( chart USA + UK + Germania, dicembre-gennaio-febbraio )
INVERNO 1977/78: la disco ha la febbre e il punk è già morto Si chiude una delle annate più movimentate del decennio con un Natale reso triste dalla morte di Charlie Chaplin. E si entra nel 1978, l’anno in cui si venderanno più dischi di sempre. E molte delle copie vendute saranno legate a una colonna sonora. Il disco che musica un film dedicato ai giovani discotecari di New York diventerà il più venduto della storia (almeno fino al “pauroso” Michael Jackson). I fratelli Gibb, in circolazione da ormai un buon decennio, diventano di punto in bianco “gli artisti disco”. Se da un lato questo assicura un successo stratosferico, dall’altro si rivelerà quasi una maledizione da cui si libereranno solo 10 anni dopo. Accanto a loro, una pletora di personaggi legati al rutilante mondo disco conquista le classifiche. C’è il buono, il brutto e il cattivo. Tra i raffinati riff degli Chic e il perizoma dorato di Bobby Farrel c’è praticamente di tutto. Ma non c’è solo la disco. I Sex Pistols, a meno di due mesi dalla pubblicazione del primo album, implodono. La scena punk viene dichiarata morta. In realtà la scena è più che mai viva, solo che è già diventata un’altra cosa. Anzi, molte altre cose. E tra un anno troveremo molti suoi protagonisti ai vertici delle classifiche miscelando esplosivamente generi come disco, art rock, elettronica e reggae. E Bob Marley, il profeta di quest'ultimo genere, entra per la prima volta nella Top 10 dei singoli UK proprio questo inverno. Intanto, oltre alla disco, funziona molto bene il sound californiano. E se i “pettegolezzi” dei Fleetwood Mac diventano il disco dell’anno ai Grammy, il sound West Coast raccoglie proseliti, come quattro svedesi che si danno anche al cinema... E, come di consueto, iniziamo dal N. 1 del classificone...
Bee Gees – Febbre a 4/4 Il 7 giugno 1976 il New York Magazine presenta una foto di alcuni giovani che ballano in discoteca che illustra un articolo intitolato "Tribal Rites of the New Saturday Night" (“Riti tribali del nuovo sabato sera”). L’articolo è stato scritto da un inglese appena sbarcato in America, Nik Cohn, che, da infiltrato nell’ambiente, descrive la subcultura che si sta affermando associata alla musica disco e ai suoi templi, le discoteche. Cohn racconta una serie di avvenimenti a cui, dice, ha assistito, focalizzando l’attenzione su un gruppo di ragazzi italo-americani, e in particolare, su uno di questi, Vincent. Vincent vive una vita piena di frustrazioni e trova la propria realizzazione solo sulle pedane delle discoteche. Sebbene 20 anni dopo il giornalista rivelerà di essersi inventato di sana pianta il contenuto dell’articolo, i personaggi che descrive, giovani proletari senza grandi prospettive che trovano la propria affermazione solo sulla pista da ballo, hanno tutte le carte in regola per interessare Hollywood. E così accade. Robert Stigwood, manager dei Bee Gees (e, in passato di Cream e Blind Faith), potente produttore teatrale, televisivo e cinematografico (ha già prodotto “Jesus Christ Superstar” e “Tommy” degli Who), legge l’articolo e subito dopo chiama il giornalista, con cui si era già visto in passato. In 24 ore viene stipulato un contratto per acquisire i diritti della versione cinematografica della storia. Dall’altra parte dell’oceano, in Francia, i Bee Gees stanno registrando dei brani destinati al loro nuovo album allo studio Chateau D’Herouville, già reso noto da Elton John con il suo album “Honky Chateau” (per motivi fiscali all’epoca è più conveniente registrare in Francia). Hanno appena finito il primo brano, “If I Can’t Have You”, quando ricevono la prima di una serie di telefonate di Stigwood. Il loro manager vuole che scrivano 4 canzoni per un film che sta per produrre. Il film all’epoca è ancora senza una sceneggiatura. Stigwood lo descrive come “un film che parla di alcuni tizi che vivono a New York”. I fratelli Gibb stanno lavorando su un brano, “How Deep Is Your Love”, destinato tuttavia all’album della cantante Yvonne Ellimann. Stigwood ascolta il pezzo e decide che è perfetto per il suo film. Tuttavia è convinto che dovrebbero cantarlo i tre fratelli. Due settimane dopo Stigwood va in Francia e racconta alla buona la trama del film. I Bee Gees quindi scrivono altri tre brani, di impronta disco. Il film inizialmente dovrebbe chiamarsi “Saturday Night”. Ai fratelli Gibb il titolo tuttavia non piace (troppo abusato) e propongono lo stesso titolo di uno dei loro nuovi pezzi, “Night Fever”. Stigwood alla fine salomonicamente decide di ribattezzare la pellicola “Saturday Night Fever”. Mentre i fratelli se ne rimangono in Francia, la produzione del film decolla. Va detto che nasce come un progetto di medie dimensioni, una sorta quasi di ritratto neo-realista in salsa disco, una specie di versione (minore) di film come “Mean Street” di Scorsese, inframmezzata da sequenze di ballo ambientate in discoteca. Viene affidato a un giovane regista che ha alle spalle per lo più lavori televisivi, John Badham (poi girerà film come “War Games” e "Corto Circuito"). Per il ruolo del protagonista, Stigwood sceglie un giovane attore che ha appena messo sotto contratto per tre film: John Travolta. L’attore è già noto per una sit-com (“Welcome Back Kotter”– da noi la si vedrà solo dopo il boom dell’attore con il titolo goffo de “I ragazzi del sabato sera”…) e per una particina nel successo di Brian De Palma “Carrie” (in cui è uno dei compagni di scuola che maltrattano la povera protagonista e che finiranno molto male). Per evitare confusioni con il suo personaggio nella sit com, chiamato Vinnie Barbarino, il nome del protagonista del film viene modificato dallo sceneggiatore Norman Wexler da Vincent a Tony. Tony Manero. Un giovane italo-americano di Brooklyn intrappolato tra un lavoro senza prospettive, un ambiente squallido, una gang di amici razzisti, che ha come unica valvola di sfogo la discoteca, di cui è il re. Il film viene girato a Brooklyn, nella zona di Bay Ridge, utilizzando una discoteca locale, il “2001 Odyssey”, su cui viene realizzata la famosa pedana luminosa (lasciata poi dalla produzione come risarcimento per i fastidi). La discoteca diventerà un club gay nel 1987 e verrà demolita nel 2005. Il film esce negli USA il 14 dicembre 1977. Sebbene ci si aspetti di vendere dischi e di attirare spettatori, nessuno si aspetta il successo che il film e la colonna sonora avranno. E l’immagine di Travolta biancovestito con il braccio alzato mentre balla diventerà di fatto un’icona dell’epoca. Il disco, un doppio LP, esce 2 giorni dopo il film e diventa la soundtrack più venduta della storia, arrivando in vetta alla Billboard chart il 21 gennaio e rimanendovi per 24 settimane. Il successo del film è indissolubilmente legato a quello della sua colonna sonora. Per la prima volta si può dire che sia la colonna sonora a trainare il film, almeno nella fase iniziale. La soundtrack alla fine comprende cinque pezzi inediti scritti dai Bee Gees. Tre sono interpretati dai fratelli australiani ("Stayin' Alive", "Night Fever" e "How Deep Is Your Love"), uno, “More Than A Woman”, è presente nel film in due versioni, una dei Bee Gees e una dei Tavares, mentre il quinto, "If I Can't Have You", è affidato alla voce di Yvonne Elliman (a mo’ di risarcimento per averle “sottratto” “How Deep Is Your Love”). Sono poi presenti altri due precedenti hit dei Bee Gees, "Jive Talkin'" e "You Should Be Dancing". A questi vengono poi associati altri hit da discoteca, ad opera di KC & The Sunshine Band, Kool & The Gang, Walter Murphy e The Trammps, tra gli altri, nonché musica strumentale composta da David Shire. Il primo singolo estratto tuttavia non è un pezzo disco, ma è una ballata. Si tratta proprio di HOW DEEP IS YOUR LOVE (qui nell'ultima esibizione pubblica dei fratelli prima della morte di Maurice, per lo speciale TV "Live by Request" nel 2001), che diventa il primo dei quattro N. 1 USA lanciati dal film. Pubblicato prima dell’uscita del film, il brano arriva al N. 1 USA il 24 dicembre, sbattendo giù la vergine beghina Debbie Boone (ponendo fine a 10 interminabili settimane al N. 1 di questa – a proposito, ne parlerò quando si tratterà l’autunno ‘77), rimanendo in Top 10 per un numero di settimane record all’epoca: 17. In UK il pezzo arriva al N. 3. Nel 1996 verrà rifatto (in modo piatto) dai Take That, come singolo d’addio prima della (temporanea) separazione, arrivando al N. 1 UK. Il pezzo causerà qualche noia legale ai fratelli Gibb nel 1983, quando un compositore di Chicago, Ronald Selle, li accuserà di plagio. Il primo verdetto condannerà i Bee Gees (a causa sembra di insufficienti prove a discolpa), che tuttavia vinceranno in appello. Prima ancora che il primo singolo arrivi al N. 1, ne viene già pubblicato un secondo. E stavolta siamo di fronte a un mostro da discoteca. Nel film compare durante i titoli di testa, accompagnando la leggendaria camminata di Travolta (in realtà è della sua controfigura, Jeff Zinn). Si tratta di STAYIN’ ALIVE. Il pezzo è il primo composto da Barry, Robin e Maurice appositamente per la colonna sonora. Durante le sessioni di registrazione muore il padre del batterista Dennis Byron. La band si trova così senza batterista. La band ha già registrato la base ritmica di “Night Fever”. Selezionano con l’ingegnere del suono Albhy Galuten due passaggi della batteria, li ri-registrano e li usano per "Stayin' Alive" (il cui ritmo rimane pertanto costante durante l’intero brano). La band decide di accreditare la batteria per gioco a "Bernard Lupe" (giocando sul nome del batterista da sala Bernard Purdie). Il signor Lupe verrà riempito di complimenti, finchè non si scoprirà che non esiste…
Il pezzo esiste in tre versioni. Quella dell’album, quella accorciata del singolo e una "Special Disco Version", più lunga, con una "horn rhythm section". Da notare che il video viene girato invece nelle vicinanze dei set impiegati per il film "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", che i Gibb stanno interpretando. Per altre informazioni vi rimando alla scheda di Lucio Mazzi. La canzone è tutt’ora tra quei 4-5 brani che hanno segnato in modo indelebile l’era disco. Da notare tuttavia che nel film il pezzo non viene mai suonato durante le scene di ballo nel film. Anzi, proposto a tale scopo dai fratelli Gibb a Stigwood, verrà da questi rifiutato, perché non si intitola “Saturday Night”… Verrà invece impiegato in una scena di ballo nella divertente sequenza de “L’Aereo Più Pazzo Del Mondo” (che lo usa accelerandolo) che prende in giro proprio il film di Travolta. Nel 1995 gli N-Trance la vampirizzeranno con una cover (ovviamente rap) che si piazzerà al N. 2 della UK chart…
In classifica finisce pure un pezzo scritto dai fratelli Gibb per la colonna sonora, ma alla fine non incluso in questa. Poco male, diventa un successo lo stesso, consolidando lo stradominio dei Bee Gees e della RSO nella classifica americana. Si tratta di EMOTIONS, cantata da Samantha Sang (con gli inconfondibili coretti dei tre fratelli). Dato che arriverà al massimo successo in primavera, ne riparlerò.
Paul McCartney & Wings – L’hit agrituristico di Paul Il 3 dicembre arriva al n. 1 della UK chart MULL OF KINTYRE dei Wings di Paul McCartney, rimanendovi 9 settimane. La band, dopo la fuoriuscita di Jimmy McCulloch e di Joe English, è diventata un terzetto formato da Paul, Linda e Denny Laine. Il singolo, scritto da Paul con Laine, è un canto bucolico dedicato all’isola scozzese in cui Paul e Linda si dedicano alla vita agreste. In realtà l’isola, a quanto si dice, davvero idilliaca, è stata di notevole aiuto a Paul per superare lo stress nervoso che l’ha colpito dopo la separazione dei Beatles. E il pezzo dedicatole è, appunto, “riposante” (traduco: un po’ ‘na palla), con le caratteristiche di una ballata pop-folk scozzese con tanto di cornamuse. Eppure (o forse proprio per questo) diventa il disco più venduto di tutti gli anni ’70 in Gran Bretagna con oltre 2 milioni di copie vendute. Mai nessun singolo ha venduto tanto nel Regno di Elisabetta. E nessuno altro vi riuscirà fino al 1984, quando la Band Aid batterà il suo record di vendite. Nonostante tutta questa “britannicità”, il singolo replica il clamoroso successo anche in Europa, diventando un grande N. 1 anche in Germania (per 10 settimane!). Curiosamente, vista anche la popolarità dell’interprete, da noi non se la fila nessuno (forse se invece delle cornamuse avesse messo stuoli di archi e un ritmo in 4/4…). Stavolta però non siamo soli: anche gli USA son poco sensibili alle sonorità folk del brano. In compenso in America funziona di più il suo lato B, "Girls School".
The Player – Quando il player (suonatore) vuol fare il player (attore) Al N. 1 USA invece arrivano, tra il primo e il secondo N. 1 dei Bee Gees (con cui tuttavia condividono la casa discografica, la RSO, che così dominerà la classifica dei singoli USA per la bellezza di 21 settimane consecutive!), i Player con la loro BABY COME BACK. La band, formata a Los Angeles nel 1971, dimostra di aver imparato a perfezione la lezione impartita nei primi anni ’70 da band come i Bread (che, guarda caso, proprio questo inverno arrivano in vetta alla UK album chart con una raccolta) e di quella più recente del “blue eyed soul” di Hall & Oates. Il brano, scritto dal cantante Peter Beckett e dal chitarrista John Charles Crowley in sole 4 ore, li catapulta non solo al primo posto della Hot 100, ma li trasforma in star. Alla fine del 1978, dopo un secondo singolo in Top 10, verranno proclamati da Billboard i “migliori artisti emergenti dell’anno”. Anche Eric Clapton si rivela un loro fan e li porta in tour come gruppo di supporto. A questo punto però vi rivelo una piccola curiosità. Visto il video? Addocchiato il bassista rosso vestito? Vi sembra che somigli a qualcuno? Si, è proprio lui! Ron Moss, il futuro “Ridge” di “Beautiful”. Ron se ne andrà nel 1981 proprio per dedicarsi alla carriera di attore (scelta evidentemente sempre agognata visto anche il nome della band, di cui è membro fondatore) e questo sarà l’inizio della fine del gruppo.
The Queen – Due assi per la Regina Inaugura dicembre al N. 2 UK (e raggiungerà poco dopo la quarta posizione negli USA) il singolo dal doppio lato A WE ARE THE CHAMPIONS / WE WILL ROCK YOU dei Queen. Cosa dire su questi due clamorosi inni da battaglia della Regina che verranno adottati dalle tifoserie di tutte le latitudini? Entrambi i brani sono tratti dal nuovo album del quartetto, il sesto, “News From The World”, con cui Freddie e soci si allontanano dal suono operatico-progressivo dei predecessori (accusato da più parti di essere “noioso”), per sposare un sound relativamente più semplice, più orientato verso il pop. I quattro mantengono comunque il controllo totale della produzione, già sperimentato nel precedente “A Day At The Races”. Le registrazioni hanno inizio a luglio. Nello studio accanto i Sex Pistols stanno registrando il loro album e Johnny Rotten, fan di Freddie, si intrufola nello studio dei Queen e a quattro zampe arriva fino al piano su cui Freddie sta suonando. Lo saluta con un "Hello, Freddie!" e poi se ne va come è venuto… Il lavoro viene recepito da critiche variegate. Una cosa tuttavia è certa. I due brani presenti sul primo singolo (e che aprono l’album) sono due pezzi da 90. WE WILL ROCK YOU è scritta da Brian May. Il famoso suono di battiti di mani e di tacchi che ne definisce il ritmo deriva dalla sovrapposizione multipla in sala di registrazione dei suoni prodotti dai quattro, in modo da dare l’impressione che a produrli sia una folla. Nell’album (e nei concerti) il brano viene seguito da WE ARE THE CHAMPIONS (qui la versione live), scritta da Mercury proprio per essere suonata in successione con il pezzo di May (qui la storica esibizione che ha rubato al scena al Live Aid del 1985). Quando la scrive, Freddie ha proprio in testa l’idea di scrivere un pezzo da stadio, e diciamolo, la cosa gli è perfettamente riuscita. Anche se ha pure affermato che la canzone è qualcosa di più, essendo quasi la sua personale versione di "My Way”. Basato su un giro di piano su cui si insinuano sempre più prepotentemente chitarra e batteria fino al coro trionfale finale, questo classico chiuderà molti concerti dei Queen e, nel 1992, il Freddie Mercury Tribute Concert, con il coro di tutti i partecipanti e la voce di Liza Minnelli. Entrambi i pezzi verranno rifatti da miriadi di altri artisti. Purtroppo, la cover di maggior successo in classifica risulterà l’imbarazzante versione pop-rap di "We Will Rock You" ad opera dei Five (con i Queen – in fase di marchetta facile - accreditati assieme). May sarà anche responsabile di uno spot Pepsi in cui il brano è cantato dalle “gladiatrici” Britney Spears, Beyonce e Pink (contro L’”imperatore” Enrique Iglesias). “We Will Rock You” inoltre darà il titolo al celebre musical ispirato alla musica dei Queen, che debutterà nel 2002 a Londra. La copertina dell’album è realizzata da Frank Kelly Freas, illustratore di racconti di fantascienza. È ricalcata su un suo precedente lavoro, che mostrava un robot bambino che, con in mano un essere umano morto (il suo animaletto), chiede ai genitori se “si può riparare”. Nella copertina, ovviamente l’omino è stato sostituito dai quattro membri della band. Dall’album viene estratto un secondo singolo in febbraio, “Spread Your Wings”, che tuttavia non riesce a replicare il successo del predecessore. Poco male. L’album vende oltre 4 milioni di copie negli USA e diventa un best seller in tutta Europa, Italia esclusa. D’altra parte da noi son riusciti a malapena a piazzare “Somebody To Love” in Top 10 solo dopo il suo impiego come sigla di una rassegna di film di Billy Wilder. Ovviamente, dopo averli sentiti ad ogni manifestazione sportiva (per l’Italia si traduca: partita di calcio, possibilmente vincente per i nostri colori), tutti impareranno a memoria i due brani, o almeno i loro ritornelli (la morte di Freddie e la queenmania derivante faranno il resto). Un po’ come è successo a “Seven Nation Army” dei White Stripes, ignorata sui nostri lidi all’uscita e “scoperta” 3 anni dopo come “popopopopo”… Ok, lasciamo le nostre miserie e rituffiamoci a parlare di questo periodo d’oro, ricco di sconvolgimenti. Anche se al sesto posto del classificone non c’è proprio nulla di sconvolgente…
Country Girls Arriva al N. 2 USA a fine novembre, rimanendovi 3 settimane, DON'T IT MAKE MY BROWN EYES BLUE di Crystal Gayle (Brenda Gail Webb) cantante country pop molto popolare negli USA. La ragazza è la sorella minore della grande cantante country Loretta Lynn (la cui vita verrà portata sul grande schermo nel 1978 da Sissy Spacek ne “La Ragazza di Nashville”). Crystal è una fanciulla molto avvenente dai lunghissimi capelli e ottiene il meritato successo con questa ballata country-jazz. E proprio l’atmosfera jazzata del pezzo, che lo distingue dalla produzione country più tipica, ne facilita anche la scalata della classifica britannica, dove arriva in gennaio al N. 5, rimanendo in Top 40 per 14 settimane. L’album che la contiene, “We Must Believe In Magic”, arriva al platino. Da allora i successi in patria si ripeteranno e nel 1978 Crystal sarà la prima artista una cui esibizione verrà filmata sulla Grande Muraglia Cinese, nel corso di uno special in Cina con Bob Hope. Altra voce country in circolazione è Dolly Parton, che nel frattempo ha anche il suo show in tv, “Dolly!”. La prosperosa country-singer si piazza al N. 3 USA in gennaio con HERE YOU COME AGAIN, il suo primo vero successo pop, scritto dai compositori Barry Mann e Cynthia Weil (già autori di numerosi hit degli anni ’60 e ‘70).
E per concludere in bellezza, c’è anche un’altra signora che, nata come artista country, ormai balza da un genere all’altro, rivelandosi la cantante pop-rock di maggior successo del decennio negli States. Sto parlando dell’eclettica Linda Ronstadt, che domina la classifica degli album USA per tutto dicembre con “Simple Dreams”, il suo 13esimo LP. Nello stesso mese Linda piazza contemporaneamente due singoli tratti dall’album nella Top 5 di Billboard: al N. 3 una cover di un classico di Roy Orbison, BLUE BAYOU, e al N. 5 una cover di un pezzo di Buddy Holly & The Crickets, IT’S SO EASY (qui una versione live). Era dai tempi dei Beatles che non succedeva e risuccederà a breve con i Bee Gees). Se la sua versione di “Blue Bayou” (di cui esiste anche una versione in spagnolo, “Lago Azul"), nonostante i 7 milioni di copie venduti nel mondo, tutto sommato non regge il paragone con l’originale del leggendario cantante con gli occhiali scuri, la sua versione di “It’s So Easy” è diventata un classico. Intanto l’album vende oltre 3 milioni di copie arrivando in vetta all’inizio di dicembre, dopo aver passato parecchie settimane al N. 2 dietro “Rumours” dei Fleetwood Mac (che tuttavia dopo 5 settimane ritornerà in vetta), risultando il più venduto dell’anno negli USA da parte di un artista solista.
Fleetwood Mac – Pettegolezzi da Grammy e polvere d’oro La band è in Top 10 USA in dicembre con il quarto singolo tratto da “Rumours” (“pettegolezzi”), l’album più venduto del 1977 e uno dei maggiori successi di tutti i tempi (oltre 30 milioni di copie!). Il singolo, che arriva al N. 9 USA, presenta sul lato A un pezzo scritto e cantato da Christine McVie, YOU MAKE LOVING FUN (qui una intervista alla band sulla genesi del brano). Si tratta di un altro esempio del perfetto pop radiofonico che il collettivo, nella formazione composta oltre che dalla McVie, da suo marito John McVie, da Mick Fleetwood, da Stevie Nicks e da Lindsey Buckingham, sa confezionare in questo periodo. Una ballata dalle belle armonie vocali e dal sapore vagamente blues. Da notare che il pezzo sarà reinciso anche da Cyndi Lauper, nel suo primo singolo, datato 1977. Nel lato B del singolo USA compare invece un altro bel pezzo dell’album (autobiografico, come d’altra parte, l’intero album), GOLD DUST WOMAN (qui una recente versione live, e qui un'intervista della band sul brano), scritto e cantato dall’altra presenza femminile dei Mac, Stevie Nicks. Il brano ha riferimenti alla cocaina, paragonata alla polvere d’oro, e parla di una donna alle prese con una relazione disastrosa e dedita alla polvere bianca che cerca di tirare avanti (più autobiografica di così….). Anche questo brano verrà rifatto. Stavolta dalle Hole, e la cara Courtney Love di sicuro sa bene di che parla il pezzo… Intanto “Rumours” conquista il 28 gennaio 1978 anche la vetta della classifica inglese. Sarà il terzo album più venduto del decennio oltremanica. L’album a febbraio si porta a casa il Grammy come miglior album del 1977. Niente male per un lavoro quasi imposto dalla casa discografica a una band in piena crisi emotiva, minata dai fallimenti del matrimonio tra John e Christine, della storia tra Lindsey e Stevie e con pure Mick che stava divorziando (per tacer dell’alcol e delle droghe assunti da tutti e 5)… Ah, per la cronaca, da noi il quintetto formato da due coppie scoppiate non vende all'epoca quasi nessuna copia. Sorte condivisa da un quartetto che al momento è composto da due coppie apparentemente felici. Ma che stanno per scoppiare…
Abba – Quando il gioco si fa ambizioso i duri iniziano a girare… film Gli Abba sono la band più popolare d’Europa. Praticamente la lista dei loro N. 1 è inesauribile. Sulle nostre sponde vengono considerati all’epoca musica per decerebrati (e vendono pochino), ma non penso che i quattro se ne facciano un problema visto quanto vendono in tutto il resto del pianeta. Mentre il loro quinto N. 1 UK, THE NAME OF THE GAME, si avventura nella top 20 USA, a febbraio arriva al N. 1 britannico TAKE A CHANCE ON ME (che così diventa il loro sesto N. 1 UK – il terzo consecutivo). Il singolo arriverà in seguito al N. 3 USA e tedesco. Entrambi gli hit sono contenuti in “The Album”, che esce il 12 dicembre. In realtà l'album, il loro quinto, esce in tale data solo in alcuni paesi, mentre la sua uscita a livello mondiale avviene solo all'inizio del 1978. Questo è dovuto a numerosi problemi che la band ha incontrato durante le sessioni di registrazione, allungandone i tempi, tra cui la mancanza di studi disponibili (la band risolverà il problema facendosene uno all'avanguardia nel 1978) e la gravidanza di Agneta che, incinta del secondo figlio, è costretta a lunghi periodi di riposo (arriverà a cantare in lettiga...). L'album, il loro lavoro più complesso fino a quel momento, si rivela l'ennesimo successo e negli Stati Uniti, sarà il loro unico album da studio (non raccolta) a ricevere il disco di platino. Il disco comprende anche tre brani inizialmente composti da Benny e Björn per un mini-musical intitolato "The Girl With The Golden Hair" (prova generale di "Chess" e "Mamma Mia"?) che la band ha rappresentato durante gli show del tour di inizio 1977 in Europa e Australia, il loro primo vero grande tour, tra concerti da tutto esaurito, scene di isteria di massa e pure un allarme bomba. Ma quest’inverno la band compie un ulteriore ambizioso passo: decide di diventare “multimediale”. L’uscita dell'album è infatti accompagnata anche da un film, che esce il 26 dicembre, “Abba: The Movie”. Diretto dal futuro regista di “Chocolat”, Lasse Hallström (autore anche di molti video del gruppo), è una sorta di "Greatest Hits" del gruppo in immagini. Lanciato con la frase “Abba: The Phenomenon”, il film documenta il fortunatissimo tour australiano della band. Piuttosto bruttarello, presenta una storiella che serve solo per legare le varie scene dei concerti (un DJ cerca disperatamente di intervistare i "fantastici quattro" durante il tour). Nel film, durante una sequenza in cui il DJ sogna di essere il miglior amico degli Abba, compare anche una versione preliminare con fiati di THE NAME OF THE GAME. Il pezzo anticipa album e film uscendo in ottobre, rimanendo per 4 settimane al N. 1 UK a novembre. Il pezzo, inizialmente intitolato "A Bit Of Myself", segna un cambiamento rispetto al tipico “Abba sound”, in quanto si tratta di una composizione nettamente più complessa. Un mid-tempo con un riff di basso e synth e strati sovrapposti di chitarre, tastiere e armonie vocali, ispirato al suono della West Coast americana contemporanea (gruppi come Eagles e Fleetwood Mac - basti sentire la versione demo in cui l'influenza è ancora più marcata). Björn e Benny, impegnati nella progettazione del loro studio, infatti hanno visitato da poco Los Angeles per esaminare gli studi di registrazione locali e son rimasti impressionati dalle tecniche di costruzione dei brani applicate dagli americani. Il tema del pezzo è curioso: una ragazza (interpretata sia da Agnetha che da Anni-Frid, che si dividono le parti vocali) si innamora del proprio analista. Probabilmente per la sua minore “facilità”, il singolo si rivela un buon successo, ma non al livello dei precedenti, arrivando in vetta solo in Gran Bretagna (si piazza comunque nelle Top 10 di mezzo mondo). In ogni caso diventa uno dei maggiori hit della band negli USA, piazzandosi al N. 12. Nel 1997 verrà campionato dai Fugees (a tutt'oggi solo i Fugees e Madonna hanno ricevuto il consenso per il campionamento di un pezzo degli Abba) per la loro "Rumble in the Jungle", usata nella colonna sonora del film-documentario “When We Were Kings”, dedicato al leggendario incontro di Boxe tra Muhammad Ali e George Foreman. Se “The Name Of The Game” risulta un buon successo anche se inferiore alle attese, la successiva TAKE A CHANCE ON ME diventa invece uno dei maggiori (e più noti) hit della band. Non solo arriva al N. 1 UK, ma diventerà il secondo miglior piazzamento degli svedesi nella Billboard Chart. Si tratta di uno dei primi singoli dei quattro in cui il loro manager Stig Anderson non partecipa alla scrittura del testo. Da notare che il pezzo trae origine da un’abitudine di Björn Ulvaeus: mentre fa jogging continua a ripetere una sorta di “tkc” ritmicamente per darsi il tempo. Quel suono diventerà il “Take A Chance” del pezzo... Il brano tornerà al N. 1 UK (per 5 settimane) nel 1992 con la cover synth-pop inclusa nell’”Abba-esque EP” degli Erasure. Memorabile (e divertente) il video camp in cui Vince Clarke e Andy Bell hanno ricreato l’originale degli Abba vestendosi come Agnetha e Frida (Vince con la parrucca bionda non fa neppure senso…). Purtroppo, nelle classifiche ci sono anche i tremendi cloni dei quattro svedesi. A tale categoria appartengono gli orrendi Brotherhood Of Man, quasi una specie di incrocio (visivamente parlando) tra gli Abba e i nostri Ricchi e Poveri… Nati come un terzetto all’inizio dei ’70, il gruppo vocale britannico è stato creato dall’autore e produttore Tony Hiller ed ha già all’attivo due N. 1 britannici, “Save Your Kisses For Me” (il disco più venduto in UK del '76! Non male per quelli che allora son musicalmente cloni di Tony Orlando & Dawn) e la copia carbone di “Fernando” degli Abba, chiamata “Angelo”. E che siano cloni abbeschi lo si vede anche dal loro terzo e ultimo N. 1 UK in febbraio, intitolato FIGARO, che, come legge del contrappasso, verrà scalzato dalla vetta dopo una sola settimana proprio dagli Abba di “Take A Chance On Me”.
Parlando di reggae non si può non parlare del primo Top 10 in Gran Bretagna del più grande esponente di tutti i tempi del genere…
Bob Marley & The Wailers - Festino reggae con punk annessi Bob infatti esordisce nella Top 10 dei singoli britannici con il doppio lato A JAMMING / PUNKY REGGAE PARTY, che si piazza al N. 9. Il primo pezzo è una celebrazione della danza, uno dei suoi brani più noti e, tre anni, dopo Stevie Wonder la citerà esplicitamente nel suo brano-omaggio a Marley, "Master Blaster (Jamming)". Tratto dal seminale “Exodus” è in realtà il terzo singolo estratto dall’album, dopo la title track e l’altrettanto classica “Waiting In Vain”. L’album è stato registrato in Inghilterra (è il suo primo realizzato in quel paese, in cui si è trasferito a fine 1976 dopo aver subito un attentato in Giamaica). L’album, uscito a giugno, non va oltre l’ottava posizione, ma rimane in classifica per 56 settimane. L’album include anche un futuro hit postumo di Bob, il medley “One Love/People Get Ready”, che raggiungerà la Top 5 britannica nel 1984, quando verrà pubblicato su singolo accompagnando l’uscita della raccolta “Legend”.
Il Punk è morto! Viva il Punk! “This is the story / of a Johnny Rotten / It's better to burn out / than it is to rust” (Neil Young, "My My, Hey Hey (Out Of The Blue)", 1979) Data del decesso: 14 gennaio 1978. Luogo: Winterland di San Francisco. Scena: Ultimo concerto della tourneé lampo dei Sex Pistols negli USA (iniziata il 5 gennaio ad Atlanta tra mille problemi, anche a causa della qualifica di “soggetti indesiderati” che viene data al gruppo dalle autorità USA). Fatto: Johnny Rotten fa una domanda al pubblico. “Mai avuto la sensazione che vi abbiano fregati?”. Johnny è stanco di essere Johnny Rotten. È stanco dei Sex Pistols e soprattutto del loro manager burattinaio, Malcolm McLaren. Non gli piace la piega assunta dall’intero movimento punk, ormai ridotto a una parodia di sé stesso che serve solo a far fare servizi ai media e soldi ai discografici. Il ragazzo ha idee in testa e sente che non può svilupparle, ingabbiato nel personaggio costruitogli addosso (McLaren addirittura lo bolla come “un uomo di gusto” che danneggia la “minacciosità del gruppo” e pertanto, dato che nella sua idea di gruppo “antimusica” non può accettare la presenza di uno con ambizioni da musicista, inizia a dedicare le attenzioni al più malleabile (e insulso) Sid Vicious, che nei mesi successivi andrà incontro a una tragica parabola di vita). E allora Johnny che fa? Se ne va. Il concerto di San Francisco diventa l’ultimo concerto della band (non parlo ovviamente delle tragiche reunion di 20 anni dopo). E i Pistols poco dopo implodono. Vengono mantenuti in vita con accanimento terapeutico da McLaren, che alla fine deve tuttavia mollare l’osso. Il giocattolo si è proprio rotto. Johnny, esperto in reggae, come prima cosa farà un viaggio col boss della Virgin, Richard Branson, nei Caraibi alla ricerca di nomi da mettere sotto contratto. E poco dopo, riacquisito il nome John Lydon, formerà i P.I.L. con Jan Wobble e Keith Levene, entrambi appassionati di sonorità dub. Ma questa è un’altra storia, che appartiene a un'era completamente nuova che si può dire inizi quel 14 gennaio.
L’era post punk Il fatto che il punk sia ufficialmente morto non significa ovviamente che le band emerse durante la stagione 1976/77 spariscano nel nulla. Anzi. La scena post punk sta ufficialmente esplodendo. Nel post-punk, l'era della New Wave, la parola d'ordine diventa creare nuove commistioni tra generi musicali. E proprio le prime commistioni tra rock e reggae compaiono in classifica durante questo inverno. Una di queste consente addirittura ad un musicista proto-punk di ottenere un clamoroso Top 10 in Gran Bretagna. Al N. 5 britannico, subito prima di Natale, arriva Jonathan Richman con i suoi Modern Lovers con EGYPTIAN REGGAE, versione strumentale di un pezzo reggae del giamaicano Earl Zero "None Shall Escape the Judgment". Il musicista di Natick, Massachusetts, folgorato dai Velvet Underground, viene additato come uno degli ispiratori del movimento punk, grazie a testi volutamente naif e canzoni semplicissime basate su pochi accordi in un’epoca (i primi ’70) dove impera la complessità del progressive rock. Dopo che gli originari Modern Lovers si son disciolti, (Jerry Harrison, il tastierista finirà con i Talking Heads mentre il batterista David Robinson con i The Cars), nel 1976 Richman riesce a pubblicare il primo album, registrato nel 1972 con la produzione di John Cale, ma pubblicato solo 4 anni dopo. Il lavoro viene salutato come un album innovativo e verrà citato da numeri gruppi punk come fonte d’ispirazione. In esso è contenuta anche quella che è stata definita la prima canzone punk, ovvero “Roadrunner” (che si rivela un inatteso hit a inizio 1977). Messa su una nuova versione dei Modern Lovers, nel giro di due mesi, tra la fine del '76 e l'inizio del 1977, Jonathan pubblica due album, “Jonathan Richman & The Modern Lovers” e "Rock And Roll With The Modern Lovers", da cui trae a fine anno il suo più grande hit, il "reggae egiziano", appunto. E sempre con un pezzo dalle influenze reggae, WATCHING THE DETECTIVES, arriva nella Top 15 inglese per la prima volta anche Elvis Costello con i suoi Attractions. Costello, il cui vero nome è Declan Patrick MacManus, è reduce dal discreto successo di “My Aim Is True”, il suo album di debutto (è arrivato al N. 14 in UK), oggi considerato un classico del periodo. Elvis (nome scelto in onore di Presley – dopo la morte di questi pensa seriamente a un cambiamento del nome d’arte -, mentre il cognome è quello da signorina della bisnonna), viene inizialmente associato all’ondata punk, anche se musicalmente ha una visione decisamente ampia che attinge a svariati generi, tra cui jazz e country. A breve sarà uno dei nomi di punta di quel caleidoscopico calderone che è la New Wave.
Molte altre band sono destinate a rimanere gruppi di culto. E tra queste non si possono non citare i Magazine di Howard Devoto. Howard ha mollato nel febbraio 1977 i Buzzcocks, una delle band chiave del movimento punk, subito dopo la pubblicazione dell’E.P. di esordio di questi. Devoto ha ambizioni artistiche che guardano all’art rock e al kraut rock e vuole svilupparle. È uno che evidentemente guarda avanti: ha già capito che il punk sta finendo in un vicolo cieco di aggressività fine a se stessa. Un anno dopo Melody Maker lo mette in copertina con l’impegnativo titolo di “Uomo del 1978”. Ha firmato per la Virgin con la sua nuova band, i Magazine. Già dall’aspetto si capisce che non ha più nulla a spartire col punk: l’immagine vagamente androgina ricorda una specie di fratello minore di Brian Eno. Il primo singolo si intitola SHOT BY BOTH SIDES e cattura l’atmosfera britannica del periodo, divisa tra la resurrezione di movimenti nazi-fascistoidi e l’imporsi di una sinistra collettivista. Lui sta in mezzo, in quanto l’art rock ha come imperativo il distinguersi dalle masse, specie se polarizzate, e pertanto si becca i colpi da ambo le parti. Il singolo viene presentato a Top Of The Pops in febbraio. Devoto non vuole andare nella trasmissione, la Virgin lo obbliga e lui che fa? Col viso ricoperto da cerone bianco se ne sta immobile sul palco durante il playback del pezzo. Il singolo stava per entrare in Top 40 e per la prima – e forse unica – volta nella storia, l’apparizione a Top Of The Pops non solo non lo fa salire in classifica, ma ne favorisce un’immediata caduta. Che si porta dietro la band. Ma l’”onda nuova” si abbatte anche negli USA...
Devo – Cartoline post-moderne dall’Ohio Per alcuni mesi Akron, paese sperduto dell’Ohio, e la vicina declinante Cleveland, vivono una sorta di primavera: i postacci sono considerati il posto più cool del rock. Si organizzano addirittura viaggi premio verso le sfigatissime località “dove finisce il sogno americano”. Tutto merito delle nuove glorie musicali locali: i Devo di Akron e i Pere Ubu di Cleveland. Ai gruppi dell’Ohio si deve la definizione di musica industriale. I primi si definiscono un gruppo industriale, i secondi una band di folk industriale. Ebbene, per entrambi le band questo inverno è fondamentale. Esce infatti l’acclamato primo album dei Pere Ubu,“The Modern Dance” . Mentre viene pubblicato in UK il singolo JOCKO HOMO / MONGOLOID, il primo dei Devo. Il singolo è stato registrato in un garage non riscaldato in un inverno polare, cosa che influisce non poco sulla qualità della registrazione. La band è nata nel 1972, si definisce “un gruppo di protesta postmoderno” e tramite un’immagine surrealmente satirica che pesca a piene mani da un immaginario fantascientifico da fumetto, l’uso pionieristico dei video, sonorità discordanti dai tempi atipici e testi di satira sociale, diventa in breve il prototipo della band post-punk. Il nome del quintetto deriva dal concetto di “de-evoluzione”: l’umanità sta involvendo come testimoniato dalla società Americana (a conti fatti, visto come stanno andando le cose a livello globale, direi che ci hanno azzeccato). JOCKO HOMO trae il nome da un trattato anti-evoluzionista. Una satira sulla loro teoria della de-voluzione in 7/8 e contiene uno degli slogan della band: "Are we not Men? / We are Devo!". MONGOLOID, dal ritmo monotono, tratta di un affetto dalla sindrome di Down che riesce a nascondere a tutti la sua menomazione vivendo una vita perfettamente normale nella società. Nonostante il tema non sia offensivo, la sola scelta del titolo scatena polemiche. In realtà tali polemiche potrebbero avvalorare la tesi che costituisce il significato più sottile della canzone, ovvero che l’Americano medio si comporta come se fosse affetto da sindrome di Down… Tornando in Gran Bretagna, la "nuova onda" porta anche alla nascita di molte etichette indipendenti, alcune entrate nella leggenda. Mentre le band più importanti dell’ondata punk firmano contratti con le major, le piccole etichette capiscono che è ora di fare sul serio e seguire l’esempio della Stiff, che grazie a Elvis Costello e Ian Dury sta ottenendo grande successo. Nasce la Factory Records, ad opera del presentatore TV Tony Wilson e Alan Erasmus, attore e manager di band. E proprio in gennaio una band che inciderà per la storica etichetta cambia il nome. Per la prima volta i Warzaw si esibiscono con un nuovo nome, Joy Division. Esce anche il primo singolo di un’altra storica etichetta, la Rough Trade (il cui nome in slang significa “prostituto”), ad opera di Geoff Travis. Nel 1976, reduce da un viaggio in America durante il quale ha ammassato una notevole collezione di dischi, decide di aprire un negozio di dischi a Portobello, a Londra, chiamandolo Rough Trade Records. Il negozio due anni dopo diventa la sede dell’etichetta indipendente, che apre i battenti proprio questo gennaio. Distribuirà, tra gli altri, band come Aztec Camera, Scritti Politti, Smiths, The Strokes, The Libertines, Babyshambles, Belle & Sebastian e Arcade Fire. Non male, eh? Anche a Sheffield c’è del movimento. Ma se l’iconografia è punk, la musica non lo è, anzi. O meglio, lo è nello spirito, ma non nei suoni, chiaramente ispirati al suono elettronico dei Kraftwerk (“Trans-Europe Express”). Mentre i “veri punk” torturano le chitarre, a Sheffield si gioca con le tastiere. In particolare c’è una band, fino a poco prima nota come Future, che, dopo aver assoldato un nuovo cantante, ha cambiato il nome in Human League. Saranno loro il termine di unione tra la New wave post punk e… Donna Summer. Ovviamente parlo della Donna Summer della disco orgasmica elettronica di “I Feel Love”, uno dei dischi più influenti della storia del pop, uscito nell’estate ‘77. E così, dal genere che dominerà le classifiche future, passiamo (torniamo) a parlare del genere che domina le classifiche del presente. La disco music. La febbre disco è ben alta anche prima del film di Travolta, che semplicemente la acuisce. E iniziamo proprio con la sua Diva.
Donna Summer – Cenerentola allo Studio 54 LaDonna Adrian Gaines ha appena realizzato in novembre la sua personale versione di “Cenerentola” con il suo sesto album, il doppio “Once Upon a Time”, sempre realizzato con la produzione dei fidi Giorgio Moroder e Pete Bellotte. La Musa del Munich Sound realizza praticamente un’opera disco-pop in quattro atti (con tanto di copertina interna stampata come se fosse il libretto di un’opera). L’album, il primo della Summer distribuito a livello mondiale esclusivamente dalla Casablanca, vede una Donna in versione virginale, ben diversa dalla dea del sesso propinata dai precedenti lavori. Sebbene la ritmica sia ancora quella metronomica e travolgente del Munich Sound, a cambiare son proprio le tematiche affrontate dalla cantante. La ragazza infatti inizia a rivelare sempre più preoccupanti segni di conversione religiosa che la indicono a rifiutare tutti i brani di argomento sexy che Moroder le propone. Insomma, la pecorella smarrita avrà pure orgasmato al microfono, ma ora sta diventando una specie di teocon. E come avrà a dire il povero Giorgio: “pretendeva di avere un brano nell’album in cui parlava di Gesù!”. Sugli esiti tragicomici di tale conversione ho già accennato parlando di Donna nell’estate 1979. Tornando al 1977, il nuovo album racconta la storia di una Cenerentola moderna non priva di ombre, che termina con un lieto fine ambiguo. Il disco lancia anche un hit, I LOVE YOU (qui una versione live recente), il suo quinto Top 10 UK. Il brano è un successo minore nella Hot 100, tuttavia arriva al primo posto tra i più suonati nelle disco americane, come il successivo brano estratto dall’album, "Rumour Has It". In UK c’è un altro singolo della Summer in circolazione che va ancor meglio, piazzandosi al N. 3 in febbraio. Si tratta di LOVE’S UNKIND, rilanciato dal primo di una serie infinita di “Greatest Hits”. Tratto dal precedente album di Donna, “I Remember Yesterday” (che conteneva anche “I Feel Love”), concept album dedicato ad un viaggio nel tempo. Se “I Feel Love” è il futuro, “Love’s Unkind” riguarda invece gli anni ’50/’60, ovviamente filtrati attraverso la lente elettronica di Moroder.
Santa Esmeralda feat. Leroy Gomez – Come ti azzecco la cover disco I Santa Esmeralda sono un collettivo disco franco-americano che ottiene nell’inverno tra il 1977 e il 1978 un clamoroso successo planetario grazie all'irresistibile cover disco-flamenco di DON'T LET ME BE MISUNDERSTOOD, pezzo in origine scritto nel lontano 1964 da Bennie Benjamin, Gloria Caldwell e Sol Marcus per la grandissima Nina Simone (qui la sua versione), già oggetto di una grande cover R’N’B rock con Hammond da parte degli Animals nel 1965. La versione dei Santa Esmeralda è dovuta a un’idea del cantante Leroy Gomez, nativo di Cape Code trasferitosi a Parigi, nonché apprezzato turnista come chitarrista, flautista e sassofonista. In origine la nuova versione è una suite di 16 minuti bollenti di sublime latin-disco kitsch con fiati e chitarre flamenco sovrapposti, che occupa un intero lato dell’LP del gruppo. Ovviamente, la versione su singolo viene debitamente accorciata. Premiato in Francia come miglior artista live del 1977 grazie ai travolgenti concerti, Leroy lascerà poco dopo la band per iniziare una carriera solista. Il gruppo tenterà il bis con una versione di un altro hit degli Animals, "The House Of The Rising Sun". La versione dei Santa Esmeralda arriva nella Top 15 di Billboard, e, soprattutto, si piazza al N. 1 in vari paesi europei, tra cui, come già accennato, Germania (8 settimane non consecutive tra novembre e febbraio) e Italia. Nel 2003 il pezzo verrà immortalato al cinema dal “solito” geniale Tarantino, che lo userà per musicare il micidiale duello tra la Sposa (Uma Thurman) e O-Ren Ishii (Lucy Liu) in “Kill Bill Vol. 1”. Dalla Francia arriva anche un’altra cover in salsa disco, ad opera de La Belle Epoque, il trio capitanato da Evelyne Lenton (con due coriste di colore che verranno cambiate a seconda delle stagioni). BLACK IS BLACK, cover di un successo del 1966 degli spagnoli Los Bravos, ormai in discesa dopo aver fatto sfracelli in Gran Bretagna (dove è arrivato al N. 2) e in tutta Europa, inizia dicembre inchiodata al n. 2 tedesco. Ma il gruppo piazza in contemporanea anche un secondo hit in classifica, MISS BROADWAY (che diventerà anche un piccolo hit in America), che arriva al N. 8 tedesco in gennaio, mentre il predecessore è ancora in Top 10. Le tre sono tra gli ospiti stranieri di San Remo ’78, dove presentano invece “Bamalama”.
Poichè ogni paese europeo risponde con la sua perla disco trash, i francesi si superano con la tremenda cover disco della classica SINGING IN THE RAIN ad opera di Sheila & The B. Devotion (anche lei presente a San Remo 78). La versione, grondante archi, è decisamente da ergastolo. Poi Sheila, ex ragazza yé yé, si farà perdonare grazie agli Chic che le confezioneranno l'elegante "Spacer".
Chic – Nile e Bernie ti impongono di ballare! Obbedire è fondamentale Con un tuonante riff di basso (registrato a un livello di hertz più basso del solito) fa il suo ingresso nelle discoteche (e nelle classifiche) il più grande gruppo disco della storia. E mai ingresso potrebbe essere più trionfale: un’autentica esortazione al ballo (DANCE, DANCE, DANCE) a cui la folla non può che piegarsi con un “’gnorsì” (lo “Yowsah” che compare tra parentesi nel titolo – una ripresa della parola usata dagli schiavi neri per dire “signorsì” e poi adottata anche dalle maratone di ballo nell’epoca della Grande Depressione di fine anni ’20 – qualcuno ha visto “Non Si Uccidono Così Anche I Cavalli”?). Il singolo arriva al N. 6 USA e UK a febbraio diventando il primo grande successo degli autori di “Le Freak”. La band è stata formata nel 1976 dal chitarrista Nile Rodgers e dal bassista Bernard Edwards. I due si conoscono sin dal 1970 (Edwards ha pure studiato alla High School for Performing Arts di New York, la scuola immortalata da “Saranno Famosi”) e dopo aver formato un gruppo rock chiamato The Boys (successivamente diventato la Big Apple Band), si vedono tutte le porte chiuse dato che per i discografici “gli artisti neri non possono fare rock!” (sic). I due allora cambiano i piani e reclutano il batterista Tony Thompson, già al lavoro con le LaBelle, e la cantante Norma Jean Wright, e con loro incidono, in sole tre settimane, il primo album della nuova formazione, chiamato “Chic”, come il gruppo stesso. L’obiettivo, dichiarato fin dal nome della band, è di realizzare un suono elegante e raffinato da discoteca, che si elevi rispetto alla media della produzione coeva. E abbinarvi un’immagine glamour memore dei Roxy Music (di cui ricalcano l’assetto sul palco). E il loro primo singolo dimostra perfettamente questa linea di pensiero. Dopo il successo con “Dance, Dance, Dance”, il quartetto inizia a fare date in pubblico. Poi, nel febbraio 1978, Rodgers e Edwards pensano di aggiungere un’altra ragazza per rendere le esibizioni live migliori. E così si aggiunge Luci Martin, amica della Wright.
Earth, Wind & Fire – Brasile ed Egitto, tutto in un capolavoro Il collettivo guidato da Maurice White all’uscita del capolavoro “All’N’All” è ormai il primo gruppo superstar a livello mondiale dell’era disco, grazie anche a faraonici e travolgenti spettacoli live. Il leader intende ampliare (riuscendoci) il suono della band a più livelli, non solo impiegando un’intera orchestra, ma miscelando il soul e il funk con altre sonorità, tra cui quelle brasiliane, grazie all'apporto di alcuni grandi musicisti, come Paulinho da Costa ed Eumir Deodato. I testi dell’album sono ricchi di simbologie mistiche, che emergono anche nella raffinata copertina realizzata dal disegnatore Shusei Nagaoka, rivolta verso l’Antico Egitto con influenze fantascientifiche, tema che diverrà il marchio distintivo della band (White è un grande appassionato di egittologia). L’album vende solo negli USA oltre 3 milioni di copie, arrivando al N. 3 della album chart e diventando il quinto disco di platino consecutivo del gruppo. Il primo estratto dall’album, che contiene anche la classica “Fantasy”, è SERPENTINE FIRE (qui in versione live), che fa riferimento al magico fluido che scorre, secondo la mitologia indiana, lungo la colonna vertebrale.
Altri hit del periodo È un buon periodo per molti artisti solisti che rinnovano o trovano il successo proprio questo inverno.
Rod Stewart – Palloni da calcio e gambe di ragazze Dopo aver raggiunto trionfalmente la terza posizione in UK (dietro Wings e Queen), Rod The Mod arriva al N. 4 USA nel gennaio 1978 con YOU'RE IN MY HEART (The Final Acclaim), il primo estratto dal suo nuovo album “Foot Loose & Fancy Free”, che arriva al N. 2 della classifica degli album di Billboard e al N. 3 in UK. Nonostante sia interpretabile come una canzone d’amore, sembra che l’oggetto di cotanta attenzione amorosa non sia tanto una fanciulla, quanto un gruppo di 11 maschioni che corrono in mutande… No, Rod non ha migrato sponda: è praticamente una dichiarazione d’amore verso la sua squadra di calcio del cuore...
Billy Joel – L’amore è eterno finchè dura “Don't go changing, to try and please me / You never let me down before / Don't imagine, you're too familiar / And I don't see you anymore”. Il newyorkese William Joseph Martin "Billy" Joel (il sesto artista di sempre per vendite negli USA) è arrivato al quinto album con “The Stranger”, con cui inizia la fortunata collaborazione col produttore Phil Ramone. Il primo estratto, che lancia in orbita il lavoro è JUST THE WAY YOU ARE, una dichiarazione d’amore fatta alla moglie Elizabeth Weber, sua manager, sposata nel 1971. La canzone è di fatto un regalo di compleanno. Nel romantico testo promette che le starà al fianco e che lei deve rimanere giusto com’è, senza forzarsi di piacergli a tutti i costi. Immagino che molte fanciulle pagherebbero oro per sentirsi dire una cosa del genere. Per stroncare sul nascere i loro sogni romantici, comunico subito che i due divorzieranno nel 1982. Billy si consolerà con la top model Christie Brinkley, a cui invece dedicherà “Uptown Girl” (per poi divorziare pure da lei - al momento non ha ancora dedicato una canzone alla terza moglie. Che abbia imparato ad evitarlo?). Per la serie “aveva ragione Verdone” (vedi titolo del paragrafo). Comunque la dichiarazione in note del 1977 è sicuramente una delle canzoni d’amore più famose della storia, una sorta di brano lounge dal ritmo di una bossa-nova, con un memorabile assolo di sax suonato da Phil Woods. E pensare che il brano non piace granchè a Joel che in un primo momento pensa di escluderlo dall’album. Sono le insistenze di Linda Ronstadt e Phoebe Snow, che stanno registrando i propri album in studi vicini, a convincerlo della bontà del pezzo, che vincerà poi il Grammy come disco dell’anno. Il singolo diventa anche il primo Top 10 di Joel, arrivando al N. 3 USA. In Gran Bretagna il singolo fa stranamente flop, mentre ha successo la versione “da letto” offerta da Barry White del pezzo. Ah, dopo il divorzio, Billy ammetterà un certo disagio durante l’esecuzione del brano nei concerti, dicendo di pensare ad altro mentre la canta oppure, a volte, aggiungendo alcune parole non propriamente romantiche ("She took the dog, the house, the car"). Un’altra versione con il testo cambiato verrà cantata (in compagnia di Marlee Matlin) a “Sesame Street” per il pupazzo Oscar the Grouch. L’album, che include altri classici del cantautore come "She's Always A Woman", "Only The Good Die Young" e "Movin' Out (Anthony's Song)", si piazzerà al N. 2 della album chart USA e con oltre 10 milioni di copie vendute solo in America, diventerà il più venduto della sua casa discografica, la Columbia, battendo il precedente record fissato da “ Bridge Over Troubled Water” di Simon & Garfunkel. E proprio metà dello storico duo, Paul Simon, è nelle classifiche con SLIP SLIDIN’ AWAY, pezzo che arriva al N. 5 USA il 28 gennaio 1978. Paul è reduce anche da un’esperienza cinematografica: ha recitato infatti nel bellissimo “Io e Annie” di Woody Allen, dove compare nei panni di un discografico di Hollywood. Il brano invece è uno dei due inediti contenuti nel suo ultimo album per la Columbia, “Greatest Hits, Etc.”, che, come dice il nome, è una raccolta di successi. Il pezzo, una melanconica riflessione sulla temporaneità della vita e sulla vacuità delle scelte che in essa si compiono, presenta ai cori il gruppo country degli Oak Ridge Boys (come si vede anche dal video), che conoscerà un grande successo nel 1981.
Randy Newman – Il nemico dei piccoletti Un altro grande autore, Randy Newman, ottiene il suo miglior piazzamento nella classifica dei singoli americana con la divertente SHORT PEOPLE, autentica dichiarazione d’odio per i bigotti (le “short people” sono le persone dalle visioni strette) che tuttavia ha causato non poche polemiche in quanto alcuni l’hanno presa alla lettera, considerandola contro le persone piccolette. Su tali basi c’è stata addirittura una proposta di legge nel ’78 per bandire la canzone dalle radio del Maryland. Come già rilevato in molti altri casi, c’è una fetta della popolazione americana che proprio non afferra le metafore. Ovviamente l’autore se la ride e dice con la consueta ironia acida: “certo che odio le persone basse! Non dico niente altro perché la casa discografica ha il terrore di far sapere alla gente cosa penso veramente!”. Il tono satirico e sarcastico di Newman (che raggiunge il suo apice nell’album “Sail Away” del 1972) non gli ha mai fatto guadagnare prima un hit e ora questo arriva piazzandosi addirittura al N. 2 (bloccato solo dai Player) e trascinando in Top 10 anche l’album “Little Criminals”. Newman pubblicherà altri lavori non affievolendo il suo divertente sguardo critico nei confronti della società americana (che mantiene tuttora feroce) e abbinando, a partire dal 1980, una fortunatissima attività di compositore di colonne sonore: riceverà 15 nomination agli Oscar e ne vincerà uno nel 2001, per un pezzo scritto per il bel film Pixar “Monsters & Co.”, "If I Didn't Have You" (ovviamente su youtube un video con immagini di... "Lilo & Stitch"). Inizierà il suo discorso di ringraziamento, di fronte all’ovazione dei presenti, con un ironico: “Non voglio la vostra pietà!”. Randy nel suo album successivo “Born Again” prenderà in giro (benissimo) nel divertente pezzo "The Story Of A Rock And Roll Band" una band molto popolare per i suoi arrangiamenti barocchi e sinfonici che proprio in queste settimane sta ottenendo un enorme successo…
E.L.O. – Il disco volante di Mr. Lynne Si tratta degli E.L.O. (ovvero la Electric Light Orchestra) di Jeff Lynne, che stanno conoscendo un grande successo grazie al loro splendido doppio album “Out Of The Blue”, il loro settimo, da cui verranno tratti ben quattro singoli, tutti entrati nella Top 20 inglese (è il primo doppio che riesce nel risultato). Scritto da Lynne in 3 settimane e mezzo in uno chalet sulle Alpi svizzere, rappresenta forse il suo picco di creatività ed è un clamoroso successo prima ancora della pubblicazione: ben 4 milioni di copie prenotate! La copertina con l’astronave è stata ideata da Shusei Nagaoka e Ria Lewerke con il direttore artistico Kosh (già designer, tra l’altro, di album come “Abbey Road”, “Who’s Next” e “Hotel California” – praticamente tre delle più celebri copertine della storia del rock). Kosh rielabora così in versione spaziale il logo ideato per il precedente album degli E.L.O.. La scelta appare molto alla moda, visto il successo di film come “Guerre Stellari” e “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Il tema viene anche ripreso durante il monumentale tour che accompagna l’album, chiamato “The Big Night”, con un palco realizzato come un disco volante e varie diavolerie molto all’avanguardia all’epoca (come raggi laser). Si tratterà del tour di maggior successo di tutti i tempi all’epoca. Il primo singolo, TURN TO STONE, si piazza in febbraio al N. 13 USA dopo aver raggiunto la Top 20 in UK. Il botto vero in patria arriva invece con quello che forse è il capolavoro della band, MR. BLUE SKY, che arriva al n. 6 in febbraio. Il pezzo costituisce la quarta e ultima parte della suite intitolata "Concerto For A Rainy Day" (registrata realmente durante una giornata piovosa a Monaco) che occupa la terza parte del disco (il terzo lato sul vinile originario), una delle ultime sperimentazioni di Lynne con il rock sinfonico. Il pezzo si conclude con un giochino: la voce di Jeff modificata dal vocoder dice "Please turn me over", ovvero “per favore girami”: è infatti l’ultimo pezzo del lato del disco… Da ricordare l’impiego del pezzo nella colonna sonora del bel film “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, da noi inopinatamente tradotto con l’idiota “Se Mi Lasci, Ti Cancello” (togliete la coca ai distributori italiani!). Ah, se qualcuno ascoltandola pensa a un pezzo che può aver sentito di recente per radio, quello è “Goodbye Mr. A” degli Hoosiers…
John Williams – Incontri ravvicinati del tipo da Top 20 E rimanendo in tema fantascientifico, dopo che l’estate (ovviamente nel resto del mondo) è stata dominata dai Jedi di “Guerre Stellari” (anche questo un successo non preventivato), adesso è il turno degli esili extraterrestri amichevoli di Steven Spielberg di “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”, uscito il 16 novembre negli USA. Il film rinnova la collaborazione di Spielberg con l’attore Richard Dreyfuss (già sul set de “Lo Squalo”) e conta tra i protagonisti anche il grande regista Francois Truffaut. Il classico (inserito nel 2007 nella Biblioteca del Congresso degli USA) è dotato anche di una grande colonna sonora, realizzata da John Williams (reduce dal trionfo di “Guerre Stellari”). Come le composizioni di Williams per “Lo Squalo” e per “I Predatori Dell’Arca Perduta”, diventerà famosa quasi più del film stesso. Il brano di punta è ovviamente quello che “musica” il contatto con le entità aliene, che avviene, appunto, mediante segnali sonori. La melodia, basata su cinque note, è stata costruita per rappresentare in forma musicale la parola “hello”. Il tema di cinque note compare durante tutto il film costituendo di fatto la base della colonna sonora. Va detto che tale colonna sonora è stata sviluppata in parallelo con la sceneggiatura del film, caso questo inusuale, proprio per l’importanza che si vuol dare ai segnali musicali come strumento di comunicazione. L’album della colonna sonora è un successo, ma ancor più a sorpresa, il singolo col tema del film diventa un hit, arrivando al N. 13 della classifica americana. Come già accaduto per “Star Wars”, anche di questo brano il produttore Meco Monardo appronta una versione disco. Stavolta non arriva al N. 1, ma entra comunque in Top 40. La cover di Meco ci consente di parlare di altre cover di successo in questo periodo, e ce ne sono per tutti gusti... Al N. 3 britannico dietro Wings e Queen arrivano gli Status Quo, con forse il loro classico per eccellenza, ROCKIN' ALL OVER THE WORLD. Si tratta del 13esimo hit della band, diventata ormai una delle più popolari del pianeta (eccetto che negli States) grazie a un pub rock semplice ma efficace e a travolgenti esibizioni live. Il pezzo è la cover di un pezzo scritto da John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival per il suo debutto solista. Il brano è accompagnato da un video in cui figura un pupazzo al posto del bassista Alan Lancaster, che si è rifiutato di tornare dall’Australia. Il singolo è incluso nell’album omonimo, che arriva al N. 5 UK. L’album segna il passaggio della band a un suono più “ripulito”, grazie alla collaborazione avviata con il produttore Pip Williams (che produrrà per la band ben 9 album), già al lavoro con gli Sweet. Da notare che il pezzo aprirà lo storico concerto del Live Aid nel 1985. Paul McCartney impedisce invece di arrivare al N. 1 anche a THE FLORAL DANCE, storico pezzo della Cornovaglia scritto da Kate Emily Barclay ("Katie") Moss. Si tratta in questo caso della versione strumentale ad opera della Brighouse And Rastrick Brass Band, una vera e propria banda musicale fondata nel lontano 1881 (anche anno di nascita della Moss). Il pezzo si inchioda al N. 2 per 6 settimane. Mai Top 2 britannica fu più britannica…
Bing Crosby - Finalmente un bianco natale in Gran Bretagna La classifica britannica dei singoli sotto Natale è dominata dai Wings e dalla “Floral Dance”. Ma c’è spazio tuttavia anche per un’uscita che più natalizia non potrebbe essere. WHITE CHRISTMAS di Bing Crosby. Il brano si piazza al N. 5 UK. E si tratta della prima volta in cui il singolo più venduto della storia entra ufficialmente nella classifica britannica. Il brano, il cui protagonista sogna un bianco Natale nella calda Los Angeles, è stato scritto da Irving Berlin (che subito dopo dirà alla segretaria: “ho appena scritto la miglior canzone mai scritta!”) nei primi anni ’40 , diventando un grande successo per il leggendario cantante-attore Bing Crosby. Crosby presenta la nuova canzone proprio in occasione del Natale 1941 a un importante show radiofonico. Poi la canta nel musical “Holiday Inn” del 1942 (in duetto con l’attrice Marjorie Reynolds, che in realtà è doppiata nel film…). Dopo il suo impiego nel film, il brano diventa subito un successo, rimanendo in vetta alla classifica USA per 11 settimane. Ritornerà in vetta in occasione del Natale del 1945 e 1946 (l’unico brano capace di tanto nella storia della chart USA). Nel 1947 Crosby la reincide (ed è questa la versione che le nostre orecchie conoscono), anche se questa nuova versione non piace al cantante, che ritiene di aver cantato male. Arriva così un film dedicato al brano, nel 1954. Diretto da Michael Curtiz (“Casablanca”, giusto per citarne uno) e interpretato, oltre che da Crosby, da Danny Kaye e Rosemary Clooney (la zia di George), il film, intitolato guarda caso “White Christmas”, è il maggior successo del 1954 (e viene riproposto a ogni Natale). Il film rilancia in Top 10 il brano, che rientrerà in classifica ad ogni Natale fino al 1962. Il pezzo alla fine venderà alla fine qualcosa tra i 30 e i 50 milioni di copie, anche se il Guinness dei primati gli attribuisce addirittura 100 milioni di copie, considerando tutte le versioni della canzone. E di versioni ce ne son centinaia. Praticamente l’han cantata tutti. Tra gli altri, Chipmunks, Louis Armstrong, Beach Boys, Boney M, Michael Bublé, Carpenters, Doris Day, Billy Idol (!), Destiny’s Child, John Denver, Helloween e Twisted Sister (!!), Temptations, gli immancabili Frank Sinatra (pure in duetto con Crosby!) e Barbra Streisand, Girls Aloud, Diana Krall, Otis Redding, New Kids On the Block (argh), Bob Marley (!!!), Pavarotti-Carreras-Domingo, Elton John, Charlie Parker, The Partridge Family e, come poteva mancare, Elvis. Per tutti gusti, direi… Crosby intanto è anche nella Top 10 degli album con “Live At The London Palladium”. Questa sua presenza in classifica è legata al fatto che il cantante/attore è scomparso di recente, il 14 ottobre 1977. Nella sua carriera ha venduto una cifra impressionante di dischi, compresa tra i 500 e i 900 milioni. L’imprecisione clamorosa di questo dato è legata al fatto gran parte della carriera di Crosby, iniziata negli anni ’20, si è sviluppata prima che i dati di vendita venissero ufficialmente rilevati. Crosby fa comunque parte del “club dei 500 milioni”, ovvero degli artisti le cui vendite hanno raggiunto un simile traguardo. All’esclusivo club appartengono anche Frank Sinatra, i Beatles, Michael Jackson e un altro artista che è scomparso nel 1977 e che ha interpretato “White Christmas”. Indovinato chi è? Sto parlando ovviamente di Elvis Presley. Il Re del Rock’N’Roll, che “ha lasciato l’edificio” il 17 agosto 1977, fa una comparsa postuma nelle classifiche natalizie su ambo le sponde dell’oceano con la sua versione di MY WAY. Il brano arriva al N. 22 negli USA e al N. 9 in UK, dove invece si pensava potesse arrivare in vetta.
Tornando ai singoli di successo, Presenza nella Top 10 USA anche per la power ballad COME SAIL AWAY degli Styx (N. 8 a gennaio), tratta dal loro settimo album, “The Grand Illusion”. Il rock sinfonico un po' tronfio dalle influenze progressive della band di Dennis DeYoung vende ben oltre 3 milioni di copie negli States. Bill Withers ottiene invece dopo qualche anno di pausa un altro grande hit con uno dei suoi classici, LOVELY DAY, N. 7 in UK e Top 30 negli USA. Il pezzo ritornerà in classifica esattamente 10 anni dopo, grazie a un remix ad opera di Ben Liebrand (finendo al N. 4 in UK), e nel 1992 verrà rielaborato dai S.O.U.L. S.Y.S.T.E.M. nel brano "It's Gonna Be A Lovely Day", che verrà isneirta nella colonna sonora di “The Bodyguard”. E a proposito di brani che poi ricompariranno in film anni '90... Scott Fitzgerald & Yvonne Keely ottengono il loro unico hit con IF I HAD WORDS (N. 3 UK in febbraio), brano pop dalle influenze reggae (in questo caso siam più sui versanti del lovers’ rock, il reggae più melodico e dolce). Il pezzo è basato sulla Sinfonia per organo N. 3 in D minore di Saint-Saens. Il pezzo verrà ripescato nel film "Babe, Maialino Coraggioso", nel quale verrà interpretato dal trio di topolini.
Italiani in Germania e hit tedeschi in Italia Trionfale successo in terra teutonica per TI AMO di Umberto Tozzi, presente anche nella versione affidata a Howard Carpendale, che batte l’originale, fermatasi al N. 4, piazzandosi al N. 2. Ma i nostri amiconi tedeschi ci riservano davvero grandi sorprese. Mentre Raffaella Carrà scende cantando A FAR L’AMORE COMINCIA TU (LIEBELEI) (grande hit germanico autunnale, ma la ritroveremo col titolo "Do It Do It Again" nel 1978 nella Top 10 UK!), in febbraio arriva sparata in Top 10 HEIDI per Gitti & Erika. Ebbene si, è la versione originale (scritta da Christian Bruhn, già autore di pezzi per Pippi Calzelunghe e Vicky il Vichingo, nonché di brani per Rita Pavone e Mireille Mathieu) della sigla del cartone animato dedicato alla pastorella svizzera interpretata da noi da Elisabetta Viviani, previa adattamento alla nostra lingua effettuato da Franco Migliacci (quindi quella della Viviani è una cover…)
USCITE CHIAVE Ne abbiamo parlato prima. Ebbene esce in gennaio il primo album dei Pere Ubu, “The Modern Dance”. Che musica può fare un gruppo di “folk industriale”? Beh, diciamo che si tratta di brani spigolosi dalla struttura assolutamente irregolare in cui emerge la voce stralunata di David Thomas. Son stati definiti, per influenza sulla musica successiva, l’equivalente americano dei Joy Division, con cui condividono l’inquietudine. In più hanno un certo umorismo (che condividono con i vicini Devo). Un album non facile da digerire che indubbiamente sorprende ancora chi ha voglia di concedergli un ascolto. Su youtube ho trovato solo un video per LIFE STINKS. Giusto per darvi l'idea.
Volete calmarvi un po’? Detto fatto. Ecco a voi il grande Brian Eno in “Before and After Science”. Un album che sospeso tra canzoni “ancora pop” e pezzi strumentali, rappresenta un altro affascinante passo della ricerca di Brian verso l'elettronica atmosferica più sperimentale. L’ex Roxy Music (nonché collaboratore di Bowie, produttore dei Talking Heads e degli U2) crea l'album a Berlino, dove si è trasferito con Bowie e Robert Fripp, che partecipa all'album con, tra gli altri, anche Phil Manzanera e Phil Collins. L'album è diviso in due parti ben diverse (le due facciate), la prima più ritmica, che anticipa i lavori con i Talking Heads (per altro citati nel titolo di un brano, “King’s Lead Hat”, che altro non è che l’anagramma del nome del gruppo), e la seconda più rarefatta, che appunto anticipa la sua serie “Ambient” (che a sua volta influirà sulla produzione elettronica dei decenni successivi). Campionamenti in assenza di campionatori, suoni minimali e sintetizzatori per un album che anticipa il futuro di fatto alterando la forma della "canzone pop" e soprattutto la sua costruzione (non più semplice registrazione di suoni, ma elaborazione degli stessi alla stregua di come un pittore gioca con i colori). Per voi, dalla seconda parte, BY THIS RIVER, collaborazione con i Cluster dall’avvolgente melanconia (se qualcuno pensa di averla sentita al cinema, ha ragione: compare sia nella “Stanza del Figlio” di Moretti che in “ Y tu mamá también” di Cuaron). E concludiamo con un altro debutto, stavolta di una signorina 19enne che, scoperta nel 1976 nientemeno che da David Gilmour dei Pink Floyd, farà molto parlare di se negli anni successivi. Debutta il 17 febbario con l’album “The Kick Inside” e in primavera la troveremo al n. 1 UK con il primo singolo estratto, la sublime WUTHERING HEIGHTS, dedicato al romanzo della Bronte “Cime Tempestose”. Ne riparleremo. Una perfetta introduzione al mondo di Miss Kate Bush. Mai follia sarà più desiderabile. Prima di concludere una piccola nota bibliografica: per chi fosse interessato ad approfondire alcuni argomenti trattati in questo intervento, consiglio i seguenti libri: Discomusic: "Soul Train" - Alan Jones & Jussi Kantonen, Arcana ed. "You Should Be Dancing" - Peter Shapiro, Kowalski ed. Post-Punk: "Post-Punk 1978-1984" - Simon Reynolds, Isbn ed. Al prossimo appuntamento un grandissimo salto in avanti per toccare un anno vicino. Tra nu-jazz, nu-soul, nu-metal, bionde scoppiate e "idoli pop", imparerete a "scuoterlo come una Polaroid”, vi sarà preparato un Milkshake caliente, "stanerete" Franz, celebrerete il Natale UK con il Folle Mondo di Donnie Darko, conoscerete le Sorelle Forbice e, se fate i bravi, potrete vedere Janet esporsi al Superbowl... Benvenuti nel nuovo millennio! Buon Anno!
Marco Fare clic qui per inserire un commento a questa monografia.  
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