( da Musica & Dischi e da Sorrisi & Canzoni )
Qui sotto la classifica della settimana con le quotazioni di Giancarlo Di Girolamo, uno
dei più noti collezionisti e commercianti italiani di vinile. Il prezzo segnato a margine
dei titoli corrisponde a quello assunto dai dischi in condizioni ottime (non
usati) nelle odierne mostre-mercato.
Classifica 33 giri
In Francia la chiamano musique d'ambiance e da noi è sempre stata
valutata un genere secondario. Si sta parlando della musica strumentale
che sembra diventata un genere di moda.
E' il momento quindi dei direttori d'orchestra, degli arrangiatori e
degli autori di colonne sonore. Personaggi che finora se ne sono stati
lontani dalla ribalta e che ora escono dal cono d'ombra.
Come BERTO PISANO e la sua A BLUE SHADOW.
Lo sceneggiato dal quale è tratta questa sigla è di grossissimo
successo: HO INCONTRATO UN OMBRA di D'Anza, con Beba Loncar, Laura Belli
e Giancarlo Zanetti. Un giallo con tutti i crismi. BERTO PISANO E' il fratello del più noto e celebrato Franco, direttore d'orchestra in tante trasmissioni e autore di canzoni ed arrangiamenti nel periodo d'oro della RCA. È approdato magicamente al numero uno della Hit Parade nazionale senza avvisaglie di sorta. Il giorno prima la gente nemmeno sapeva chi fosse questo cagliaritano di 42 anni, o meglio, non lo conosceva forse il grande pubblico perché, per gli addetti ai lavori e per gli appassionati di colonne sonore, Pisano non era assolutamente un nome nuovo. Grande esperto e appassionato di jazz, Berto è uno dei direttori d'orchestra e compositori più richiesti dai registi e dalle case discografiche. Una serie di Decameroni e tanti film anche d'essai come INTERRABANG (ricercatissimo sul mercato collezionistico). All'epoca, fare uscire un singolo tratto da una colonna sonora o sigla, sebbene si sappia in precedenza che non avrà grosso successo sul mercato, era cosa considerata normale. Ma il clamore di questo singolo davvero non se lo aspettava nessuno, tantomeno la Ricordi, la casa discografica alla quale Pisano è legato per questa sigla. Comunque, lo sceneggiato finisce con grandi indici di gradimento e il suo posto viene preso da un altro sceneggiato ben fatto, IL COMMISSARIO VINCENZI con il bravissimo Paolo Stoppa. Improvvisamente scoppia il disco. Nessuno ne parlava più, sembrava uno dei tanti dischetti nati e morti dopo l'utilizzo televisivo, una musica fatta su ordinazione come tante. E invece quella musica così penetrante, così nostalgica, così triste (nel senso buono) era rimasta nelle orecchie di tutti, anche di chi gli sceneggiati tv non li poteva proprio sopportare. E A BLUE SHADOW vola al primo posto dei dischi più venduti lasciando di stucco tutti, compositore e casa discografica inclusi. Ora naturalmente si trova in classifica anche il long playing nel quale l'ormai famoso motivo introduce altri brani di colonne sonore come AMARCORD o LA GRANDE ABBUFFATA; e IDEE, il suo prossimo singolo, troverà anch'esso facilmente la via delle classifiche seppure in tono minore. FAUSTO PAPETTI Altro musicista che da una vita sforna dischi a ripetizione è Fausto Papetti, classe 1923. "Un cinquantenne in classifica" si potrebbe intitolare un eventuale articolo su questo sassofonista nato a Viggiù (come i celeberrimi pompieri), che comincia la sua carriera nel dopoguerra diventando uno strumentista di grido e al quale le case discografiche danno fiducia facendogli incidere dischi a 45 giri e a 33 giri. Amante di Charlie Parker, ha una passione per la musica jazz della quale possiede una vastissima discografia con migliaia di dischi stipati nella sua personale discoteca. Effettua pochissime serate, in televisione non lo si vede mai o quasi, eppure è arrivato a vendere circa due milioni di long playing delle sue raccolte (siamo alla diciassettesima, che si trova al settimo posto). La diciottesima uscirà a luglio ma prima di metterla in vendita bisogna aspettare di avere in magazzino almeno cento o centocinquanta mila copie per far fronte alle richieste. Le copertine dei long playing sono sempre molto curate, con delle belle ragazze nude o semi-vestite in pose artistiche. Comunque mai volgari. I motivi del successo possono essere identificati nella scelta dei brani e nell'uso del sax, strumento di moda e fra tutti il più vicino alla voce umana. Per i suoi dischi utilizza il sax alto e il sax tenore basandosi sul tipo di canzone da interpretare. Se il brano in origine è cantato da una donna usa il soprano per rendere meglio certe sfumature ed essere più vicino all'originale. Le basi ritmiche, con un gran numero di strumenti, formano un tappeto musicale eccellente con archi e strumenti a fiato, nel quale spadroneggia il suo sax. Poi il cambio di repertorio ogni sei mesi (di solito le sue raccolte hanno questa cadenza) che comunque è selezionato accuratamente prendendo in esame solo i più grandi successi del momento reinterpretandoli per un pubblico più adulto o in cerca di un'atmosfera particolare. I suoi dischi sono sexy, quindi. A partire dalle copertine. In un panorama nel quale anche le favole hanno tonalità equivoche e proibite (nelle edicole spuntano come funghi i fumetti con titoli quali BIANCANEVE, CAPPUCCETTO ROTTO, SEXY FAVOLE, FIABE PROIBITE, MAGHELLA, SORCHELLA) poteva mancare una musica per accompagnare momenti intimi? In Giappone fa addirittura musica su ordinazione. La casa discografica chiede tot brani di un certo tipo per contentare un particolare genere di pubblico e lui compone o interpreta ciò che gli chiedono. In America latina è un re tanto che Papetti ha dovuto incidere per il mercato sudamericano e spagnolo due dischi di sola musica latino americana. Ora alla sua normale produzione di raccolte si affianca una collana di 33 giri chiamata I REMEMBER dove sono riportati i maggiori successi di ogni paese e di ogni tempo. In questa collana sono usciti dischi dedicati alla Francia, all'Italia, uno all'America Latina (differente da quelli sopracitati) e quattro agli Stati Uniti dove ci sono classici di Cole Porter, Glenn Miller o George Gershwin. In totale Fausto Papetti in otto anni di raccolte ha inciso circa 500 pezzi. Il successo popolare comincia ad arrivare nel 1972, successo che ha rimorchiato anche i precedenti dischi tanto che adesso i negozianti chiedono alla Durium anche la raccolta numero uno che da parecchio tempo era fuori catalogo. Ma ancora più dei dischi Papetti è il re delle cassette. Ne vende in grandi quantità. Il compagno di viaggio ideale degli automobilisti italiani e non solo. ADRIANO CELENTANO L'unico a non scomporsi tanto del successo della sua canzone in celentanese è come al solito, proprio lui, Adriano Celentano. Prima di tutto perché ha un'immensa fiducia in se stesso, secondo perché si ama, terzo perché prendendo per buono il titolo del suo film si considera davvero ER PIÙ. Un disco dal successo a scoppio ritardato, questo di Celentano. Uscito nel dicembre 1972 ed utilizzato come sigla di Gran Varietà non riesce a sfondare per molti molti mesi. Sembrava quasi che Adriano l'avesse accantonato ed archiviato come uno di quei flop che capitano nel corso di una lunga carriera. Invece PRISENCOLINENSINAINCIUSOL torna con l'effetto di un boomerang dalla Francia e dalla Germania dove stava vendendo parecchio. Questo linguaggio inventato di sana pianta, dalle sonorità inglesi, che in Italia era parso l'ennesima trovata da furbetto di Celentano ma che non aveva attecchito al primo colpo, si comincia a muovere in classifica all'inizio dell'anno, improvvisamente. È bastata un'apparizione alla trasmissione della Goggi e di Noschese (FORMULA DUE) ed una al megaspettacolo con Mina e la Carrà MILLELUCI. Tutte e due le partecipazioni erano state ben congegnate sia nelle scenografie che nelle coreografie. Nella prima, Celentano è il professore di una scolaresca femminile (stessa trovata che riciclò nel 1990 Jovanotti a Fantastico quando presentò la canzone I NUMERI). Nella seconda Celentano si presentava in scena ballando con un cappotto sopra al petto nudo mentre Raffaella Carrà agitava la chioma su una pedana. Due numeri ben congegnati che hanno accompagnato la canzone in classifica, come se fosse appena uscita. PRISENCOLINENSINAINCIUSOL è il primo rap in italiano e, anche se possa sembrare una cosa sciocca, è invece in realtà un tentativo coraggioso di rinnovamento dello stesso Celentano, che rischia con un pezzo dalle ritmiche molto particolari e assolutamente nuove per il pubblico che di solito segue il cantante-attore. Che non è certo quello dei Bar Kays o dei Kool & The Gang o dei Funkadelic, che già da anni si occupavano di questo genere. Al Midem di Cannes Adriano si veste esattamente come un rapper americano anni '90: felpa e cappuccio calato sulla testa. Ora questo è un caso ma, certamente, una fortissima dose di fiuto il molleggiato deve averla. Addirittura inaugurare una moda vent'anni prima! E' l'unica canzone al mondo che non ha bisogno di traduzioni per farsi capire. Sembra aver trovato il rimedio ideale per i problemi d'incomunicabilità. Un grammelet in canzone. Il picco più alto di vendite lo raggiunge proprio la settimana successiva alla sua partecipazione a Milleluci (16-20 aprile), la settimana dopo Pasqua, quando il singolo vende la cifra corrispondente a 10.793 copie. Ai primi di maggio la cifra totale delle vendite corrisponde alla quota di 260 mila unità. Un bel vendere, in tempi di magra. DRUPI Ovvero "come passare inosservato per poi prendersi una clamorosa rivincita all'estero". Il tutto dando ragione al vecchio proverbio e luogo comune "nessuno è profeta in patria". In Francia lo chiamano Drupì (con l'accento sulla i), e la sua canzone è vendutissima anche in Inghilterra. Entra in classifica anche in America, sebbene all'86esimo posto. Però a quel tempo, per entrare in una classifica discografica di un paese come gli Usa tra le 75esima e la centesima posizione dovevi vendere perlomeno 350 mila copie. Una cifra notevole. La canzone è sempre quella, VADO VIA, con la quale fu davvero mandato via a fuga di cane in quel Sanremo 1973, uno dei più squallidi in assoluto. C'è da dire che gli italiani non ebbero nemmeno la possibilità di vederlo perché le prime due serate non venivano più trasmesse dalla tv perché non abbastanza appetibili dal punto di vista dell'audience che all'epoca si chiamava indice di gradimento. Fino ad ottobre di quell'anno, Drupi aveva venduto della sua canzone in Italia settantamila copie. Nel resto del mondo qualcosa come due milioni. E siccome noi siamo stramaledettamente ammalati di esterofilia (basta vedere lo scandalo di un ministero chiamato Ministero del Welfare!!! come se l'italiano mancasse di termini adeguati) accogliamo questo ragazzone pavese dalla faccia da indiano da film western a braccia aperte dopo circa un anno di esilio. Quando mai un cantante italiano era riuscito ad imporre una canzone in lingua originale in paesi di lingua anglosassone? Bisogna tornare indietro ai tempi di Domenico Modugno. Ma all'epoca di Modugno (1958) ancora non esisteva una trasmissione come TOP OF THE POPS, nella quale Drupi partecipa in Inghilterra e dove puoi andare solo se il tuo disco ha buone probabilità di imporsi. Una volta passato da lì puoi stare tranquillo che la tua canzone è un successo. Ma Drupi ci va con la naturalezza tipica del personaggio, come se stesse cantando in una balera di Casteggio. Ora VADO VIA viene incisa anche da Dalida, che comunque non ottiene lo stesso successo dell'interprete originale. Nel periodo marzo-aprile 1974 entra tra i dischi più venduti anche in Spagna e in Olanda. Lì la canzone boom è uscita molto tardi rispetto agli altri paesi. In realtà Giampiero Anelli, suo vero nome, non è stato baciato dalla fortuna improvvisamente. Ha ventisette anni ma canta da tanto tempo. Circa dieci anni di gavetta, a farsi le ossa nei localini di periferia. Prima come lead vocal di gruppi beat provinciali, poi come orchestrale di Marino Marini, che dopo i tempi d'oro del suo successo (alla fine dei cinquanta) suonava ora nei night di periferia. Una vita sicuramente dura. Suonare fino alle quattro del mattino e il giorno dopo lavorare in una pompa di benzina o come idraulico non doveva essere propriamente una passeggiata. Il tutto per mantenere moglie e figlio. Poi la chance che una casa discografica pare dargli, l'Ariston, dove incide un singolo come Drupi E Le Calamite, il complesso che lo accompagna nelle serate. Con la riedizione di TU NON MI LASCERAI, non succede nulla. Fino a quando incontra Riccardi ed Alberelli che alla fine del 1972 lo portano alla Ricordi e gli fanno incidere per l'appunto VADO VIA, mandandolo a Sanremo l'anno dopo. La sua nuova canzone (che ormai è già vecchia essendo uscita a febbraio) si chiama RIMANI, e questa volta non ha bisogno di fare nuovamente il giro del mondo per farsi apprezzare in Italia. E dopo VADO VIA, un titolo come RIMANI mi sembra anche giusto. Il suo primo LP si chiama DRUPI. Non è un disco d'avanguardia, anzi, alcune canzoni sembrano piuttosto semplici ma vengono valorizzate comunque da quella voce roca e grintosa che il nostro possiede. Non ha la vena creativa di un Battisti (alcuni brani sono scritti dallo stesso Drupi) o la dialettica tardo adolescenziale di un Baglioni ma la genuinità di un cantante di provincia e questo si nota a partire dalla copertina dove vediamo un Drupi appoggiato ad un casolare all'estrema periferia di una città della quale si intravedono le abitazioni da lontano. Probabilmente uno scorcio dell'Oltrepò pavese. I pezzi ricalcano un po' lo stile dei primi due singoli e non sono nulla di trascendentale ma si fanno ascoltare con piacere. Naturalmente ci sono i primi due singoli, poi altri capitoli molto simpatici come ANNA, MARIA LAURA E TERESA (scritta da Renato Pareti), CAPITA RARAMENTE che ha la firma di Califano e GOLA CALDA E DENTI BIANCHI (di Guantini ed Albertelli) nella quale si racconta di un rapporto sessuale al limite della decenza. Un disco molto piacevole. Intanto la sua nuova canzone, terzo singolo per la Ricordi, partecipa al Disco Per L'Estate ed è già in pieno rodaggio. Si chiama PICCOLA E FRAGILE ma non è inclusa (unica pecca) nel long playing. Cosa che comunque non sarebbe stato possibile perché le canzoni del Disco Per L'Estate devono arrivare ancora vergini al matrimonio via etere col pubblico. Come a Sanremo. Comunque ci sarà una riedizione a maggio del medesimo lp con PICCOLA E FRAGILE annessa. In modo tale di avere ben tre hit in un solo 33 giri. Tornando un momento a Marino Marini, il cinquantenne capo orchestra e compositore di canzoni, ha vinto il concorso per dare un inno ufficiale alla nazionale di calcio che andrà a giocarsi le sue poche chance a Monaco di Baviera. La canzone è stata scritta insieme a Luciano Beretta e si chiama ITALIA AZZURRA. Una cosa è certa: non è che abbia portato molta fortuna. SUZI QUATRO Ha 24 anni, nata da padre italiano e da madre ungherese, è ora la cantante più in vista della musica internazionale. Nativa di Detroit, comincia la sua carriera in un gruppo femminile insieme alle sue due sorelle e poi passa a suonare il basso negli MC5 ma anche lì abbandona perché, seppur non bella ma l'unica donna del gruppo, ogni sera dopo il concerto, provoca la corsa dei fan che gareggiano a chi arrivava primo nella sua stanza. Lei difatti è una specie di Rita Pavone americana, con meno tette e più aggressività. Un metro e cinquanta di energia e maleducazione. Come si può notare dal concerto che dà a Londra ad aprile. Pare infatti che il pubblico inglese sia particolarmente propenso ad essere trattato a pesci in faccia, perché ad ogni "fuck you" col dito medio bene in vista della graziosa e delicata Suzi, risponde con urli di approvazione. I componenti del gruppo, giunti sul palco completamente ubriachi, continuano durante il concerto a tracannare birra e a rigurgitare nei microfoni. In più lei manda a quel paese chiunque non muova il culo dalla sedia. Il suo credo è racchiuso tutto in una frase che ripete scaramanticamente ad ogni incontro col pubblico: "all my life I wonted to be somebody and here I am". Che praticamente in italiano suona così: in tutta la mia vita ho voluto essere qualcuno ed ora eccomi qui. Questo è il suo momento. In Italia il periodo di massimo fulgore durerà pochissimo, dal 1974 al 1975. Due anni in cui le nostre classifiche mostreranno spesso il suo nome. CAN THE CAN è il singolo che ce la fa conoscere. 48 CRASH il secondo (all'undicesimo posto questa settimana), un brano comunque molto monotono, molto confusioniero. Nel mezzo è uscito anche DAYTONA DEMON ma non ha avuto molto successo. Successo che invece arriderà alla nuova canzone con la quale partecipa al Festivalbar di Vittorio Salvetti, DEVIL GATE DRIVE, la sua sfida alle classifiche italiane per l'estate 1974. Ed ora ecco CAN THE CAN, il primo LP di questa grintosa rocker, uscita in un momento in cui imperversano gruppi come gli Sweet, gli Slade e i New York's Dolls. La scuola è la stessa, però lei ci mette più cattiveria, con rivendicazioni sessuali e sociali. Una musica che è in bilico tra il glam e il rock duro ma commerciale alla Grand Funk Railroad. L'accompagnano tre musicisti che si chiamano Dave Neal (alle percussioni e alla batteria), Alastair McKenzie (alle tastiere) e Len Tuckey (alle chitarre); quest'ultimo diverrà suo marito nel 1976. Esteticamente ricordano molto gli originali membri degli Spider From Mars di David Bowie. Facce tipicamente inglesi. Il disco è prodotto da Mike Chapman e Nicky Chinn, artefici del successo internazionale del gruppo degli Sweet. Tutte le composizioni sono opera del duo di produttori. E il lavoro di missaggio è stato fatto negli studi Emi di Abbey Road. Il disco appare un po' noioso. Insomma, le cose che ha da dire questa ragazza un po' mascolina (che si veste come Gary Glitter in versione sadomaso) le ha già dette nei due precedenti singoli. Pare un album fatto uscire per forza soltanto per sfruttare il successo dei due singoli Le canzoni sono in tutto 13. Apre il primo lato la canzone che su singolo è in classifica da noi, 48 CRASH. Subito dopo una canzone che avrebbe potuto benissimo essere stampata su singolo, GLYCERINE QUEEN. Il lato B si apre con un altro hit single, CAN THE CAN e poi un pezzo degli anni cinquanta come ALL SHOOK UP (di Elvis Presley) o SHAKIN' ALL OVER. Nel disco non manca un omaggio ai Beatles (con la cover di I WANNA BE YOUR MAN. IKE E TINA TURNER
Cosa sarebbe Ike senza Tina? Nulla forse. Cosa sarebbe Tina senza Ike?
Semplicemente Tina. Perché nonostante sia rimasta per anni ed anni sulla
scena insieme al marito ed abbia subito violenze e maltrattamenti a
ripetizione, è palese che il vero animale da palcoscenico, il vero nome
di richiamo è sempre stato il suo. E le sue Ikettes. Ike Turner era così
egocentrico da nominare il corpo di ballo e coro con il suo stesso nome.
Proprio come poi fece Claude Francois e le sue Clodettes (lui era
soprannominato Clo Clo). Aveva fatto in modo da spersonalizzare la
consorte non consentendole neanche di avere un suo vero cognome sulla
scena. C'era lui e basta. Ma in realtà lui non se lo filava nessuno. E
allora erano botte. Nel 1974 Tina ha già 38 anni ma le sue mini mini
gonne, le sue movenze e le sue gambe che non stanno ferme un minuto la
fanno sembrare un eterna fanciulla in fiore. A marzo i due danno un
concerto in Svizzera e persino lì riescono a far smuovere quei cadaveri.
Non è facile far ballare gli svizzeri. Devi promettergli molti soldi!
Invece i cinquemila spettatori si fanno prendere dal ritmo e dalla
grande comunicativa musicale della Turner, tanto che ancora adesso ogni
tanto ricordano l'evento straordinario, come fosse una data da segnare
in rosso sul calendario accanto alla nascita di Guglielmo Tell. Negli
spettacoli dela coppia c'è sempre un battibecco musicale. Uno spaccato
di vita vissuta messa in scena. Una specie di Mondaini-Vianello dai
risvolti però più drammatici. E' in I'VE BEEN LOVING YOU TOO LONG il
brano nel quale la coppia si rinfaccia parecchie cosette. In scena
insieme dalla fine degli anni cinquanta, il primo vero successo italiano
da classifica (se si esclude una parentesi nel 1966) è questo NUTBUSH
CITY LIMITS. Nutbush è una città presa come esempio, città realmente
esistente nel Tennessee, stesso stato dal quale Tina proviene. Una delle
tante cittadine anonime americane nelle quali non succede nulla, dove 25
miglia è il limite di velocità (twenty five was the speed limit), dove
c'è una chiesa, un bar, una scuola (a church house, a gin house, a
school house) e dove la gente vive per mantenerla pulita (the people
keep the city clean). Questo è tutto quello che offre Nutbush, città in
periferia (they call it Nutbush, oh Nutbush city limits). Sul lato B una
bella versione di WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIEND. MINA E RAFFAELLA CARRÀ IN MILLELUCI
Il 1974 è un anno particolare per la nostra televisione. Prima di tutto
compie 20 anni di vita. Secondo, è l'anno ultimo prima della riforma, un
anno di grandi discussioni. Ettore Bernabei lascia la direzione. Sotto
la sua guida la Rai è diventata la prima televisione d'Europa (e quindi,
praticamente, del mondo), la più copiata all'estero e la più premiata in
assoluto. La crescita qualitativa sotto la cura Bernabei è sotto gli
occhi di tutti. Una televisione di gran classe che fa da controparte ad
una tv spesso troppo bacchettona e troppo genuflessa dinnanzi ai partiti
politici. Che sono in pratica solo due (più un outsider): DC, PCI e
delle volte il PSI (che a sua volta si prenderà una grossa rivincita dal
1979 al 1992). Un vecchio detto dell'epoca difatti recitava: oggi in Rai
hanno assunto tre nuovi giornalisti: un democristiano, un comunista e...
uno bravo. I tredici anni della direzione Bernabei sono caratterizzati non
tanto dalla creazione di un'azienda efficiente, leader indiscussa nel
settore della comunicazione, ma del rapporto di credibilità che la
direzione ha instaurato con i telespettatori, grazie a dei programmi che
hanno sempre cercato di rispettare i valori della tradizione e una
volontà di traghettare un paese alla conoscenza "forzata" di classici
della letteratura sotto forma di romanzi sceneggiati e con trasmissioni
didattici utili all'apprendimento di tutti i giorni. Non dimentichiamo
programmi come "Non è mai troppo tardi" (per adulti semi analfabeti) oppure
ad altri che iniziavano ragazzi di tutte le età alla socializzazione
sotto forma di gioco e di divertimento. Tutto quello che non c'è ora.
Forse la colpa è proprio della riforma Rai e della voglia di
modernizzare (leggasi volgarizzare) il panorama televisivo italiano che
ormai è ridotto alla vergogna tra grandi fratelli e marie de filippe o
albe d'eusanio varie. Ma torniamo a bomba, o meglio, alla trasmissione
scelta dalla tv di stato per festeggiare questi primi fenomenali
vent'anni di tv. PIPPO BAUDO & I RICCHI E POVERI Che accoppiata male assortita, direte voi. Cosa faranno insieme? Baudo, ripresosi da un operazione alle corde vocali, si ritrova pieno di grinta e di voglia di far dimenticare la sua prestazione incolore a Canzonissima 1973, l'edizione più brutta in assoluto. Si prende una piccola pausa dagli schermi televisivi e forma una compagnia itinerante da portare in giro per l'Italia, privilegiando il sud. Il progetto si chiama Teatro Music Hall e il titolo dello spettacolo è preso in prestito dall'ultima canzone dei Ricchi e Poveri PENSO SORRIDO E CANTO; e chi meglio dei Ricchi e Poveri, complesso familiare e molto televisivo, poteva affiancarlo? Tra l'altro loro oltre a cantare sanno all'occorrenza anche recitare. Lo abbiamo visto anche in tv quando insieme alla Valori, a Panelli, Milva e Bramieri hanno preso parte alla prosa musicale televisiva "Un Trapezio Per Lisistrata". Insieme a loro anche le gemelline mulatte della trasmissione "Foto di gruppo" (che diventeranno le consorti dei maschietti del complesso) ed altri artisti minori. La curiosità di questo spettacolo è nel fatto che gli autori sono gli stessi di Canzonissima. Si sa che Baudo quando si affida ad un team di autori se li porta dietro per anni ed anni. In più lo stesso costumista (Enrico Rufini), lo stesso scenografo (Castelli), Pippo Caruso come direttore d'orchestra e Romolo Siena come regista. Manca solo Mita Medici che l'aveva affiancato in Canzonissima. Scelta aziendale della quale Baudo avrebbe fatto volentieri a meno. Ha affittato un tendone del circo Medrano per tre mesi che verrà montato e rismontato ogni due giorni nelle varie tappe della compagnia. E' un ritorno allo spettacolo di tanti anni fa, di quando sulle scene furoreggiava la rivista leggera e la gente si divertiva con poco. Una ricetta ripresa anche da Milleluci e della quale, fino ad oggi, si era dimenticata la formula. Baudo e Molfese (autore) l'hanno tirata fuori dal dimenticatoio ed anche con successo. Ed ecco quindi questo spettacolo di due ore durante le quali i Ricchi e Poveri, le gemelline Nadia e Antonella, sette prosperose girl più ballerino ed un complesso sconosciuto ma in gamba, cantano, ballano e fanno le imitazioni. Ad esempio, Nadia e Antonella, che in tv nel programma Foto Di Gruppo non erano riuscite a bucare lo schermo, sul palco sembrano molto più spigliate ballando in perfetta sincronia e cantando con garbo. Difatti hanno anche inciso il disco-sigla della trasmissione, che naturalmente nessuno ha comprato. Straordinari i Ricchi e Poveri che hanno la possibilità di esibirsi in numeri musicali e di recitazione anche singolarmente e quella che riscuote maggiore successo è Angela nell'imitazione della Minnelli in CABARET. Si atteggiano un po' come il Quartetto Cetra. Baudo si limita a fare il padrone di casa presentando i vari siparietti riuscendo più simpatico che sul video. La gente affolla il tendone del music hall baudiano e si diverte. L'unico difetto dello show è che se non ci si va direttamente non si ha l'occasione di vederlo in tv. Cosa che avrebbe meritato sicuramente, cioè una platea più ampia. Ma forse si sarebbe persa l'atmosfera rilassata e paciosa dello spettacolo che libero da vincoli televisivi ha potuto essere più sereno per piacere sicuramente di più. IL CANTASUD In un periodo come questo, di fortissimo ribasso per i festival e per le carovane canterine itineranti praticamente scomparse, Daniele Piombi, presentatore Rai che ha sempre avuto poche chance in sede, insieme a Saverio Mancini (operatore turistico) organizza il Cantasud (che prima si chiamava Canta Calabria) che partirà da Diamente il 27 maggio per concludersi il 16 giugno a Vibo Valentia. Alla manifestazione partecipano sei cantanti professionisti, cinque cantautori e undici voci nuove. Tra queste, Ivana Spagna, che tanto nuova non è visto che il suo esordio discografico di un certo livello (con la Ricordi) l'ha già avuto tre anni prima. I restanti dieci resteranno voci nuove per sempre. Una tappa è prevista anche a Malta, luogo dove da sempre si sono decise le sorti della musica pop e leggera internazionale. Luogo simbolo, per una manifestazione sfigata come questa che ha tre superbig e cioè Al Bano e il suo complesso, Lara Saint Paul e il suo gruppo chiamato African Combos e Otello Profazio, il cantastorie calabrese. L'orchestra fissa è (reggetevi forte!) quella di Mimy Uva (???). I cantanti professionisti sono invece Luciano Rossi (che se avesse saputo in precedenza del successo che avrebbe avuto in estate con AMMAZZATE OH! ci sarebbe andato in fotografia), Anselmo (che da lì ad un anno avrebbe usato anche il cognome che è Genovese), Michel Tadini, Sabino Bertoli, Loredana Gagliardi e James Jotti. Devo confessare che Bertoli e la Gagliardi non li avevo mai sentiti nominare. Cosa che mi dà un immenso fastidio. Da oggi grande caccia alle mostre del disco per colmare questa tremenda lacuna! La cosa più assurda dello spettacolo è che, in collaborazione con l'organizzazione di Miss Italia, verrà eletta in ogni sede di spettacolo una ragazza che prenderà il titolo assurdo di Miss Tappa! Come a dire che se sei alta più di 1 metro e 51, sei automaticamente esclusa dalla gara? Ora forse riusciamo a capire perché Piombi, con la sua genialità, ci è stato nascosto dalla Rai per così tanto tempo! HIT PARADE INGLESE Un veloce sguardo, si impone, alla classifica inglese che in questo periodo è qualcosa di più che un enorme calderone di vari stili atti ad accontentare i gusti più disparati. Da AMERICAN GRAFFITI, colonna sonora del film omonimo che riporta in auge canzoni e cantanti americani degli anni cinquanta come Presley o Paul Anka, gli Hot Chocolate con la loro EMMA, un brano lento ma col ritmo giusto per essere ballato nelle discoteche. Il PhiladeLPhia Sound dei MFSB con la loro ballatissima TSOP, i Rubettes e il loro rock in terzinato in stile American Graffiti, quella SUGAR BABY LOVE, una quasi rivisitazione di PASSION FLOWER con più grinta, vitalità e furbizia. Poi ancora Gigliola Cinquetti che entra in classifica anche qui dopo dieci anni con GO, versione inglese della canzone SI presentata all'Eurofestival il sei aprile. Senonché questa canzone viene bandita dalla Rai per motivi di imparzialità legati all'imminente consultazione popolare per il referendum abrogativo riguardante la legge sul divorzio. E dato che le scelte possibili erano il SI o il NO, la suddetta canzone avrebbe potuto prestarsi a controverse interpretazioni. Appena saputa la cosa, la Cinguetti pensa sia una battuta del suo discografico e la prende a ridere. Ma la risata fa presto a morire non appena prende coscienza che quella cosa, all'apparenza ridicola, è in realtà la verità. Il fatto danneggia sia lei che la CGD, per motivi di pubblicità. La canzone avrà sicuramente poca possibilità di farsi strada in Italia almeno fino al 12 di giugno (data della consultazione) non venendo mai trasmessa né dalla radio né dalla tv. Il fatto è ridicolmente stupido. La Rai, sempre all'avanguardia nelle cretinate, pensa che gli italiani siano così imbecilli da farsi condizionare da una canzone. O forse i solerti dirigenti radiotelevisivi sono troppo occupati a non perdere la poltrona, cosa che gli impone eccessi di prudenza, al limite del grottesco, degni di un Achille Starace. La Cinquetti trarrà da questa situazione un sicuro beneficio: tanta pubblicità gratuita che forse non avrebbe mai avuto se non ci fosse stato il problema. Difatti eccola in classifica in Inghilterra. Poi ancora la versione inglese di una canzone di Brel, SEASON IN THE SUN cantata da Terry Jacks, gli Abba con la canzone vincitrice dell'Eurofestival e cioè WATERLOO e gli immancabili Gary Glitter e Suzi Quatro. Insomma, veramente di tutto nelle classifiche inglesi. E il bello è che non sono mai ferme. Quello che è primo oggi fra una settimana potrebbe trovarsi al decimo posto, soppiantato da un'ondata di nuovi titoli, anche di cantanti assolutamente sconosciuti fino ad un mese prima. TRAFFIC AL PALASPORT DI ROMA Il mondo della musica pop in Italia, specie quello dei concerti, vive un momento di tensione. Un momento che a dir la verità dura già da troppo tempo. Dal 1970. A Roma è in cartello il concerto dei Traffic, tornati a distanza di un anno nella capitale. Il gruppo di Steve Winwood e Jim Capaldi presenta un album, ON THE ROAD e questa volta è supportato anche da un complesso di recente formazione che comincia a farsi un certo nome, gli Sparks, che hanno nelle classifiche inglesi, piazzatissimo, il singolo THIS TOWN AIN'T BIG ENOUGH FOR BOTH. Ma tornando alla cronaca: un volantino distribuito da Stampa Alternativa invitava gli spettatori a non pagare il biglietto e ai teppisti convenuti non sembrava vero di cogliere la palla al balzo. Prima cosa c'era l'occasione di menare le mani con la polizia, secondo per un concerto gratis val la pena di prendere un po' di botte e fare casino. Un po' come succede ora agli stadi. E la cosa più sconcertante è che tre giorni prima il derby tra Roma e Lazio era finito tra le cariche della polizia quando Chinaglia aveva segnato il rigore dando la vittoria alla Lazio con la Roma che aveva dominato la partita. Invasione di campo e squalifica del medesimo. Proprio come ora. Ad un certo punto la situazione si fa davvero critica tanto che la polizia deve infilare i lacrimogeni nei fucili perché ormai è battaglia aperta. I cancelli non reggono l'impeto di quelli che, superato ogni ostacolo, si infilano dentro di straforo intanto che la guerriglia tra pubblico e polizia non cessa nel piazzale antistante tra sassi e spranghe contro i poliziotti e la forza contenitrice di questi ultimi. Dentro i Traffic, che sebbene stiano suonando non li ascolta proprio nessuno. Primo perché essendo il Palasport fatto a conchiglia, alimenta il chiasso di quelli entrati senza pagare, secondo perché è fuori che c'è lo spettacolo. I "portoghesi" nonostante tutto sfogano la loro violenza spaccando qualsiasi cosa ci sia da spaccare. A farne le spese per primo il bar. Praticamente raso al suolo, con i baristi che fuggono in stile western quando scoppia la rissa nel saloon. Il fumo dei lacrimogeni intossica parecchie persone e tanti alla fine sono i feriti. Il massimo è quando Stampa Alternativa, la sobillatrice dell'accaduto, dichiara di voler denunciare il capo della polizia con l'accusa di tentata strage. Il gruppo era realmente intimorito da quello che stava accadendo e la sensazione di paura non permetteva loro di esprimersi al meglio, occupati più a guardare quello che stava accadendo sugli spalti che a suonare. Tutto troppo tristemente uguale ai giorni nostri. In quel caso era Stampa Alternativa, oggi possono esserci altre sigle e nomi, ma i cervelli (sembra strano chiamarli così) sono pressoché identici. Trent'anni, per taluni, sembrano davvero passati invano! Peccato non in galera. Christian Calabrese
 
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