui una insieme a Johnny Hallyday) in Costa Azzurra. Il pubblico, come si vede, non è cambiato poi molto. Da Gigi Rizzi alle sorelle Lecciso, le capacità artistiche dei personaggi citati sono pressoché uguali. Almeno Gigi Rizzi aveva dalla sua il fatto di essersi spupazzato Brigitte Bardot. La Lecciso, si deve invece spupazzare Al Bano. Gliela vogliamo far prendere una rivincita a questa poveraccia (con tutta la simpatia per Al Bano)?

Rokes

I Rokes decidono di dividersi, cosa che avverrà soltanto un anno e mezzo dopo. Danno una conferenza stampa a bordo della Stella Oceanis, una nave che sta compiendo una crociera alla volta degli Stati Uniti con alcuni cantanti a bordo. Shel e Mike hanno deciso di dedicarsi ad un altro tipo di musica, diversa rispetto al genere che fanno solitamente. E gli altri due (Johnny e Bob) sono intenzionati a diventare uomini d’affari (cosa che poi faranno davvero). Il primo conta di buttarsi nel campo dell’Hi-Fi e dell’elettronica, il secondo vuole prendere in appalto alcune stazioni di servizio sulle autostrade italiane. Però hanno intenzione di andare a Sanremo con una canzone scritta da Ricky Gianco e Gian Pieretti che si chiama BALLERINA. Sappiamo poi che a Sanremo ci andranno con MA CHE FREDDO FA, nel ruolo di comprimari, perché la RCA punterà tutto sulla nuova cantante NADA. Tanto per la cronaca diremo che gli altri cantanti che allietano i croceristi sono tre nuove promesse della musica italiana. Una è già conosciuta e si chiama Giuliana Valci. Le altre due sono Rosalba Archiletti e Melissa.

Adamo

Brutta settimana per il cantante franco belga Adamo. A Poitiers, in Francia, mentre attendeva un taxi è stato assalito da una donna che lo ha aggredito a schiaffi per poi allontanarsi subito dopo. La motivazione non esiste, ma durante il fermo in questura i poliziotti le contestano il fatto che non ha pagato né l’albergo né il taxi che da Bruxelles l’aveva portata a Poitiers. Lei si discolpa dicendo che non è venuta in taxi bensì a cavallo di una scopa. Adamo e la sua troupe si recano al teatro dove è previsto il concerto del cantante ma una telefonata allerta la polizia: c’è una bomba nascosta sotto il palcoscenico. Gli agenti irrompono in sala davanti ad uno sbigottito Adamo che viene preso di peso e portato via (forse pensa ad una replica della mattinata). Accertato che non c’è nessuna bomba, il cantante può procedere con lo spettacolo. La sera dopo una telefonata anonima alla polizia avverte che c’è una bomba nella macchina di Adamo che viene smontata accuratamente. Poitiers non deve portare bene al cantante: difatti due anni prima aveva avuto un incidente automobilistico con la frattura della mascella. Scommettiamo che Adamo non ci metterà più piede?

Festa della Canzone di Natale

Esce un disco in cui cantanti di case discografiche diverse vengono riuniti per motivi benefici. Il titolo è NOEL NOEL. I cantanti sono quindici in tutto e per questa operazione non percepiranno alcun compenso. La realizzazione di questo disco si inserisce in una manifestazione musicale denominata Festa della Canzone di Natale che si svolgerà ad Albano Laziale il 17 e 18 dicembre. I cantanti che vi prenderanno parte sono gli stessi che hanno inciso il disco per il quale hanno cantato canzoni legate alla tematica natalizia, con brani inediti e non. Per fare qualche esempio l’Equipe 84 interpreta STILLE NACHT, i Dik Dik ADESTE FIDELIS, Bobby Solo BIANCO NATALE, perfetto per il suo timbro vocale, Rocky Roberts canta JINGLE BELLS. Il disco ha oggi un valore di circa 40 euro non tanto di per sé ma per la partecipazione di alcuni cantanti (come l’Equipe) che interpretano brani non inclusi nel loro repertorio abituale e che si trovano soltanto lì. Il ricavato delle vendite sarà utilizzato attraverso le Edizioni Paoline che si sono fatte promotrici dell’iniziativa.

Sanremo 1969

La mattina del 9 dicembre Ezio Radaelli è insediato nella commissione che dovrà scegliere le 24 canzoni da mandare a Sanremo 1969. Come noto, i membri della commissione vengono scelti direttamente dalle case discografiche e dai rappresentanti dei cantanti e sono Daniele Ionio, Adriano Bolzoni, Filippo D’Errico, Mario Olivieri, Gigi Speroni, Marcello Zeri e Carlo Rustichelli. Le canzoni arrivate sono ben 247. Le hanno inviate quasi tutti i migliori nomi della musica italiana: e ci sono Lucio Dalla, Lucio Battisti, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo, Gino Paoli. Di questi, l’unico ad accedere al Festival sarà il giovane Lucio Battisti, una delle nuove leve, ancora in cerca del pezzo che gli consentirà il boom personale. Tra i nomi che si preparano negli studi della RCA per incidere una lacca da mandare alla commissione troviamo il francese Alain Barriere, da qualche tempo assente dalle classifiche italiane, Sandie Shaw, che ha inciso un provino dal titolo L’IDOLO (con il testo di Bardotti), Bongusto che invece registra un brano dal titolo SE RITORNASSE LUI. Poi c’è Jimmy Fontana che ha tra le mani T’ASPETTERO’, una canzone dei fratelli Bracardi, che l’anno prima ne avevano scritta una poco fortunata (STANOTTE SENTIRAI UNA CANZONE) ma che si vendette bene all’estero nelle varie versioni in lingua. Anche Caterina Caselli sarebbe intenzionata a presentarsi a Sanremo. Ha preparato due brani, TUTTO DA RIFARE e SENZA CUORE. Poi invece canterà IL GIOCO DELL’AMORE. La Caselli è l’unica di questa nutrita sfilza di nomi a salire sul palco sanremese. Gli altri non avranno questa possibilità. Anche Bruno Canfora, direttore d’orchestra a Canzonissima, invia un motivo che non viene accettato perché risultava spedito dopo il termine del 30 novembre. Altre vittime illustri risultano essere Peppino Gagliardi (già reduce da tre Sanremo), Nino Ferrer, Domenico Modugno che aveva inviato una lacca con una canzone dal titolo COME FARE SENZA TE; il comico Franco Franchi è interprete scherzoso di un motivo contestatario scritto da Fiorenzo Fiorentini.

Contestatori

Beh, è l’anno della contestazione e quindi è normale fare un cenno agli ultimi episodi di umorismo involontario accaduti a Roma e a Milano. A Milano la cosa è più seria. Difatti si cerca di turbare (riuscendovi) la prima stagionale della Scala. Sarà la prima volta di un appuntamento che si ripeterà ogni anno, come un’influenza stagionale, per tutto il decennio successivo, quando ormai i frequentatori della Scala diventano i contestatori stessi che si contesteranno da soli. L’importante è contestare, come direbbero oggi, con uno slogan assolutamente demagogico e retorico quale è lo sfruttatissimo senza se e senza ma. Difatti ripeterlo è diventata una moda, tant’è vero che lo usano anche quelli dall’altra parte, ridotti al punto di recitare a pappagallo slogan imbecilli. Per la cronaca si dava il Don Carlos di Verdi e gli spettatori erano stati bersaglio di uova marce e di bottigliette di coloranti con tanto di cartelli del tipo schifosi padroni, finirà il vostro potere. Slogan che presumibilmente cessavano di colpo quando i ragazzi incontravano lo sguardo severo dei loro stessi genitori a cui stavano tirando le uova. Sguardi carichi di promesse tipo facciamo i conti a casa, mi hai rovinato il visone. A Roma, la prima del teatro Valle è stata funestata dall’occupazione (ancora non si usava la K al posto della c dura) di studenti ed attori che mandano in fumo la rappresentazione della compagnia dello stabile romano. Ci doveva essere Franca Valeri con una rappresentazione dei finti contestatori, tutti figli di papà, mentre invece va in scena un pistolotto politico di Gian Maria Volontè che sembra non sia gradito agli spettatori che avevano pagato il biglietto, molto scocciati da questo cambio di programma. L’attore viene ricoperto di insulti, così tanti da potercisi fare un bel maxi cappotto, come vuole l’ultima moda. Il ridicolo sale quando una signora bene, infervorata dalla protesta, perde la bussola e tenta vanamente di dimostrarsi impegnata, giocando a fare la guerrigliera maoista, con tanto di pellicciona e parrucca sulle ventitrè. Addirittura vaticina di voler andare ad occupare la Cappella Sistina. Forse un lapsus freudiano per la povera signora ormai avanti con gli anni e con le ciglia finte scesele sulle labbra e mò di mustacchi. Per quanto si sforzi, nessuno la prende sul serio. I contestatori stessi si trovano spiazzati (e forse involontariamente ridicolizzati) e la povera signora, la Che Guevara dei Parioli, se ne torna a casa con la coda fra le gambe a guardare Pippo Baudo a Settevoci. Giusto epilogo finale.

Christian Calabrese