Una classifica, questa, particolarmente condizionata dall’andamento e
dalla presenza dei cantanti nella gara annuale di Canzonissima. Patty
Pravo, Gianni Morandi, Caterina Caselli e Mino Reitano sono passati
indenni o quasi sotto le forche caudine della terribile competizione
canora, spietata a volte, di manica larga, altre. Questa edizione
presentata dal trio Mina-Panelli-Chiari (e della quale abbiamo parlato
in un altro articolo) passerà alla storia dei primi undici anni di
trasmissioni legate alla Lotteria Italia come il più spettacolare
referendum sulla canzone italiana. Il pubblico ha avuto modo di
ascoltare e confrontare 48 interpreti, Mina compresa. Ossia tutta la
creme della canzone italiana eccezion fatta per Celentano, Rita Pavone,
Bobby Solo e l’oriunda Dalida: più di venti milioni di spettatori ogni
sabato sera.
Patty Pravo
Nella trasmissione del 30 novembre, decima puntata,la vera
trionfatrice avrebbe dovuto essere Patty Pravo che dalle giurie interne
aveva racimolato 42 mila punti mentre dal collegamento esterno, a Parigi
(dal Lido, le votanti erano le Bluebells), era riuscita ad ottenere la
miseria di 13 mila punti (13 soltanto, ma ad ogni punto ne corrispondono
mille) facendosi battere dalla Sannia che forse era più simpatica alle
ballerine del Lido. Difatti prende 35 mila punti. La lotta fra donne
della decima puntata vede alla prima posizione Marisa Sannia con 60 mila
punti e Patty Pravo con 55 mila. Ci penseranno le cartoline da casa a
rimetterla in carreggiata. Ultima e quindi fuori gioco la Cinquetti con
40 mila punti. Patty Pravo ha presentato la canzone che ha portato alla
Mostra di Venezia, SENTIMENTO. Gran bella canzone, melodica moderna,
cantata molto bene (nel limite della possibilità canore della cantante)
interpretata con grande magnetismo e con mestiere, da quel grande
personaggio che è. Sicuramente arriverà in finale, i presupposti ci sono
tutti. E’ il personaggio nuovo o quasi nuovo. La trasformazione da musa
del beat piperino a vera cantante è ormai compiuta. Fino ad un anno fa
era una cantante di nicchia, molto fotografata dai giornali più per le
sue dichiarazioni controcorrente che per le sue canzoni. Insolente,
sfacciata, parlava quando ne aveva voglia e faceva sempre quello che le
pareva (almeno così dava ad intendere l’immagine che la sua casa
discografica faceva trapelare). Saliva sul palco con la sua voce roca e
il suo personaggio di ragazza tosta e volitiva. I suoi pantaloni a vita
bassa con cinturone e fibbia gigante, i mini abiti rossi fanno tendenza
tra i giovanissimi. Diventa la regina del beat italiano. Una coltellata
nella schiena della tradizione. L’unico vero personaggio emerso dalla
mediocrità e dall’appiattimento del vivaio canoro italiano. Due anni
soltanto dal suo esordio con RAGAZZO TRISTE. La voce grezza e male
impostata degli esordi è diventata estesa e senza incertezze. Per
accorgersene basta ascoltare, che so, QUI E LA’ e per controprova GLI
OCCHI DELL’AMORE. LA BAMBOLA è stato il giro di vite. Il personaggio
spregiudicato e costruito degli esordi lascia il posto ad una ragazza
molto sofisticata. Ora sorride dalle copertine di tutte le riviste, si
veste da Valentino, i suoi capelli sono sempre più biondi ed è
costantemente circondata da segretarie e press agent. Gira in Rolls
Royce e ha come compagno un biondo inglese che si chiama Gordon
Faggetter, che è stato il batterista del suo complesso, The Cyan Three,
e che in seguito, fino a tutti gli anni settanta, continuerà con i Cyan
e accompagnerà Patty nelle incisioni dei dischi. Da uno stereotipo in
stile Angelo Azzurro alla BAMBOLA. Ma in fondo questa canzone è solo una
parentesi, anche se indubbiamente felice. A parte il successo
commerciale, quel brano, visti i trascorsi, doveva essere interpretato
con sentimento ed ironia. Come avrebbe potuto essere credibile una tipa
che prima ti dice oggi qui domani là, io vado e vivo così e poi
piagnucola tu mi fai girar come fossi una bambola? A vent’anni Patty è
pronta per un’altra fase della sua lunghissima e bizzarra carriera.
Comincia a pensare in grande, dall’alto dei suo vent’anni compiuti ad
aprile. E lo fa con una serie di incisioni da incorniciare, a partire
proprio da SENTIMENTO con quel suo retro GLI OCCHI DELL’AMORE in cui
appare nella copertina finalmente bellissima; questo grazie anche al
servizio fotografico di Fernando Muscinelli, che passerà alla storia
dell’immagine italiana legata al mondo della canzone, come uno dei più
azzeccati. Suoi sono anche gli scatti utilizzati per la foto di
copertina apribile del suo primo album, dove lei appare distesa su un
divano dal design moderno, vestita di bianco, con accanto un giradischi
che fa girare un disco con l’etichetta Piper, la stessa per la quale
incide Patty, sottomarca della RCA. Una foto ad effetto, molto elegante,
che dà un’immagine precisa della Patty Pravo versione 1968. Dico
versione 1968 perché ad ogni anno, come d’altronde accade per Mina,
corrisponde una Patty Pravo differente. Il 1968 è sicuramente un anno
chiave per la ragazza veneziana. E’ l’inizio della sua vera carriera e,
parlando per immagini, è sicuramente l’anno in cui i suoi fans amano
collocare l’icona Patty.
Gianni Morandi
C’è da dire che quest’anno Canzonissima è come un libro giallo nel quale
si è già scoperto l’assassino con netto anticipo. L’assassino, in questo
frangente, si chiama Gianni Morandi, che ha creato un divario di punti
incolmabile tra lui e il secondo nella classifica generale, che è
Claudio Villa. Ad oggi Morandi ha un totale di quasi un milione e
seicentomila punti contro i cinquecentoventisettemila di Villa.
Impossibile rimontare. A differenza dell’anno scorso Partitissima (così
si chiamava) è stata vinta sul filo di lana da Dalida a scapito della
Pavone. Morandi ha stracciato tutti. Merito delle canzoni presentate e
della poca concorrenza. E pensare che i realizzatori della trasmissione
aggiungendo i voti di tre giurie a quelli del pubblico avevano
congegnato le cose in modo da provocare incertezze e suspense. Sarebbero
riusciti nell’impresa se nel lotto dei concorrenti non ci fosse stato un
tipetto come Morandi, desideroso di rivincite dopo un anno e mezzo di
sosta ai box di partenza causa naja.
La classifica generale dei primi sei è la seguente (per ora):
1 Gianni Morandi con 1.598.401 punti
2 Claudio Villa con 527.701
3 Johnny Dorelli con 308.669
4 Orietta Berti con 247.393
5 Al Bano con 231.786
6 Patty Pravo con 212.053
Sergio Endrigo
Sergio Endrigo è un altro dei partecipanti a Canzonissima. Si presenta
con CANZONE PER TE e passa il turno senza problemi. Anzi, è il primo in
classifica della puntata che lo vede in lizza. Contesta le giurie, che
con lui sono state magnanime, ma con altri suoi colleghi, terribili.
Basti pensare a cantanti che il pubblico considera finiti e che in
qualche modo, come facevano gli imperatori romani, decidono di affossare
pubblicamente e definitivamente con tanto di pollice verso. Una gogna
televisiva, una mancanza di rispetto incredibile per chi attraversa un
momento delicato della propria carriera. Il Colosseo dista in linea
d’aria dal Teatro Delle Vittorie appena qualche chilometro ma il gusto
di umiliare in sala sembra sia una nota dominante di questa edizione.
Dai la possibilità ad una persona normale, anche mite, di esercitare un
qualsiasi tipo di potere su un altro come lui e vedrai cosa riesce a
combinare. Bindi, Jula De Palma, Gloria Christian, Edoardo Vianello.
Cantanti di altri periodi (tanto vicini ma tanto lontani, in questi anni
che sembrano correre via cinque per volta per come si evolve velocemente
moda e costume) vedono assegnarsi zero sui tabelloni illuminati nel
silenzio carico di imbarazzo della sala. Certe volte interrotto da un
ancora più patetico applauso di incoraggiamento. Anche la Vanoni che non
è l’ultima arrivata si vede assegnare soltanto sette punti (è anche vero
che in quel periodo la Vanoni non era vista di buon occhio dal pubblico
medio e che il suo boom arriverà solo qualche tempo dopo, a quasi 40
anni). Sergio Endrigo si lamenta di questo, ma anche di Mina che,
secondo lui, da un punto di vista etico e morale, non dovrebbe cantare
in surplace in una trasmissione dove altri cantanti si scannano a
vicenda. In questi giorni sta uscendo un LP ( ENDRIGO – Fonit Cetra) con
alcuni brani vecchi ed altri inediti. Tra gli inediti è stato inserito
CANZONE DELLA LIBERTA’, colonna sonora del film L’ALIBI (musica di Ennio
Morricone e testo di Lucignani) dove si possono ascoltare anche le voci
di Giovanni XXIII, John Kennedy e Martin Luther King. Poi un pezzo che
non c’entrava niente col resto, BACK HOME SOMEDAY, colonna sonora di LE
COLT CANTARONO E FU TEMPO DI MASSACRO. Poi LA COLOMBA, tratta da una
canzone degli inizi degli anni quaranta dell’autore argentino Gustavino
su testo di Rafael Alberti. Nata come romanza, questa melodia è stata
arrangiata in maniera consona ai tempi ma senza subire sostanziali
modifiche. In idioma spagnolo il titolo era SE EQUIVOCO’ LA COLOMBA (por
ir al norte fuè al sur). La prima frase italiana recita infatti: "ma si
sbagliò la colomba, cercava il nord ma era il sud". E’ la storia di un
amore che non riesce a trovare la giusta direzione, un amore che è alla
ricerca spasmodica di un qualcosa da amare ma che non riesce a trovare.
La colomba scambia il nord per il sud, il giorno con la notte, il mare
per il cielo. Trattandosi di un simbolo, la colomba, può essere
assoggettata ad ogni tipo di interpretazione. LA COLOMBA è tratta dal
ciclo FRA IL GAROFANO E LA SPADA, un gruppo di poesie composte tra il
1939 e il 1940. Per fugare ogni dubbio diciamo subito che Rafael Alberti
riceve sul campo la medaglia di intellettuale ad honorem (e quindi tutti
gli omaggi possibili dalla critica) a prescindere dalla sua qualità
d’artista per il motivo, tipico di quegli anni, di essere contro Franco
(lui era spagnolo) o comunque a favore dell’asse spostata ad est Europa.
Endrigo è della stessa parrocchia e quindi eccoli convolati a nozze.
Inutile dire che grazie a questa canzone e susseguente pubblicità, tutti
i nostri artisti impegnati nella lotta contro qualcosa (non importa
cosa, l’importante è essere contro) scoprono Rafael Alberti e anche
Gassman incide un LP di poesie del nostro. Da fare come regalo di Natale
a chi soffre d’insonnia. E’ sicuramente una bella canzone, molto
evocativa ma anche difficile. Ma nonostante ciò, nella puntata di
Canzonissima del 23 novembre arriva seconda in sala dietro solo alla
piagnona Shirley Bassey, nel senso che quando finisce di cantare si
commuove da sola e comincia a piangere. Il retro de LA COLOMBA è un
omaggio a Che Guevara visto dal punto di vista umano piuttosto che
politico. Il titolo è ANCH’IO TI RICORDERO’. La sensibilità del
cantautore salva la canzone da quella che avrebbe potuto essere una
caduta nella banalità. Poi Endrigo, in semifinale, porta CAMMINANDO E
CANTANDO cover di PRA NAO DIZER QUE NAO FALEI DAS FLORES di Gerardo
Vandrè. Vuole strafare perché non è una canzone adatta a tutti i tipi di
pubblico e sicuramente non a quello dove i suoi antagonisti sono Gianni
Morandi, Little Tony, una Caterina Caselli rinvigorita e Shirley Bassey
che canta una bellissima canzone, rimpiange, ma non arriva in finale. Si
approssimano le feste natalizie (la canta il 21 dicembre). La giuria
esterna (la squadra del Cagliari) lo relega ultimo della terna e la
giuria del Delle Vittorie non lo tratta meglio. Forse anche per un altro
motivo: prima della votazione finale dei sei cantanti, in sala si è
stati testimoni di un brutto gesto di Endrigo nei confronti della
Caselli. Quest’ultima, eseguita la canzone che l’avrebbe portata in
finale, riceve alcuni fiori da Walter Chiari, che li aveva raccolti per
terra, lanciati da qualcuno che li aveva così offerti alla cantante come
omaggio. Caterina torna verso la platea per riprendere posto ed offre i
fiori ai suoi colleghi seduti accanto a lei. Un omaggio simpatico che
Sergio Endrigo rifiuta in malo modo perché, secondo lui, era stata una
cosa voluta, una montatura pubblicitaria. La Caselli giura di no e la
cosa sarebbe finita male se non ci si fossero messi di mezzo gli altri
cantanti a calmare le acque. Chiari, che stava per lanciare il prossimo
collegamento da Roma, se ne avvede e non riesce a celare perfettamente
la tensione perché ogni tanto getta uno sguardo alla platea. Il gesto
poco cavalleresco di Endrigo si può giustificare col malumore per la
bassa votazione e per non aver saputo accettare un gesto di simpatia
spontanea (?) del pubblico nei confronti di una cantante che, in fondo,
era ancora nessuno. Come abbiamo detto altre volte Endrigo può essere un
personaggio scomodo e forse anche antipatico ai più ma la coerenza che
impiega nel suo lavoro è encomiabile. Nonostante la vittoria a Sanremo
continua per la strada che ha tracciato sin dall’inizio senza nulla
concedere a mode e a facili clichè. Basti vedere due sue composizioni
del 1967, dedicate al dilagare straripante ed invadente della moda beat:
DOVE CREDI DI ANDARE e PERCHE’ NON DORMI FRATELLO.
Bandiera Gialla
BANDIERA GIALLA, il noto programma radiofonico di Gianni Boncompagni
trasloca per una sera alla rassegna romana di Natale, oggi al Palazzo
dei Congressi dell’EUR. I biglietti per parteciparvi naturalmente sono
ad invito e si forma subito la classica coda fuori del palazzo. Ragazzi
che tentano di commuovere gli uscieri con le più disparate scuse, come
quelli che dicono io sono l’amico dell’amico di quel tale e cose del
genere. Niente di più o di meno di quello che succede fuori gli studi di
Via Asiago ogni qualvolta si registra la trasmissione, da tre anni a
questa parte. Come sempre succede in queste occasioni non ci sarà gara
di dischi e classifica finale. Solo una esibizione di complessi e
cantanti per festeggiare il Natale con qualche giorno di anticipo e fare
contenti più ragazzi possibile. Difatti il Palazzo dei Congressi è
sicuramente più ampio dello studio di Via Asiago ma è anche vero che,
comunque sia, i fortunati sono sempre i soliti: figli di dipendenti Rai,
di autori, di personaggi dello spettacolo e dei loro amici. Così è e
così sempre sarà. BANDIERA GIALLA è giunta al suo quarto anno di
trasmissione e sembra abbia perso mordente. Ciò che suonava
rivoluzionario in quell’autunno 1965 ora sembra più istituzionale, più
ufficiale. Quella clamorosa concessione ai giovani da parte dei
funzionari Rai dell’epoca in un contesto storico preciso ora sa
grottescamente di vecchio. I giovani hanno ormai tutto: per loro
esistono linee di abbigliamento, stampa, vacanze a tema, prodotti di
bellezza, istituti demoscopici che saggiano costantemente il terreno per
conto delle industrie a scoprire quale sarà il prossimo pacchetto di
caramelle da lanciare e quale nome dargli. Casomai manca l’opposto, cioè
qualcuno che si preoccupi un po’ delle persone che da tempo hanno
passato i quaranta. Difatti la tv se ne accorge e comincia a
confezionare programmi ad hoc come NOI MAGGIORENNI, con Carlo Loffredo,
dove fa il suo debutto una (non ancora biondo platino) Minnie Minoprio.
Tornando a BANDIERA GIALLA, forse Boncompagni non si accorge (o forse
sì) che c’è stata un evoluzione nel pubblico ed è inutile che, se i
ragazzi presenti richiedono a gran voce un disco di Jimi Hendrix o di
Arthur Conley, lui chiami ancora in causa una cantante come la Caselli
che ormai al pubblico dei 15-18enni ha ben poco da dire (se ne accorgerà
Arbore durante una trasmissione di SPECIALE PER VOI fra due-tre mesi).
BANDIERA GIALLA ormai cerca di imporre i prodotti delle case
discografiche magari a scapito della qualità e dei veri gusti del
pubblico. Se si tolgono le motivazioni e gli scopi per i quali il
programma vide la luce, forse è il caso di ammainare la bandiera gialla
ed issare quella bianca. Difatti ALTO GRADIMENTO è quasi alle porte,
anche se con un’impronta meno giovanilistica, e con questo una serie di
programmi rimpiazzeranno ottimamente la decana delle trasmissioni
radiofoniche ad uso e consumo dei giovani. Tornando alla puntata
speciale i quattro, fra personaggi o gruppi principali, sono i Ricchi e
Poveri, Little Tony, i Camaleonti e Rocky Roberts. I Ricchi e Poveri non
sono famosissimi. Hanno partecipato al Cantagiro in estate con la
versione italiana della canzone dei Love Affair EVERLASTING LOVE,
tradotta col titolo di L’ULTIMO AMORE. A Bandiera Gialla, per tre sabati
consecutivi hanno allietato i ragazzini della Roma bene con il loro
ultimo singolo e cioè LA MIA LIBERTA’ che sebbene non riesca a vendere
molto è piacevole e si fa ascoltare tranquillamente. I Ricchi e Poveri
sono una scoperta del duo Boncompagni ed Arbore ed è logico che sebbene
non abbiano raggiunto ancora la grande popolarità i due ci tengano
particolarmente nel presentarli al pubblico di loro riferimento. I
quattro ragazzi genovesi sono bravi e in questo primo momento della loro
(lunga) carriera si sforzano di somigliare ai Mama’s & Papa’s e nel loro
repertorio ci riescono eccome. Perfettamente sincronizzati, sono
affiatatissimi vocalmente e danno il meglio di loro più dal vivo che
nelle incisioni che stranamente, almeno queste prime, sembrano
fiacchette. Sarà forse il repertorio che la CBS, casa discografica a cui
per ora sono legati, ha scelto per loro. Troppo smaccatamente beat e
border per un gruppo che si valorizza più nelle atmosfere tranquille e
rarefatte che nelle chitarre elettriche. Il retro del 45 giri (copertina
poco curata e veramente inguardabile) è QUELLO CHE MI HAI DATO. Il
secondo gruppo è quello messo su da Little Tony. In realtà si tratta di
Little Tony stesso che sta girando l’Italia con il fratello e con una
band ricca di ottoni e di fiati, adattissimi per suonare il R’n’B.
Difatti il buon Piccolo Tony vuole fare sfoggio della sua abilità nel
cavalcare la tigre del momento, cioè il pane quotidiano di Wilson
Pickett. E seppur con qualche limite (la voce non è certo adatta al
genere) ci riesce o perlomeno ci prova. Certo è che quando comincia ad
intonare una canzone tipo IT’S A MAN MAN’S WORLD sembra si accinga a
stornellare il BARCAROLO ROMANO più che ad assomigliare (seppur
vagamente) a James Brown. Il fatto è che essendo lui un tipo molto
sicuro di sé, non si rende conto fino a che punto possa osare. Il bello
è che lo fa e gli va pure bene! Il suo ultimo disco è tutt’altro che un
pezzo scatenato, si chiama LACRIME, accoppiato a STASERA MI PENTO ma si
guarda bene dal cantarlo davanti al pubblico esigente e giudicatore dei
ragazzi convenuti. Preferisce puntare su alcune canzoni dell’ultimo LP,
cioè IL BIG LITTLE TONY, che sono più adatte alla serata in corso. Ad
esempio il successo di Brenton Wood della primavera scorsa, GIMME A
LITTLE SIGN. Canzoni che lo costringono ad uscire dal suo solito clichè.
Terzo gruppo è quello di Rocky Roberts che questa volta è coadiuvato dai
Pyranas, orchestra giovane ma solo strumentale, in forza alla RCA e che
è ottima nel rifacimento di pezzi famosi riarrangiandoli nella maniera
più consona al loro stile (anche loro si affidano molto al R’n’B). Rocky
Roberts non ha bisogno di presentazioni. Si presenta con una manciata di
canzoni molto appropriate al suo personaggio di uomo di gomma. Un saggio
delle sua capacità l’ha dato proprio in una delle prime puntate di
Canzonissima, quando indossando pantaloni e corsetto in lamè e camicie
con jabots canta SONO TREMENDO contorcendosi in movimenti e passi
impossibili per i comuni mortali, così difficili da eseguire se non si è
fatti di materiale pieghevole, da scatenare l’applauso spontaneo del
pubblico in sala. I tanti applausi non hanno portato voti sufficienti a
farlo proseguire nella gara. Tornando alla serata all’EUR, Rocky
convince tutti già alla prima canzone ma questo era già scritto. E’
l’unico in Italia a potersi permettere di riproporre i successi della
black music americana senza far storcere la bocca. Cosa normalissima
giacché è americano e proviene da quella scuola. Il quarto gruppo è
quello dei Camaleonti, complesso primo in classifica con la canzone
APPLAUSI. Ormai sono dei big della musica leggera. Il 1968 è stato il
loro anno, non c’è dubbio. Un tris di successi da lasciare intontiti.
Aprono l’anno con L’ORA DELL’AMORE (settecentomila copie vendute),
proseguono in estate con IO PER LEI (350 mila) ed ora è la volta degli
APPLAUSI, che sicuramente meritano. In questa canzone la voce solista
non è quella di Tonino Cripezzi, ma quella di Livio Macchia, il
ricciolone con i baffi alla Gengis Khan. Voce possente e adattissima al
brano in questione molto di più di quella di Cripezzi, più soffice
delicata, adatta per canzoni nello stile di IO PER LEI. Hanno preso il
nome dal titolo del romanzo sceneggiato televisivo omonimo, che la
televisione stava trasmettendo nel periodo in cui hanno cominciato,
perché usavano, per la scena, una divisa di colore diverso l’uno
dall’altro. Ma anche perché quando suonavano nelle serate di provincia
erano soliti partire con un ritmo andante sullo shake, nonostante che
il pubblico fosse molto vario. Poteva esserci il ragazzino di sedici
anni come il nonno di ottanta. E quando vedevano che la gente era di una
certa età e preferiva qualcosa di differente, tiravano fuori dal loro
repertorio tanghi e valzer aggiunti proprio per un pubblico particolare.
A dicembre la CBS consegna loro il disco d’oro per le vendite dei loro
45 giri nel corso di tutto il 1968. Madrina d’eccezione Françoise Hardy.
Naturalmente risulteranno essere il complesso più venduto di tutto
l’anno.
The Beatles
Pronta la strenna natalizia dei Beatles. In Inghilterra è già uscita ed
è andata esaurita nello stesso giorno. Il Guinness dei Primati recita
infatti che quasi due milioni di copie sono andate vendute nella prima
settimana negli Stati Uniti. Uno dei tanti record dei Beatles. Si tratta
di un album tutto bianco, con all’interno due long playing e quattro
grandi fotografie dei componenti. Non ha titolo, c’è solo scritto in
sovraimpressione THE BEATLES, ma il mondo lo chiamerà the white album.
Il primo album omonimo dopo sei anni vorticosi di carriera dove stili e
gusti si sono succeduti nello spazio di pochi mesi l’uno dall’altro. Un
anno dopo uno dei dischi più celebrati del ventesimo secolo
(SGT.PEPPER’S). Qualcosa però era cambiato rispetto alle registrazioni
dell’album precedente. I rapporti tra i quattro si erano ulteriormente
incrinati. Yoko Ono aveva già fatto irruzione nella vita di Lennon e in
poco tempo era riuscita a succhiargli il cervello con la cannuccia,
plagiandolo in maniera evidente ed imbarazzante. Tant’è vero che i
quattro si isolavano spesso in sale diverse per completare i propri
brani e al missaggio finale l’ultima parola, quella definitiva, non era
più corale ma del singolo autore. Le sessioni iniziano il 30 maggio 1968
con REVOLUTION e finiscono con JULIA il 13 ottobre dello stesso anno. Il
disco esce con l’etichetta APPLE, quella fondata dai Beatles, finora
utilizzata per altri artisti a causa del contratto che li legava alla
PARLOPHONE, anche se la prima apparizione su APPLE risale a tre mesi
prima, alla fine di agosto, quando esce nei negozi il singolo HEY JUDE.
Trenta i motivi. Genio, inventiva ed umorismo sono gli ingredienti del
disco in questione che si può anche definire un compendio di generi
musicali tanto sono variegati gli stili utilizzati per le trenta
canzoni. A partire dalla citazione a Chuck Berry che nel 1959 aveva
scritto BACK IN THE USA, i Beatles inventano BACK IN THE URSS,
un’ironica e tagliente esultanza di un gruppo musicale che rientra a
Miami dall’Unione Sovietica. Il problema è che nello stesso periodo i
carri armati sovietici stavano invadendo Praga e molte persone non
gradirono questo scherzo musicale; la John Birch Society accusò i
Beatles di fomentare il comunismo. La tensione durante le sessioni di
registrazione del brano era molto alta tanto che ad un certo punto Ringo
Starr, per una discussione con Paul su un assolo di batteria lasciò gli
studi. La canzone termina con un sibilo di aereo che si allontana e si
unisce alle note iniziali di DEAR PRUDENCE, dedicata a Prudence Farrow,
sorella di Mia Farrow, conosciuta da John sulle rive del Gange in India.
Poi c’è GLASS ONION, con frasi ermetiche nelle quali si potrebbe leggere
tra le righe la stanchezza di un rapporto di gruppo tirato avanti per
inerzia e per motivi di businness. Ma anche rivalità compositiva e
divergenze personali tra Lennon e McCartney. Nella canzone Lennon cita
altre canzoni come STRAWBERRY FIELDS FOREVER e I AM THE WALRUS (I’ve
told you about strawberry fields, you know the place where nothing is
real e I’ve told you about the walrus and me-man, the walrus was Paul).
Ma c’è anche spazio per lo scemo sulla collina (THE FOOL ON THE HILL)
I’ve told you about the fool on the hill e ancora altre citazioni come
LADY MADONNA e FIXING A HOLE. Poi c’è la garbata presa per i fondelli
del blues da classifica, di gran moda in quel 1968 grazie a personaggi
come John Mayal e i Fleetwood Mac in YER BLUES. C’è la presa in giro
della contestazione giovanile con REVOLUTION in cui dicono che se
continuerai ad agitare cartelli con sopra l’effige di Mao non riuscirai
a convincere nessuno, facendo riferimento ai maoisti e alla cruenta
rivoluzione culturale cinese che fece milioni di morti. Lennon dirà non
aspettatevi di vedermi sulle barricate a meno che non sia con un fiore
in mano. La rivista Time dedica anche un articolo alla canzone
apprezzandone la critica agli attivisti ma alcune associazioni di destra
americane trovarono nelle liriche qualcosa in più e cioè l’ammonimento a
non forzare troppo la mano altrimenti la rivoluzione maoista sarebbe
fallita. Dissero che i Beatles erano dei sovversivi col culo foderato di
sterline. Lennon era comunque molto influenzabile sulle scelte politiche
(Yoko Ono ne sa qualcosa) e cambiava parere molto spesso sottoponendosi
a continue autocritiche. C’è anche la controrisposta alla stessa con
REVOLUTION NUMBER NINE, in cui ripetono all’infinito la parola number
nine quasi a voler ricordare la monotonia con la quale i contestatori
ripetono slogan mandati a memoria. Il tutto utilizzando una composizione
in stile elettronico ricca di contrapposizioni musicali. Otto minuti di
musica d’avanguardia. Con un orecchio a Stockhausen ed un altro ad un
pubblico meno colto è comunque qualcosa di veramente atipico nel
panorama Beatles. Loro, i restanti tre Beatles non volevano nemmeno
includerlo nel disco (era una composizione di John & Yoko), un pezzo da
musica sperimentale alienante. Perché number 9? Perché in studio c’era
un nastro che serviva ai tecnici della EMI per provare l’impianto con
una voce che diceva : questa è la serie di test Emi numero 9. E poi
perché Lennon considerava il 9 il suo numero fortunato oltre che il
giorno del suo compleanno (9 ottobre). In WHY DON’T WE DO IT IN THE ROAD
c’è l’esplicito invito a fare l’amore per strada scrollandosi da dosso
tutti i tabù. Tanto, sono sicuri, nessuno ci guarderà (no one will be
watching us). Paul ha fatto tutto da solo tanto che John ci rimane male
del fatto che non aveva neanche chiesto un parere a lui e agli altri del
gruppo. Poi c’è la prima canzone scritta da Ringo, DON’T PASS ME BY in
uno stile country western abbellito da un violino bluegrass. Per chi non
lo sapesse il bluegrass è una musica per strumenti a corda. Derivata
dalle musiche inglesi, scozzesi e irlandesi, il bluegrass prende il nome
dallo stato del Kentucky, chiamato "the Bluegrass State" dove l’erba è
così scura che sembra blu e nel Kentucky nacque Bill Monroe, il creatore
di questo genere musicale. Poi c’è una canzone dal significato
controverso e comunque deleterio e vedremo il perché. Paul lesse
un’intervista in cui Pete Townshend degli Who dichiarava che con I CAN
SEE FOR MILES il gruppo (gli Who) avesse inciso la canzone più rumorosa
della storia del rock. E così i Beatles incidono una specie di hard rock
che prende il nome dallo scivolo a spirale dei luna park inglesi. Un
certo Charles Manson, una specie di hippie a capo di una setta a Los
Angeles, sentendo questa canzone si convince che i Beatles volessero
comunicare con lui svelandogli il segreto della fine del mondo. Quando
ciò sarebbe accaduto, a capo della sua banda guidata da Rocky Raccoon
(un'altra canzone dell’album), avrebbe dovuto fare strage di porcellini
(PIGGIES è ancora un altro brano del disco). Fatto sta che nel 1969 gli
hippie assaltano la casa di Roman Polanski ed uccidono tutti gli ospiti
compresa la bella moglie del regista Sharon Tate (che tra l’altro era
anche incinta) a coltellate. Dal fatto fu tratto un libro ed uno
sceneggiato tv che fu trasmesso nel 1976 e la Capitol, casa americana
che aveva la distribuzione della APPLE in Usa, decide di lanciare un
singolo con questa canzone ma per non farsi accusare di sciacallaggio la
incluse al lato B di GOT TO GET INTO MY LIFE. Non c’era nessuna
necessita di stampare un singolo nel 1976 con due canzoni vecchie di 8 e
10 anni se non quello di cavalcare la tigre. Fatto sta che il disco
raggiunse la terza posizione nelle classifiche americane: potenza dei
Beatles! Continuiamo con la recensione del disco parlando ancora di due
canzoni (sono trenta e francamente mi sembrerebbe esagerato parlare di
tutte). La prima è WHILE MY GUITAR GENTLY WEEPS e la seconda è JULIA. La
prima è senza alcun dubbio una delle più belle canzoni incise dal
gruppo, scritta in gran parte in India da George che suona anche l’organo
Hammond, e dove troviamo coinvolto anche l’amico Eric Clapton come
chitarra solista (allora militava nei Cream). George si trovava in
macchina con Clapton e gli propose di suonare con loro. La registrazione
avviene il 6 settembre 1968. Sicuramente la più bella canzone scritta da
Harrison. JULIA è una canzone di Lennon dedicata a sua madre Julia
Stanley con la quale ebbe un rapporto non facile. Lei sposò il padre di
John e dopo due anni dalla nascità del bambino si separarono; il piccolo
andò ad abitare dalla sorella di Julia, Mimi. Comunque sia Julia
influenzò molto il figlio nell’interesse per la musica ed era in grado
di suonare qualsiasi strumento. Era una madre molto risoluta e in gamba
e John l’amava. Nel 1958 morì investita da una macchina. Questa canzone
sembra quasi un rito propiziatorio: il figlio che invoca la madre in una
maniera cantilenante e alla quale chiede una benedizione per il suo
nuovo amore Yoko Ono. Le parole dicono Julia, la figlia dell’oceano mi
sta chiamando. Occhi di conchiglia, sorriso di vento mi sta chiamando.
Il riferimento a Yoko Ono e alla sua nazionalità è fin troppo evidente.
D’altronde la ruffiana aveva già cominciato ad aiutarlo alla stesura del
testo quando lui era in India, spedendogli cartoline simboliche e
scrivendogli che Julia era su una nuvola e che avrebbe dovuto cercarla
nel cielo. Yoko Ono continuava imperterrita nel suo tentativo (per
interessi personali) di plagio nei confronti di un uomo caratterialmente
molto debole. Lo coinvolge e convince a fare cose fuori dal mondo, a
proteste clamorose, ad esibizionismi inutili. A novembre esce il primo
LP di Yoko per la Apple. Disco che nessuno probabilmente le avrebbe mai
fatto incidere. Il titolo è UNFINISHED MUSIC NO.1 – TWO VIRGINS. Ma per
dargli un minimo di mercato viene coinvolto anche il suo compagno che il
28 novembre viene condannato per possesso di marijuana che lascia fuori
dai guai la stessa Ono dicendo che era solo per uso personale. Ad
ottobre difatti i poliziotti sorpresero la coppia nell’appartamento di
Ringo Starr fatti di brutto.
Un po’ di cronaca nera nel mondo dei Beatles: viene trovato impiccato
l’avvocato dei Beatles, che era uno degli uomini di legge più noti al
mondo. Aveva tre studi legali: uno a Londra, uno a New York e il terzo a
Beverly Hills, essendo lui il consulente legale dei nomi più illustri
dell’aristocrazia britannica e dello show businness anglofono. Famoso
per i suoi party che dava nella sua villa ad Holywoood o a Londra, era
un sincero amico dei quattro. Tanto che diede a Ringo Starr le chiavi di
casa quando si trattò di farlo restare lontano dai flash delle macchine
fotografiche della stampa al momento del suo matrimonio. Era implicato
nel rapimento del capo della polizia di Panama. Il suo nome era David
Jacobs ed aveva 56 anni.
Franco Say
Per la serie "le promesse mancate (ma non per colpa loro)" questa volta
tracciamo il profilo di un cantante che avrebbe sicuramente meritato di
più: Franco Say. Vero nome Franco Martelletti, è nato nel 1946 a
Lagosta, una picola provincia dalmata. Con la fine della guerra passa
sotto la giurisdizione jugoslava e sotto i macellai del maresciallo
Tito. Per non finire nelle foibe titine (un divertente gioco di società
jugoslavo dal titolo butta un italiano nelle fenditure carsiche e falla
franca per tutta la vita) i genitori
decidono di cambiare aria con una più respirabile ed arrivano a Roma. Si
fermano insieme ad altri profughi poco prima di Ostia Lido, ad Acilia.
Nasce il Villaggio Giuliano, che prende il nome dai profughi della
Venezia Giulia e con il tempo si forma una comunità a sé stante di
diecimila anime. Un giorno del 1968 Franco Say accompagna il suo amico
Amedeo Minghi alla Ricordi, dove questi militava da circa due anni.
Franco aveva già composto alcune canzoni e si era fatto le ossa
giovanissimo nel complesso di Don Marino Barreto Jr. Quel giorno doveva
essere proprio il suo giorno fortunato, quello che gli avrebbe cambiato
la vita. Un discografico lo nota e gli chiede se avesse qualcosa da
fargli sentire e se avesse potuto cantare qualcosa. Franco viene messo
sotto contratto. Ora gli serve un nome d’arte perché Martelletti non
sembra suonare bene (e poi c’è già un Martelli in circolazione). Lui
obietta che ha cominciato a fare qualcosina nei night club col nome
d’arte di Frank Martell ma questa abbreviazione che fa assumere al suo
cognome un falso suono anglofono non soddisfa molto i discografici che
propendono per Say, nome che potrebbe dire tutto o niente ma comunque
dire. Say oltre ad essere un nome sardo traduce il verbo dire in
inglese. Non si sa come è stato lanciato ma se avessero utilizzato
qualche slogan tipo: Franco Say ha molto da dirvi, acquistate il suo
disco e ve ne accorgerete o qualcosa di simile sarebbe stato carino o
almeno in linea con i lanci pubblicitari dell’epoca. La sua voce è molto
bella, ottimamente impostata, alla Tom Jones, con il vantaggio (o lo
svantaggio?) di cantare in italiano. Ora manca il disco d’esordio. Cosa
fargli cantare? La casa discografica pensa a qualcosa che si scostasse
almeno un poco dalla produzione del momento e così gli fa incidere la
versione italiana di MAC ARTHUR PARK di Richard Harris, L’AMORE VERDE.
La versione originale, su RCA, è davvero particolare: per la prima volta
in Italia sui due lati c’è la stessa canzone (parte prima e seconda) e
la durata e di oltre sette minuti. Un espediente voluto forse dalla casa
discografica che forse non sapeva cos’altro fargli cantare e non credeva
poi così tanto nel successo del disco. Anche perché far entrare un brano
di sette e passa minuti su una facciata di 45 giri non è cosa
impossibile. HEY JUDE, uscito qualche mese fa, era della stessa durata.
Il retro è un’altra cover, NON CAMBIA NIENTE, traduzione di un brano del
folk singer del momento David McWilliams. La canzone non vende così
tanto da arrivare nelle prime posizioni ma proprio per il fatto di venir
proposta da una bella voce in un brano particolare come quello cantato
dall’attore, si fa notare. Da questo momento Franco comincia ad incidere
dischi interessanti per la Ricordi. Uno di questi sarà C’E’ QUESTO SOLE
CHE, bellissima canzone che porterà senza fortuna al Disco Per l’Estate
1969. Sempre per la Ricordi, oltre ad incidere altri singoli, prenderà
parte a svariate compilation tra il 1969 e il 1970 e si fa onore nelle
versioni di alcune canzoni sanremesi che spesso interpreta molto meglio
di quanto non sia riuscito agli interpreti originali. In questo 1968
partecipa alla Caravella di Bari e alla Mostra di Musica Leggera di
Venezia, sempre con L’AMORE VERDE.
Peter Holm
Altro cantante nuovo per le classifiche italiane è lo svedese Peter
Holm, scoperto in Francia e lanciato come parente per via materna dei
reali di Svezia. La canzone che canta e che porta al successo da noi è
MONJA, di una noia assoluta: il successo di MONYA (così viene indicata
nella copertina del singolo) è europeo. Entra nelle classifiche di
Svezia, Francia, Belgio, Olanda, Danomarca, Svizzera, Germania, Austria,
Spagna etc. e sarà anche reincisa da varie orchestre. Forse adatta alle
feste natalizie e al Capodanno, riscuote un bel successo anche nella
versione dei Communicatives, un gruppo strumentale che incide per la
Durium. Peter invece incide per la casa francese Rare, consorella della
Barclay del gruppo SIF. Nel 1966 Peter si fa notare in patria col suo
complesso, The New Generation, grazie alla canzone TWO FACES. In Francia
fa una tournée con la Mathieu che gli assicura una forte popolarità.
Biondo, alto e con gli occhi azzurri, piace molto alle ragazze. In
estate (questa del 1968) lancia MONJA (con la J nel resto d’Europa) che
come abbiamo detto, sfonda un po’ ovunque. E perché non in Italia, si
saranno detti i discografici del biondo Peter? Difatti, bastano un paio
di partecipazioni televisive e Peter Holm diventa uno dei cantanti più
acquistati delle prossima feste natalizie. E questo malgrado la brutta
canzone. Peter Holm poi sposerà Joan Collins (uno dei tanti mariti) ma
questa è un’altra storia.
Gigi Rizzi
La possibilità di incidere un disco di questi tempi non la si nega a
nessuno. Tantomeno ad un tipetto come Gigi Rizzi, l’amore estivo della
Bardot, un uomo oggetto, un sedotto ed abbandonato che nonostante
questa non eccelsa fama di scaricato riesce a conquistare una pubblicità
incredibile . Dischi e film per uno che soltanto mesi prima era un
semplice playboy. La Durium, la casa discografica che l’ha scritturato,
per fargli incidere questa canzone lo paga un milione e mezzo e siccome
non è un bravo cantante, lui recita, alla stregua di un Alberto Lupo che
ha lanciato la moda dei dischi parlati. E per questo disco la Durium non
ha risparmiato mezzi. 24 violini, 4 viole, 4 violoncelli, un
contrabasso, organo e pianoforte. Un’orchestra in sala d’incisione costa
cara. Così come costano i parolieri: Giorgio Calabrese cura un testo
che all’inizio non aveva nessuna voglia di firmare. Avrebbe voluto usare
uno pseudonimo ma la Durium ci teneva molto a presentare il disco del
suo esordiente di lusso, in sala stampa, con la firma di un autore famoso
nei credits. E così fu. Per la musica si è pensato di giocare al
risparmio: ci pensa Marcello Minerbi, il capo dei Marcellos Ferial e
dirigente della casa milanese. Il disco si intitola L’ULTIMA VOLTA col
sottotitolo ruffianissimo di DEDICATO A BRIGITTE. Il testo,
naturalmente, scritto alla bisogna, è pieno di frasi gonfie di rimpianto
e di nostalgia per un amore breve e perfetto ma definitivamente perduto.
Per fortuna, le parole sono tutt’altro che banali (scritto in modo molto
discorsivo e moderno) con frasi davvero inconsuete per un disco di quel
genere, generalmente smielato all’inverosimile. La canzone vende
abbastanza sotto le feste natalizie anche perché nel frattempo Rizzi
partecipa ad un paio di trasmissioni televisive e il pubblico italiano è
curioso di conoscere dal vivo colui che ha visto per tutta l’estate
sulle pagine dei rotocalchi in coppia con una BB (come dimostrano le
foto di cui una insieme a Johnny Hallyday) in Costa Azzurra. Il
pubblico, come si vede, non è cambiato poi molto. Da Gigi Rizzi alle
sorelle Lecciso, le capacità artistiche dei personaggi citati sono
pressoché uguali. Almeno Gigi Rizzi aveva dalla sua il fatto di essersi
spupazzato Brigitte Bardot. La Lecciso, si deve invece spupazzare Al
Bano. Gliela vogliamo far prendere una rivincita a questa poveraccia
(con tutta la simpatia per Al Bano)?
Rokes
I Rokes decidono di dividersi, cosa che avverrà soltanto un anno e mezzo
dopo. Danno una conferenza stampa a bordo della Stella Oceanis, una nave
che sta compiendo una crociera alla volta degli Stati Uniti con alcuni
cantanti a bordo. Shel e Mike hanno deciso di dedicarsi ad un altro tipo
di musica, diversa rispetto al genere che fanno solitamente. E gli altri
due (Johnny e Bob) sono intenzionati a diventare uomini d’affari (cosa
che poi faranno davvero). Il primo conta di buttarsi nel campo
dell’Hi-Fi e dell’elettronica, il secondo vuole prendere in appalto
alcune stazioni di servizio sulle autostrade italiane. Però hanno
intenzione di andare a Sanremo con una canzone scritta da Ricky Gianco e
Gian Pieretti che si chiama BALLERINA. Sappiamo poi che a Sanremo ci
andranno con MA CHE FREDDO FA, nel ruolo di comprimari, perché la RCA
punterà tutto sulla nuova cantante NADA. Tanto per la cronaca diremo che
gli altri cantanti che allietano i croceristi sono tre nuove promesse
della musica italiana. Una è già conosciuta e si chiama Giuliana Valci.
Le altre due sono Rosalba Archiletti e Melissa.
Adamo
Brutta settimana per il cantante franco belga Adamo. A Poitiers, in
Francia, mentre attendeva un taxi è stato assalito da una donna che lo
ha aggredito a schiaffi per poi allontanarsi subito dopo. La motivazione
non esiste, ma durante il fermo in questura i poliziotti le contestano
il fatto che non ha pagato né l’albergo né il taxi che da Bruxelles
l’aveva portata a Poitiers. Lei si discolpa dicendo che non è venuta in
taxi bensì a cavallo di una scopa. Adamo e la sua troupe si recano al
teatro dove è previsto il concerto del cantante ma una telefonata
allerta la polizia: c’è una bomba nascosta sotto il palcoscenico. Gli
agenti irrompono in sala davanti ad uno sbigottito Adamo che viene preso
di peso e portato via (forse pensa ad una replica della mattinata).
Accertato che non c’è nessuna bomba, il cantante può procedere con lo
spettacolo. La sera dopo una telefonata anonima alla polizia avverte che
c’è una bomba nella macchina di Adamo che viene smontata accuratamente.
Poitiers non deve portare bene al cantante: difatti due anni prima aveva
avuto un incidente automobilistico con la frattura della mascella.
Scommettiamo che Adamo non ci metterà più piede?
Festa della Canzone di Natale
Esce un disco in cui cantanti di case discografiche diverse vengono
riuniti per motivi benefici. Il titolo è NOEL NOEL. I cantanti sono
quindici in tutto e per questa operazione non percepiranno alcun
compenso. La realizzazione di questo disco si inserisce in una
manifestazione musicale denominata Festa della Canzone di Natale che si
svolgerà ad Albano Laziale il 17 e 18 dicembre. I cantanti che vi
prenderanno parte sono gli stessi che hanno inciso il disco per il quale
hanno cantato canzoni legate alla tematica natalizia, con brani inediti
e non. Per fare qualche esempio l’Equipe 84 interpreta STILLE NACHT, i
Dik Dik ADESTE FIDELIS, Bobby Solo BIANCO NATALE, perfetto per il suo
timbro vocale, Rocky Roberts canta JINGLE BELLS. Il disco ha oggi un
valore di circa 40 euro non tanto di per sé ma per la partecipazione di
alcuni cantanti (come l’Equipe) che interpretano brani non inclusi nel
loro repertorio abituale e che si trovano soltanto lì. Il ricavato delle
vendite sarà utilizzato attraverso le Edizioni Paoline che si sono fatte
promotrici dell’iniziativa.
Sanremo 1969
La mattina del 9 dicembre Ezio Radaelli è insediato nella commissione
che dovrà scegliere le 24 canzoni da mandare a Sanremo 1969. Come noto,
i membri della commissione vengono scelti direttamente dalle case
discografiche e dai rappresentanti dei cantanti e sono Daniele Ionio,
Adriano Bolzoni, Filippo D’Errico, Mario Olivieri, Gigi Speroni,
Marcello Zeri e Carlo Rustichelli. Le canzoni arrivate sono ben 247. Le
hanno inviate quasi tutti i migliori nomi della musica italiana: e ci
sono Lucio Dalla, Lucio Battisti, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, Sergio
Endrigo, Gino Paoli. Di questi, l’unico ad accedere al Festival sarà il
giovane Lucio Battisti, una delle nuove leve, ancora in cerca del pezzo
che gli consentirà il boom personale. Tra i nomi che si preparano negli
studi della RCA per incidere una lacca da mandare alla commissione
troviamo il francese Alain Barriere, da qualche tempo assente dalle
classifiche italiane, Sandie Shaw, che ha inciso un provino dal titolo
L’IDOLO (con il testo di Bardotti), Bongusto che invece registra un
brano dal titolo SE RITORNASSE LUI. Poi c’è Jimmy Fontana che ha tra le
mani T’ASPETTERO’, una canzone dei fratelli Bracardi, che l’anno prima ne
avevano scritta una poco fortunata (STANOTTE SENTIRAI UNA CANZONE) ma
che si vendette bene all’estero nelle varie versioni in lingua. Anche
Caterina Caselli sarebbe intenzionata a presentarsi a Sanremo. Ha
preparato due brani, TUTTO DA RIFARE e SENZA CUORE. Poi invece canterà
IL GIOCO DELL’AMORE. La Caselli è l’unica di questa nutrita sfilza di
nomi a salire sul palco sanremese. Gli altri non avranno questa
possibilità. Anche Bruno Canfora, direttore d’orchestra a Canzonissima,
invia un motivo che non viene accettato perché risultava spedito dopo il
termine del 30 novembre. Altre vittime illustri risultano essere Peppino
Gagliardi (già reduce da tre Sanremo), Nino Ferrer, Domenico Modugno che
aveva inviato una lacca con una canzone dal titolo COME FARE SENZA TE;
il comico Franco Franchi è interprete scherzoso di un motivo
contestatario scritto da Fiorenzo Fiorentini.
Contestatori
Beh, è l’anno della contestazione e quindi è normale fare un cenno agli
ultimi episodi di umorismo involontario accaduti a Roma e a Milano. A
Milano la cosa è più seria. Difatti si cerca di turbare (riuscendovi) la
prima stagionale della Scala. Sarà la prima volta di un appuntamento che
si ripeterà ogni anno, come un’influenza stagionale, per tutto il
decennio successivo, quando ormai i frequentatori della Scala diventano
i contestatori stessi che si contesteranno da soli. L’importante è
contestare, come direbbero oggi, con uno slogan assolutamente demagogico
e retorico quale è lo sfruttatissimo senza se e senza ma. Difatti
ripeterlo è diventata una moda, tant’è vero che lo usano anche quelli
dall’altra parte, ridotti al punto di recitare a pappagallo slogan
imbecilli. Per la cronaca si dava il Don Carlos di Verdi e gli
spettatori erano stati bersaglio di uova marce e di bottigliette di
coloranti con tanto di cartelli del tipo schifosi padroni, finirà il
vostro potere. Slogan che presumibilmente cessavano di colpo quando i
ragazzi incontravano lo sguardo severo dei loro stessi genitori a cui
stavano tirando le uova. Sguardi carichi di promesse tipo facciamo i
conti a casa, mi hai rovinato il visone. A Roma, la prima del teatro
Valle è stata funestata dall’occupazione (ancora non si usava la K al
posto della c dura) di studenti ed attori che mandano in fumo la
rappresentazione della compagnia dello stabile romano. Ci doveva essere
Franca Valeri con una rappresentazione dei finti contestatori, tutti
figli di papà, mentre invece va in scena un pistolotto politico di Gian
Maria Volontè che sembra non sia gradito agli spettatori che avevano
pagato il biglietto, molto scocciati da questo cambio di programma.
L’attore viene ricoperto di insulti, così tanti da potercisi fare un bel
maxi cappotto, come vuole l’ultima moda. Il ridicolo sale quando una
signora bene, infervorata dalla protesta, perde la bussola e tenta
vanamente di dimostrarsi impegnata, giocando a fare la guerrigliera
maoista, con tanto di pellicciona e parrucca sulle ventitrè. Addirittura
vaticina di voler andare ad occupare la Cappella Sistina. Forse un
lapsus freudiano per la povera signora ormai avanti con gli anni e con
le ciglia finte scesele sulle labbra e mò di mustacchi. Per quanto si
sforzi, nessuno la prende sul serio. I contestatori stessi si trovano
spiazzati (e forse involontariamente ridicolizzati) e la povera signora,
la Che Guevara dei Parioli, se ne torna a casa con la coda fra le gambe
a guardare Pippo Baudo a Settevoci. Giusto epilogo finale.
Christian Calabrese