Settimana 17 Aprile 1971
( da Musica & Dischi )

Da questa settimana, viene riportata la quotazione attuale dei dischi che compaiono in classifica. Il prezzo segnato a margine dei titoli corrisponde a quello assunto dai dischi in condizioni ottime (non usati) nelle odierne mostre-mercato, secondo l’autorevole parere del collezionista Giancarlo Di Girolamo, che è anche uno dei più quotati commercianti del settore.

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
14 marzo 1943Lucio Dalla€ 11
2Il cuore è uno zingaroNicola Di Bari€ 10
3Che saràJosè Feliciano€ 10
4Sotto le lenzuolaAdriano Celentano€ 10
5My sweet LordGeorge Harrison€ 12
6Sing sing BarbaraLaurent€ 10
713 storia d'oggiAl Bano€ 10
8Love storyFrancis Lai€ 10
9Una donna una storiaMina€ 11
10Che saràRicchi e Poveri€ 10
11Another dayPaul McCartney€ 12
12Rose nel buioGigliola Cinquetti€ 10
13Il cuore è uno zingaroNada€ 10
14Love storyPatty Pravo€ 11
15Un fiume amaroIva Zanicchi€ 10
16Com'è dolce la seraDonatello€ 10
17Ballata di Sacco e VanzettiJoan Baez€ 10
18La folle corsaLittle Tony€ 11
19Hey tonightCreedence Clearwater Revival€ 10
20Il caffè della PeppinaMarina d'Amici€ 10

ADRIANO CELENTANO

Bufera sulla Hit Parade! A scatenarla è Adriano Celentano il quale dichiara a mezzo stampa che la suddetta trasmissione radiofonica e tutte le varie compilazioni italiane sono una truffa. È una vecchia storia che trova protagonista Celentano da sempre. Lui sostiene di vendere dalle 800 mila copie ad un milione delle sue ultime canzoni partecipanti al festival (CHI NON LAVORA NON FA L’AMORE e SOTTO LE LENZUOLA) contro meno della metà di vendite per le altre canzoni concorrenti che si ritrovano, comunque sia, sempre prima di lui in classifica. Prende in esame la canzone vincitrice del Festival del 1970, la sua, che in Hit Parade è stata al primo posto una sola settimana mentre LA PRIMA COSA BELLA è durata molto di più sulla vetta. Da qui si potrebbe desumere, secondo quello che dice Adriano, che la sua canzone abbia venduto molto poco. Invece, sempre secondo lui, la canzone di Di Bari ha venduto meno della metà di quanto abbia realizzato la sua CHI NON LAVORA, che nella realtà dei fatti ha esitato 715.000 copie, restando dieci settimane in classifica e, in verità, per due settimane (non una) al primo posto. LA PRIMA COSA BELLA nella versione di Di Bari è apparsa in Hit Parade per quindici settimane e ben otto volte al primo posto, eppure ha venduto "soltanto" 655.000 copie.
Sempre secondo Celentano le sue canzoni esauriscono le vendite in 15 giorni e raggiungono cifre considerevoli mentre alle altre per vendere bene hanno bisogno di mesi. E’ per questo che, per essere attendibile, la Hit Parade dovrebbe essere elaborata sul consultivo finale, non sulle vendite settimanali, e si dovrebbe cambiare il sistema di rilevamento. Praticamente lui vuole che sia fatta una classifica a sua immagine e somiglianza per ottenere che tutte le settimane lui risulti sistematicamente al primo posto e gli altri tutti dietro. Si può fare qualche eccezione per Claudia Mori, ma senza esagerare, però... Questo, in sintesi, è il Celentano-pensiero. In effetti entrare in Hit Parade tra le prime 5 posizioni non è molto difficile. Basta vendere anche meno di duecentomila copie. La crisi delle vendite partorisce un convegno dal sintomatico nome "Dove Vai Povero Disco?" in occasione del quale Vittorio Salvetti, l’organizzatore del FestivalBar, osserva che la crisi del singolo si riflette anche sui festival i quali, nati per lanciare il 45 giri in promozione, non rispondono più a questo scopo, vanno ridimensionati nei costi e arricchiti da nuove idee. C’è una proposta di legge presentata da Giulio Andreotti e da altri deputati del PSI, PRI E PSDI che sta suscitando polemiche. La proposta, sulle "Attività musicali popolari", vuole mettere ordine nel campo delle manifestazioni di musica leggera attribuendone le competenze al Ministero del Turismo e dello Spettacolo e promuovere la diffusione della musica popolare italiana all’estero. I vari festival (Venezia, Napoli, Sanremo) verrebbero finanziati dallo stato grazie alla Lotteria di Capodanno e gestiti dagli stessi protagonisti. Indovinate chi parte a spada tratta dicendo che "sì, è giusto così, evviva noi"? Ma Claudio Villa, naturalmente, sempre in mezzo come il prezzemolo. Naturalmente la cosa non avrà seguito.
Ma continuiamo con Adriano Celentano. La polemica tra il capo del Clan e la Rai continua ad inasprirsi. Celentano ha chiesto l’esclusione della sua canzone dalla suddetta trasmissione. La Rai ha fatto orecchie da mercante ed ha continuato a trasmetterla nel corso di Hit Parade quando è presente nella graduatoria settimanale. Ma Celentano non si è dato per vinto: ha spedito una raccomandata all’Associazione dei Fonografici Italiani (AFI) invitandola ad intervenire presso la Rai per tutelare il suo lavoro di interprete ed autore. Il pretore non ha accolto il ricorso presentato alla fine di marzo con l’imposizione celentanesca e allora lui rafforza la dose dicendo che la trasmissione è una buffonata, che queste classifiche dovrebbe compilarle la SIAE perché nessuno meglio della SIAE, con tanto di fatture in mano, è in grado di documentare gli elementi costitutivi occorrenti all’elaborazione di una reale classifica di vendita (e non ha tutti i torti in questo!). La polemica si inserisce in un momento di notevole nervosismo nel mondo della musica leggera italiana. Si vendono pochi dischi (e quando mai!) e molti produttori sono economicamente a disagio.
Celentano ha avuto un anno di transizione, il 1970, nonostante la vittoria a Sanremo (che poi non significa nulla). Una battuta d’arresto in estate con VIOLA, la canzone certamente migliore del periodo 1970-71, ma che non ha avuto la giusta accoglienza. Un disco a 33 giri per Natale, nel cui interno c’era un presepe di carta. Sulla popolarità del molleggiato comunque non ci sono dubbi. La notte di Capodanno si è esibito con un recital in un teatro popolare e l’incasso è stato al di sopra delle previsioni, mentre la gente si accalcava all’esterno del teatro. Prezzi popolari, tremila lire a biglietto contro le diecimila delle altre compagnie, compreso HAIR. Per scoprire se è ancora il Celentano che tutti ricordano si rimette in gioco e va nuovamente a Sanremo dove interpreta la sua canzone doppiato da un coro alpino. SOTTO LE LENZUOLA è senza dubbio brutta, una delle più brutte e cafone della sua carriera, con lui che non si è quasi mai visto se non una sola volta alle prove e nelle serate in cui doveva cantare. Riesce a fare pace con Ricky Gianco, lì in veste di produttore, che era uscito dal Clan sbattendo la porta 5 anni prima, ma non si pacifica con Don Backy, anche lui presente, sebbene dichiari una tregua. Durante la sua unica prova fa impallidire Ravera chiedendogli se sia il caso o no di cantare un’altra canzone. Ma è solo una boutade ad uso e consumo dei giornalisti presenti. Come abile manager di se stesso, Adriano è imbattibile. La canzone sta tutta nella storia falsa di una partita a poker con gli amici che nasconde invece una scappatella sentimentale con la migliore amica della moglie; lei perdona fino ad un certo punto quando, stufa di essere cornuta e contenta, parla al marito facendogli capire che sapeva tutto sin dall’inizio (al poker sai, non si gioca in tre e non giocare più con la mia amica – dagli occhi suoi cadeva giù un lacrimone tinto di blu). Quel lacrimone forse ce lo poteva risparmiare. La musica è quanto di peggio una sagra paesana potrebbe offrire. Una fisarmonica ossessiva e poco elegante accompagna tutta la canzone, che comunque, bisogna dire, è interpretata con ironia.
Intanto insieme alla moglie sta girando il film, ER PIU' - STORIA D’AMORE E DI COLTELLO, insieme a Vittorio Caprioli, Romolo Valli, Maurizio Arena, ambientato nella Roma di inizio novecento, quando nei rioni comandavano "i più". Celentano è "er più" del rione Ponte, Arena "er più" de Sangiovanni. Sfide, dispetti, smargiassate fino a che ci scappa il morto. Il romanesco di Celentano è ridicolo però non da fastidio per quanto assurdo sia. Un film che si riallaccia alle canzoni popolaresche di Celentano, che raccontano la vita di tutti i giorni come il film racconta la vita popolare a Roma nei primissimi anni del secolo.

I CAMALEONTI

Esclusi da Sanremo, avrebbero dovuto esibirsi portando una canzone dal titolo MESSAGGIO DA WOODSTOCK di Bigazzi e Totò Savio, che erano reduci da successi in classifica raggiunti con LADY BARBARA e VENT’ANNI. I loro ultimi dischi non sono andati molto bene. La loro recente canzone, LEI MI DARÀ UN BAMBINO, con la scusa della eccessiva durata del pezzo (circa sei minuti), la Rai l’ha trasmessa pochissimo. Però con un solo passaggio televisivo (Caravella di Successi da Bari) le vendite sono aumentate di parecchio. Per la battaglia primavera-estate si sono affidati a Bruno Lauzi e ai fratelli La Bionda, per le canzoni a UN UOMO QUALUNQUE e a IL PRIMO DEL MESE.
UN UOMO QUALUNQUE è un brano molto interessante, scritto qualche mese prima che all’autore venisse in mente di darla ai Camaleonti e alla voce solista di Tonino Cripezzi. Un’atmosfera nuova per il gruppo, sganciato dai soliti autori che per anni gli hanno confezionato successi su misura, per il novanta per cento ricavati da brani stranieri. Anche questa è una cover. È un rock lento, di gusto americano, un successo dei Moody Blues dal titolo MELANCHOLY MAN. Per la prima volta da quando stanno alla CBS non hanno fatto ricorso alla grande orchestra che li ha accompagnati in ogni precedente incisione (specie in IO PER LEI). Ora, solo loro quattro, con i loro strumenti. IL PRIMO DEL MESE è un pezzo in stile brasiliano o, se vogliamo, ricalca un po’ i successi di Riccardo Del Turco di qualche anno prima, da FIGLIO UNICO a UNO TRANQUILLO. Comunque non sarà con questo disco, seppur di notevole fattura, che potranno risollevarsi. E neppure con lo spettacolo viaggiante organizzato per loro da Celentano in concorrenza al Cantagiro, che li vedrà on the road tutta l’estate.

LOVE STORY

"Che si può dire di una ragazza morta a venticinque anni? Che era bella, simpatica. Che amava Mozart, Bach e i Beatles. E me."
Così comincia il libro di Erich Segal, che ha scritto la sceneggiatura del film in contemporanea col libro, e così parla nel film il personaggio Oliver, interpretato dal fascinoso Ryan O’Neal. Questo non è un film come tutti gli altri. LOVE STORY è stato, almeno fino all’apparire de LA FEBBRE DEL SABATO SERA, il film per antonomasia del decennio degli anni Settanta. Un po’ come lo fu il TITANIC nel 1997-98. Uno di quei film evento suo malgrado, nato come un’opera normale e diventato un must non per una precisa strategia d’azienda ma per un semplice passaparola tra il pubblico di tutto il mondo occidentale. Un libro semplice, un film semplice, un successo di proporzioni straordinarie. Ryan O’Neal diventa di colpo l’idolo di tutte le ragazze del mondo. Ali McGraw un po’ meno, forse perché non aiutata da una bellezza troppo vistosa. La sua vita, però, cambia radicalmente. Durante le riprese si sposa con Robert Evans, vicepresidente della Paramount e qualche mese dopo nasce un figlio. Ali McGraw è così sistemata per tutta la vita, economicamente. Il libro si vende qui ad una media di 250 mila copie a settimana e per un paese che ha pochi lettori, come l’Italia, è davvero un record stupefacente.
La storia è quella di due studenti, lei povera e figlia di un pasticcere italiano, lui ricco, figlio di un banchiere. Si conoscono in una libreria, poi lei va a vederlo giocare ad hockey, sport in cui Oliver (il nome del personaggio) eccelle; poi lui assiste ad un concerto d’arpa, strumento che lei suona. Si innamorano nonostante mille traversie, vivono felici con pochi soldi (il padre di lui l’ha diseredato) fino a che Jenny (il nome della McGraw nel film) si ammala di cancro e muore. Trama banale, forse. All’uscita del cinema solo poche persone escono dalla sala con gli occhi asciutti, le ragazze hanno il trucco disfatto. Tutti vittime della Love-Story-mania. Tutto molto semplice e proprio nella semplicità e nei buoni sentimenti riposa il segreto del suo successo. La riscoperta dei valori sentimentali, il desiderio inconscio di piangere e di commuoversi per cose che in quel momento sembravano fuori moda almeno quanto i film di Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson degli anni cinquanta, che la televisione italiana è subito pronta a riesumare con grandissimi ascolti. Tutto un armamentario sentimentale e sociale che il decennio in corso aveva messo in soffitta per causa della grave situazione socio-politica. Il 28 marzo, ad esempio, Mario Rossi, appartenente al gruppo di estrema sinistra XXII Ottobre, uccide a Genova un fattorino dopo una rapina all'Istituto Case Popolari. Sempre a Genova viene sequestrato Sergio Gadolla a scopo di estorsione e i banditi giustificano l’impresa come espropriazione proletaria necessaria a finanziare il gruppo estremista. Ma soprattutto per le nuove idee progressiste-illuministe degli intellettuali che contano molto (specialmente i soldi), e per i mass media per i quali il sentimento a buon mercato è da mettere all’indice come materiale da servette. Purtroppo per loro la gente se ne frega di quello che dicono. Più che le loro vuote parole ascoltano ciò che gli suggerisce l’animo. E se l’animo vuole piangere lo assecondano, abbandonandosi ad un pianto liberatore collettivo senza remore. Una specie di psicoseduta di gruppo. Questo è quello che diventa LOVE STORY. Si va al cinema sapendo che le lacrime sgorgheranno copiose e nessuno se ne vergogna perché tutti sono entrati consci di quel che succederà quando si spegneranno le luci. E un po’ per spirito emulativo, un po’ per bisogno reale si abbandonano in una sorta di relax emotivo. C’è anche chi va al cinema per ridere del film, ma questo è scontato. Quando un evento è così grande c’è subito chi lo vuole sbeffeggiare facendo esattamente l’esatto contrario. Conosco una persona che andò al cinema per curiosità e che venne buttata fuori perché dall’inizio del film fino ad una buona metà rise come un pazzo con un suo amico. A Londra tutti i giorni c’è una fila di mezzo chilometro di gente che non riesce ad entrare nel cinema e aspetta in coda lo spettacolo successivo. Il tema d’amore del film è già stato inciso ovunque da innumerevoli orchestre, cosa che sta rendendo stramiliardario il compositore Francis Lai.
Escono le t shirt con la scritta "Amare significa non dover mai dire mi dispiace", frase topica del film. In Italia addirittura ci sono tour operator che promettono ai clienti in partenza per New York di andare alla ricerca dei luoghi in cui i due protagonisti della storia si sono dati appuntamento. Il film ottiene 6 nomination all’Oscar ma non ne vince nemmeno uno. I due protagonisti sono nominati entrambi ma nella categoria di migliore attore; il 17 aprile 1971, vince George G. Scott che interpreta il generale Patton e nella categoria "migliore attrice" Glenda Jackson per il film WOMEN IN LOVE. Ma Love Story trionfa (e come poteva essere altrimenti?) in quella della migliore colonna sonora originale.

PATTY PRAVO

Anche in Italia c’è chi si affretta ad incidere il tema principale di LOVE STORY. Nella versione cantata, chi ottiene i maggiori consensi sono Johnny Dorelli e Patty Pravo, che la canteranno anche tenendosi per mano in una puntata di SENZA RETE. C’è anche una versione particolare di LOVE STORY, quella di Alberto Lupo, che con la consueta impostazione da attore di teatro recita la canzone creando un’atmosfera fin troppo caramellosa. Il disco di Patty, naturalmente, è quello che vende di più. Il cambiamento di casa discografica è la novità più grossa. La Phonogram l’accoglie a braccia aperte dopo la rottura con la RCA, la casa che l’ha vista nascere artisticamente e portata ai massimi livelli. Uno dei motivi del divorzio, che era nell’aria già da un pezzo, si è manifestato durante Canzonissima. Non era convinta della propria partecipazione, alla quale la RCA non voleva rinunciare. Non aveva una canzone pronta ed allora si sofferma su IO L’HO FATTO PER AMORE, la versione italiana di I’VE LOST YOU di Presley ma quelli della RCA le dicono che questa canzone le era stata portata via da sotto gli occhi proprio da Nada, altra artista legata alla casa discografica romana, bisognosa di un rilancio. Al che lei si arrabbia furiosamente ma accetta di partecipare ugualmente e la scelta delle canzoni di certo non è inferiore: NON ANDARE VIA e TUTT’AL PIÙ che rivelano una nuova Patty Pravo. Il contratto che la lega alla casa le è fruttato 80 milioni di ingaggio più il sette per cento delle vendite dei dischi. Il primo singolo della nuova gestione è LOVE STORY, il primo album è il bellissimo DI VERO IN FONDO, titolo tratto dalla canzone contenuta, scritta per lei da Gino Paoli.
In questo periodo sta recitando nello sceneggiato televisivo A COME ANDROMEDA. E’ il titolo di un romanzo di due autori inglesi, Fred Hoyle e John Elliot uscito in Italia nel 1965. Hoyle è un famosissimo astronomo e matematico ed Elliot un altrettanto famoso scrittore di romanzi di fantascienza. Dal loro lavoro era stato ricavato uno sceneggiato per la televisione inglese che ebbe molto successo ed aveva come protagonista la allora poco nota Julie Christie. Patty comincia a recitare ma dopo un po’ abbandona il set e viene sostituita da Nicoletta Rizzi. L’addetto stampa della Phonogram insiste nel sostenere, presentando vari certificati medici, l’impossibilità della cantante a continuare il lavoro. Naturalmente il regista e la produzione, a parte i soldi che dovranno spendere per girare nuovamente le scene interpretate in precedenza da Patty e il tempo perso, non hanno nulla da rimproverare alla cantante che ci teneva molto a questo esordio sullo schermo in veste di attrice. Avrebbe dovuto lavorare anche a IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI di De Sica ma poi il regista le preferì Dominique Sanda. Si vede che la carriera di attrice cinematografica o televisiva non fa per la Pravo. Vittorio Cottafavi, il regista aveva scelto la cantante veneziana dopo mille ripensamenti, preferendola ad attrici già collaudate. L’ha fatto dopo averla sottoposta ad un provino durante il quale l’ha impressionato per la freddezza e il magnetismo quasi ipnotizzante che sprigionava il suo sguardo mentre recitava la parte di Andromeda, la donna generata dal nulla, strumento di distruzione comandato a distanza da una potenza extraterrestre. Sceneggiato diventato un cult come è accaduto per IL SEGNO DEL COMANDO, strano caso girato nello stesso identico periodo sullo sfondo della Roma postmedievale. Nel cast c’erano anche Paola Pitagora e Luigi Vannucchi.

EQUIPE 84

La scelta dell’accoppiamento a Lucio Dalla, per il festival, non è stata certo facile. Troppo personale e leggermente irriverente il motivo dei vari "no, grazie". E forse la sicurezza di racimolare, alla fine, molto meno di quello che avrebbe fatto l’autore del pezzo in questione, che di fatto è primo in classifica. Infine gli Equipe 84 la spuntano e forse non si sarebbe potuta fare una scelta migliore (ma probabilmente gli stessi Dik Dik e Nicola Di Bari, con quella faccia da reietto, avrebbero ben figurato tra tutti gli interpreti presenti a Sanremo). L’Equipe ha bisogno di farsi vedere, rimasta un po’ indietro dopo l’ondata del nuovi complessi che hanno relegato in un angolo gli interpreti storici del beat italiano. Alfio Cantarella non è più nel gruppo al momento. Tra il problema della droga e la televisione, che preferisce non farlo apparire in video, si opta per un altro batterista. Poi se ne è andato anche Franco Ceccarelli che ha messo su un negozio con uno strano nome, IL CAMMINO MISTICO, dopo un lungo viaggio in oriente, folgorato sulla via di Damasco. E forse non solo. Sono rimasti soltanto Victor e Maurizio, che nel frattempo alterna l’attività di cantante a quella di produttore e arrangiatore per i Dik Dik e anche per Donatello, nuovo astro della Ricordi e della musica leggera pop melodica. A Sanremo si presenta Franz Di Cioccio, in prestito dalla PFM alla batteria e Dario Baldan Bembo alle tastiere. Il risultato finale è più che buono nonostante che la ritmica nel pezzo in questione sia pressoché inesistente e quindi il complesso non possa far vedere e sentire niente di proprio per non stravolgere una canzone che deve necessariamente rimanere com’è per riuscire al meglio. Nonostante ciò la loro versione di 4 MARZO 1943 riesce a fare capolino tra i primi venti classificati nelle hit parade dei vari giornali, schiacciata però dal peso mostruoso della versione del papà naturale. Una Equipe comunque alla ricerca di suoni nuovi e di formule musicali inedite, capitanata da un Vandelli in grande spolvero che ormai sa fare di tutto, facendolo anche molto bene. Sul retro, PADRE E FIGLIO, di minore presa ma di egregia qualità.

JOSÈ FELICIANO

Fino ad ora Feliciano non è che abbia avuto grossi risultati commerciali in Italia. La versione sudamericana di LIGHT MY FIRE dei Doors nel 1968 era stata l’unico picco della carriera italiana del bravissimo chitarrista portoricano residente negli States. Poi c’era stata una canzone in lingua italiana inclusa anche in un LP di Morandi (CHI TI ADORAVA SE NE VA) ma non ha avuto un esito molto fortunato e nel 1969 una favolosa RAIN, diventata in Italia NEL GIARDINO DELL’AMORE cantata da Patty Pravo. Nato nel 1945 a Portorico da padre indio e madre ispanica ed emigrato a New York aveva tutti i presupposti per crescere come un emarginato anche nella sua stessa comunità. Cieco dalla nascita ma con una spiccatissima sensibilità musicale comincia a suonare la chitarra sebbene la sua prima esibizione in pubblico sia stata con una fisarmonica nel corso di uno spettacolino in un piccolo teatro nell’Harlem spagnola. Una cosa squallidissima. Il bambino cieco e la sua fisarmonica. Cresce povero e senza grosse amicizie a causa della sua condizione. La sua menomazione gli impediva di legare con gli altri, la grande metropoli lo spaventava. Era intrattabile, insultava tutti per farsi insultare e sentirsi come uno di loro. Riesce a racimolare dieci dollari per acquistare una chitarra che ancora tiene in vista nella sua casa come una preziosa reliquia. Passa poi a tutti gli altri strumenti, dall’organo all’arpa, al banjo alla conga brasiliana e al quarto, strumento a corda portoricano a dieci corde. Quando la RCA americana lo scrittura i giornali parlano di lui in termini entusiastici. Le sue dieci dita stregate che stimolano le corde della chitarra fanno dimenticare a Josè tutta la malinconia del suo essere straniero tra gli stranieri, solo e senza la possibilità di vedere perfino la moglie Hilda, una mulatta che sposa diciottenne quando ancora era molto povero. Una donna che non si attira la simpatia dei presenti, compresi i giornalisti, e dei cantanti. Tratta male i presenti e in certi momenti pianta tutto in asso trascinando con sé il marito perplesso e sconcertato. Qualche mese prima a Las Vegas, durante la preparazione di uno spettacolo, Frank Sinatra esasperato dalle polemiche e dalle interruzioni create da questa donna l’aveva spinta contro il muro e, fissandola duro negli occhi, le disse che se non l’avesse piantata l’avrebbe rispedita a Portorico a calci nel sedere. Hilda sparì dalla circolazione per tutta la durata dello spettacolo. Feliciano invece ha un carattere allegro. Scherza di continuo sulla sua cecità lasciando in leggero imbarazzo i presenti che non sanno se ridere o meno. In Olanda aveva fatto fuoco e fiamme perché voleva guidare la macchina e riesce a convincere un dirigente della RCA olandese a fungere da radar vivente. Questo sensibilissimo musicista, che si accorge delle luci in sala soltanto avvertendone il calore sulla pelle, è davvero una persona felice e grata alla vita. "The happy one" lo chiamano in America, felice di quello che Dio gli ha riservato e nonostante la sfortuna si ritiene un uomo fortunato come a volte pensano gli individui seri portatori di handicap. In più è forte in lui il senso di religiosità di cui molti sudamericani godono. A Sanremo ogni volta che sale sul palco aiutato dalla moglie lo accoglie un’ovazione scrosciante e si accaparra sempre il punteggio più alto della serata. Un po’ perché la sua cecità fa tenerezza ma soprattutto perché la sua versione di CHE SARÀ, bella canzone di Jimmy Fontana (e adesso ancora più bella di prima) è eccellente tanto che sembra sia una sua propria composizione. È riuscito a calare nella canzone una struggente nostalgia che lo rende più credibile della versione dei pur bravi Ricchi e Poveri che la interpretano in maniera sicuramente diversa, da grande complesso vocale quale sono. Non vuole la pietà della gente ma l’applauso se è meritato, assicurando di vedere tante cose più degli altri. Si è seccato molto quando ha saputo che le telecamere avevano indugiato a lungo su di lui che, sceso dallo sgabello, si allontanava dal microfono con passo incerto accompagnato dalla moglie. Il costo sostenuto per venire in Italia è stato di cinquanta mila dollari più le spese del viaggio e soggiorno per lui, la moglie e tre persone del suo entourage. Una piccola rivincita: nel 1968 aveva chiesto lui stesso di poter partecipare al festival ma non lo hanno voluto preferendogli Paul Anka, un cantante in declino che ottenne comunque un ingaggio consistente. Un addio al paese che è disteso come un vecchio addormentato in cui la noia e l’abbandono sono visti come una malattia e per questo motivo il protagonista, sebbene con il pianto nel cuore abbandona i luoghi che lo hanno visto nascere e crescere. Una tipica melodia italiana, di quelle belle che già all’epoca non si facevano quasi più. Nonostante una strizzatine d’occhio a LET IT BE dei Beatles.

SERGIO MENEGALE

Come qualche volta accade, anche questa volta tracciamo il profilo di un personaggio minore della musica italiana. In questo caso si tratta di Sergio Menegale, un cantautore venticinquenne un po’ atipico. Tutte la mattine lui inforca il motorino e va a portare la posta nelle abitazioni. Il pomeriggio, quando stacca, va alla CBS come appartenente alla scuderia della casa discografica. Il suo grande momento lo vive durante i giorni del festival quando, a causa del suo doppio lavoro, la stampa nazionale si accorge di lui. IL SORRISO, IL PARADISO è la canzone che canta e che sceglie di interpretare il gruppo dei belgi dei Wallace Collection, che fanno capo al violino di Raymond Vincent e che sono bravissimi. Menegale ha debuttato al Cantagiro del 1970, nel girone B, con la canzone ODIO E AMO ma a parte un certo interesse della stampa per i motivi di cui sopra non era successo altro. Eppure la canzone non era malaccio. Come malaccio non è neanche IL SORRISO,IL PARADISO, molto buona in entrambe le versioni. Come tutti i ragazzini ha cominciato a suonare la chitarra movimentando un po’ le festicciole scolastiche in cui c’è sempre presente qualche professore e i ragazzi non sanno mai come comportarsi di preciso. Quindi niente di nuovo sotto il sole. Incontra poi Cesare Montalbetti, fratello di uno dei Dik Dik e le cose cominciano ad ingranare. La sua canzone, che non entra nelle classifiche se non nei posti più bassi, è una dichiarazione d’amore secondo i dettami della moda d’allora, in linea con il modello Lucio Battisti. Un amore dichiarato in maniera non convenzionale e la sua voce adolescenziale, nonostante i venticinque anni, appare gradevole. I Wallace Collection fanno della canzone una cosa tutta personale, donandogli un sound molto particolare, lo stesso suono con il quale il gruppo belga è arrivato al successo. Anche il retro del singolo di Menagale, LE ALI CON LE PIUME non è da buttare via. Peccato che il ragazzo non abbia avuto qualche chance in più come cantante. È invece rimasto nel giro come autore di canzoni.

MASSIMO RANIERI, Gigi Riva, Nino Manfredi, Christian Barnard. La cosa che accomuna questi quattro personaggi è che insieme hanno vinto il premio popolarità indetto da Radio Montecarlo. I quattro nomi sono stati designati da un vastissimo pubblico di radioascoltatori (circa 11 milioni) attraverso il solito sistema voto-cartolina. Massimo Ranieri è risultato primo nella categoria dei cantanti. Ha battuto di stretta misura Mina e Morandi. Al quinto Battisti che consolida sempre più la sua posizione di numero uno tra i giovani. Può far sensazione semmai l’ottavo posto di Feliciano, beneficiato dall’effetto Sanremo. Se questo referendum fosse stato indetto soltanto quattro mesi prima il bravo Feliciano non si sarebbe classificato nemmeno tra i primi mille. E l’anno successivo, chi lo rivolterebbe? La stessa Nada, che aveva passato un anno in sordina, deve il suo posto tra i primi dieci alla vittoria sanremese. Lo stesso Ranieri (sebbene il discorso per lui è ben diverso) ha beneficiato della popolarità derivatagli dalla vittoria all’ultima Canzonissima e in tutto il 1970, anno nel corso del quale si è rivelato al grosso pubblico non solo come cantante ma anche come ottimo attore. Stesso discorso per Lucio Battisti, altro trionfatore del 1970. Ma ecco la sequenza dei primi dieci classificati:
1) Massimo Ranieri
2) Mina
3) Gianni Morandi
4) Adriano Cementano
5) Lucio Battisti
6) Charles Aznavour
7) Nada
8) Jose Feliciano
9) Tom Jones
10) Frank Sinatra

Massimo è il rappresentante per l’Italia all’Eurofestival al quale partecipa come vincitore di Canzonissima. Parte per Dublino con 13 accompagnatori, tutto lo staff che ruota intorno a lui e in più Piero Sugar e sua moglie Caterina Caselli. Della banda fa parte anche Giannini, il responsabile della sezione estera della CGC-CBS, che farà un buon lavoro riuscendo a far entrare nella classifiche tedesche, spagnole, svizzere e francesi la canzone L’AMORE È UN ATTIMO che Massimo presenta in quel di Dublino. Canzone che ricorre ad arte a tutti i sobbalzi armonici e vocali atti a strappare l’applauso mondiale (l’Eurofestival è in realtà in collegamento mondiale). La canzone è costruita sulla falsariga dei precedenti successi, a metà tra SOGNO D’AMORE e VENT’ANNI e racconta nel testo un addio scritto per lettera, giustificando che il tutto con "mai, dicevi nascerà, chi dividerci potrà, l’amore è un attimo, però la vita è un vento forte più di noi". Avanti un’altra, quindi. Per quanto riguarda i paesi di lingua spagnola, Sudamerica compreso, il disco viene acquistato a scatola chiusa, forte dell’interprete che è molto popolare tra il pubblico latino. In USA il disco, forse con un po’ di presunzione, uscirà il giorno stesso della prima mondiale del film IL FARO IN CAPO AL MONDO, che lo stesso Massimo interpreta insieme a Kirk Douglas e Yul Brinner. In Francia il disco andrà benissimo e salirà in alto nella classifiche così come in Spagna dove verrà tradotto con il titolo "Perdon, carino mio". In Italia? In Italia non avrà picchi da vertigine. Per un personaggio vincente quale è lui, il fatto che non vinca come accade negli ultimi tempi, stona un po’ e lui ne esce ridimensionato. Se la vittoria gli avesse arriso lo troveremmo sicuramente al primo posto per un mese e più. Invece Massimo si dovrà accontentare di vegetare tra il quinto e il quindicesimo posto per parecchio tempo. Difatti la sua canzone reggerà fino a luglio. Per completare l’operazione a scala mondiale, Giannini e i suoi collaboratori hanno combinato un gemellaggio con il Principato di Monaco governato da... Ranieri, facendo incontrare Massimo con Severine che rappresenta i colori monegaschi. Severine vincerà e avrà un grandissimo riscontro europeo con la sua UN BANC, UN ARBRE, UNE RUE, entrando nelle classifica di tutta Europa o quasi e incidendo la versione italiana per il nostro paese che naturalmente, questa volta non per demerito, la snobba clamorosamente. Il successo arride anche a Clodagh Rodgers, un inglese che interpreta JACK IN THE BOX, e alla lussemburghese Monique Melsn che canta POMME POMME POMME. Diamo un’occhiata ai partecipanti italiani meglio piazzati dal 1957 al 1971 e alle loro classificazioni finali.
1957) Nunzio Gallo / Corde della mia chitarra (6° posto)
1958) Domenica Modugno / Nel blu dipinto di blu (4° posto)
1959) Domenico Modugno / Piove (6° posto)
1960) Renato Rascel / Romantica (12° posto)
1961) Betty Curtis / Aldilà (5° posto)
1962) Claudio Villa / Addio addio (9° posto)
1963) Emilio Pericoli / Una per tutte (3° posto)
1964) Gigliola Cinquetti / Non ho l’età (1° posto)
1965) Bobby Solo / Se piangi se ridi (5° posto)
1966) Domenico Modugno / Dio come ti amo (17° posto)
1967) Claudio Villa / Non andare più lontano (11° posto)
1968) Sergio Endrigo / Marianne (9° posto)
1969) Iva Zanicchi / Due grosse lacrime bianche (13° posto)
1970) Gianni Morandi / Occhi di ragazza (5° posto)
1971) Massimo Ranieri / L’amore è un attimo (5° posto)

Fino al 1966 i cantanti presentavano la stessa canzone con la quale (in coppia) avevano vinto Sanremo. Dall’anno successivo in poi, con una canzone inedita. Dal 1970 invece non partecipa più il vincitore di Sanremo ma quello di Canzonissima. Il motivo è che a Sanremo si vince in due ma all’Eurofestival c’è posto solo per uno. Quindi, per non far dispiacere a nessuno si risolve in questo modo. Il punteggio più basso in assoluto lo ha avuto Modugno nel 1966 che non riuscì a farsi votare da nessuno. Come per ogni cantante italiano le probabilità di vittoria sono molto scarse. Il motivo principe è che si creano dei preventivi accordi tra le varie reti televisive e vengono favorite quelle che sono disposte ad ospitare il festival. L’Italia, che non ha nessuna voglia di organizzarlo per i costi enormi (non se lo è mai filato nessuno qui da noi) viene esclusa in partenza. Nel 1969 per esempio, prima ancora che cominciasse, si sapeva in partenza che Inghilterra, Spagna ed Olanda avevano concordato di votarsi a vicenda.

NICOLA DI BARI

Il cantante vincitore, insieme a Nada, dell’ultimo Sanremo con IL CUORE E' UNO ZINGARO è noto per il suo buon cuore. Avendo toccato con mano la sofferenza di chi non ce la fa a tirare avanti, non si tira indietro quando si tratta di aiutare gli sfortunati. Questa storia è molto patetica e simboleggia un po’ quello che hanno sempre passato i circhi in Italia che, sebbene siano in qualche modo sovvenzionati dallo stato, non versano di certo in buone acque. Un piccolo circo fatto di piccola gente legata da vincoli d’affetto e di parentela quello del circo di Walter Cristiani che si accampa nella periferia milanese facendo degli spettacoli per pochi paganti. Intanto gli animali muoiono di freddo e di stenti mentre le macchine degli eventuali spettatori sfrecciano lambendo il tendone ma senza soffermarsi a pensare a come sopravvivano i componenti, in tutto 35, compresi 14 bambini. Il freddo milanese è la goccia che fa traboccare il vaso. Piste ghiacciate, neve e tendone danneggiato. Le gabbie dei leoni ricoperte di ghiaccio. Spettatori zero. Ed è qui che entra nella storia Nicola di Bari il quale incuriosito da quel circo che è vicino a dove abita (San Maurizio al Lambro) e che vede ogni giorno in condizioni così malmesse. Si sofferma e chiede informazioni. Saputo il problema propone al titolare di dare un concerto nel circo e tutto l’incasso verrà devoluto a favore dello stesso. La gente accorre numerosa e per qualche giorno il circo prende fiato.

LAURENT

Due apparizioni televisive e il bombardamento quotidiano ad Alto Gradimento hanno portato Laurent in classifica facendogli toccare persino la prima posizione. SING SING BARBARA nasce vecchia, con un arrangiamento che sembra stato scritto perlomeno due anni prima, ma nonostante tutto ottiene un grandissimo successo in tutta Europa. SING SING BARBARA gioca sul doppio senso del verbo to sing, cantare, e il nome del carcere di Sing Sing. La storia di un condannato alla sedia elettrica che sente avvicinare i poliziotti che lo porteranno sul luogo dell’esecuzione e intanto scrive un’ultima lettera alla sua ragazza, Barbara. Per lanciare la canzone si è pensato di acquistare centinaia di manette, perfettamente uguali a quelle usate a Sing Sing, per spedirle ai programmisti radiofonici e ai disc jockey di tutta europa. Poi Laurent si fa fotografare davanti alle carceri di diverse città con i polsi ammanettati e l’aria afflitta. Un giochetto che ha ripetuto anche a Milano. Lui non è un novellino, canta da parecchi anni, ha avuto canzoni piazzate molto bene nelle classifiche francesi alla fine degli anni sessanta una sua canzone è arrivata anche in Italia con il titolo LA REGINA DI SABA, versione italiana di un suo successo d’oltralpe, LA REINE DE SABA. Responsabili della base orchestrale di SING SING BARBARA sono i Mardi Gras reduci dal successo internazionale di GIRL, I’VE GOT NEWS FOR YOU, in classifica in Italia alla fine del 1970. Sul lato B invece una composizione tipicamente francese (ma noiosa) dal titolo LE TEMPLE BLUE già edita in precedenza.

IVA ZANICCHI

UN FIUME AMARO è ancora in classifica dopo 4 mesi e sembra non abbia intenzione di mollare la presa. Ma a Iva non tutte le cose sembrano girare per il verso giusto. A Torino, durante un’esibizione in un locale chiamato Le Roi un ammiratore ha cominciato a molestarla. Mentre la cantante si dedicava a presentare al pubblico brani tratti dal suo LP CARO THEODORAKIS, un ometto fra gli astanti agitava le mani in maniera esuberante. Sembrava tutto tranquillo ma ad un certo punto l’uomo, un meridionale partito dal sud anni prima, trasformava la sua esuberanza in esaltazione incontrollata. Voce, mani e corpo invocavano la cantante che faceva finta di niente avendo capito il soggetto che aveva di fronte. Le insistenze si facevano sempre più pesanti e volgari fino al punto di salire sul palco e strapparle l’orlo del vestito. Il servizio di sicurezza interviene subito rendendo inoffensivo l’uomo che era armato di un lungo coltello e in evidente stato di confusione mentale. La Zanicchi rimane colpita dal furore che gli leggeva nello sguardo.

RAFFAELLA CARRÀ

Era dal sei gennaio che Raffa non si fa vedere in giro e soprattutto in tv. Tre mesi buoni, quindi. Ha avuto un'offerta per girare un film dal titolo MA CHE MUSICA MAESTRO ma ha declinato l’invito e ha fatto bene. Dopo una buona prova la gente ti aspetta al varco e devi dargli qualcosa di più, non di certo un filmetto scontato, tra l’altro proprio adesso che è finita l’era dei film tratti da canzoni di successo come accadeva negli anni sessanta. Rieccola apparire a Teatro Dieci, il superspettacolo condotto da Alberto Lupo. Ormai convinta che cantare sia meno faticoso che ballare (entrare in Hit Parade non ti fa sentire le gambe a pezzi dopo dieci ore di prove), Raffaella vuole fare un omaggio pasquale a tutti i bambini che tanto hanno contribuito a farle guadagnare bei soldini acquistando MA CHE MUSICA MAESTRO. Riprende in italiano una canzone africana dei Kingston Karaki, che in copertina del disco aveva una bellissima Zeudi Araya ancora sconosciuta, dal titolo ermetico DUM DUM DUM e zac! eccola diventare DU DU LA LA. Sul retro ci mette una canzone per le festicciole dei più grandicelli, adatta per ballare, dal titolo CHISSÀ CHI SEI, con la quale si diverte a fare la spiritosa dicendo al ragazzo di turno di fare meno il gasato; poi riprende una frase famosa (con la stessa intonazione dell’originale) di Mike Buongiorno ogni giovedì, cioè "c’è un rischiooooo", detta al Rischiatutto quando un concorrente sceglie una tabella nel cartellone che contiene il Rischio, per l’appunto. Anche questa canzone è una cover. Del brano dei Steppenwolf SOOKIE SOOKIE che ha già qualche anno alle spalle. L’arrangiamento per le discoteche, tipicamente primi anni settanta, lo rende molto attuale e nel contesto, pur non essendo una grande prova canora, è un disco simpatico che accontenta i bambini dai 2 agli otto anni, da un lato, e quelli in età da scuola media dall’altro. Non sarà un boom di vendite come per la sigla di Canzonissima ma è anche normale. Quella è stata 15 settimane in tv, nella maggiore fascia d’ascolto, nella trasmissione più vista dagli italiani. Impossibile il paragone. DU DU LA LA diventa comunque il leit motiv di una serie di caroselli (cinque in tutto) che Raffaella gira per i punti di ristoro dell’Agip Big Bon. I caroselli li gira con la regia di Richard Lester, il famoso cineasta inglese che ha diretto i Beatles nel film TUTTI PER UNO (A HARD DAY’S NIGHT). Intanto esce il suo primo LP, una raccolta di successi e di motivi non originali presentati durante la trasmissione della lotteria Italia.

MC GUINNESS & FLINT

WHEN I’M DEAD AND GONE, cioè "quando sarò morto e dimenticato". È il titolo di una canzone che oltre ad essere in classifica in UK è trasmessa a spron battuto da programmi quali ALTO GRADIMENTO, PER VOI GIOVANI e SU DI GIRI. In questi giorni la troviamo al primo posto della classifica americana e questo successo prende un po’ in contropiede Tom McGuinness, una volta componente del gruppo dei Manfred Mann ed ora capo dei McGuinness Flint. Dei morigerati (eccetto che nel whisky) scozzesi in testa alle classifiche oltre oceano non è cosa da tutti i giorni, se si escludono i Faces e Rod Stewart. La loro idea era quella di curare il mercato del trentatrè ma la Capitol, loro casa discografica, per sondare il terreno butta fuori il singolo d’esordio che riscuote un notevolissimo successo ovunque, come si è già detto. In Inghilterra in due mesi vende 400 mila copie. Quando il disco cominciò a vendere a tutto spiano rimasero stupefatti dall’accoglienza così calorosa. Non era un disco nato per diventare un best seller ma un semplice singolo per preparare il terreno all’album. Un piacevole sound, una voce sporca, un disco che in certi versi si rifà al filone iniziato dai Mungo Jerry. E naturalmente è vendutissimo. La gente si aspetta un repertorio similare a quello del singolo ma in realtà i McGuinness Flint non sono solo quelli del fortunatissimo 45 giri. Come accade per gli Alan Price Set, la loro musica può accontentare chiunque, per la grossa varietà di sonorità ed arrangiamenti, sebbene le loro origini scozzesi si sentano eccome. Dai Beatles prendono moltissimo, almeno quattro brani del loro album (compreso il singolo d’esordio) sembrano usciti da Abbey Road. Poi c’è lo shuffle alla Mungo Jerry, il dixieland alla defunta New Vaudeville Band, un po’ di costa californiana e il Nashville sound. Il disco non entrò nelle classifiche italiane ma raggiunse la nona posizione in UK e la 155 in USA. Un secondo singolo, MALT AND BARLEY BLUES raggiunse in quel 1971 un buonissimo quarto posto in Inghilterra. Non era band da concerti dal vivo. Difatti le loro esibizioni si sono potute contare sulla punta di una mano. Il loro declino cominciò quando i compositori Gallagher e Lyle abbandonarono il gruppo iniziando una carriera da solisti. La band si sciolse definitivamente nel febbraio del 1975 quando Flint fu ricoverato per un collasso. Peccato che il loro singolo d’esordio, almeno in Italia, suoni un po’ come una maledizione: morti e dimenticati. E cosi sia.

SCARPANTIBUS

C’era una volta Scarpantibus, uno strano uccello quasi implume che calza grosse scarpe senza lacci, che fa continui versacci per radio imbarazzando (per finta) i conduttori di una trasmissione radiofonica, ALTO GRADIMENTO, che rispondono ai nomi di Arbore e Boncompagni, ancora insieme dopo i fasti di BANDIERA GIALLA. Una specie di helzapoppin’ musicale dove tra un pezzo e l’altro si alternano strani personaggi a cui prestano la voce Mario Marengo e Giorgio Bracardi e delle volte anche Noschese e Raffaella Carrà, compagna di Boncompagni. Sono naturalmente tutti personaggi molto strani, sopra le righe, surreali. Da Buttiglione a Max Vinella, dall'urlatore folle Patroclo al fascistone Ermanno Catenacci per arrivare a Scarpantibus. ALTO GRADIMENTO grazie a queste trovatine riesce ad avere un indice di gradimento che è pari a quello del RISCHIATUTTO e di HIT PARADE, due trasmissioni inattaccabili. Una trasmissione ricca di trovate senza un vero copione, tutta improntata sulla pazzia degli ospiti. E Bracardi non è secondo a nessuno in questo. Si è provato a presentare il personaggio Scarpantibus al pubblico durante una delle ultime puntate di Canzonissima, ma naturalmente non si è fatto vedere lanciando tutto quello che gli passava per le mani da dietro un separè, compresi i suoi scarponi e tanta, ma tanta carta igienica. Cosa che mise in allarme i funzionari Rai vedendo il palco della finalissima invaso da rotoli di carta igienica come a voler significare che Canzonissima fosse una trasmissione di... Bracardi ha partorito Scarpantibus una sera a Copenaghen. Fu come una visione. Lo vide materializzarsi nel cielo della capitale scandinava e forse è stata l’unica volta che questo uccellaccio ha volato. Un giorno Arbore gli chiese se per caso avesse avuto sentore di un certo uccellaccio che racconta strane storie e che si comporta in maniera poco convenzionale per essere un uccello. Se sì che lo portasse di corsa a Via Asiago. Fu un successo strepitoso con bambini che telefonavano in trasmissione chiedendo casa facesse Scarpantibus quando non era presente. E mandando migliaia di disegni in cui cercavano di immaginarsi le fattezze dell’uccellaccio. Il successo imprevisto ed enorme portò la RCA ad acquistarne i diritti e impose il silenzio sul personaggio al di fuori della trasmissione. Nessuno doveva disegnarlo, parlarne e dargli la voce all’infuori del suo creatore. Dopo un anno di mistero avrebbe immesso sul mercato un disco con la voce di Bracardi che in copertina raffigurava il volatile. A questo punto, Arbore e Boncompagni chiamarono Jacovitti chiedendogli di dare un volto a Scarpantibus. Iniziativa che non sarebbe piaciuta affatto a Bracardi il quale voleva una percentuale molto alta sugli incassi derivanti dal lancio di Scarpantibus. Bracardi cominciò a strafare, volendo imporlo a tutti i costi sotto forma di fumetto (uscirono pochissimi numeri di un mensile, pupazzi, poster e vari gadget). La cosa non piacque ad Arbore e Boncompagni che decisero di eliminarlo temporaneamente dalla trasmissione. E per almeno tre settimane Bracardi abbandonò la sua postazione davanti al microfono. L’indice di gradimento da ALTO che era scese in picchiata tanto che dovettero correre ai ripari chiamandolo di corsa e dicendo che lo avevano trovato in letargo in Nicaragua, la sua patria. Lo avevano svegliato immediatamente ma Scarpantibus fu intrattabile per parecchie settimane, dicendo male di tutti. E da qui il proverbio "mai svegliare lo Scarpantibus che dorme"!

GIANNI MORANDI

Ovvero quando si dice la jella! Tutte le volte che Morandi sente annunciare IL CUORE È UNO ZINGARO in Hit Parade vorrebbe sbattere la testa contro il muro. Non si contano le volte in cui Migliacci era andato da lui per convincerlo a partecipare a Sanremo e risollevare un po’ le sue quotazioni sul mercato proprio con quella canzone. Nel 1969 la sua casa discografica gli aveva proposto di portare al festival ZINGARA che i suoi amici Riccardi ed Alberelli avevano scritto appositamente per lui e che lui aveva accettato come autore di edizioni e nella quale lui stesso mise le mani. Poi la lasciò a Bobby Solo che naturalmente vinse. Nel 1970 Nicola Di Bari andò a casa sua in ginocchio cercando di convincerlo a cantare in coppia una canzone a cui credeva molto e che sarebbe stata per Nicola l’ultimo tram per riuscire a dare una svolta ad una carriera rimasta sempre involuta. Anche la casa discografica cercò di convincerlo: niente da fare. La canzone era LA PRIMA COSA BELLA e sappiamo bene come andò a finire. Ma la sfortuna non si ferma al festival. Nel 1969 Giuliano Iliaci era il chitarrista neanche ventenne di Morandi. Aveva i capelli corti e si vestiva in maniera elegante. Però scriveva già i primi pezzi e avrebbe voluto che fosse lo stesso Morandi a fargli da produttore e da manager. E naturalmente Morandi non raccolse. Giuliano se ne andò sconsolato dal complesso che accompagnava Gianni nelle serate e venne ascoltato da Maurizio Vandelli che si entusiasmò. Gli fece crescere i capelli da putto cinquecentesco, lo vestì tra lo zingaro e l’hippy e lo portò alla Ricordi. Ah, naturalmente gli cambiò nome in Donatello. Un uno-due da k.o con MALATTIA D’AMORE e COM’È DOLCE LA SERA. Morandi, dai un’altra capocciata! Ma non è finita qui. Enrico Polito, manager di Ranieri, chiede a Morandi se fosse interessato a girare un film imperniato sul caso Bresci, l’anarchico che nel 1900 ammazzò Umberto I. Ranieri, oberato da impegni, tra cui le riprese di BUBÙ, non avrebbe avuto il tempo necessario per girare anche questo ennesimo film. Un'inchiesta tra i noleggiatori accerta che il film si venderebbe a scatola chiusa. Il regista si dice sia Bolognini. Gianni nicchia e poi dice no. Se c’è ancora qualche muro sano, non fatelo vedere a Gianni Morandi, per favore!

Christian Calabrese