( da Musica & Dischi [45] e Per Voi Giovani ) 1. Chitarra suona più piano - Nicola Di Bari 2. La canzone del sole - Lucio Battisti 3. Pensiero - Pooh 4. Sono una donna non sono una santa - Rosanna Fratello 5. Via del Conservatorio - Massimo Ranieri 6. Chissà se va - Raffaella Carrà 7. Tuca tuca - Raffaella Carrà 8. Imagine - John Lennon 9. Coraggio e paura - Iva Zanicchi 10. Uomo - Mina =================== 33 giri ===================
1. Non al denaro non all’amore nè al cielo – Fabrizio De Andrè
Il 1971 è stato lo spartiacque fra due epoche. E’ scomparso il Piper
che ha cambiato natura diventando una specie di “tabarin” anni settanta,
anche se come tale resterà per poco. Quello che fu il tempio della
musica beat praticamente non esiste più.
Frank Sinatra dà uno dei suoi soliti addii alle scene, per poi tornare
periodicamente con grandi rentrée e guadagnare palate di dollari. C'è lo
scioglimento ufficiale della Beatles s.pa. L’irriverentismo, la contestazione, la provocazione e la protesta sembrano essere rientrate. Al loro posto rimane solo una grande maleducazione del pubblico più giovane pronto a linciare letteralmente un cantante se non gli garba o se è platealmente fuori posto; vedansi gli episodi della Fratello al Festival Pop di Palermo, presa a sacchetti di sabbia sul viso, e la fuga precipitosa di Morandi come spalla ai Led Zeppelin. Un’ondata di revisionismo porta ai primi posti nei botteghini e nelle classifiche canzoni e feuilletons fin de siecle come ANONIMO VENEZIANO e LOVE STORY, ricomparsi in un epoca in cui la gente, stanca di essere dura e cinica, cerca rifugio nei facili sentimenti.
Il mercato del 45 giri è fiacco, il 33 va sempre più forte. Il
mattatore dell’anno è stato Charles Aznavour con E FU SUBITO AZNAVOUR
che è riuscito a vendere più di Mina, Battisti e i Creedence Clearwater
Revival. I compensi dei cantanti sono in ribasso se si escludono quelli
di personaggi quali Ranieri, Patty Pravo, Mina, la Vanoni e Dalla. I
compensi dei quali si aggirano tra due milioni e due milioni e
mezzo a serata. Da rilevazioni di mercato nella vendita di 45 e 33 si viene a conoscenza che i giovani hanno dato la loro preferenza a Battisti, ai Pooh, a Mina, a Dalla, a De André. Un pubblico più maturo alla stessa Mina, alla Zanicchi, a Di Bari, ad Aznavour e a Gagliardi. Come si accennava prima, sistematicamente,ad ogni esibizione di gruppi stranieri fa da corona una corrida tra polizia e teppisti di ogni colore politico. E’ successo con i Chicago, con i già citati Led Zeppelin, coi Santana e i Blood Sweet & Tears. E questo non è un fenomeno circoscritto all’Italia ma all'Europa. Prendiamo ad esempio Frank Zappa e i suoi Mothers Of Invention. Al Rainbow Theatre di Londra è stato aggredito da uno spettatore e Za nel tentativo di schivare l’assalto è scivolato dal palcoscenico fratturandosi una caviglia. Così ha dovuto saltare lo spettacolo previsto per il 29 dicembre a Bologna, con i biglietti già venduti. Canzonissima
Tornando alla classifica settimanale, la prima cosa che si nota è
l’ingresso delle canzoni finaliste di Canzonissima 1971. E qui c’è da
fare un discorso a parte: undici milioni e mezzo di biglietti venduti
per la Canzonissima più seguita della storia della televisione.
Merito della Carrà, di Corrado e di Noschese ma merito anche dei
cantanti e delle canzoni presentate in questa edizione, inedite e non,
che hanno saputo tirare fuori dall’oblio cantanti le cui azioni erano
molto in ribasso o in cerca di un nuovo personaggio più credibile. Come
la Pavone, che ha presentato tre bellissime canzoni come LA SUGGESTIONE,
scritta da Claudio Baglioni, una redizione riveduta e corretta di CUORE
e LASCIATI ANDARE A SOGNARE. O la bellissima prova della Pravo,
raffinata interprete di NON TI BASTAVO PIU’ e della CANZONE DEGLI
AMANTI, entrambe non entrate in finale per un soffio. Per la Pavone si
può dire che forse la sua canzone è stata bocciata per la scarsa
credibilità di una Rita così psicologicamente complessa, per la Pravo
si potrebbe parlare di sfortuna. Delle due faccie dell’Emilia, quella godereccia e curvilinea è rappresentata dalla Zanicchi che interpreta una bella canzone, CORAGGIO E PAURA. L'altra faccia, quella casalinga, è impersonata dalla Berti, che per non essere considerata come al solito da provincialotta si presenta con una canzone diversa dal suo standard, CITTA’ VERDE, azzeccando anche la mise che la snellisce e che lei indosserà come fosse una divisa per tutto il 1972, cioè un completo giacca e cravatta al femminile molto di moda in quel periodo. Poi c’è la fanciulla del sud, un acquarello stereotipato che ormai non corrisponde più a verità (come quello portato dalla Fratello) che però fa piacere credere che ancora esista. SONO UNA DONNA NON SONO UNA SANTA, "non portarmi nel bosco di sera, ho paura del bosco di sera". Sembra la favola di Biancaneve quando si perde nella foresta. "Fra tre mesi te lo prometto, il mio amore ti darò, Gesù mio dammi il coraggio di resistere a dirgli di no". La forza di volontà della brava ragazza che non cede all’amato anche perché "non sono sola, ho quattro fratelli" come a dire che se ci pigliano ce lo fanno vedere loro! "Tre mesi sono lunghi da passare quando l’amore stuzzica il tuo cuore... non tentarmi non sono una santa, sono una donna non sono una santa". Non ti ci mettere anche tu, è questo il senso della frase in questione. Non so se scritta seriamente o con un’ intenzione fra il trash e il goliardico dal bravo Alberto Testa; comunque sia questa canzone, proprio per il suo tema così anacronistico in un’epoca in cui essere vergini costituiva una vergogna, arriva alle prime posizioni in classifica. Anche la copertina del disco suggerisce l’atmosfera della canzone: la protagonista con le spalle addossate ad un muro rigorosamente bianco (che dà ancora di più il senso del sud) e con la testa bassa. Se l’intera operazione è stata voluta si tratta di un piccolo capolavoro.
Ancora sud, con Reitano, che rappresenta tutti i "tengo famiglia"
italiani. Reitanopoli è in Brianza e lui deve dare da mangiare a tutto
un esercito di fratelli, sorelle, nipoti. Canta una canzone nel suo
stile piagnucoloso, CIAO VITA MIA, un passo indietro rispetto alla bella
canzone presentata l’anno precedente e cioè L’UOMO E LA VALIGIA, anche
se in finale arrivò con un’altra brutta canzone e cioè UNA FERITA IN
FONDO AL CUORE. Qui siamo alla romanza dell’Ottocento.
La raffinatezza ostentata dalla "Sciura milanese" di una volta, quella
portata con successo in scena dalla Valeri nei suoi spettacoli teatrali
(la signora “bene”) trova sfogo in Ornella Vanoni che presenta una
canzone troppo raffinata per il pubblico delle giurie ingordo di "cose
belle" e di donne che non vogliono diventare sante. E cioè IL TEMPO
D’IMPAZZIRE. Ultimo, perchè primo, Nicola Di Bari e la sua CHITARRA SUONA PIU’ PIANO. Confezionata dallo stesso Di Bari, Evangelisti e Marrocchi proprio per vincere e in sintonia con l’interprete, credibilmente semplice e credibilmente credibile. L’Italia bucolica, quella delle serenate al chiaro di luna, della chitarra a cui delegare i messaggi dell’anima ma che deve essere discreta ("chitarra suona più piano, qualcuno può sentite, soltanto lei deve capire") i grilli che cantano nel prato e la notte che odora di fieno. Una bella canzone eseguita col solito garbo dal cantante di Zapponeta in un suo filone che durerà per 3–4 anni, quello del cantante brutto e bravo, melodico, per un pubblico adulto. Apre la pista ad altri cantanti nelle stesse sue "condizioni", tenuti in disparte per anni: uno per tutti, Peppino Gagliardi. Vince e non crea invidia tra i colleghi perché gli vogliono bene tutti. Per anni nel dimenticatoio, pronto a cambiare mestiere, ma con la fortuna di andare a Sanremo con la canzone giusta al momento giusto, LA PRIMA COSA BELLA, uno scarto di Morandi. Poi la vittoria a Sanremo con IL CUORE E’ UNO ZINGARO ed ora l’affermazione a Canzonissima. “La rivincita dei Nerds”, parafrasando un famoso film degli anni '80. Chi non la prende molto bene, questa vittoria di Di Bari, è Massimo Ranieri, che impallidisce non appena ha saputo il risultato finale che lo retrocede al secondo posto. Le cartoline ricevute da Massimo gli avrebbero regalato la vittoria (900 mila contro le 600 mila di Di Bari) ma le giurie sparse per l’Italia invertono il pronostico. La Zanicchi è contentissima perché il suo terzo posto è il coronamento ad un anno magico che l’ha vista quasi sempre piazzata in classifica, sia nei 45 che nei 33 giri.
Ma ecco la classifica finale della Canzonissima dei record: C’è anche chi organizza una "Contro-Canzonissima" in polemica con la trasmissione stessa che "non rispecchia assolutamente il gusto dei giovani italiani e che li riporta indietro di venti anni". A dirlo sono gli organizzatori che, sponsorizzati dalla rivista specializzata Ciao 2001, portano il 28 gennaio al Piper di Roma, per una volta stipato come ai bei tempi, una manifestazione alternativa che vede succedersi sul palco i complessi più attuali e due cantautori tra i più apprezzati e cioè Claudio Rocchi e Francesco Guccini il quale si presenta sul palco con una chitarra e... un fiasco di vino rosso! Poi i New Trolls, i Delirium, il gruppo savonese dei Trip, i Latte e Miele, gli Osanna e Le Orme. RAFFAELLA CARRA' Continua il successo della Carrà che con il TUCA TUCA si appresta ad essere l’animatrice delle feste di Carnevale. Presentato a Canzonissima e subito replicato in due puntate successive, per il grande consenso ottenuto, il ballo che si dica venga dalle Antille e che dovrebbe fare faville in quel di New York (!!) è in realtà un parto tutto italiano, inventato dal maestro Pisano, da Gianni Boncompagni e dal coreografo Gino Landi. Ma è veramente una trovata azzeccata, a partire dalla canzone che accompagna il balletto, orecchiabile, simpatica, divertente. Grazie a questi successi a 45 giri (CHISSA’ SE VA, TUCA TUCA, MAGA MAGHELLA e BORRIQUITO) la Carrà incide anche un LP, il secondo della sua carriera (il primo risaliva alla Canzonissima precedente) dal titolo RAFFAELLA CARRA’. Nel quale, oltre a presentare le canzoni della trasmissione, gioca a fare la "crooner" sussurrando RAINDROPS KEEP FALLIN’ ON MY HEAD e CLOSE TO YOU, due motivi strafamosi di Burt Bacharach, in inglese. E bisogna dare atto a Raffaella che non è certo peggiore di tanti cantanti professionisti. Poi, come è logico e come mercato vuole, ci mette dentro un E PENSO A TE, di Battisti che nel frattempo, oltre che da lui, è stato inciso inciso anche Mina e da Bruno Lauzi per non parlare di Dorelli. Comunque è un disco valido anche grazie all’ausilio di una buona orchestrazione. MINA
La PDU, casa discografica fondata da Mina, si è allargata alla
divulgazione del repertorio classico. Quindi non solo canzoni. C’è anche
un settore dedicato alla musica strumentale che tira parecchio sul
mercato. Johnny Sax, che è uno di quelli che vendono di più insieme a
Papetti e Gianni Oddi, viene messo sotto contratto dalla PDU. Marisa
Sacchetto e i Domodossola sono sempre presenti nelle trasmissioni della
Rai, sia sul versante radiofonico (I Domodossola sono anche esecutori
di sigle come quella della trasmissione tv COME QUANDO FUORI PIOVE),
che su quello video, specie la Sacchetto che si presenta bene. D’altra
parte non dimentica anch’essa di essere una cantante e per la campagna
invernale dà battaglia con un lp (quello con la scimmia in copertina)
che arriva in un battibaleno nelle primissime posizioni e con un singolo
che contiene due egregie esecuzioni, UOMO e LA MENTE TORNA, quest’ultima
scritta ancora per lei da Lucio Battisti. Qual è il lato A e qual è il
B? Entrambi sono richiesti nei negozi. Alcuni giornali riportano LA
MENTE TORNA nelle classifiche, altri UOMO. EMERSON, LAKE & PALMER
Diventa un caso il 33 giri del complesso inglese degli Emerson, Lake &
Palmer. PICTURES AT AN EXHIBITION e cioè QUADRI AD UN ESPOSIZIONE, la
famosa opera classica di Mussorgsky, dedicata dal musicista russo ad un
suo giovane amico pittore morto precocemente. Una suite di brani
pianistici ispirati ai quadri dell’artista esposti in una mostra
nell’occasione del primo anniversario della sua morte avvenuta nel 1874.
Questo è il punto di partenza del trio inglese. Diverso musicalmente dai
due precedenti nei quale si avvertivano le reminiscenze dei Nice e dei
King Crimson, complessi dalle quali ceneri nasce il nuovo supergruppo.
Si diceva di un "caso". Difatti non è semplice arrivare nelle prime
posizioni della Hit Parade con musica che si potrebbe definire colta,
sposata al pop. La bravura del gruppo è straordinaria. Strumentisti di
livello eccezionale riescono a saper scegliere lo strumento adatto nel
modo migliore e più appropriato. Keith Emerson al synthesizer, Gregg
Lake alla chitarra classica e Carl Palmer con la sua eccezionale
ritmica. La reinvenzione in stile progressive della suite del
compositore russo vecchia di quasi un secolo dona all’opera una nuova
freschezza grazie ad un taglio modernissimo nel quale la musica "ardita"
(ai tempi) dalle radici affondate nella tradizione russa è ancora
presente sebbene filtrata attraverso l’inventiva e i virtuosisimi del
trio. L’album inizia con PROMENADE, tema ricorrente così come nell’opera
russa. Seguono THE GNOME, THE SAGE, THE OLD CASTLE, BLUES VARIATION.
Facendo conto di ascoltare il LP e non il CD troviamo come brano
d’apertura ancora PROMENADE e i due pezzi dedicati alle baba yaga, le
streghe della tradizione russa. Il primo è tratto dall’opera di
Mussorgsky, il secondo è opera del complesso. Ma sembra facente parte
della stessa composizione. Il brano finale è THE GREAT GATES OF KIEV con
un'appendice chiamata THE END-NUTROCKER, un brano classico arrangiato in
maniera impeccabile, questa volta con un gusto vicino al jazz. GILBERT O'SULLIVAN Una canzone comincia a farsi ascoltare nella sua versione originale dopo un lungo periodo in cui la precedenza era toccata alla sua versione italiana cantata dai Profeti col titolo di ERA BELLA. Questa volta, complice un’apparizione televisiva e il personaggio cucitogli addosso dalla sua casa discografica (vestito a metà tra un orfanello inglese dei primi del novecento e Buster Keaton, con una scoppoletta in testa, pantaloni larghi a mezz’asta e stivaletti scalcagnati), Gilbert O’Sullivan irrompe anche in Italia. La sua NOTHING RHYMED è ormai vecchia di quasi un anno ma era passata pressoché inosservata. Il testo è semplice ma scritto molto bene. NOTHING RHYMED significa niente in rima, un'espressione che sta a significare niente di programmato in precedenza e parla di un uomo che vuole fare delle scelte rivendicando anche il diritto di sbagliare. "Questo mio modo di vedere non potrà mai togliermi il diritto di sbagliare se sono io a fare le mie scelte e il piacere che provo a vincere una scommessa è come quello di perderla". Ora, ad un passo dall’affermazione mondiale (per la primavera ha in cantiere ALONE AGAIN), Gilbert O’Sullivan, vero nome Raymond O’Sullivan (il nome d’arte è preso a prestito dal duo di compositori ottocenteschi Gilbert & Sullivan), presenta il suo primo 33 dal titolo HIMSELF. Qui si presenta con due note in copertina "Signori e Signore, permettetemi di presentarmi a voi e debuttare con questo primo 33". Molto inglese sebbene lui sia irlandese. La sua fortuna ha inizio quando incontra Gordon Mills, il gran capo della MAM, scopritore e produttore di due personaggi come Tom Jones ed Engelbert Humperdinck (se ci fate caso anche questi due nomi sono presi a prestito da opere letterarie e da compositori inglesi). Dopo ripetute bocciature nelle varie label londinesi, Mills crede in questo ragazzo irlandese e vince la sua scommessa. In contemporanea esce il secondo singolo italiano di Gilbert, dal titolo WE WILL, che sarà ripreso anch’esso dai Profeti, come accadde col primo ma con minore fortuna. Il titolo italiano, comunque, sarebbe PRIMA NOTTE SENZA LEI. WE WILL lo presenta in tv in una trasmissione in cui è ospite di Little Tony. Il testo originale è come al solito una affresco di vita quotidiana, con frasi più consone ad un discorso parlato che ad un testo di una canzone, come è solito fare O’Sullivan. Il tutto supportato da una melodia molto dolce e delicata. La musica trova una conclusione alla fine del brano, senza lasciare niente in sospeso. Sembra un quadro. E lo è. Peccato che non si capiscano le parole e non ci sia nessuno che le spieghi al pubblico. TOM JONES Tom Jones, dal suo canto, ha perso la grinta dei primi tempi e sta inesorabilmente diventando un cantante da teatri di Las Vegas, per maturi americani, dove un'esibizione singola "una tantum" viene pagata 1000 dollari e il contratto è di due miliardi e mezzo per tre mesi. Quindi i soldi (e tanti) sono assicurati. La presenza in classifica un po’ meno. Anche la scelta dei brani non appare molto felice. Dopo la ritmatissima SHE'S A LADY scritta da Paul Anka appositamente per lui, sembra si stia limitando al rifacimento di canzoni già conosciute rinunciando così a brani originali. Un po’ come fanno i grandi interpreti che piacciono tanto al pubblico americano ed anche inglese. I vari Andy Williams, Tony Bennett, Jerry Vale. Questa volta reinterpreta TILL, un valzer lentissimo ed orecchiabile lanciato nel 1960 da Caterina Valente. Il tutto senza apportare modifiche all’arrangiamento originale. Che se da una parte potrebbe voler evidenziare la buona riuscita nel tempo di un arrangiamento vecchio di dodici anni, dall'altra rivela una trascuratezza e una povertà di idee che il team della Decca conferma di avere. In Italia non entra nemmeno nei primi 100 ma in Usa, grazie al pubblico di cui si parlava prima, è un buon successo. Insieme al singolo esce anche il 33 LIVE AT CAESAR PALACE, registrato dal vivo, situazione in cui dà il meglio di sè, ricordandosi di essere stato in tempi non lontani la tigre del Galles. Sulla copertina campeggia la sua immagine, vestito da imperatore, su un triclinio dorato con delle ancelle che gli fanno da contorno. Un'immagine studiata ad hoc per tenere in vita la sua fama di sciupafemmine, fama tanto radicata nelle signore avanti con gli anni. Il pubblico al quale ormai, per contratto, più che per scelta, è legato mani e piedi. Christian Calabrese
 
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