Goblin
Il 1976 si apre sulle note angoscianti di una colonna sonora che
raggiunge, già alla fine dell’anno precedente, la posizione numero uno
in Italia. Stiamo parlando di PROFONDO ROSSO e dei Goblin. Quattro
ragazzi giovanissimi che hanno avuto la fortuna di incappare in un
motivo diventato famosissimo anche grazie al successo del film. I loro
nomi sono Claudio Simonetti (tastiere), Walter Martino (batteria), Massimo
Morante (chitarra - successivamente lanciatosi come solista nella casa
discografica di Renato Zero, nel 1981) e Fabio Pignatelli. Ognuno di
loro, sebbene giovanissimio ha già un trascorso di un certo peso alle
spalle. Claudio Simonetti è il figlio del celebre Enrico, autore,
direttore d’orchestra e spesso anche presentatore tv. Claudio nasce in
Brasile dove il padre stava lavorando, nel febbraio 1952. A 14 anni
entra al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e comincia a suonare nei
primi gruppi scolastici. A 20 anni entra a far parte, insieme all’amico
Walter Martino (figlio di Bruno), del complesso Il Ritratto di Dorian
Gray che partecipa ad un festival pop molto noto, quello di Caracalla, a
Roma. I Goblin arrivano nel 1974 ma il loro primo nome è Oliver
(all’epoca i gruppi progressive e pop-rock avevano tutti nomi molto
particolari e suggestivi), nel 1975 e PROFONDO ROSSO è il primo lavoro
che esce a nome Goblin. La colonna sonora era stata affidata a Giorgio
Gaslini ma quando Dario Argento ascoltò dei demo incisi dal gruppo
chiese loro di prendere parte alla colonna sonora. Fu l’editore della
Cinevox, Carlo Bixio, a presentare i giovani al regista. Erano impegnati
col padre di Claudio nella registrazione del tema musicale GAMMA,
colonna sonora dello sceneggiato tv omonimo che rilanciò il bravo Enrico
come musicista offrendogli anche la soddisfazione di vedere un suo
lavoro ai vertici delle classifiche italiane. Nello stesso momento il
figlio raggiungeva la posizione numero uno! Il long playing uscì con
sette titoli. In un lato quelli dei Goblin (PROFONDO ROSSO, DEATH DIES e
MAD PUPPET), nell’altro quelli scritti da Gaslini (WILD SESSION, DEEP
SHADOWS, SCHOOL AT NIGHT, GIANNA). Il tema principale è una fusione di
jazz, atmosfere gotiche e di rock alla Yes. L’arpeggio, a detta di
molti, si rifà alla famosa TUBULAR BELLS di Mike Olfield (L’ESORCISTA)
ma in realtà era solo un genere musicale al quale il gruppo si era
ispirato senza aver intenzione di copiare. Inspiegabilmente diventa un
hit di proporzioni gigantesche che traina sicuramente il film il quale,
diciamoci la verità, non è quel gran capolavoro che forse si vuol far
credere! Oltre a raggiungere la cima delle classifiche italiane,
PROFONDO ROSSO ebbe un grande successo anche in Canada, in Giappone e in
tutto il nord Europa. Col tempo il successo si allargò perché, man mano
che le case di distribuzione acquistavano la pellicola, il pubblico si
interessò alla particolarissima colonna sonora tanto che fu raggiunta la
cifra di 3 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Schola Canthorum
La Schola Cantorum, un ensemble di artisti validi ma difficili da
collocare in ambito solistico, riesce alla perfezione come gruppo
musicale sulla falsa riga dei Daniel Sentacruz ma con modalità e
repertorio molto differenti dal gruppo in forza alla Emi. Sono al loro
secondo LP, uscito in contemporanea con il singolo LE TRE CAMPANE, che
insospettatamente è diventato un vero hit, tanto da comparire in men che
non si dica nelle classifiche di tutti i giornali specializzati. La loro
notorietà è cresciuta in maniera esponenziale nell’ultimo anno.
Protagonisti dell’ultima edizione (in assoluto e in ordine di tempo) di
Senza Rete, nella quale aiutano i cantanti nei cori (cantanti amici come
Baglioni, Cocciante e Mia Martini) e ospiti in un buon numero di
trasmissioni musicali come la riuscitissima Angeli & Cornacchie o Adesso
Musica. Acquistano visibilità e fama presso il grande pubblico,
all’inizio disorientato dal gran numero (dieci) di componenti del
gruppo. Il primo album, COROMAGIA, era un compendio della produzione più
nota della casa madre (RCA) degli ultimissimi anni. Reinterpretavano
pezzi di Venditti, Cocciante, De Gregori e Baglioni ma anche LELLA, un
brano presentato al Cantagiro da Edoardo & Stelio (ora confluiti nel
gruppo) e amatissimo dagli interpreti di musica romanesca (viene inciso
anche dai Vianella e Lando Fiorini). Alcuni nomi? Alberto Cheli, Edoardo
De Angelis, Aldo Donati, Marina Arcangeli (nomi abbastanza famosi) Eddy
Viola, Enrico Fusco (ex leader del gruppo beat Le Pecore Nere); le
straniere del gruppo Merrill Gates e Annie Roberts (cugina di
Cocciante), Gianna Giovannini e Luisella Mantovani, scoperte da Morandi
il quale procurò loro l’occasione di incidere, insieme ad un’altra
ragazza, per la sua casa discografica, la Mimo, col nome di Le Voci Blu.
Col loro secondo LP si avviano verso una produzione propria anche se le
composizioni risentono delle influenze di artisti già citati nel primo
album. La canzone apripista è un vecchio successo francese, LES TROIS
CLOCHES, che a suo tempo venne inciso da Edit Piaf, dai Compagnons De La
Chanson e dai Platters (THREE BELLS). LE TRE CAMPANE colpisce il
pubblico per il testo chiaro e semplice in cui si illustra la vita
dell’uomo e le sue stagioni principali viste attraverso il suono delle
campane: quello dedicato alla nascita (là cala il vento nella valle, un
mattino come tanti nasce un uomo) al matrimonio (la promessa di una vita
che sarà divisa in due) e della morte (un riposo tanto grande non
l’aveva avuto mai). In tutte e tre le occasioni il ritornello apre con
la campana del villaggio oggi suona anche per lui. Gli arrangiamenti
sono di Sergio Rendine e la produzione di Paolo Dossena, autore di
successo e spesso anche produttore per artisti targati RCA. Il testo è
veramente bello, a tratti commovente e il successo della canzone è
inevitabile. Successo che era nelle ambizioni del gruppo e dei
produttori ma non in queste proporzioni. Di sicuro, il gruppo che negli
anni perderà ed acquisirà componenti e subirà anche una trasformazione
profonda, tanto da presentarsi negli anni novanta col nome di Nuova
Schola Cantorum, non sarà in grado di ripetere un exploit del genere
sebbene talento ed occasioni per bissarlo non siano mai mancati.
Van McCoy
Direttore d’orchestra, Van McCoy ha saputo volgere a suo favore la
straripante moda della musica per le discoteche e il boom delle stesse.
Tutto questo successo improvviso non è senza una ragione precisa. In
patria Mc Coy era noto già da tempo per la sua attività di arrangiatore
e compositore e la sua musica risente di influenze jazzistiche sia negli
impasti strumentali che nella ritmica. La fusione coro-orchestra avviene
nella maniera più logica, senza fratture nel discorso musicale. Alla
fine del 1975 si fa conoscere anche in Italia con la canzone THE HUSTLE,
legato al ballo dal medesimo nome, legato alle comunità latine di New
York è lanciato dalla discoteca newyorchese Adam’s Apple. Questo ballo
(che diverrà ultranoto, ballato da Travolta nel 1977, nel film LA FEBBRE
DEL SABATO SERA) in Usa diventa un hit clamoroso e lancia alla ribalta
il musicista di Washington. Il quale comincia subito a sfornare dischi a
getto continuo e non avendo ancora una produzione propria, come avrà in
seguito, si dedica a riarrangiare successi internazionali da discoteca
adattandoli al suo stile personale. Coadiuvato dai migliori musicisti
della città di New York, confeziona piccoli capolavori per un pubblico
che, sebbene non avvezzo ad andare in discoteca, ama ascoltare
"classici" della disco nelle proprie pareti domestiche o in macchina. Un
po’ come potrebbe fare (con le dovute differenze di stile e di ritmica)
un italiano come Fausto Papetti. Arrangiamenti sofisticatissimi in stile
MFSB di Philadelphia (come stile musicale sono però diversi), qualche
hustle (inteso come ballo) per non rinnegare il titolo principe che gli
ha dato fama e denaro in abbondanza ed una serie di brani strafamosi
come DOCTOR’S ORDERS, DISCO BABY (che è anche il titolo dell’album), GET
DANCIN’, PICK UP THE PIECES, FIRE ed altri. Praticamente i successi da
discoteca dell’annata. Inutile dire che il disco non faticherà di certo
ad insediarsi nelle prime posizioni delle classifiche internazionali.
Tanto è vero che la Buddah, sua etichetta precedente, ripropone un suo
vecchio album, FROM DISCO TO LOVE, dove McCoy si divide in due: nel
primo lato una serie di brani lenti ma comunque sempre di musica soul
che ricalcano nello stile le ballate lente alla Barry White, nell’altro
lato si mette al servizio di brani più ritmici ma cantati (avete
presente Ray Conniff?) da coriste/i e lui al pianoforte circondato da
un’orchestra che fa il suo. Il sound è datato ma il disco è comunque
godibile . Ora dopo il successo del primo quarantacinque e l’uscita
dell’album, Van McCoy ci riprova col nuovo singolo: THE DISCO KID (molto
vicina ai modelli di THE HUSTLE) che reca sul retro CHANGIN’ WITH THE
TIMES (titolo che sembra quasi autobiografico). Alla fine del 1975 Van
McCoy viene nominato Top Instumental Artist e l’album vende otto milioni
di copie soltanto in Usa. Van McCoy muore nell’estate del 1979 dopo
averci lasciato un buon numero di brani come testamento artistico:SOUL
CHA CHA, NIGHT WALK, THEME FROM STAR TREK e il citato CHANGIN’ WITH THE
TIMES.
Jair Rodrigues
Personaggio nuovo per l’Italia ma famosissimo da dieci anni in Brasile è
Jair Rodrigues. Jair Rodrigues acquista notorietà grazie all’inserimento
del suo nome nel cast internazionale della Mostra di Musica Leggera di
Venezia. Inserimento più che giusto dato l’improvviso interesse del
pubblico italiano per la musica brasiliana, passione forse mai sopita
del tutto per quanto il boom vero e proprio risalga addirittura alla
fine degli anni cinquanta. Ma le nostre cantanti più famose non hanno
mai smesso di guardare verso il Pan di Zucchero (Mina e Ornella Vanoni i
più classici esempi) ed hanno periodicamente presentato in Italia brani
tradotti dal brasiliano. In più, il 1975 è stato l’anno di Jorge Ben e
del suo tour italiano apprezzato dalla critica e dagli spettatori dal
palato sopraffino e brani come AI AI CARAMBA (da leggere con l’accento
sulla a) o OS ALQUIMISTAS ESTAO CHEGANDO sono diventati molto popolari.
Completamente diversi comunque i due artisti: Jorge Ben sempre proteso
verso nuove sonorità da abbinare alla musica carioca, Rodrigues più
classico ed esponente del samba. La canzone che ha presentato alla
manifestazione e che si sente spesso per radio si chiama MARAVILHOSO E’
SAMBAR, forse uno dei titoli più commerciali e poco rappresentativi
della musica di Jair Rodrigues. Jair Rodrigues De Oliveira nasce in un
paesino nelle vicinanze di San Paolo e gli inizi verso la carriera
musicale non sono stati molto facili. Era l’epoca della grande musica
brasiliana, quando Tom Jobim e Joao Gilberto dettavano legge in tutto il
mondo e i più grandi cantanti americani facevano a gara per incidere un
album a fianco di uno di questi due mostri sacri. Jair conosce il
successo nel 1964 con la canzone DEIXA LASSO PRA LA, una canzone
divertentissima e reincisa da decine di altri artisti, brasiliani e non,
come da jazzisti di fama mondiale. In pochi giorni il disco vende
centomila copie e Jair comincia ad essere notato anche dalla televisione
che gli affida uno show insieme ad un’altra grandissima della musica
brasiliana, Elis Regina. Il programma si intitola Dois Na Bossa ed è
subito un cult, tanto è vero che le registrazioni delle puntate sono
anche disponibili in dvd sia sul mercato dei privati (ebay ed affini)
sia in quello ufficiale. Jair, raggiunto il successo, decide di seguire
una strada in particolare, quella del samba e del carnevale e ne diventa
un animatore, tanto è vero che non passa anno nel quale Rodrigues non
presenti un nuovo pezzo scritto appositamente per la festa più attesa
dell’anno, il carnevale. La scelta di legarsi al carrozzone carnevalesco
non gli porta alcuna fama internazionale come invece avviene per Chico
Buarque De Hollanda, Sergio Mendes o Vinicius De Moraes. Quindi nel 1971
approda al Midem di Cannes e ottiene un clamoroso successo come cantante
e come showman. Potrebbe essere la volta buona per giungere anche da noi
ma in quel preciso anno il mercato italiano è già saturo di musica
brasiliana: Toquinho e Vinicius sono onnipresenti e saturano il mercato
italiano anche grazie alla loro conoscenza della nostra lingua e alle
preziose collaborazioni che hanno (ed avranno) con cantanti italiani
come Patty Pravo, Ornella Vanoni e Mia Martini. L’anno prima ci avevano
provato la brasiliana Tuca, Elza Soares e Wilson Simonal ma non avevano
avuto molta fortuna ( Simonal a parte). Tornando al 1975 e all’inizio di
questo 1976, il 33 giri di Jair si chiama EO SO SAMBA (Io sono il samba)
è il diciottesimo LP della sua carriera e contiene dodici canzoni tra
cui quella presentata alla kermesse canora.
Jorge Ben
Si parlava prima di Jorge Ben ed è giusto tracciarne un piccolo
ritratto. Dal 1969 Jorge Ben è famoso come autore e cantante anche in
Italia. Oddio, famoso è una parola grossa: diciamo che i più addentro
alla musica di un certo livello lo conoscono e lo apprezzano moltissimo.
Mina incide una sua canzone nel 1970 dal titolo DOMINGA (DOMINGAS in
brasiliano) e la televisione lo invita in tv. E’ ospite di Speciale Per
Voi, il programma di Renzo Arbore ma, nonostante che egli entusiasmi il
pubblico presente in sala, il grosso del pubblico lo vede ancora come un
oggetto misterioso, uno di quei personaggi che vengono presentati in tv
perché capisaldi di un certo genere musicale ma duri da digerire. Jorge
Ben invece è l’immediatezza e la spontaneità musicale personificata.
Niente di quello che presenta è veramente prevedibile anche se poi ci si
può stupire del fatto di canticchiare una sua canzone appena sentita
come se l’avessimo nel dna. Lui è figlio del sedicesimo secolo, quando i
primi schiavi negri arrivarono dall’Africa in Brasile e, nel tempo, la
fusione tra la musica brasiliana e quella importata dagli africani diede
vita ad una nuova forma musicale a metà tra il samba e la musica
tribale. Negli anni sessanta a questo genere venne dato un nome forse
approssimativo, afrosamba poi sfociato in tropicalismo (di cui Jorge Ben
fu il leader); una geniale fusione di percussionismo africano e musica
brasiliana. Il suo vero nome è Jorge Duilio Lima Menezes. Ben è il
cognome della madre, di origine africana. La sua carriera comincia
casualmente ad una festa studentesca quando canta MAS QUE NADA (canzone
scritta da un organista chiamato Ze Maria e portata al successo in tutto
il mondo da Sergio Mendes ma della quale è impossibile quantificare il
numero preciso delle esecuzioni su disco) e POR CAUSA DE VOCE MENINA.
Verso il 1966 insieme a Gilberto Gil, Caetano Veloso e Maria Bethania
fonda il movimento Tropicalismo e i loro nomi diventano familiari a
milioni di persone nel mondo appassionate di musica brasiliana. Jorge
Ben compone canzoni come ZAZUEIRA e PAIS TROPICAL che forse dal nome
potrebbero non dirvi niente ma se le ascoltaste sicuramente le
riconoscereste alla prima nota. Nel 1966 in Usa ottiene un successo
strepitoso e in Europa, come si è detto, lo ottiene tre anni dopo,
passando (anche lui) dal Midem di Cannes (l’anno prima era toccato a
Elis Regina che presentò UPA NEGUINHO, che fu subito tradotta per Mina
col titolo ALLEGRIA). La semplicità della linea melodica unita all’idea
di sperimentare sempre qualcosa di nuovo non dimenticando mai le proprie
radici, avvicinandosi mano a mano ad una forma di musica popolare legata
all’idea del moderno e della sperimentazione lo portano ad essere un
numero uno di fama mondiale. A Roma, alla fine del 1975, dà uno
spettacolo memorabile al Sistina. Difficilmente un pubblico selezionato
(allora) e rotto ad ogni tipo di intrattenimento musicale si sarebbe
fatto coinvolgere così tanto da un artista al punto di mettersi a
ballare alla fine dello spettacolo! E al Sistina ci andava solamente un
certo tipo di persone, molto esigenti e smaliziate. Ma il successo ha
avuto un eco così grande che la CBS italiana dà subito alle stampe il LP
JORGE BEN DAL VIVO AL SISTINA mentre negli scaffali dei negozi di dischi
fanno bella mostra due album che si vendono talmente bene da essere
presenti nelle zone meno calde della classifica di vendita: 10 ANOS
DEPOIS e A TABUA DE ESMERALDA.
Mandrake
Continuiamo coi brasiliani in Italia e andiamo da un apprezzatissimo
percussionista che si chiama Ivanir Do Nascimento ( ma come mai i
cognomi dei brasiliani sono tutti uguali?) ma che è meglio conosciuto
come Mandrake. In Italia dalla fine degli anni cinquanta, fa avanti e
indietro con il suo paese, tanto è vero che sposa una napoletana da cui
ha una figlia. Doveva rimanere venti giorni ma è qui da 15 anni. Cugino
di Pelè, collabora da anni con musicisti italiani, cantanti e direttori
di orchestra. Nel 1959 suona in Brasile con Enrico Simonetti, che allora
vi si era trasferito (la notorietà televisiva come presentatore e
direttore d’orchestra arrivò a metà anni sessanta) e gli viene dato il
nome di Mandrake, perché Simonetti, in un programma televisivo, dove
eseguiva musica su temi prestabiliti, cercava nel gruppo qualcuno che si
potesse vestire da Mandrake perché era la sera in cui si parlava di
magia. L’unico ad avere i baffi era lui e così diventò Mandrake. Suonare
le percussioni è il suo mestiere e lo fa talmente bene che dopo aver
accompagnato negli ultimi tempi Toni Esposito (altro tipetto che con le
percussioni ha un conto aperto) e i Perigeo incide un album in cui
presenta brani quasi tutti non suoi anche perché si ritiene un esecutore
e non un compositore. Durante le sue esibizioni del vivo fa cose
particolari come far alzare il pubblico in piedi per un assolo di
percussioni e che poi lo applaude come segno di riconoscimento e
rispetto per essere presente. Il 1976 lo vedrà spesso in tv
nell’orchestra di Irio De Paula e anche nei dischi di famosi artisti
italiani che lo vogliono assolutamente alle percussioni nei loro lavori
a 33 giri. Una delle più affezionate a Mandrake è Ornella Vanoni; un
direttore d’orchestra che lo stima in modo particolare è Gianni Ferrio.
Mandrake torna in Italia nel 1970 insieme a Irio De Paula e Alfonso
Veira, quando arriva Elza Soares, in Italia in tournèe e anche al
Cantagiro. Finiti gli impegni, la Soares se ne torna in Brasile ma il
trio (chiamato anche Trio Balanço) resta a Roma. Dopo aver suonato
moltissimo al Folkstudio e aver accompagnato altri artisti di lusso al
Sistina, nel 1972 incidono un LP, che coincide con l’ingresso nel gruppo
di Giorgio Rosciglione al basso. A loro l’onore di inaugurare la collana
Jazz A Confronto che fra l’altro conteneva le note di Enrico Simonetti,
il vecchio amico ritrovato. Ora Mandrake esce sul mercato con un suo LP,
intitolato SOMBOSSA che presenta un gruppo ormai disciolto. Tre dei
musicisti sono andati via per formare a loro volta un gruppo di
ispirazione brasilian-jazz, già comunque sostituiti da altri
strumentisti validi, tra cui un congolese.
Ombretta Colli
Disco femminista e d’impegno per Ombretta Colli. Sono
anni che si batte per i diritti delle donne sia partecipando ad azioni
collettive sia con canzoni ironiche e polemiche (LA REGINA DELLA
CASA,TUTTE LE VOLTE). Ora ci prova con un album intitolato UNA DONNA,
DUE DONNE,UN CERTO NUMERO DI DONNE. Ha chiesto al marito una
collaborazione così come l’ha chiesta all’amico Umberto Simonetta. Oltre
ad essere una bella donna la Colli ha anche una fervida intelligenza ed
un senso dell’umorismo molto spiccato. Il disco, edito dalla Fonit
Cetra, è dedicato alla figlia Dalia e vi si legge: nella mia vita non ho
mai fatto cose di cui essere particolarmente orgogliosa e neanche di
questo disco lo sono. Comunque qui c’è un tentativo di dire di più e
spero apprezzerai lo sforzo. Ascoltami con attenzione non perché io
voglia insegnarti qualcosa (ho già rinunciato da tempo) ma perché
attraverso questo disco mi conoscerai un po’ di più. I temi del LP
ruotano naturalmente intorno al tema donna. Si va dalla dissacrazione
del mammismo al servilismo erotico, dalle convenzioni matrimoniali ai
rapporti extra coniugali. Il tutto espresso in maniera divertente e con
musiche gradevoli tanto da far accettare questi proclami in musica anche
a chi, per costituzione, li odia (chi scrive, ad esempio). Molto
indicativo è un titolo E POI HAI ANCHE IL CORAGGIO DI CHIAMARLO AMORE in
cui si rimprovera al compagno o marito il bisogno di rovesciare i propri
problemi, paure, angoscie, drammi ed impotenze (fisiche e non) addosso
alla donna tanto che lei si chiede giustamente con che coraggio lo si
chiama amore. Cerca di sintetizzare il ruolo che spesso si vorrebbe dare
alla donna, una specie di porto-rifugio-mamma nella quale l’uomo trova
conforto. Senza chiedersi se la stessa cosa potrebbe volerla la donna.
Oppure nel brano in cui si mette alla berlina il gallismo maschile:
mentre lui le sta parlando di cose che lei giudica molto sensate (in
senso ironico) il suo sguardo indugia tra le coscie. Mentre le fa dei
discorsi importanti con frasi appropriate e corrette i suoi occhi si
posano nella scollatura della camicetta. Il brano in questione è
intitolato IL MIO CORPO. Molto carina è LE TORTURE, canzone recitata
che dice pressappoco così: si racconta in un libro che in una tribù
primitiva ogni donna portava nascosto un oggetto ben legato alla schiena
e appeso davanti al collo che le toglieva il respiro e le scchiacciava
il petto. Hai presente il reggiseno? Praticamente uguale. E via di questo
passo, paragonando oggetti di tortura ad oggetti di uso comune per la
donna. Naturalmente la Colli non parla per sé. Lei è una donna
affermata, con un marito intelligente ed una madre soddisfatta. Si
preoccupa però di tutte quelle altre donne che sono vittime di soprusi
od ingiustizie sociali. Una realtà che non la riguarda ma che la
colpisce come essere umano. Potrebbe fare la diva e frequentare la
Milano bene ed invece scende in piazza insieme alle femministe a
bruciare i reggiseni o a scandire slogan ormai diventati famosi. Sceglie
questo momento particolare per incidere il disco perché ha abbastanza
visibilità in quanto reduce da una trasmissione di successo al fianco di
Paolo Villaggio (GIANDOMENICO FRACCHIA) e prossima protagonista di RETE
TRE insieme a Gianni Morandi nella quale trasmissione presenterà alcune
delle canzoni proposte nell’album. Che comunque, dati i temi, non avrà
un grande riscontro commerciale e che non è neanche facile a trovarsi.
Il costo del vinile nelle varie mostre dovrebbe aggirarsi tra i 30 e i
50 euro.
Gabriella Ferri
Forte della pubblicità avuta grazie alla trasmissione
televisiva MAZZABUBU’, Gabriella Ferri incide un album che reca tutte le
canzoni presentate in tv tranne, cosa davvero strana, la sigla finale,
la tristissima (ma bellissima) ..E CAMMINA, parabola sulla vita e sulla
caducità delle cose che la contraddistinguono. La firmano Castellacci,
Pingitore e Franco Pisano (gli stessi autori di SEMPRE). A guardar bene,
non è presente nemmeno la sigla di apertura della trasmissione,
MAZZABUBU’. Né su singolo né su LP. Altro mistero, perché il 33 giri si
chiama con lo stesso nome della trasmissione e della sigla omonima. Nel
disco ci sono invece classici della canzone italiana diventati noti
grazie ad altri interpreti nei decenni precedenti. La Ferri ha
l’intelligenza di riproporli in versione del tutto personale
trasformandoli completamente e plasmandoli a propria immagine e
somiglianza. Cosi IL TUO BACIO E’ COME UN ROCK diventa quasi una parodia
della canzone di Celentano. Delle volte, difatti, Gabriella Ferri
esagera un po’ anche in sguaiatezza. MALAFEMMINA di Totò avrebbe forse
avuto bisogno di un’interpretazione intimistica rispetto a quella che le
viene confezionata, ma si percepisce comunque che è l’espressione di una
grande artista . La scelta dei pezzi è obbligatoria nel senso che devono
rispecchiare gli anni presi in considerazione nella trasmissione tv, che
è il seguito della strafamosa DOVE STA ZAZA’, andata in onda nel 1973.
Gli anni sono quelli che vanno dal 1950, momento dell’Anno Santo, alle
olimpiadi di Roma del 1960. Altri titoli (presentati anche in tv sebbene
non tutti) sono A LUCIANA e VOLA PENSIERO MIO che completano gli inediti
insieme a ..E CAMMINA. Poi ERI PICCOLA COSI’, TU VUO’ FA’ L’AMERICANO,
VECCHIA ROMA, MARUZZELLA tra i titoli già noti nelle versioni originali.
Ad affiancarla i soliti Pippo Franco, Oreste Lionello, Gianfranco
D’Angelo ed Enrico Montesano. La regia è di Antonello Falqui. Nella
prima puntata la Ferri canta MALAFEMMINA e LUNA ROSSA. Una canzone è da
studio, un’altra ci fa vedere una Ferri in giro per Roma vestita da scena
(la divisa rossa che porta anche nella sigla finale). Ad esempio,
CASETTA DE TRASTEVERE dovrebbe, come vorrebbe il titolo, essere
ambientata a Trastevere. Ed invece viene ambientata a Spinaceto,
quartiere satellite romano. IL TUO BACIO E’ COME UN ROCK viene girata al
Palazzo dello Sport dell’Eur. Scelta anticonvenzionale anche nella
ricerca degli esterni. Per una volta non la Roma da cartolina, troppo
scontata. Gabriella Ferri è anche coinvolta in un film insieme ai suoi
due co-protagonisti della trasmissione televisiva, cioè Montesano e
Pippo Franco. Il film si intitola REMO E ROMOLO, STORIA DI DUE FIGLI DI
UNA LUPA, dove la lupa è proprio lei, Gabriella. Castellacci e Pingitore
sono dietro alla sceneggiatura del film che altro non è se non una
trasposizione cinematografica di un’opera che non avrebbe sfigurato al
Salone Margherita o al Bagaglino, dato che è impostata secondo i criteri
classici del cabaret (anche televisivo): battute a raffica e una
consistente satira. Il film non è un capolavoro ma gli interpreti sono
davvero bravi e sono aiutati anche da un redivivo Maurizio Arena, da una
quasi dimenticata Maria Grazia Buccella, da un simpaticissimo Bombolo
oltre che dagli altri due protagonisti di MAZZABUBU’ e cioè Lionello e
D’Angelo.
Revival
Il boom delle vecchie canzoni sta vivendo una nuova stagione, dopo
quella del 1967-68. A parte la Ferri e la sua trasmissione televisiva e
album connesso, anche il cinema sta volgendo lo sguardo al passato sia
come titoli sia come colonne sonore all’interno dei film stessi. Da
DIVINA CREATURA film con canzoni di Cherubini e Bixio a TELEFONI
BIANCHI. Per non parlare dei titoli dei film: A MEZZANOTTE VA LA RONDA
DEL PIACERE, C’ERAVAMO TANTO AMATI (primo verso di COME PIOVEVA), AMORE
VUOL DIRE GELOSIA (frase tratta da TANGO DELLA GELOSIA), SON TORNATE A
FIORIRE LE ROSE o UNA SERA CI INCONTRAMMO (ancora saccheggiata COME
PIOVEVA). La canzone italiana non rimane a guardare e sta investendo
denaro e artisti nella rivalutazione di canzoni che appartengono al
passato. La Vanoni trasporta in samba le atmosfere napoletane di ANEMA E
CORE aiutata da Vinicius e Toquinho. Renato Carosone, che aveva dato
l’addio alle scene nel 1960, torna in sella in estate con lo spettacolo
dato alla Bussola e trasformato poi in 33 giri (CAROSONE ’75). Gianni
Nazzaro incide un LP intitolato C’ERA UNA VOLTA IL NIGHT dove presenta
canzoni del repertorio di Marino Barreto jr e Fred Buscaglione. Fred
Bongusto, personaggio da night all’epoca trattata da Nazzaro esce con un
nuovo LP dal titolo ITALIAN GRAFFITI. In disparte da qualche anno, Bruno
Martino incide quattro LP in cui ripropone alcune tra le più belle
melodie americane degli anni quaranta e cinquanta. Le classifiche a
quarantacinque giri sono piene di vecchie-nuove canzoni come la stessa
LE TRE CAMPANE di cui si parlava prima, COME PIOVEVA (I Beans) TU CA’
NUN CHIAGNE (Il Giardino Dei Semplici) o le hit dell’estate come PARLAMI
D’AMORE MARIU’ ricantata da Mal o anche (se vogliamo) REACH OUT I’LL BE
THERE di Gloria Gaynor, lanciata in un passato non tanto remoto dai Four
Tops.
Novità discografiche
Uno che ci marcia nel riproporre un personaggio
d’altri tempi, anche grazie alla straordinaria somiglianza fisica col
suo genitore è Christian De Sica, che presenta una canzone tratta dalla
trasmissione televisiva di cui è protagonista insieme a Mia Martini,
Gino Paoli, Riccardo Cocciante, Gigliola Cinquetti e Gianni Nazzaro e
cioè LA COMPAGNIA STABILE DELLA CANZONE CON VARIETE’ E COMICA FINALE. Il
singolo, edito dalla Rca si intitola L’ELEFANTE NON DIMENTICA (di
Alberto Testa e di Vito Tommaso) e reca sul retro la canzone molto retrò
(a partire dal titolo) ALCOVA che per l’appunto è una vecchia canzone di
Bixio e Cherubini. E’ il momento delle canta-attrici: un manipolo di
dive dello schermo (o ex dive) ci prova davanti ad un microfono.
Risultati scoraggianti in termini di vendita ma interessanti dal punto
di vista collezionistico (soprattutto perchè le quotazioni sono ancora
basse). Ursula Andress incide un disco e si affida a Renato Pareti e a
Cristiano Malgioglio che le confezionano su misura un brano
erotico-parlato che si chiama AMANTI. E’ un dialogo tra una donna
esperta e un ragazzo giovane ed esuberante. Il ragazzo lo interpretà il
giovane Miguel Bosè, ventenne all’epoca dell’incisione. La quale madre
Lucia, nel frattempo ha debuttato in Spagna con AMORE AMARO come autrice
di canzoni, interpretata da Camillo VI (sesto). Altra attrice prestata
al microfono è Virna Lisi, trascinata in sala d’incisione da Anthony
Quinn (non nuovo ad escursioni canore) che cercava una partner per il
disco FINISCE QUI, duetto canoro di Shel Shapiro e Andrea Lo Vecchio, un
brano abbastanza insolito e lungo. Due facciate in cui si narra una
storia d’amore. Antonella Lualdi, all’epoca compagna di vita di Stelvio
Cipriani, incide la canzone tema dello sceneggiato tv DOV’E’ ANNA,
proprio di Cipriani, che fino a quel momento era edita solo come tema
musicale strumentale ed incisa proprio dall’autore su dischi RCA. Il
tema principale ottiene un buon successo commerciale su 45 giri
soprattutto grazie alla spinta televisiva. Successo che non viene
bissato dalla versione cantata dalla bella attrice (che tra l’altro non
canta neanche male) su testo di Cassella, collaboratore di Cocciante e
molti altri. Altra attrice televisiva, e moglie di Claudio Lippi, è
Laura Belli. La protagonista di HO INCONTRATO UN’OMBRA e di GAMMA incide
un disco per la Ricordi. Incide PER che in precedenza era stata incisa
dalla Vanoni. Laura Belli non ha una gran voce, ma riesce ad essere
interessante ed incisiva. Il suo ovale che ricorda vagamente Marisa
Sannia la rende simpatica al pubblico ma il disco non vende granchè,
nonostante la bella canzone (di Lo Vecchio e Shel Shapiro) che nella
versione della Vanoni era logicamente un’altra cosa. Cosa curiosa, una
cantante fa il percorso inverso. Si tratta di Carmen Villani che si
diletta in film scollacciati, tanto che il suo ultimo film LA SUPPLENTE
è stato vietato ai minori di 18 anni. Carmen non è nuova ad exploit del
genere. Nel 1975 ha girato ANIMA MIA (niente a che vedere, naturalmente,
con l’omonima canzone), L’AMICA DI MIA MADRE, la già citata LA SUPPLENTE
ed ora sta girando LINGUA D’ARGENTO. Il nome è già tutto un programma!
Zarrillo
Primo disco da solista dell’ex componente del gruppo progressive
Semiramis, Michele Zarrillo che per questo disco si fa chiamare Andrea
Zarrillo. Vent’anni, lavora ai mercati generali e appena può si dedica
alla musica, la sua grande passione. Suona la chitarra da quando ha
dodici anni. Per lui la grande occasione arriva insieme alla prima
esperienza professionistica con il gruppo dei Semiramis, col quale fà il
suo esordio al Festival Pop di Villa Pamphili nel 1972 che dal 25 al 27
maggio 1972 accolse oltre 60 gruppi musicali tra cui il Banco del Mutuo
Soccorso, i New Trolls, gli Stormy Six, l’Era D'Acquario, I Latte e
Miele, e artisti come Francesco De Gregori e Claudio Rocchi. Ma di
gruppi di quel genere in Italia, che bazzicavano quell’area nello stesso
periodo ce ne sono a bizzeffe. E dopo un disco d’esordio dal titolo
DEDICATO A FRAZZ, nel 1973, il complesso si scioglie. Del gruppo faceva
parte anche un altro giovane autore che negli anni ottanta avrebbe
tentato la strada solistica, Giampiero Artegiani, per poi diventare
autore. Zarrillo tira allora fuori dal cassetto le sue canzoni che sono
totalmente differenti come struttura da quelle presentate coi Semiramis.
Canzoni composte nei momenti di pausa tra le varie serate e il suo
lavoro ai mercati generali. Canzoni che sembrano uscir fuori da un libro
di Pasolini, che trattano di esperienze di borgata, di sogni mai
avverati. Zarrillo sta preparando il suo esordio come solista quando lo
vengono a cercare i ragazzi de Il Rovescio Della Medaglia che sono
rimasti senza cantante. Debutta con loro a Genzano ma dentro gli resta
la voglia di realizzarsi individualmente. Si stacca dal gruppo e
pubblica il suo disco d’esordio, che si intitola MALEDETTA SIGNORA, e lo
incide per l’Aris, la casa discografica per la quale lavora anche la sua
grande amica Daniela Davoli. Il singolo è una rabbiosa requisitoria su
una signora già matura che l’ha fatto innamorare (tema già usato nella
canzone). Teso e vibrante è un bel dischetto, anche se certe volte si
notano ingenuità nel testo che scade con un linguaggio semplice o
volutamente (e quindi falso) trasgressivo. La voce è possente e bella,
roca come vuole la moda (Cocciante e Drupi). Il disco ottiene successo e
la Rai lo fa esordire in due programmi tv: SE e nella trasmissione
condotta da Memo Remigi dedicata alle nuove leve della canzone il titolo
è UN PO’ DI CUORE E UN PO’ DI RABBIA.
Yvonne Fair
Un altro nome, nuovo per il pubblico italiano, circola insistentemente
nell’ambiente. E se ne dice un gran bene: è quello di Yvonne Fair, anche
lei miracolata dalla Mostra di Venezia, nella quale ha presentato un
bellissimo pezzo che sebbene ricordi un po’ troppo STAND BY ME (cosa che
non è necessariamente un difetto), rimane sempre una gran bella canzone,
eseguita in maniera splendida da una voce particolare (in alcune
sfumature sembra Tina Turner) e molto molto calda. Il titolo è IT SHOULD
HAVE BEEN ME. E’ l’ultimo, in ordine di tempo, personaggio lanciato
dalla Motown e dal grande Norman Whitfield, factotum della casa di
Detroit. Lei esordisce nel 1975 con l’album dal titolo inequivocabile
THE BITCH IS BACK ma il suo nome è legato al film THE LADY SINGS THE
BLUES nel quale interpretava la parte di una cantante di night. Nata in
Virginia ma cresciuta in arte a New York come sempre accade in questi
casi, comincia a cantare fin da bambina e giovanissima entra in un
gruppo femminile che rifaceva il verso alle Supremes, le Chantels.
Incontra James Brown che la vuole come corista negli spettacoli dal vivo
ma l’irruenza e la forte personalità del cantante lasciano pochissimo
spazio al resto che rimane un "contorno". Whitfield la nota e le dice di
piantare tutto e di andare a Detroit dove, oltre a diventare cantante di
punta, si occupa anche del management della casa diventando una
coordinatrice del "parco macchine". Ora non sappiamo quanto sia stata
valida come dirigente ma di certo possiamo giudicare da un paio di LP
editi qua da noi quanto lo sia stata come cantante. Purtroppo Yvonne
Fair muore dopo una lunga malattia nel 1994, quando aveva già
abbandonato la carriera artistica.
Sandokan
Nel 1968 era toccato a Bekim Femiu, l’interprete dell’Ulisse
televisivo. Gli esperti prevedevano un successo simile, ma in realtà
sbagliavano di grosso. Il successo dello sceneggiato tv è talmente
grande che sembra inarrestabile. Addirittura se ne arriva a parlare al
telegiornale, dopo appena una puntata. E, badate bene, in quel periodo
non esistevano spot ad hoc per trainare programmi televisivi della
stessa rete del TG che li ospitava. A metà gennaio un'interruzione dei
programmi per inserire un’annuncio pubblicitario con attori e regista
(Sollima) sotto la guida di Lello Bersani. Il giorno dopo una conferenza
stampa in Rai con proiezione delle prime due puntate con la presenza di
Adolfo Celi e Carole Andrè. Si sta assistendo ad una vera e propria
invasione salgariana e pubblicitaria di larghissimo respiro, una delle
classiche operazioni industriali pronte a cavalcare la tigre del
successo. In questo caso, quella della Malesia. Il fenomeno ha assunto
aspetti macroscopici soprattutto a Roma dove la permanenza del Sandokan
televisivo è stata punteggiata da manifestazioni di divismo tipiche di
altri tempi. La comparsa di Sandokan in tv è coincisa con un periodo
davvero dei più bui della storia italiana. Il 1975 è stato uno degli
anni più difficili dal dopoguerra ad oggi. Tra uccisioni per motivi
politici o a scopo di rapina, tra sequestri lampo (il marito della
Caselli riesce a scampare per un soffio ad un sequestro) che finiscono
con l’uccisione dell’ostaggio e con un governo instabile finisce che
l’italiano medio decide di costruirsi una propria isola privata, un
rifugio mentale, meglio ancora se animato dai fiabeschi personaggi
salgariani. Perché i libri di Salgari sono da decenni a disposizione nei
negozi ma da anni non se ne vendevano quasi più. Era roba superata. In
più i ragazzi tra gli otto e i dodici anni, nel 1976, preferiscono
leggere i fumetti erotici piuttosto che un libro d’avventure, di quelli
veri, senza le figure. Sandokan è un eroe positivo ed è quasi normale
che i bambini ricorrano a lui, visto che la società dell’epoca (ma anche
quella odierna) presenta solo eroi negativi, meglio ancora se con la P38
impugnata nella destra.
Cosa succede a Roma quando Kabir Bedi decide di far visita ad una scuola
e presenziare ad una proiezione dello sceneggiato tv in un cinema? Al
Montezebio, cinema parrocchiale davanti al Delle Vittorie, un migliaio
di persone invitate dalla Rai riescono a vedere Kabir dal vero, che per
l’occasione sfoggia un guru bianco, accompagnato dalla sua donna e da
Carole Andrè, la Perla di Labuan dello sceneggiato, più Adolfo Celi
(Brooke) e Philippe Leroy (Yanez). Per Kabir Bedi, riuscire ad
attraversare il palco diventa un impresa molto più ardua che transitare
a piedi nella foresta della Malesia: ragazzini che gli si attaccano alle
gambe come scimmie indiane, che gli presentano album di figurine da
autografare, mamme che lo sbaciucchiano e lo palpeggiano spudoratamente
lanciandogli contro i figli come mossa di distrazione. Chi scrive era
uno dei fortunati(?) presenti insieme a fratellino di 5 anni e baby
sitter, la quale praticamente si era dimenticata del suo ruolo di
tutrice e si era avvinghiata all’indiano tipo "patella" su uno scoglio.
L’apoteosi, quando sullo schermo appare forse la scena più famosa dello
sceneggiato, cioè la lotta tra Sandokan e la tigre. Si tratta di un volo
incrociato, al rallentatore, nel quale il nostro, passando abilmente
sotto la tigre con la scimitarra, le trancia il ventre facendola secca.
Bella scena e urli entusiastici dei bambini presenti. ADESSO MUSICA, che
solitamente si occupa solo di musica leggera e classica, registra un
servizio sull’attore in Rai con l’occasione di una conferenza stampa
dell’attore indiano. Fuori dai cancelli alcuni agenti cercavano di
trattenere una folla immensa di ragazzine che hanno preferito
presentarsi in Via Teulada piuttosto che davanti ai cancelli della
scuola. All’interno della Rai la folla non era più piccola di quella che
premeva fuori. Se qualcuno avesse provato a telefonare probabilmente non
avrebbe avuto alcuna risposta. La Sandokanmania ha raggiunto tutti, dai
funzionari di ogni grado alle segretarie, dai collaboratori alle donne
delle pulizie. Tutto l’organico televisivo era presente nella sala dove
si è svolta la conferenza stampa di Kabir Bedi. Il quale era
completamente coperto dai fotografi. Quando questi si sono ritirati per
permettere l’inizio della conferenza un ooohhh lungo e prolungato è
uscito dalle bocche dei presenti. Kabir Bedi è apparso agli astanti in
tutto il suo splendore, quasi come la Madonna a Fatima. Stessa cosa
accade a Centocelle, alla scuola Guglielmo Marconi, quando lui, con
scarsa prudenza, va a presenziare ad una mostra di disegni sul tema
Sandokan. Deve intervenire la polizia e portarselo via in volante. Ciò
che più stupisce sono le gomitate che si danno preti e suore ad Assisi
per un suo autografo, come testimoniano anche i quotidiani. Della serie
"non c’è più religione". Vittorio Salvetti, patron del festival di
Sanremo gli chiede di intervenire, ma l’attore indiano chiede 21 mila
dollari e Salvetti gli risponde di no. Nel frattempo però lui, che ha
ormai mangiato la foglia, registra un 45 giri strappacuore sullo stile
di Alberto Lupo. Il titolo in cui sussurra con voce profonda e suadente
parole d’amore (in lingua inglese) è I’M ON THE WAY TO YOUR HEART.
PDU
La PDU, casa discografica di Mina, che negli anni precedenti si è
occupata di musica a 360 gradi, dal jazz alla classica, dalla
strumentale al folk, ha privilegiato però, nella musica leggera,
soltanto un certo tipo di musica, forse più commerciale sebbene di
discreto livello (Domodossola e Marisa Sacchetto) ma anche sonori
fiaschi (Anita Traversi o Giuliano Girardi). Con la fine del 1975
qualcosa cambia. Gli sforzi della casa discografica saranno quindi
rivolti verso la realizzazione di prodotti che abbiano potenzialmente
una buona commerciabilità ma senza venir meno alla qualità che da sempre
contraddistingue i prodotti PDU sia musicalmente che graficamente. E’ di
questi tempi l’ingresso in scuderia di Mario Guarnera, cantante della
fine degli anni sessanta (conosciuto anche col nome di Papete) che dal
1968 era fuori dal giro che conta. Guarnera è, adesso, completamente
diverso. Ha rinnovato il suo modo di scrivere e di proporsi anche perché
i tempi, rispetto alle sue prime esperienze datate 1966-67 sono molto
cambiati. Incide un bel disco dal titolo ADRIANA E NOI, la cui traccia
principale (ADRIANA) viene proposta anche in 45 giri e presentata ad
ADESSO MUSICA. Ma la PDU non si limita alla produzione italiana. I Popol
Vuh incidono la colonna sonora del film AGUIRRE. Questo gruppo
indubbiamente particolare viene fondato da Florian Fricke nel 1969. Il
nome viene preso a prestito dalla terminologia maya. Difatti Popol Vuh è
il libro dei morti maya. La loro musica, che amano definire cosmica,
attinge a temi religiosi con citazioni da testi sacri di tutto il mondo,
da immagini del Rinascimento europeo, dell’esoterismo etc. Questo tanto
per voler rafforzare l’opinione che la PDU è scevra da qualsiasi
pregiudizio musicale. Far incidere dischi di questo genere significa
andare contro ogni regola commerciale ma la sperimentazione e il voler
osare sono due caratteristiche obbligatorie per far crescere un’azienda.
Se non altro di fama.
Radio Montecarlo
Come è facile intuire, la classifica riportata ad inizio articolo non è
l’unica del periodo preso in considerazione. Ci sono decine di
classifiche, diverse l’una dall’altra, a secondo dei negozi interpellati
o dalle società di rilevazione. Ad esempio, una particolarmente
interessante e di difficile reperimento è quella che Radio MonteCarlo
trasmetteva settimanalmente e che, se non altro per confronto con quella
in apertura, vogliamo qui pubblicare. Le canzoni, bene o male, sono le
stesse. Diverse le posizioni e spesso, anche gli artisti presenti. La
classifica relativa al periodo 22-28 gennaio annunciata a Radio
MonteCarlo è la seguente:
1)LILLY – ANTONELLO VENDITTI
2)UN’ALTRA VOLTA CHIUDI LA PORTA – ADRIANO CELENTANO
3)PAGLIACCIO – GLI ALUNNI DEL SOLE
4)LA LUNA – ANGELO BRANDUARDI
5)NEGRO – MARCELLA BELLA
6)HURRICANE – BOB DYLAN
7)IL MAESTRO DI VIOLINO – DOMENICO MODUGNO
8)BORN TO RUN – BRUCE SPRINGSTEEN
9)NINNA NANNA – I POOH
10)UN ANGELO – I SANTO CALIFORNIA
Calcio
La violenza nel calcio non è storia degli ultimi tempi. C’è sempre stata
(le classiche scazzottate già facevano capolino negli anni trenta o
quaranta anche se non venivano mai bollate come vera violenza) ma
diventa una prassi negli anni settanta. A gennaio, per esempio, si sa di
scene di guerriglia urbana a Roma e Genova. Roma-Juventus finisce 0 a 1
a favore della Juve grazie anche all’arbitraggio a dir poco scandaloso
dell’arbitro di Bassano Del Grappa Luigi Agnolin. Che poi è lo stesso
che alla Domenica Sportiva di qualche settimana fa rimproverava a Di
Canio di essersi comportato da provocatore in occasione del derby (e chi
scrive è romanista!). Forse si era dimenticato quanto lo fosse stato lui
all’Olimpico, negando 4 rigori grandi come una casa ai romanisti (tre
falli di mano in area di Morini, Scirea e Furino a dir poco clamorosi
più un atterramento di Causio a Spadoni in area juventina). Risultato,
lacrimogeni in curva Sud e gente impazzita che comincia ad ammassarsi
verso le uscite perché l’aria era diventata irrespirabile. E l’Olimpico,
come sempre, era tutto esaurito (80 mila spettatori). I danni causati
alle infrastrutture dello stadio sono ingenti. Nei w.c non c’è più nulla
di utilizzabile perché tutto è stato scardinato e lanciato verso le
forze dell’ordine e in campo. I feriti alla fine saranno 31. Ma già in
mattinata la giornata era partita col piede sbagliato: 4 autobus
distrutti e spranghe, bulloni di ferro e bottiglie di vetro erano state
sequestrate. Un diciassettenne arrestato perché trovato in possesso di
una pistola. Aggiungete che la Juventus aveva fatto solo due tiri in
porta...
A Genova invece si giocava Sampdoria-Inter e per un goal annullato al
blucerchiato Rossinelli (che aveva segnato il 2 a 2), un invasore
raggiunge l’arbitro fiorentino Giulio Ciacci e lo colpisce con un pugno
in faccia mettendolo ko ad un minuto dalla fine. L’arbitro Ciacci non è
nuovo a questo genere di proteste. Durante un Milan-Torino, un
quindicenne l’aveva offeso per tutta la durata della partita tramite un
megafono invintando la folla a seguirlo. Ciacci lo querelò. L’invasore
viene subito imitato e una folla di tifosi sampdoriani si riversa sul
prato di Marassi incendiando anche la porta difesa da Ivano Bordon,
estremo difensore interista. Anche a Torino lamentele, questa volta del
pubblico laziale: il Torino (che poi avrebbe vinto lo scudetto) era in
vantaggio di 2 a 1 sulla Lazio con goal di Pulici e Graziani. Re Cecconi
aveva accorciato le distanze al 71’. Al 90’ clamoroso atterramento in
area di Garlaschelli da parte di Graziani e l’arbitro nega un rigore
grande come una casa. I laziali, che non sono certo tipi da porgere
l’altra guancia, movimentano un po’ il fine partita.
Sanremo
Novità da Sanremo ’76. Pare che quest’anno Sanremo debba tornare agli
antichi splendori. Il patron Vittorio Salvetti dopo un incontro tra i
dirigenti Rai e i rappresentanti del Comune di Sanremo si dice ottimista
per le tre serate televisive. Ancora non si conoscono ufficialmente i
protagonisti musicali della manifestazione ma Salvetti si è assicurato
qualche nome di grosso richiamo come Sandro Giacobbe, il duo Wess & Dori
Ghezzi, la rivelazione dell’estate ’75 Paolo Frescura, Drupi (vincitore
del Festivalbar). Tra i cantanti tradizionali dovrebbero essere del
gruppo Di Capri e la Berti. Tra quelli che avevano detto nì e che poi
hanno ritirato la candidatura ci sono Gli Alunni Del Sole, Julio
Iglesias, Marcella, Schola Cantorum. In realtà tutto viene
ridimensionato qualche giorno dopo. La Rai accorda al festival solo la
serata finale, ancora scottata dall’insuccesso clamoroso del festival
dell’anno precedente, quando per festeggiare (?) il venticinquennale si
è voluto creare un cast da corte dei miracoli dove i soli due nomi noti
al pubblico erano Angela Luce e Rosanna Fratello. Ma la Rai sbaglia,
perché questo sarà un buon festival con un livello di canzoni più che
sufficiente. Le novità non finiscono qui: la gara è strutturata a
squadre. Partecipano sei squadre con cinque cantanti ciascuna ed ogni
squadra avrà un caposquadra. I cinque cantanti verranno votati dal
pubblico che ne sceglierà due per serata. Il caposquadra andrà di diritto
in finale. Questo diritto fa sì che anche i big accettino di partecipare
ma non dovranno limitarsi a cantare ma anche presentare e chiamare a
raccolta padrini ed ospiti d’onore. Praticamente come succedeva nella
Canzonissima 1967-68 che si chiamava PARTITISSIMA. Altra novità è
l’abolizione della commissione d’ascolto. La scelta è soltanto di
Salvetti in base a quanto i vari capisquadra presenteranno. Poi non ci
sarà più la giuria in sala ma si ritornerà alla giuria popolare nelle
sedi dei vari quotidiani. Eliminata l’orchestra per le più comode basi
musicali. Il 21 febbraio si vedrà quanto sia stata realmente valida
questa formula. Le squadre sono: Endrigo-Di Capri, Giacobbe-Camaleonti,
Drupi-Daniel Sentacruz Ensemble, Wess & Dori Ghezzi-Orietta Berti,
Ricchi & Poveri-Frescura. Naturalmente con altri quattro cantanti o
gruppi in squadra. Polemica tra Salvetti e Claudio Villa. All’inizio di
gennaio il cantante si presenta dal patron del festival e gli dice di
voler mettere a sua (di Salvetti) disposizione e a quella della
rinascita del festival la propria popolarità e quello che ha
rappresentato per Sanremo. Salvetti dice sì perché ha in mente una
squadra di cantanti all’italiana, magari non propriamente in auge, come
Villa, la Berti e Reitano. Reitano chiede di essere caposquadra e
Salvetti lo esclude. Villa si presenta a Salvetti con una canzone dal
titolo SERENATA AL MIO PADRONE che recitava così: quanta fame c’è nel
mondo, o padrone rubicondo. Imbarazzante è dir poco. Il tempo passa e
Villa è sempre più convinto di partecipare al festival tanto che manda
un telegramma a Salvetti in cui comunica la sua partecipazione a Sanremo
come testa di serie ma non ottiene nessuna risposta. Per di più non
invia neanche il disco (che non ha fatto) ai responsabili della
manifestazione. Persone vicine al cantante gli dicono di non aver visto
il suo nome nella lista sanremese e gli suggeriscono di far fare una
telefonatina per parte del suo partito di riferimento all’epoca (il PCI)
per una raccomandazione. Reitano, in fondo, sembra abbia scomodato
persino un cardinale. Intanto cambia il titolo con il più accomodante
SERENATA DI ROTTURA. Quando capisce che non farà parte della brigata
sanremese tenta con la carta dell’ospite d’onore. In fondo, Modugno è
l’ospite della manifestazione ed anche il presentatore della finale.
Perché non lui, che in fondo ha vinto quattro festival (come Modugno)?
Salvetti gli concede la quarta serata sanremese, organizzata dalla FAO
per la fame nel mondo ma Villa non ci sta e manda a dire
all’organizzatore "se lo trovo gli spacco...” etc etc. Tipica smargiassata
alla Claudio Villa. Sanremo 1976 si farà senza la sua canzone che
nell’inciso recita sommi versi (non dobbiamo dimenticarceli) come o
padrone rubicondo. Che sia dedicata a Salvetti? La stazza c’è...
Era nato nel 1893 Checco Durante, ultima voce del teatro romanesco (ma
famoso in tutt’Italia) che si spenge nella clinica Salvator Mundi in
seguito ad un collasso cardiaco. Era stato ricoverato per difficoltà
respiratorie. Autore, poeta ed attore, conobbe Petrolini nel 1918 di
ritorno dalle trincee del Carso e divenne un collaboratore assiduo del
famoso attore romano. Nel 1928 creò un teatro stabile romanesco e nel
1933 una propria compagnia, nella quale figuravano anche la moglie Anita
e le figlie Leila e Luciana. L’ultima soddisfazione l’ebbe nel 1975
quando ad 82 anni, il comune gli dedicò una serata d’onore al Quirino.
Quella sera non c’era un solo posto libero e sotto il suo sguardo
sfilavano i più bei nomi del teatro italiano e romano venuto a rendergli
omaggio. Ai suoi funerali anche Aldo Moro, presidente del consiglio
dimissionario (7 gennaio) dopo il ritiro dei socialisti di De Martino
dalla maggioranza.
Christian Calabrese