( chart USA + UK + Germania, settembre-ottobre-novembre )
L'AUTUNNO DEL 1990 – Il pop scricchiola È uno strano periodo. Le classifiche son dominate da un pop di plastica che si impadronisce anche del crescente fenomeno rap per generare meteore, ma che tuttavia è in profonda crisi per mancanza di ossigeno. I Milli Vanilli son costretti a restituire il Grammy vinto solo pochi mesi prima: i due belloni, Fab Morvan e Rob Pilatus, non hanno cantato una sola nota dell’album. Frank Farian, il burattinaio, ammette la truffa (poco tempo dopo cercherà di rifarsi lanciando i due veri cantanti, quarantenni non proprio adoni, Brad Howell e Johnny Davis, come i “Real Milli Vanilli” – per la serie una faccia di … ). Il crollo dei Milli Vanilli produrrà una nube di polvere che offuscherà il panorama del pop negli anni a venire, lasciando il campo libero ai generi concorrenti. Intanto, è in corso un’autentica pioggia di meteore nella chart USA: Vanilla Ice e MC Hammer, su tutti. Tuttavia emerge anche qualche nome destinato non essere una stellina passeggera, come Mariah Carey, la futura Regina infestante della chart USA. Ma se il pop è in crisi, quali generi son pronti a sostituirsi ad esso nelle classifiche? Son quelli in ascesa questo autunno. La musica da discoteca domina le classifiche e assesta colpi da manuale con una serie di classici da (s)ballare come non se ne vedeva da tempi. La contaminazione tra rock e house che è il Baggy, diffusosi dal club The Haçienda di Manchester nell’intero Regno Unito. L’hip hop non è solo il rap commerciale e banale di Martelli e Ghiaccioli.In America il rock da classifica non è in una gran fase, ma la scena alternativa USA tuttavia sta già mandando i primi segnali dell’imminente esplosione: l’11 ottobre ad Olympia nello stato di Washington, un trio fa il suo primo concerto nella formazione definitiva: si chiamano Nirvana. Ma iniziamo dal N. 1 del classificone…
Maxi Priest – Metti un pizzico di Soul II Soul nel tuo reggae Riprendiamo il giochino “chi ha preso da chi”. Nel 1984 Dennis Edwards e Siedah Garrett realizzano il brano "Don't Look Any Further", un buon esempio di R’N’B anni ’80 con un bel giro di basso. Tre anni dopo, Erik B. & Rakim, campionano quella linea di basso nella loro "Paid In Full", uno dei classici dell’hip hop anni ’80. La base del brano ispira Jazzie B, fondatore dei Soul II Soul, che di fatto ne ricava la ritmica caratteristica della sua band e che segna in modo inequivocabile la scena R’N’B dance inglese di fine anni ’80. Diventati produttori di grido, Jazzie B e Nellee Hooper, ovvero il nucleo dei Soul II Soul, si dedicano quindi alla produzione di una miriade di altri artisti, che sposano con entusiasmo (e successo) il suono dei due. Tra questi c’è anche l’interprete del brano che, a dire la verità, un po’ a (mia) sorpresa, capeggia il classificone. Si tratta di CLOSE TO YOU, del londinese di origine giamaicana Max Alfred Elliott, alias Maxi Priest, il Re del Lovers Rock, ovvero di quel reggae dolce e melodico di marca inglese molto affine al pop. Max ha già ottenuto un buon hit nel 1988 con la sua cover reggae di “Wild World” di Cat Stevens. Tuttavia la sua musica spesso è più vicina all’R’N’B che al reggae, come in questo brano che, tratto dal suo secondo album, “Bonafide”, non va oltre la settima posizione in patria ma arriva al n. 1 USA il 6 ottobre. Responsabile dell’arrangiamento degli archi è il violoncellista Ivan Hussey, leader dei Celloman e autore degli arrangiamenti di altri grandi hit come “Dreams” di Gabrielle. L’anno dopo Maxi replicherà con un altro successo da top 10 USA, “Set The Night To Music”, cantato con la veterana Roberta Flack. Alle spalle di Maxi Priest vediamo invece un assembramento di pezzi da film, dive canterine e rap da hard discount. E incominciamo proprio da quest’ultimo, che sbanca letteralmente la classifica degli album USA…
Rap USA e getta La classifica album USA è ostaggio di MC Hammer e Vanilla Ice. Con le loro vendite multimilionarie il rap diventa un genere commerciale in modo definitivo. La ricetta del successo è semplice: prendi un vecchio hit pop, ne arraffi la base e il ritornello, mantenendolo ben riconoscibile, e ci rappi un po’ di scemenze sopra, evitando accuratamente attacchi politici alla Public Enemy, eccessi sperimentali o riferimenti sessuali troppo espliciti che farebbero arrabbiare Tippy Gore. Il pubblico, specie quello bianco, non aspetta altro, e così il buon MC Hammer si ritrova a vendere milioni di dischi. Si tratta della versione rassicurante del rap. Hammer ha successo? Allora ne produciamo il clone bianco! E così ecco arrivare subito in classifica Vanilla Ice. Entrambi le neo star dureranno poco. Vanilla giusto un album, Hammer un paio, poi ritorneranno nelle retroguardie. Tuttavia rappresentano la facile via commerciale del rap, via che verrà battuta da molti successori…
Vanilla Ice – Il ghiacciolo alla vaniglia a rapido scioglimento Robert van Vinkle. Chi è costui? Un giovane texano di 22 anni e di buona famiglia borghese, che si atteggia a rapper del ghetto cresciuto a pane e violenza. Se non fosse per il fatto che venderà oltre 20 milioni di copie raccontando bufale su un passato da malavitoso si potrebbe archiviare come un mitomane. E il nostro soggetto piazza l’album “To The Extreme” al N. 1 della Billboard chart per 16 settimane (7 milioni di copie vendute solo negli USA!), sull’onda del successo del pezzo ICE ICE BABY, un N. 1 transoceanico. Il successo del brano è dovuto a una semplice cosa: la base. Un giro di basso perfetto con brillanti inserti di sintetizzatore. Ovviamente non è farina del sacco di Robert. È campionata. Da un N. 1 inglese del 1981, “Under Pressure”, realizzato dall’incredibile accoppiata Queen e David Bowie. Molti che all'epoca ignorano che si tratta di un campionamento di un pezzo della Regina, poco più di un anno dopo affermeranno che i Queen sono sempre stati la loro band preferita (miracoli dello schiattar anticipatamente…). Comunque, grazie al campionamento, il rappettino (nel cui testo autocelebrativo Vanilla si loda come rapper) sbanca e vende milioni di copie, diventando il secondo N. 1 USA rap della storia, a distanza di più di 9 anni dal primo (“Rapture” dei Blondie). In ogni caso non è tutto oro quel che luccica. Robert deve dare molti dei soldi ottenuti ai proprietari dei diritti d’autore. I Queen e Bowie non sono i soli a intascare (tra l’altro non ha chiesto loro il permesso di campionare, per cui indovinate quanti soldini deve dare loro…). Anche il co-fondatore della Death Row, Suge Knight, gli chiede i soldi per il testo del pezzo qualche anno dopo. Vanilla nel 1994 è alla disperata ricerca di un rilancio. All’epoca vanno i Cypress Hill e lui subito ne copia gli atteggiamenti: treccine rasta e un proclamato amore infinito per le canne. E soprattutto se ne esce con una nuova leggenda metropolitana: Vanilla dice che Knight lo ha fatto appendere a testa in giù da un terrazzo al ventesimo piano per costringerlo a sborsare i soldi richiesti. Purtroppo Robert non deve avere buona memoria e cambierà spesso la versione dei fatti. Insomma, se si deve raccontare una bufala, almeno prendere degli appunti (anche se un atto del genere non stonerebbe con l’operato di Knight…). Tornando al 1990/91, dopo “Ice Ice Baby”, Vanilla ottiene un secondo hit con la sua tremenda versione rap di “Play That Funky Music”, successo anni ‘70 dei Wild Cherry. Nel 1991 il nostro partecipa pure a dei film. Uno è il secondo episodio delle Tartarughe Ninja (…). Ma soprattutto interpreta il “suo” film, “Cool As Ice”, una specie di versione per mentecatti di “Gioventù Bruciata”. Con Robert al posto di Jimmy Dean. Il film è un disastro, e così pure la colonna sonora, “forte” di un duetto tra Vanilla e Naomi Campbell (quando i cervelli si scontrano…). Va però detto che il film è talmente brutto che adesso i cultori del trash lo stanno rivalutando. In ogni caso, quando viene definitivamente rivelata l’adolescenza morigerata del nostro “duro dei ghetti”, il ghiacciolo si scioglie come se fosse stato lasciato sull’asfalto di un parcheggio in piena estate (rendo l’idea?). Da allora Vanilla diventa oggetto di battute e di critiche. Non si perdona a lui, bianco e borghese, di aver sfruttato in modo così becero uno stereotipo nero per vendere dischi. L’ultima sua apparizione di livello mondiale è – ignudo - nel famigerato libro “Sex” di Madonna. Nel ’94 arriva anche ad inscenare un tentato suicidio per riacquistare la fama. Poi tenta la carta del gangsta rapper hardcore con esiti ancor più deleteri. Adesso ha finalmente trovato la sua nicchia: essendo incapace a fare qualunque cosa, campa bene con i reality. Una curiosità: ad aprire i concerti di Vanilla Ice nel 1990 viene chiamata una giovane cantante canadese: si chiama Alanis Morissette.
MC Hammer – Il martello che si abbatte sui classici Ma il successo di Vanilla Ice è addirittura secondario rispetto a quello ottenuto da un altro personaggio, con cui ha in comune il ridicolo look (bragoni a borsa stile Ali Babà alternati a pantaloncini da ciclista). Si tratta di MC Hammer, all’anagrafe Stanley Kirk Burrell. Il martello ha già ottenuto (e tuttora sta ottenendo) un enorme successo con U CAN’T TOUCH THIS, rap basato sul campionamento di un classico del funk, la leggendaria “Super Freak” di Rick James. Il pezzetino che ne risulta è leggermente più inventivo di quello di Vanilla, ma siamo sempre sul versante musica da hard discount. Che si piazza nella top 10 USA e UK. Poi Hammer, non contento, piazza nelle classifiche anche HAVE YOU SEEN HER, in cui vampirizza l’omonimo classico dei Chi-Lites (praticamente ci borbotta qualcosa sopra). Per il terzo hit, PRAY, non trova di meglio che infierire su “When Doves Cry” di Prince. I tre hit sono tratti dal suo secondo album, “Please Hammer, Don’t Hurt’Em”, il primo album rap che vende oltre 10 milioni di copie. Il successo è facilmente spiegabile: piace ai ragazzini e, essendo innocuo, anche ai loro genitori, gli stessi che si preoccupano dei bollini sui cd che i figli ascoltano. È rap per i fans dei New Kids On The Block. Ovvio che la comunità hip hop faccia a gara per tirargli i pomodori, accusandolo di essere un venduto. In effetti le accuse all’epoca non fanno una grinza: i testi son ripetitivi e limitati, sfrutta eccessivamente i ritornelli di pezzi conosciuti, ed è talmente pieno di sponsor che deve allargare le ridicole braghe per farceli stare tutti. Per tacer del fatto che butta sul mercato un suo marchio di abbigliamento, dedicato proprio alle suddette braghe (che temo prima o poi torneranno di moda…). Come? State pensando che è quello che oggi fanno (quasi) tutti i rapper? Certo! Quando l’hip hop mainstream ha dovuto scegliere un modello tra l’impegno politico duro e puro dei Public Enemy, gli sperimentalismi di A Tribe Called Quest e De La Soul e i miliardi di Hammer, indovinate che ha fatto? Ha ceduto al lato oscuro della forza, ovviamente. Il successo per il Martello durerà giusto un altro album, poi inizierà a collezionare buchi nell’acqua. E, nonostante tutti i dischi e i bragoni venduti, il nostro sarà costretto a dichiarare bancarotta nel 1996. Gli resta comunque un (in)dubbio “merito”, quello di essere stato un anticipatore, ovvero l’anteprima di molte disgrazie: Puff Daddy sta già prendendo appunti. C’è invece chi utilizza i pezzi del passato per rapparci sopra in modo meno banale di Vanilla Ice e MC Hammer. Un campionamento di un pezzo degli Spinners del 1970, “It’s A Shame” (scritto nientemeno che da Stevie Wonder), è alla base dell’hit di Monie Love IT'S A SHAME (MY SISTER) e del suo rap femminista che incita la donna a pretendere rispetto anche a costo di troncare una relazione (capovolgendo il testo del pezzo degli Spinners, che parla di una donna che gioca col cuore di un uomo). La rapper londinese, all’anagrafe Simone Wilson, protetta della rapper-attrice Queen Latifah, fa parte del movimento newyorkese Native Tongues Posse, che comprende anche De La Soul e A Tribe Called Quest, focalizzato su un rap dai contenuti impegnati e positivi e dalle sonorità jazzate. Per la cronaca c’è un altro hit dei Chi-Lites che ritorna nella top 10 di Billboard questo autunno. Si tratta di OH GIRL, nella non esaltante cover ad opera di Paul Young. L’ex wonder boy del soul bianco ormai spara cartucce bagnate, e questa cover piuttosto esangue non rende giustizia ne all’originale, ne tantomeno al talento dell’interprete britannico, che comunque farà di peggio l’anno successivo, facendo comunella con Zucchero…
George Michael – Sono un artista serio! Il buon George torna a tre anni di distanza dal multimilionario “Faith” con un nuovo album, intitolato “Listen Without Prejudice, Vol. 1”. L’album è una sfida già dal titolo: invita tutti quelli che lo considerano un pupazzo ad ascoltare il lavoro senza pregiudizi, dato che lui stesso lo considera il suo miglior lavoro. E a dire il vero ha ragione. L’album vede l’ex Wham!, notevolmente maturato, attingere ai suoi ispiratori musicali (Marvin Gaye, Stevie Wonder, Beatles e via cantando, fino al jazz di “Cowboys And Angels”) e cercare di far a meno dell’immagine (a dire il vero in modo decisamente isterico al limite dell’iconoclastia). Insomma, vuole essere preso sul serio e lo dichiara ripetutamente. Forse troppo. La critica, anche se non compatta, gli da retta. Il pubblico meno. O meglio lo premia, ma le vendite son nettamente inferiori a quelle esagerate di “Faith” (“solo” 7 milioni). George accuserà la Sony di averlo danneggiato nella promozione, e sarà il primo atto (anche se non l’unica causa) di una delle più clamorose baruffe legal-discografiche della storia, che di fatto lo bloccherà per anni. Intanto il primo singolo, l’ottima ballata PRAYING FOR TIME, arriva il 13 ottobre al N. 1 della chart USA, mentre viene snobbato un po’ dai compatrioti, che non lo mandano oltre la sesta posizione. È la sua “What’s Going On”, con cui affronta per la prima volta pessimisticamente temi sociali (solo il passare del tempo può lenire le ingiustizie). Il brano sfrutta un arrangiamento “denso”, che ricorda il muro del suono di Phil Spector, e un effetto eco della voce di George, che ne amplifica la nota dolente, ed è accompagnato da un video minimale (nel video compare solo il testo del brano). Il pezzo diventa anche uno dei brani più richiesti dai soldati USA di stanza nel Golfo (eh, si, siamo in attesa della Prima Guerra del Golfo).
The Beautiful South – Un po’ di tempo per pensarci su e arrivare in vetta Chi invece riesce ad arrivare al N. 1 UK in ottobre sono i Beautiful South, il gruppo fondato dagli ex Housemartins Paul Heaton e Dave Hemmingway. Paul canta nei pezzi a contenuto politico, mentre Dave si occupa dei pezzi che hanno a che fare con l’amore. E proprio Dave, in duetto con la cantante nord irlandese Briana Corrigan (all’epoca sentimentalmente legata a Hemmingway, lascerà la band nel 1992 per intraprendere – senza successo – una carriera solista), canta A LITTLE TIME, delizioso brano diventato il quarto singolo e l’unico N. 1 della band, una delle più popolari del decennio in Gran Bretagna. Il singolo è tratto dal fortunato secondo album della band, “Choke” (N. 2 UK). Alcuni grandi hit del periodo tuttavia arrivano dal passato…
Steve Miller Band – Il joker veste Levi’s Cosa ci fa un pezzo del 1974 nel classificone? Semplice, è al N. 1 in Gran Bretagna per due settimane nel settembre 1990. Di solito il successo di un pezzo datato in questo periodo è legato a tre ragioni: 1) appare in un film, ma non è questo il caso; 2) l’interprete è morto, ma per fortuna del buon Steve Miller non è neppure questo il motivo; 3) è stato usato in uno spot della Levi’s. E infatti si tratta dell’ennesimo classico del passato riesumato dai pubblicitari della nota marca di jeans. La tradizione risale al 1986, con l’impiego di “I Heard It Through the Grapevine” di Marvin Gaye in uno spot in cui compariva un allora sconosciuto Nick Kamen (il nostro si leva i vestiti in una lavanderia per metterli in lavatrice rimanendo in mutande – dopo aver visto lo spot Madonna gli ha offerto una canzone...). Da allora la Levi’s ha rilanciato in classifica una manciata di classici, alcuni dei quali sono arrivati addirittura al N. 1. Nel 1990 questo accade a THE JOKER (purtroppo la versione video non è granchè, ma c’è anche una versione acustica). Il pezzo è il primo N. 1 di Steve Miller negli USA nel lontano 1974. All’epoca viene ignorato dai sudditi della Regina Elisabetta. Nel 1990 diventa invece l’unico N. 1 britannico dello storico chitarrista. Il classico è noto anche per contenere il neologismo “pompitous” o “pompatus”, già usato anche nel pezzo “Enter Maurice” (dove Maurice è l’alter ego di Miller). “Some people call me the space cowboy/ Yeah! Some call me the gangster of love/Some people call me Maurice,/'Cause I speak of the pompatus of love”. Che significa? In pratica è la versione rock della “supercazzola”!
The Righteous Brothers – Il fantasma d’amore resuscita un hit Allora, uno spot ha resuscitato il joker di Steve Miller. Ma un altro classico viene riesumato nell’autunno 1990. L’apertura del sarcofago è dovuta a un film che sta raccogliendo un successo spropositato nelle sale. Si tratta di una commedia romantica, genere che conosce un clamoroso rilancio proprio nel 1990, quando due film del genere diventano i due maggiori incassi mondiali. Il primo è “Pretty Woman”, storia d’amore tra una peripatetica dal cuor d’oro e un miliardario (il film non è una vera commedia, è fantascienza sociale: succede tutti i giorni che un miliardario rimorchi una passeggiatrice e se la sposi). Il secondo, veramente di argomento fantastico, va oltre, e ha come protagonista un’accoppiata vedovella inconsolabile-fantasma del maritino precocemente stecchito. Il film è ovviamente “Ghost”, interpretato da Demi Moore (prima che le si gonfiassero le tette) e, nei panni del fantasma, Patrick “pezzo di legno” Swayze. Il film, nonostante queste premesse, funziona, e si levano sospiri di fronte alla romantica e sensuale scena in cui i due modellano al tornio un vaso, accompagnata dalla melodia di un evergreen anni ’60. Il brano in questione è un vecchio classico del 1965, a cui il film fa l’effetto del Gerovital. UNCHAINED MELODY nella versione dei Righteous Brothers ritorna così a gran richiesta nelle classifiche, arrampicandosi al N. 13 negli USA (ma vendendo oltre 1 milione di copie) e al N. 1 in UK, dove rimane 4 settimane, diventando il disco più venduto dell’anno. I Righteous Brothers di Bobby Hatfield e Bill Medley (quest’ultimo reduce dalla colonna sonora di un altro film con Swayze, “Dirty Dancing”) vengono rispolverati assieme al pezzo e si ritrovano in classifica pure con un altro loro classico, “You’ve Lost That Loving Feeling”. “Unchained Melody” è un gran pezzo, e sicuramente merita la riscoperta. Tuttavia la versione dei Brothers è solo una (probabilmente oggi la più famosa) delle molteplici versioni del brano che hanno scalato le classifiche nel corso degli anni. “Unchained Melody” è nata nel lontano 1955 per opera di Alex North (musica) e Hy Zaret (testo) per la colonna sonora del film carcerario “Unchained”. La versione nel film (la prima delle circa 500 versioni esistenti!) è cantata dal baritono Todd Duncan. La prima versione ad entrare in classifica è ad opera di Lex Baxter, e arriva al n. 1 USA nel maggio 1955. Nello stesso anno altre tre versioni entrano nella top 40 USA, la prima delle quali è di Al Hibbler (N. 3 a giugno). Nel frattempo il brano arriva anche al N. 1 UK nella versione di Jimmy Young, che batte la concorrenza di Hibbler (ferma al N. 2) e quella di Baxter (N. 10). In UK entra in Top 20 pure una versione di Liberace. Una versione doo wop realizzata da Vito & The Salutations va nella Top 40 USA nel 1963. Nel 1965 Phil Spector produce la versione dei Righteous Brothers. Questa cover, che sfrutta il leggendario Muro del Suono di Spector, all’epoca ha un buon successo, arrivando al n. 4 USA e al N. 14 UK. Nell’intervallo di tempo che separa il 1965 dal 1990 la canzone è rifatta da mezzo mondo: Elvis, le Heart, gli U2, Sonny & Cher e via cantando. Poi nel 1990 la canzone viene inserita nella colonna sonora di “Ghost” ad opera di Maurice Jarre (padre di Jean Michel) che rielabora il brano nell’ambito della soundtrack. Da allora il brano acquisisce nuova popolarità, diventa “la canzone di Ghost”, sdilinquendo le anime romantiche. E così cani e porci la incideranno. Nel 1995 Robson & Jerome faranno danni. Il peggio arriverà però nel 2002, quando Gareth Gates la riesumerà per l’ennesima volta portandola al N. 1 UK (per la quarta volta!) forte della sua partecipazione allo show TV “Pop Idol”, dove è arrivato secondo dietro Will Young. Un altro superclassico ritorna nella top 10 UK (stavolta i motivi sono ignoti, forse uno spot TV), arrivando al n. 2. Si tratta di BLUE VELVET, nella versione di Bobby Vinton, già arrivata in vetta alla Billboard Chart nel 1963. “Blue Velvet” vi fa venire in mente un grande film con Isabella Rossellini diretto da un noto regista americano? No? Ma non sapete proprio niente! Beh, adesso parliamo proprio di una creatura di questo regista…
Music From “Twin Peaks” – Chi ha musicato l’assassinio di Laura Palmer? Il telefilm cult creato da David Lynch (si, è lui il regista di cui parlavo. Non sapete chi è? E allora finitela di guardare donne/uomini nude/i su internet e incominciate a usarlo per scoprire chi è!) è il caso televisivo dell’anno del periodo ‘90-‘91. Se da noi arriverà l’anno successivo (con oltre 13 milioni di spettatori per la prima puntata), nell’autunno 1990 negli USA e UK la domanda d’obbligo tra gli spettatori è “Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Lynch trasporta nel mondo televisivo le inquietanti visioni già espresse in “Velluto Blu”: dietro le villette dai giardini curati e i paesini immersi nei boschi (la “normalità”) si nascondono veri mostri. Il successo del telefilm è clamoroso e genere una lunga lista di merchandising, tra cui anche alcuni libri, tra cui un’ironica guida turistica di Twin Peaks e il notorio “Diario di Laura Palmer”, firmato dalla figlia del regista, Jennifer Lynch (che poi qualche anno dopo ci proporrà uno dei più brutti film del decennio, “Boxing Helena”, dimostrando ancora una volta che il talento non è ereditario). Ovviamente il successo del telefilm lancia nella stratosfera anche la sua colonna sonora, ma qui non siamo sul versante delle bieche operazioni commerciali. Le vicende dell’inquietante cittadina sono accompagnate da una colonna sonora splendida, realizzata dal grande compositore Angelo Badalamenti, più volte collaboratore di Lynch. La soundtrack è forte dell’arioso TWIN PEAKS THEME, presente sia in versione strumentale che cantata. Quest’ultima versione è interpretata dalla voce eterea della cantante Julee Cruise ed è intitolata FALLING. Il brano, pubblicato su singolo, arriva nella Top 10 britannica. Da noi arriverà in Top 10 una versione ad opera di David Twins & Novecento. La colonna sonora include anche il più inquietante LAURA PALMER'S THEME, che l’anno dopo verrà remixato e trasformato in un grande successo techno da un allora sconosciuto DJ newyorkese chiamato Moby. Lynch nel frattempo è autore anche di un clamoroso successo cinematografico: “Cuore Selvaggio” (Palma d’Oro a Cannes), che lancerà in classifica un altro splendido singolo e il suo interprete, Chris Isaak: ne riparleremo a tempo debito. Ma c’è un altro hit derivante dalla TV e stavolta ed è – ahimè - di tutt’altra pasta. Si tratta dei Bombalurina, band di Timmy Mallett, presentatore radio e TV inglese molto famoso per l’eccentrico look (con tanto di martellone rosa). Si può dire che la sua popolarità possa essere paragonata a quella di Fiorello sui nostri lidi. E come Fiore, quando decide di cantare fa danni. Forma i Bombalurina con Dawn e Annie Dunkley e con ITSY BITSY TEENY WEENY YELLOW POLKA DOT BIKINI, prodotto nientemeno che da Andrew Lloyd Webber (si, il papà di "Evita", “Cats” e de “Il Fantasma dell’Opera” ha dei clamorosi scheletri nell'armadio!), arriva al N. 1 UK il 19 agosto, rimanendovi 3 settimane e diventando un clamoroso hit europeo nei mesi successivi (N. 1 in 12 paesi!). Il pezzo è l'orrida cover in salsa simil-house (‘na vera schifezza) di pezzo già brutto di suo, un N. 1 USA del 1960 per Brian Hyland (Dalida ne ha fatta la versione italiana – ma c’è un pezzo di cui Dalida non ha fatto la versione italiana?!?) che parla di una fanciulla che non può uscire dall’acqua perché il suo bikini a pois bagnato è troppo rivelatore… Per la cronaca, il grande Billy Wilder nel suo caustico e divertente “Uno, Due, Tre” fa usare la versione del ’60 dalla polizia della Germania Est per torturare la sospetta spia Otto… Oltre ai Righteous Brothers, ci son altri musicisti che entrano nelle classifiche con colonne sonore cinematografiche.
Jon Bon Jovi – In gloria delle giovani pistole Grande successo negli USA per il debutto solista di John Francis Bongiovi Jr, ovvero Jon Bon Jovi, BLAZE OF GLORY, che musica la colonna sonora del film “Young Guns II”, westerino interpretato da una manciata di attori giovani additati all’epoca come le nuove grandi speranze di Hollywood (tra cui Emilio Estevez, Kiefer Sutherland e Christian Slater). Il filmetto, in cui compare per brevi istanti anche Jon, è la continuazione di “Young Guns”, ennesima versione delle avventure di Billy the Kid. Il rocker del New Jersey pigia il pedale degli arrangiamenti western, che peraltro era già affiorati nella sua produzione (vedi “Wanted Dead Or Alive”). In effetti la produzione aveva chiesto a Jon proprio l’utilizzo di “Wanted”, ma Jon, ritenendola poco adatta, ha proposto un brano appositamente scritto per l’occasione. Il pezzo, che arriva al N. 1 USA (il quinto e ultimo per Jon – gli altri quattro ovviamente sono con la sua band) e al N. 2 UK, è il tipico brano epico da colonna sonora di fine anni ’80. D‘altra parte Jon non è mai stato un fine chef e tende ad esagerare negli ingredienti quando si tratta di ballate o simili. L’impasto lievita sempre un po’ troppo. In ogni caso “Blaze Of Glory” è un capolavoro rispetto alla produzione standardizzata che l’italo-americano dalla chioma fluente propinerà negli anni a venire. Una nota: nel brano compare anche la chitarra di Jeff Beck.
Maria McKee – Vede il Paradiso ma non chiedetele di cantarla Maria, sorellastra di Bryan Mclean, chitarrista del leggendario gruppo folk-rock psichedelico Love, nonché ex leader del gruppo country-rock Lone Justice, nel 1990 è in una situazione di stallo. Il tanto atteso debutto solista (a cui partecipa il grande chitarrista Richard Thompson), del 1989, non è stato il successo sperato e la carriera di Maria rischia di arenarsi pericolosamente nelle sabbie mobili dell’”avrebbe potuto diventare una grande”. E così si trova di fronte a “una proposta che non può rifiutare”. Ovvero di interpretare il pezzo di punta della colonna sonora del nuovo film di Tom Cruise, “Giorni Di Tuono”. Sembra che il pezzo sia stato offerto a Tori Amos, che ha rifiutato non gradendolo. Il pezzo non piace granché neppure a Maria, che tuttavia accetta di interpretarlo dopo averne riscritto il testo (che sia per i diritti d’autore?). Sta di fatto che SHOW ME HEAVEN, il brano in questione, diventa un clamoroso hit e si piazza per un mese, tra settembre e ottobre, in vetta alla UK chart, diventando il primo (e unico) grande hit solista di Maria (come autrice invece ha già ottenuto un N. 1 UK nel 1985, con “A Good Heart”, cantata da Feargal Sharkey). Il pezzo è una discreta ballata in crescendo, senza infamia e senza lode (si è visto assai di peggio). La sua autrice, tuttavia, in un eccesso snobistico da “artista pura” la rinnegherà e si rifiuterà di cantarla dal vivo (per la serie: l'ho fatta per pagare il mutuo, ma, adesso che l'ho estinto, non crediate che la canto ancora, zoticoni che non siete altro!). Purtroppo per lei, nonostante vari cambi di direzione (ha pure fatto pezzi di influenza dance) questo resterà il suo unico successo come interprete (in pratica la sua maledizione). Forse se avesse fatto come Tori Amos... Per la cronaca, il film, che tratta delle corse in macchina nel circuito NASCAR, è proprio brutto, e altro non è che la versione di “Top Gun” su quattro ruote. Il Nanetto di Scientology lo interpreta assieme a una sventola autraliana che diverrà a breve sua moglie, tale Nicole Kidman (che nel film interpreta a soli 23 anni un neurochirurgo!! Devono togliere la coca agli sceneggiatori!!!). E probabilmente dovrebbero vietare alle rock star di dirigere, scrivere e interpretare film...
Prince – Quando il cinema fa male alle pop star: Piccoletto cade rovinosamente dal Ponte dei Graffiti Risorto commercialmente l'anno prima grazie a una colonna sonora ("Batman"), il Principe decide di realizzare un nuovo film, “Graffiti Bridge”, il seguito del suo grande successo cinematografico, il celeberrimo “Purple Rain”, di cui ovviamente compone anche la colonna sonora, pubblicata nel doppio album omonimo. Il primo settembre il disco arriva al n. 1 della classifica britannica degli album. L’album non fa altrettante faville negli States, dove si ferma al N. 6. L’album è interamente scritto da Prince e presenta brani interpretati anche da altri artisti, come Tevin Campbell, Mavis Staples e i redivivi The Time. Il disco comprende molti pezzi inediti scritti negli anni precedenti, riadattati per l'occasione, più 3 nuovi brani registrati nel 1990 e inclusi all’ultimo momento. Uno di questi è l’unico hit estratto dall’album, “Thieves In The Temple” (nessun video, come ben si sa il Nano non vuole che You Tube mostri i suoi video), buon pezzo che si piazza nelle top 10 su ambo le sponde dell’Atlantico. Se il disco va bene, il film, che debutta il 2 novembre, si rivela un fiasco epocale. Le prime avvisaglie si hanno quando Madonna, una specializzata in fiaschi cinematografici, dopo averne letto la sceneggiatura, rifiuta il ruolo propostole definendola “una porcheria”. Opinione poi condivisa con entusiasmo da critica e (meno entusiasticamente, dato che ha pagato il biglietto) pubblico. La caduta del/dal ponte chiude per sempre la carriera di autore cinematografico del Piccoletto, che in seguito girerà solo alcuni video. Un buon successo al N. 2 UK arride ai tutt’altro che irresistibili Deacon Blue, che proprio a Maria McKee hanno dedicato un loro brano del 1988, “Real Gone Kid”. Ottengono il più grande hit della carriera grazie all'EP dedicato alle composizioni di Burt Bacharach e Hal David. Il pezzo di punta è la loro versione intimista di I’LL NEVER FALL IN LOVE AGAIN, classico già portato al successo da Dionne Warwick. Un clamoroso successo arride anche a un gruppo che in precedenza ha fatto da corista proprio in un brano dei Deacon Blue, "When Will You Make My Telephone Ring". Si tratta dei Londonbeat, gruppo pop-soul-dance formato dal polistrumentista bianco William Henshall e dal trio vocale di colore formato da Jimmy Helms, George Chandler e Jimmy Chambers, che ci porgono su un piatto d’argento uno dei tormentoni del periodo, di I'VE BEEN THINKING ABOUT YOU. Il quartetto ha iniziato la carriera in Olanda, dove la dance house-Hi NGR di "There's A Beat Going On" è arrivata in Top 10. "I've Been Thinking About You" li lancia in orbita, arrivando al N. 2 UK, e piazzandosi al N. 1 in molti paesi, Italia, Germania e USA compresi. La band ha ottenuto un ulteriore successo, seppur in tono minore, con la simile "A Better Love". Da allora non ha più replicato il colpo. Un particolare fenomeno che interessa le classifiche è la presenza di musicisti di seconda generazione che ottengono un clamoroso, seppur breve, successo…
Dinastie Arrivano infatti al N. 1 USA due gruppi di nobili natali musicali. Al N. 1 arriva infatti il secondo singolo delle Wilson Phillips, ovvero Carnie e Wendy, figlie di Brian Wilson dei Beach Boys e Chynna, figlia di John e Michelle Phillips dei Mamas & Papas. RELEASE ME (versione live) è pop dalle vaghe ascendenze West Coast che segue in vetta alla Usa chart la precedente “Hold On” (il disco N. 1 dell’anno negli USA). Sarà seguito al N. 1 da un terzo singolo, mentre altri due pezzi arriveranno nella Top 20 USA. Ovviamente il successo dei singoli fa vendere carrettate anche dell’album di debutto delle tre ragazze, che tuttavia non riusciranno più a replicare il colpo. È una caratteristica questa di molti artisti pop che son esplosi nel 1990. Il fatto sta che in meno di un anno ci sarà una rivoluzione musicale che di fatto cancellerà la scena pop preesistente, alla stregua di quanto fatto dal famoso asteroide con i dinosauri. Lo stesso destino infatti colpisce anche i gemelli Nelson, Matthew e Gunnar, biondi lungochiomati figli di Rick Nelson, che arrivano al N. 1 USA a fine settembre con la loro bonjovesca (CAN'T LIVE WITHOUT YOUR) LOVE AND AFFECTION. Come ben si sa, all’asteroide che ha cancellato i dinosauri son tuttavia sopravvissuti alcuni animali affini, tipo le tartarughe e i coccodrilli. E purtroppo l’asteroide musicale che colpirà la terra a fine ’91 non comporterà l’estinzione di una specie molto nociva che nel decennio diventerà infestante: la zanzara tigre del pop, la cui presenza è riconoscibile dai vocalizzi, ovvero la Diva.
Whitney Houston – Voglio fare la selvaggia! Fotografami sulla moto! Ma sta attento alla permanente! La Dominatrice delle classifiche della seconda metà degli anni ’80 si rivolge a Babyface e L.A. Reid, per un “restyling”. Sta infatti cercando di ”sporcare” un po’ la sua musica dandole un sapore “da strada”. I due le modellano addosso un suono con riferimenti (leggeri – non esageriamo!) alla musica nera contemporanea, ovvero al New Jack Swing, e all’House. Eccola qua quindi appollaiata su una moto che sembra dirci “sono una ragazzaccia”! Il singolo in cui promette I’M YOUR BABY TONIGHT esce in due versioni diverse, una più dance, piano house, per il mercato europeo (inclusa nell’album) e una più R’N’B urban negli USA. Nel video Whitney adotta un atteggiamento vagamente più sexy (nel video cita Josephine Baker – o è Marlene Dietrich? –, Diana Ross e Audrey Hepburn). Il pezzo arriva al N. 1 USA a fine novembre, detronizzando la neo-rivale Mariah Carey, ma resta in vetta solo una settimana. In UK le cose vanno meno bene e non va oltre la quinta posizione. La Diva degli anni ’80 va incontro a una (leggera) flessione anche con l’album omonimo, il suo terzo. Certo, l’album le regalerà ben due N. 1 USA e venderà oltre 10 milioni di copie a livello mondiale, ma i successi (esagerati) di “Whitney Houston” e “Whitney” non vengono replicati. E negli USA non va oltre il terzo posto. Ovviamente la flessione commerciale è solo temporanea, dato che tornerà nel 1992 con un album e un film dallo spropositato successo… Purtroppo in questo periodo sta già frequentando quel cazzone di Bobby Brown, che le farà sperimentare la vera “street life”. A questo punto alcuni di voi si saranno chiesti: ma chi sono Babyface e L.A. Reid? Kenneth Brian "Babyface" Edmonds e Antonio "L.A." Reid, a cui Whitney si affida, non son parrucchieri o stilisti, ma sono i produttori Re Mida della musica R’N’B dei primi anni ’90. Entrambi provengono da un gruppo, i The Deele, da cui son usciti nel 1988. Nel 1989 fondano l’etichetta LaFace. Sono tra i creatori del New Jack Swing, fusione tra funk e hip hop, caratterizzato da ritmi veloci e cantati gospel e doo woop, e hanno scritto e prodotto hit per Bobby Brown, Karyn White e Paula Abdul. Babyface ha inoltre già ottenuto un buon successo con il suo album del 1989, da cui ha estratto ben due top 10 USA. La loro ricetta è semplice: ballate delicate cantate da voci mielose o pezzi sincopati dalla ritmica robusta e dalla melodia accattivante. Solo nell’autunno ’90, oltre al pezzo della Houston, i due portano nella Top 10 USA GIVING YOU THE BENEFIT di Peebles (N. 4), gli After 7 con CAN’T STOP (N. 6) e MY, MY, MY (N. 10) per Johnny Gill.
Mariah Carey – L’usignolo cannibale del pop è qui per restare! Ma intanto è comparsa all’orizzonte una terribile rivale per Whitney. Dopo il singolo di debutto “Vision Of Love”, il suo primo N. 1 USA, ne mette a segno un secondo a novembre, LOVE TAKES TIME, che viene detronizzata dopo tre settimane proprio dalla Houston. Il singolo, che ci informa che in amore è necessario andar con calma, è un hit enorme in America ma viene snobbato all’estero, dove invece “Vision Of Love” sta ottenendo un buon successo. Entrambi i pezzi son tratti dal suo album d’esordio, “Mariah Carey” che venderà qualche spirilione di copie arrivando in vetta alla USA chart nel marzo 1991. Il pezzo, scritto da Mariah con Ben Marguiles, è inizialmente destinato al secondo album della cantante, tuttavia la casa discografica, la Columbia, ne percepisce subito il suo potenziale e fa fermare le stampe del primo album per poi ristamparlo con la sua aggiunta. D'altra parte l’architetto del lancio della cantante è Tommy Mottola, allora il potente Presidente della Columbia. Nel 1988 la cantante di cui è corista, la portoricana Brenda K. Starr consegna un demo di Mariah (che la ricambierà anni dopo, cantando la sua “I Still Believe”) nelle mani di Mottola, che sentito il demo, si rende conto di aver tra le mani una potenziale star. La ragazza ha una voce notevole (accreditata di 5 ottave – secondo alcuni addirittura 7), che ricorda quella della povera Minnie Riperton (chi è? Ne parleremo a tempo debito!). Oltretutto Mariah è una bella figliola, tipico esempio di “lussureggiamento degli ibridi”, ovvero del fatto che gli incroci tra portatori di patrimoni genetici diversi solitamente presentano caratteristiche superiori. In questo caso siamo di fronte a un riuscito mix di geni irlandesi, venezuelani e afroamericani. Conclusione, il 37enne boss inizia a uscire con le futura diva 20enne. La scopre in tutti i sensi e nel 1993 si sposeranno. Divorzieranno nel 1998. Che abbiano fatto le cose in fretta? D’altra parte, “Love Takes Time”… Ah, giusto una curiosità: sapete chi c’è dietro la resurrezione post-esaurimento di Mariah nel 2005? L.A. Reid! D’altra parte le ballate soul standard spuntano come funghi (amanite per la precisione). Tra queste una, I DON’T HAVE THE HEART, di James Ingram, arriva al N. 1 USA il 20 ottobre. Si tratta del maggior successo solista di Ingram, già collaboratore di Quincy Jones, e noto anche per duetti con Patti Austin, Michael McDonald e Linda Ronstadt. Milionesimo singolo estratto da “Rhythm Nation” di Janet Jackson: stavolta al N. 1 USA va BLACK CAT, pezzo “rock” che si stacca un po’ dalla produzione media della futura protagonista del Nipple-gate. Niente di che (i suoi lavori migliori a mio parere devono ancora arrivare), tuttavia se confrontata a molte band “rock” dell’epoca, sembra (quasi) di ascoltare i Deep Purple. E parlando di “rock”…
Poison – Passami il rossetto che vado a fare a botte Nella chart USA trionfano i Poison, versione innocua e insulsa dello Street Metal che ha invaso la classifica USA nel corso del passato decennio. Son proprio le band come i Poison a far etichettare quel genere di rock “Hair Metal”, in quanto la cura delle folte capigliature e le pose da marchettari sembrano essere più importanti della musica proposta. Nell’autunno ’90 la band ha due singoli in classifica, la veloce UNSKINNY BOP, N. 3 USA, tipico esempio del rock facilotto del gruppo, e la power-ballad SOMETHING TO BELIEVE IN, che si fermerà una posizione più in basso. Entrambi sono tratti dall’album Flesh and Blood, che rappresenta un passo verso un suono più articolato rispetto ai predecessori e vende oltre 3 milioni di copie, arrivando al N. 2 USA e al N. 3 UK (posizione questa probabilmente raggiunta grazie alla partecipazione della band al leggendario festival Monsters of Rock di Donington il 18 agosto, a fianco di Whitesnake e Aerosmith). Son tuttavia le ultime danze per loro. Sia per problemi interni alla band, legati alla dipendenza dalla coca del chitarrista C.C. DeVille (causa di una clamorosa rissa col cantante Bret Michaels agli MTV Awards del 1991: DeVille, strafatto, sbaglia canzone e Michaels ovviamente si incazza…). Sia soprattutto per lo tsunami grunge che cancellerà gran parte della scena rock preesistente. La band da allora vivacchierà, sebbene tuttora faccia tour degli States, riscoperta da una nuova generazione di fan… (d’altra parte, se c’è chi rivaluta i film di Alvaro Vitali…). Poi c'è la ballatona degli Alias MORE THAN WORDS CAN SAY (N. 2 USA) che, se cantata in italiano, andrebbe bene per un Sanremo dell’epoca. La band, di breve vita, è un supergruppo formato da ex membri di Sheriff e di Heart. Per tacer dei WARRANT e della loro CHERRY PIE: i nostri vogliono "la fettina di torta di ciliegie" della bella. Meno male che c’è anche qualcosa di nuovo…
Faith No More – Un epico abbattimento delle barriere La musica USA per fortuna non è solo rap usa e getta, canarine canterine e cappelloni imbellettati. Inizia ad affiorare in classifica anche la musica alternativa, che arriva addirittura nella Top 10 USA con EPIC dei Faith No More. La band è in circolazione dal 1982, tuttavia arriva al successo solo ora, con “The Real Thing”, album uscito nel 1989, grazie al formidabile traino del singolo. La band, nata a san Francisco come band post-punk è capitanata dal cantante Mike Patton, dalla notevole estensione vocale, subentrato nel 1988 al cantante originario, Chuck Mosely, alcolizzato. Mike scrive in due settimane i testi dei pezzi di “The Real Thing”, in cui la band abbatte tutte le barriere tra i generi miscelando metal, hip hop, art rock e funk. Il risultato all’epoca è rivoluzionario, in quanto la band sfrutta le caratteristiche dei singoli generi (il metal e l’hip hop) creando una commistione che va oltre gli stessi: è il crossover. I puristi fuggono inorriditi, chi ricerca qualcosa privo di muffa accorre e applaude. La travolgente “Epic” sintetizza lo stile della band. Una sinfonia con chitarre distorte, rap e inserti melodici che si conclude con un piano. Detta così pare semplice, ma provate a inserirla nel panorama del 1990. La canzone, che parla di desideri inespressi è accompagnata da un video di grande successo, che termina con le immagini di un pesce fuor d’acqua, suscitando le ire degli animalisti. Il pesce è di proprietà di Bjork, che l’ha ricevuto a una seduta di poesia a San Francisco. Poi vai a un party del tastierista dei Faith No More, Riddy Bottum, e ne perde le tracce. Lo rivedrà nel video… La band corona il successo con grandi esibizioni agli MTV Awards e al Saturday Night Live. Se invece siete poco propensi alle novità, ma non sopportate le band imbellettate del glam metal, c’è ancora la vecchia guardia, che è capace di realizzare album di successo di sano hard rock. In Inghilterra gli Iron Maiden arrivano al N. 2 con l’ottavo album, ”No Prayer For The Dying” (che diciamolo, non è di certo il loro miglior lavoro), da cui viene tratto il N. 3 HOLY SMOKE, attacco frontale contro i tele-evangelisti americani. La band ha subito da poco il primo cambiamento di formazione dopo 7 anni, quando il chitarrista Adrian Smith è stato sostituito da Janick Gers. . Gli australiani AC/DC dei fratelli Angus invece sfornano “The Razor’s Edge”, che li porta a riconquistare fan, classifiche e fama dopo anni di purgatorio (diciamo una deviazione dall’”autostrada per l’inferno”…). L’album, forte di hit come il futuro inno da wrestling THUNDERSTRUCK, arriva in top 10 su ambo le sponde dell’Atlantico, vende 5 milioni di copie solo negli USA ed è seguito da un tour mondiale trionfale. E parlando di gruppi provenienti dalla terra dei canguri…
INXS - Michael porta una bionda sulla cattiva strada… Fresco dallo strabordante successo dell’album “Kick”, il bel Michael Hutchence, cantante e star indiscussa degli INXS, ha iniziato a frequentare nel 1989 Kylie Minogue. All’epoca la minuta australiana è ancora la fidanzatina d’Inghilterra e propina alle orecchie degli adolescenti le innocue e fastidiose marc(h)ette di Stock, Aitken & Waterman. L’influsso del compagno si fa sentire in Kylie che inizia a modificare la sua immagine, cercando di renderla più sexy. Chi l’ha vista a Top Of The Pops esibirsi in una tutina fasciata stile Emma Peel sulle note di “Better The Devil You Know”, dopo un primo shock, deve ammettere che il manico di scopa che due anni prima cantava “I Should Be So Lucky” è femmina. Michael non di meno pubblicizza questa sua “cattiva” influenza sulla (ex) virginale fidanzatina, dicendo che il suo hobby preferito è “corrompere Kylie”. E a lei dedica il primo singolo tratto dal nuovo album del suo gruppo, il settimo, “X”. SUICIDE BLONDE tratta di una donna che si fa bionda con la tinta nota come “bionda da suicidio” e che è la “devastazione dell’amore”. In effetti poco tempo prima Kylie ha recitato in un film, “The Delinquents”, per il quale si è fatta bionda platino… Il nuovo singolo, un dance-rock dalle influenze house e in cui compare l’armonica campionata del grande musicista Charley Musselwhite, diventa il sesto top 10 USA della band e arriva al N. 11 in UK. “X”, pur non replicando il successo di “Kick”, arriva nella Top 5 di Billboard e al N. 2 UK. La canzone finirà sui titoli dei giornali 7 anni dopo, quando il corpo di Michael verrà trovato il 22 novembre 1997 morto suicida in una camera d’albergo del Ritz-Carlton di Sydney. A soli 37 anni il cantante si è impiccato con una cintura, anche se non mancano dubbi sul fatto che si tratti di uno strangolamento erotico finito male. L’ultima a vederlo vivo è la bionda attrice Kym Wilson, che i tabloid subito etichetteranno come la “bionda da suicidio”… Dance e dintorni Se il pop e il rock arrancano, il genere che invece appare più vitale al momento è la dance. All’inizio degli anni ’90 la scena più interessante è quella inglese, sebbene non mancano proposte che arrivano in quantità dall’Europa continentale. Nei mesi precedenti si è ballato al ritmo del "new beat" dei belgi Technotronic (già arrivati a un “Megamix” dei loro successi) e dei tedeschi Snap, questi ultimi ancora in classifica con la loro cover di OOOPS UP della Gap Band e col terzo hit, CULT OF SNAP. Gli Snap sono una di quelle tipiche formazioni fantasma create in laboratorio da abili produttori, nel caso in questione Michael Münzing e Luca Anzilotti (sotto gli pseudonimi di Benito Benites e John "Virgo" Garrett III). I membri sul palco di tali formazioni cambiano tuttavia con le stagioni. Al momento il pubblico riconosce negli Snap il rapper Turbo B, ma già quando si parla della vocalist incominciano i casini, dato che la cugina del rapper, la modella Jackie Harris, sembra aver cantato nel loro primo hit, “The Power”, apparendo nelle interviste, mentre la cantante Penny Ford (ex membro della Gap Band) canta in tutti gli altri pezzi dell’album "World Power". Come dite? Vi sembra di aver già sentito storie simili? Beh, eccone una che arriva proprio dal nostro Paese.
Black Box – Spaghetti house di facciata Nelle classifiche autunnali del 1990 ci son ben due hit per il trio italiano formato da Daniele Davoli, Valerio Semplici e Mirko Limoni. Sono reduci dal singolo più venduto del 1989 in Gran Bretagna, e da molte beghe legali, derivanti dal vizietto di non accreditare le reali cantanti dei loro singoli, usando come paravento nei video la modella Katrin Quinol (almeno gli Snap sono più accorti e accreditano la Ford). EVERYBODY EVERYBODY, tipico esempio della loro produzione, incentrata sulla cosiddetta “spaghetti-house”, riesce addirittura ad entrare nella top 10 USA, mentre la loro cover di FANTASY degli Earth Wind & Fire scorazza nella chart del vecchio continente. In entrambi i casi la poderosa voce è della mitica Martha Walsh, che ovviamente non è fotogenica come la Quinol. Martha infatti è una signora verso la cinquantina un po’ sovrappeso che ha una lunga carriera alle spalle: corista di Sylvester, ha fatto parte delle Weather Girls, con cui nel 1984 ha ottenuto un enorme successo con la camp “It’s Raining Men” (poi rifatta malamente da Geri Halliwell). Martha, non accreditata, farà causa ai Black Box (e ai C + C Music factory, che hanno lo stesso vizietto degli italiani) e vincerà. La sua voce comparirà poi, accreditata, in numerosi hit da discoteca degli anni ’90 e stavolta, anche nei loro video. Ma arriviamo alle sponde albioniche. Nella Top 10 britannica entra FASCINATING RHYTHM dei Bass-o-matic. Si tratta del loro unico Top 10, ma attenzione, non siamo di fronte alla solita one hit wonder. Sotto questa sigla si cela infatti un duo, formato dalla cantante Sharon Musgrave e da William Orbit, il futuro produttore di “Ray Of Light” di Madonna e di molti altri grandi successi. I Bass-o-matic son infatti un progetto di Orbit, che sotto questo nome realizza due album, il primo dei quali è “Set The Controls For The Heart Of The Bass”, all’epoca etichettato come “acid-house”, ma già protratto verso la musica del nuovo decennio. Un altro genietto da discoteca, seppur dal successo meno longevo, è Adamski che, reduce dal n. 1 UK “Killer” (cantato da Seal), ottiene un altro grande hit da discoteca con SPACE JUNGLE, versione acid-house di “All Shook Up” di Elvis (ebbene si!).
DNA feat. Suzanne Vega – Tom va in discoteca Teniamo basse le battute al minuto. Se Maxi Priest ha adottato il sound dei Soul II Soul, c’è anche chi la ritmica di Jazzie B la impiega per addizionarla a un brano originariamente nato come brano “a cappella” (ovvero cantato senza strumenti). Sto parlando di TOM’S DINER. Il pezzo è stato scritto da Suzanne Vega per il suo fortunato album del 1987, “Solitude Standing”, contenente anche “Luka” (vedi estate 1987). Il pezzo è ispirato dall’osservazione della clientela del Tom’s Restaurant, un locale di Broadway in cui la Vega era solita sedersi e che in seguito è stato immortalato anche dalla sit-com “Senfield”. Il pezzo è stato scritto nel 1982, e parla di scene di vita quotidiana. Nel 1990 i DNA remixano il brano, addizionando alla voce della Vega una ritmica dei Soul II Soul. Senza il permesso di Suzanne, che tuttavia gradisce e così la A&M, sua casa discografica, non solo non fa causa ai due inglesi, ma addirittura pubblica il disco, inizialmente destinato solo alle discoteche. Il singolo arriva prima al N. 2 UK, poi diventa un hit paneuropeo e arriva anche nella Top 5 USA. Del pezzo esistono un’infinità di remix, che vengono raccolti dalla divertita Suzanne nell’album “Tom’s Album”. Una curiosità: la versione a cappella di Suzanne è stata il pezzo impiegato da Karlheinz Brandenburg per i test del suo schema di compressione dei file che noi conosciamo come MP3…
KLF – I terroristi del pop entrano in top 5 col pezzo che visse tre (e più) volte Debutto nella top 5 UK a settembre per i KLF, il progetto sviluppato da quei folli di Bill Drummond e Jimmy Cauty. I due anarchici musicali, già attivi come The Justified Ancients of Mu Mu (The JAMs), sotto un altro pseudonimo, The Timelords, hanno messo a segno un clamoroso N. 1 in Gran Bretagna nel 1988, per poi pubblicare un manuale su come ottenere facilmente un N. 1 in classifica. Poi, sempre nel 1988, stanchi delle rogne legate ai campionamenti (hanno avuto beghe legali con mezzo mondo, dagli Abba ai Beatles), i due decidono di dedicarsi a musica dance pura e pertanto, sotto lo pseudonimo KLF (Kopyright Liberation Front), realizzano nel 1988 i primi lavori. Il pezzo nasce originariamente come pezzo acid house strumentale nel 1988 col titolo WHAT TIME IS LOVE? (PURE TRANCE). Poi, nel 1990, con il titolo WHAT TIME IS LOVE? (LIVE AT TRANCENTRAL), rielaborato con l’aggiunta di una nuova linea di basso, una nuova ritmica, parti vocali e un rap ad opera di Isaac Bello, diventa un clamoroso N. 5 britannico. Il pezzo inagura la trilogia della “house da stadio” di cui i KLF son pionieri. Musica house con produzione rock e inserti di rumore di foll(i)a. Di questa versione del brano esistono diverse versioni e remix. Nel 1992, un’ulteriore rielaborazione, AMERICA: WHAT TIME IS LOVE?, la porta a un’invereconda fusione con l’hard rock. Campionano nientemeno che il riff di “Aces Of Spades” dei Motorhead e aggiungono parti vocali cantate dall’ex Deep Purple Glenn Hughes. Questa versione arriverà al n. 4 UK, diventando l’ultimo hit del duo prima del suo abbandono delle scene. I KLF hanno anche realizzato remix per altri artisti. O meglio, solo per altri tre altri artisti. Tra i beneficiati, vi sono i Depeche Mode, per i quali Drummond e Cauty hanno realizzato il “Trancentral Mix” del loro singolo, POLICY OF TRUTH, il terzo estratto dal loro capolavoro “Violator”. Nelle classifiche autunnali è presente anche il quarto estratto dall’album, WORLD IN MY EYES. Un’altra band che ha avuto il piacere di avere brani remixati dai KLF è un duo che non sta sbagliando un colpo dal lontano 1985…
Pet Shop Boys – “We were never being bored cause we were never being boring” I KLF infatti remixano anche il nuovo hit dei Pet Shop Boys, SO HARD (N. 4 UK), pezzo sulla fedeltà e sull’ipocrisia dal riff elettronico micidiale. I due infatti lo hanno realizzato a Monaco di Baviera col produttore Harold Faltermeyer, già collaboratore di Giorgio Moroder, con l’intenzione di recuperare le sonorità dei sintetizzatori analogici del Munich Sound anni ’70 (quelli di “I Feel Love” di Donna Summer). Il pezzo anticipa il quinto album, “Behaviour” (N. 2 UK), considerato uno dei migliori del duo synth pop. L’album rappresenta una svolta più riflessiva, esemplificata dal capolavoro contenuto in esso, BEING BORING, malinconia riflessione sull’evanescenza della giovinezza e sulla perdita e la morte (con riferimenti alla perdita di amici provocata dall’AIDS). Tennant e Lowe hanno raggiunto lo stato di perfezione pop, che non riusciranno più ad eguagliare con i lavori successivi. Il brano è accompagnato da uno splendido video in bianco e nero diretto da Bruce Weber. Tornando ai remix, non si può non parlare dei Cure. Reduce dal clamoroso successo di “Disintegration”, la band pubblica in novembre una raccolta di remix, “Mixed Up”, che continue l’inedita NEVER ENOUGH, che arriva nella Top 10 britannica. L’album contiene anche un remix vagamente baggy di un classico datato ’85 della band, CLOSE TO ME, che pure raggiunge la Top 20 UK.
Deee-Lite – La discoteca psichedelica del trio dei miracoli Se c’è un pezzo che segna inequivocabilmente il periodo in discoteca è il divertentissimo inno portato al successo da uno strano e variopinto trio di personaggi che sembrano usciti da un cartoon psichedelico, i Deee-Lite. Il trio di New York deve il nome alla storpiatura del titolo di un pezzo di Cole Porter, “It's Delovely”. Il look che li contraddistingue è qualcosa di inverosimile. Le tutine multicolore e le scarpe a zeppa della cantante dell’Ohio Lady Miss Kyer (Kierin Magenta Kirby) – autrice del look della band - e gli improbabili completi anni ’60 dei due dj, Jungle DJ Towa Tei ((Doug Wa-Chung) di Tokyo e l’ucraino Super DJ Dmitri (Dmitri Brill), portano una ventata di allegria nelle classifiche. Ma è la musica il piatto forte. La dance innovativa dei tre abbina suoni e abbigliamenti psichedelici anni ’60 con la disco e il funky anni ’70, il tutto in un contesto contemporaneo di acid house, con strizzatine d'occhio all'hio hop. In GROOVE’S IN THE HEART compare addirittura il basso di Botsy Collins, dei Parliament-Funkadelic, mentre il rap è fatto da Q-Tip degli A Tribe Called Quest. Il pezzo è il primo e il maggiore dei quattro hit tratti dall’album “World Clique”. Il pezzo è al centro di una strana controversia: è stato “scippato” della prima posizione in UK. Caso più unico che raro, “Groove’s In The Heart” e “The Joker” della Steve Miller Band vendono lo stesso numero di copie la stessa settimana. Tuttavia un astruso regolamento della classifica inglese prevede che al N. 1 finisca il pezzo che ha visto il maggiore incremento di vendite rispetto alla settimana precedente, quindi la ristampa del classico di Steve Miller. Il pezzo dei Deee-Lite si deve accontentare della seconda piazza. Ora il regolamento è stato cambiato, ma intanto il danno è stato fatto. Il trio intanto si piazza trionfalmente al N. 4 negli States. Purtroppo il successo di singolo e album (che include anche un altro grande successo da pista da ballo, POWER OF LOVE) non verranno più replicati. La band esce nel ’92 con un nuovo album “Infinity Within”, anticipato da “Runaway”. Il nuovo lavoro ha un buon successo, ma non paragonabile a quello del primo. Dopo un terzo album il trio si separa e oggi i tre svolgono diverse attività come solisti, sempre legate all’ambito delle discoteche. E comunque il loro nome sarà per sempre legato a “Groove’s In The Heart”. Avranno ballato una sola stagione, ma che (s)ballo! "Deee-groovy"! Un aspetto cartonesco analogo a quello dei Deee-Lite è sfruttato anche da Alison Moira Clarkson, meglio nota come Betty Boo per la somiglianza col personaggio dei cartoni animati Betty Boop, il cui divertente pop-rap dalle riminescenze anni ‘60 WHERE ARE YOU BABY arriva nella Top 3 britannica. Il pezzo segue in Top 10 “Doin’ The Do”, primo hit solista della cantante rivelatisi con il N. 7 UK del 1989 "Hey DJ - I Can't Dance (To That Music You're Playing)" dei Beatmasters. I due singoli solisti son inseriti nel fortunato album “Boomania”, molto apprezzato anche dalla critica. Betty poi cercherà di replicare con il secondo album del 1992, “GRRR! It's Betty Boo”, che tuttavia, sebbene ben recensito, farà fiasco. In seguito lascerà la scene per dedicarsi dietro le quinte alla composizione di canzoni per altri artisti, come Girls Aloud e Hear’Say, la cui “Pure & Simple” le frutterà più di due milioni di sterline in diritti d’autore. Niente male come ripiego, eh? Tuttavia parlando di dance nel 1990 non si può prescindere dalla scena di Manchester, o meglio, di Madchester … Madchester e la scena alternativa britannica La scena di Manchester altro non è che The Haçienda, il club finanziato dalla Factory Records e diretto dai New Order con il boss della casa discografica, Tony Wilson. Il locale è l’epicentro della scena house inglese, essendo stato uno dei primi club a programmare house music nel lontano 1986. È anche la culla della scena baggy (termine derivante dall’abbigliamento largo indossati da gruppi e avventori all’epoca) e nel 1990 è al massimo splendore. Gli Stones Roses hanno di fatto sfondato con il loro fenomenale incrocio tra funk-house ed eterea psichedelia rock e nel 1990 è il momento di nomi come Happy Mondays, Inspiral Carpets e Primal Scream. Il connubio tra ritmiche acide della house e sonorità rock non solo riempie le piste da (s)ballo ma rappresenta anche il suono indipendente britannico dell’inizio del decennio (“musica funky suonata dai Velvet Underground”). Sebbene la scena sia associata a Manchester, saranno molte le band associate ad essa che non provengono dalla città. Anche futuri alfieri del Brit Pop, come Blur e Charlatans, partono come band baggy. Se alcuni classici del periodo escono nei primi mesi del 1990, è l’autunno di questo anno a rappresentare lo zenith del movimento, grazie all’uscita di album dallo straordinario successo. La scena si esaurirà tra circa un anno, lasciando tuttavia un’eredità che verrà raccolta da molte band del futuro Brit Pop. The Haçienda chiuderà nel 1997 e oggi è un residence. La sua storia è stata tuttavia immortalata in un film di Michael Winterbottom, “24 Hours Party People”.
Happy Mondays – Suoni In Ecstasy Basato sul campionamento di “Lady Marmalade” della LaBelle, arriva al N. 5 della chart britannica il nuovo singolo degli Happy Mondays di Shaun Rider e Mark "Bez" Berry, KINKY AFRO. Il brano è una conversazione tra un padre fuggiasco che si piange addosso (“I only went with your mother cause shes dirty/And I dont have a decent bone in me”) e il figlio che lo disprezza. Il pezzo, in cui compare anche la voce di Rowetta, la provocante corista di colore della band, è il secondo estratto al loro terzo album “Pill’n’Thrills & Bellyaches”, uno dei titoli chiave del periodo Baggy. Il titolo sintetizza lo stile di vita a base di droga e club del gruppo, nato, come ammesso da Shaun Ryder, come attività secondaria rispetto alla prima, il consumo di droghe. La band, scoperta proprio da Tony Wilson, è ormai portabandiera della scena di Madchester e rappresenta la perfetta personificazione della cultura rave. Il sound è un graffiante funk-rock psichedelico, con venature northern soul, decisamente meno etereo rispetto a quello delle Rose di Pietra. Il loro terzo album, dalla copertina realizzata con incarti di caramelle, esce a novembre e si piazza al N. 4 della UK album chart. È prodotto da Paul Oakenfold e Steve Osborne e contiene anche il precedente enorme hit della band, “Step On”, remake in acido del pezzo del 1972 di John Kongos “He’s Gonna Step On You Again”. L’album racconta di vite miserabili e lavori squallidi, di violenza e droghe, tutto condito con ritmi che puntano a muovere i piedi. La band si scioglierà nel 1992, e Shaun formerà i Black Grape (vedi estate 1995). La band si riformerà temporaneamente poi a fine anni ’90 e poi intorno al 2004, mentre Shaun comparirà in un N. 1 UK del 2005: “Dare” dei Gorillaz. Ma nel 1990 nessuno sa dare un migliore ritratto all’acido della vita in Albione. Come dirà Bez, “il nostro successo è dovuto all’ecstasy, cominciammo ad essere capiti da tutti”.
Charlatans – l’Hammond torna in classifica Chi sa fare addirittura meglio in classifica dei Lunedì Felici, sono i Ciarlatani di Birmingham, ovvero Tim Burgess (voce), Martin Blunt (basso), Rob Collins (tastiere), Jon Brookes (batteria), John Baker (Day) (chitarra). La band ha firmato per la Beggars Banquet ed ha già raggiunto la Top 10 dei singoli con THE ONLY ONE I KNOW. Ora sono in classifica col secondo singolo, uscito in settembre, THEN (N. 12 UK) e soprattutto l’album che contiene entrambi i pezzi, “Some Friendly”, il loro esordio, uscito l’8 ottobre, che arriva sparato al n. 1 della album chart britannica. La genesi dell’album è stata un po’ tribolata, tuttavia con la sua uscita la band si ritrova tra le più popolari in UK. La band si allinea con la scena di Madchester. Chitarre indie, sonorità psichedeliche con tanto di organo Hammond B3, cantato sognante e ritmiche ballabili, a volte addirittura funky, ne rappresentano il biglietto da visita. Va detto che due anni dopo tale popolarità andrà incontro a un improvviso declino. La band tuttavia risalirà nel 1994, diventando una delle band di punta del Brit Pop. La scena di Madchester influenza anche band più pop, come i Farm, che con GROOVY TRAIN arrivano al N. 6 in Gran Bretagna in settembre. Prodotta dal cantante dei Madness, Graham "Suggs" McPherson, la band di Liverpool è in circolazione da 10 anni quando a settembre ottiene il primo dei loro 2 Top 10.
The La’s – Quando l'esasperato perfezionismo genera one hit wonder Nella classifica britannica c’è spazio anche per altri hit di pop-alternativo. Una delle chicche del periodo è sicuramente THERE SHE GOES dei The La’s, che si piazza al N. 13. Una piccola gemma datata 1988 che oggi è salutata come un classico del periodo. Un motivo orecchiabile semplicissimo (un ritornello ripetuto quattro volte e un ponte) pennellato dalla chitarra e con un falsetto che declama le virtù di una ragazza che si “insinua nel cervello e scorre nelle vene e sa guarire tutte le pene come nessun altro…” Un attimo, siamo sicuri che si tratti di una ragazza? Lee Mavers, l’autore, sta pensando ad altro quando la scrive: si tratta infatti di un pezzo che parla dell’eroina (al cui uso non è estraneo). È divertente come molti non se ne accorgano, e così non solo il brano verrà rifatto nel 1999 dalla band cristiana Sixpence None the Richer (quelli di “Kiss Me”), ma finirà pure nella colonna sonora del remake di “Genitori In Trappola” della Disney. Eh! Gli inganni della musica pop! Purtroppo la band di Liverpool non si ripeterà nonostante l’ottimo successo di pubblico e critica dell’album che porta il loro nome. La causa è l’ossessivo perfezionismo del leader Lee Mavers, tipino piuttosto complicato (che continua a cambiare la formazione). Ci ha messo 4 anni per registrare il primo album (liquidando altrettanti produttori) e alla fine dichiara che il disco pubblicato gli fa schifo. Talmente perfezionista che non produrrà più nulla, in quanto non all’altezza delle sue aspettative… In compenso John Power, bassista della band, lascerà la band nel 1992, frustrato dall’impossibilità di pubblicare nuovo materiale, e formerà i Cast, altra band della scena Brit Pop (che Mavers definirà pura immondizia…). “There she goes again... racing through my brain... pulsing through my vein... no one else can heal my pain".
Fritto Misto Paul Simon – Viaggio in Sud America Paul Simon, dopo lo straordinario successo di “Graceland”, in cui ha sperimentato con le sonorità africane, cambia continente e si rivolge al Sud America, ai cui suoni dedica “The Rhythm Of The Saints” il suo nuovo album. Un occhio di riguardo è rivolto alle sonorità e alle ritmiche brasiliane. Collabora infatti con numerosi musicisti carioca, tra cui Milton Nascimento (che scrive con lui “Spirit Voices”) e il Grupo Cultural Olodum, maestro della Batucada, lo stile di samba di Bahia . Le percussioni del gruppo aprono l’album e il primo singolo da esso estratto, THE OBVIOUS CHILD (video dal concerto – l’ennesimo - che Paul ha tenuto nel Ferragosto 1991 a Central Park). Non mancano influenze africane, e i Ladysmith Black Mambazo, già suoi collaboratori per “Graceland”, ritornano nel brano “The Coast”. L’album arriva al N. 4 USA e raggiunge la vetta della UK chart, ottenendo un successo consistente, di poco inferiore a quello dell’illustre predecessore.
I Tre Tenori – Tre uomini in classifica (per tacer del direttore d’orchestra) Negli album trionfo anche dei Tre Tenori, ovvero Carreras, Domingo e Pavarotti, con la registrazione del loro famoso concerto tenuto alle Terme di Caracalla con l’Orchestra Del Maggio Musicale Fiorentino e l’Orchestra Del Teatro Dell'Opera Di Roma sotto la direzione di Zubin Mehta. L’evento, nato inizialmente per festeggiare il ritorno sulle scene di Carreras dopo la vittoria sulla leucemia (e per raccogliere fondi per la sua fondazione dedita alla lotta della suddetta malattia), si è tenuto il 7 luglio 1990, alla vigilia della finale del Mondiale di Calcio Italia ’90. 800 milioni di spettatori l’hanno visto. E ora oltre 13 milioni di persone ne acquistano l’album, che diventa il disco di musica classica più venduto della Storia. Già in estate Big Luciano è diventato una pop star, piazzandosi al N. 2 dei singoli con “Nessun Dorma” e vendendo quintali dell’album “The Essential Pavarotti”. L’album dei Tre Tenori, visto con sdegno dai puristi, segna un punto di non ritorno: la musica classica può vendere come e più del pop, e le case discografiche se ne accorgono. L’industria inizia a investire sulla classica e negli anni a venire saranno numerosi i lavori che grazie ad astute campagne di marketing, diverranno album dalle vendite milionarie (un caso per tutti, i Canti Gregoriani dei monachelli di Silos) per un pubblico che non si avventurerebbe mai nell’acquisto di “classici” album di classica. Intanto, Big Luciano e compari realizzeranno una sfilza infinita di concerti, tutti esaustissimi, e incisioni, tutte vendutissime, cantando a ogni possibile evento e ad ogni successiva Coppa del Mondo di Calcio. Il loro successo poi genererà una sfilza infinita di copie e pure una commediola a loro ispirata, “Off Key”, con Joe Mantegna, George Hamilton e Danny Aiello (per tacer degli sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo…). Intanto eccovi O SOLE MIO. E parlando di operazioni benefiche…
Red Hot + Blue – Come ti aggiorno Cole per beneficienza Il 25 settembre esce anche una compilation dedicata alla raccolta di fondi per combattere l’AIDS. Si tratta tuttavia di una compilation particolare: si tratta infatti di cover di pezzi del grande Cole Porter interpretati/demoliti/rielaborati (non sempre in modo riuscito) da un manipolo di artisti pop dell’epoca. L’operazione non è limitata a un album, ma anche a una serie di video girati da una serie di registi di fama, programmati nel corso di uno special TV della ABC. Gli U2 si accaparrano NIGHT & DAY e ne fanno una bella versione “alla U2”, emotiva ed emozionante, in cui pure la voce rotta di Bono fa la sua figura. In effetti a cavallo tra gli ’80 e i ’90 i quattro dublinesi se la cavano assai bene con le cover, realizzando buone versioni di pezzi come “Unchained Melody” o “Satellite Of Love” (finite sui lati B di alcuni singoli). Il video è girato da Wim Wenders e questo segna l’inizio della collaborazione tra il regista tedesco e i quattro, che porterà ad alcuni brani per colonne sonore e culminerà anni dopo nello sciagurato “Million Dollar Hotel” (Bono in un attacco megalomane si improvvisa sceneggiatore con esiti agghiaccianti). La cover che finisce nelle classifiche dei singoli è invece quella di Neneh Cherry, che stravolge I’VE GOT YOU UNDER MY SKIN (video diretto da Jean-Baptiste Mondino) in un pezzo hip hop che spiega come non contrarre l’AIDS (la cosa che va sotto la pelle è l’ago di una siringa). La versione magari farà venire un colpo apoplettico a un purista di Porter, ma è sicuramente riuscita e la ragazza ha coraggio da vendere. Da citare anche Iggy (Pop) e Debbie (Harry), che si divertono non poco in una esilarante versione da sbronza di WELL DID YOU EVAH? (una versione di questo pezzo, ad opera di Bing Crosby e Frank Sinatra compare anche nel film “Alta Società”). David Byrne trasforma invece DON’T FENCE ME IN in un inno etno-brasiliano con addirittura riminescenze country. Più fedele all'originale, la commovente versione di EV'RY TIME WE SAY GOODBYE ad opera di Annie Lennox. Due anni dopo ci verrà proposto Red Hot + Dance, stavolta con “Too Funky” di George Michael a fare da traino. Una buona cover synth pop di un hit del ‘62 degli Everly Brothers scritto dalla grande Carole King regala invece agli A-ha un altro grande successo in tutta Europa. Si tratta di CRYING IN THE RAIN. Non tutte le cover riescono col buco, tuttavia! Specie se a interpretarla è un calciatore. Sto parlando della alquanto brutta versione di FOG ON THE TYNE, pezzo del ’71 della band folk-rock Lindisfarne, realizzata nientemeno che dal turbolento Paul “Gazza” Gascoigne, l’idolo pallonaro dell’epoca presso i sudditi di Sua Maestà (che son subito accorsi in massa a comprare il singolo portandolo al N. 2!), di cui si ricorda anche una non esaltante temporanea attività nella Lazio. Cosa manca? Ah, già, la ciliegina teutonica! In Germania va la SOCA DANCE nella versione di Charles D. Lewis. Il pezzettino ha tutta la minacciosa intenzione di ripetere il successo della Lambada con la Soca di Trinidad. Come ben ricorderete, il pezzettino è stato invece lanciato da noi una certa Signora con il caschetto biondo agognata da Tiziano Ferro…
USCITE CHIAVE Dalla decelerazione e dall’ispessimento del sound Baggy deriva lo Shoegaze (letteralmente: guardascarpe). Il termine è generato dal fatto che i chitarristi di queste band stanno tutto il tempo sul palco con lo sguardo verso terra: devono infatti controllare i numerosi pedali che comandano i vari effetti adottati dalla loro musica, un indie rock caratterizzato da distorsioni e melodie accattivanti e sognati. Praticamente la musica di Madchester senza la ritmica funky ereditata dall’acid house (ringrazio il mio amico Joyello, di cui invito a visitare l'ottimo blog a tema musicale, per le delucidazioni in merito al termine shoegaze). Per aver chiaro in cosa consiste, è opportuno ascoltare l’album di debutto del quartetto formato nel 1988 da adolescenti di Oxford, ovvero i Ride. Quando esce il 15 ottobre l’album Nowhere, i Ride sono già una band di punta del movimento, grazie anche alla pubblicazione di 3 EP. L’album, dalla bella copertina che segnala l’arrivo di una nuova onda, arriva al n. 11 UK e viene subito acclamato come uno degli album chiave del rock inglese degli anni ’90. Melodie dense ed emozionali create dalle chitarre che emergono, con linee di basso, da un brusio di fondo creando il Muro del Suono che caratterizza il genere. La band tornerà con un secondo album nel 1992, “ Going Blank Again”, per poi abbandonare il suono che l’ha contraddistinta per avvicinarsi al Brit Pop. La band si scioglierà nel 1996 e Andy Bell in seguito si unirà agli Oasis. Dall’album il pezzo di punta, VAPOUR TRAIL. Allora, prima abbiamo parlato di rap da hard discount. Ma per fortuna nell’autunno 1990 c’è anche del rap di ben altra levatura, che magari non vende tonnellate di copie, ma che di fatto avrà grande influenza sullo sviluppo del genere. Il pezzo rap “buono” modifica il pezzo campionato per destrutturalo e costruire qualcosa di nuovo. Il pezzo rap “cattivo” semplicemente ruba il ritornello o l’elemento chiave di una canzone per farne il proprio pezzo forte. È una semplice questione di inventiva. Poi ovviamente conta quello che ci si rappa sopra. Un esempio di rap “buono” è in circolazione proprio in questo periodo. Si chiamano Q-Tip, Phife Dawg, Ali Shaheed Muhammad e Jarobi White (che lascerà la band dopo il primo album), ovvero gli A Tribe Called Quest e sono i creatori e massimi esponenti del cosiddetto jazz-rap. L’uso dei campionamenti è sfrenato, ma questi vengono smontati, mescolati e assemblati per costruire qualcosa di inedito. Il gruppo debutta questo autunno con l’album “People’s Instictive Travels And The Paths Of Rhythm”. Ironici testi intelligenti e costruttivi innestati su ritmiche derivanti dall’unione degli opposti. All’epoca non viene capito (“Rolling Stone” lo definisce “l’album rap meno ballabile di sempre” chiedendosi che significato abbia), ma oggi è considerato una pietra miliare, avendo contribuito alla definizione della nascente scena alternative rap (da cui arriveranno gruppi dal successo stratosferico, come i Fugees). Il singolo in circolazione è CAN I KICK IT?, in cui i nostri riescono a miscelare riff jazz nientemeno che con “Walk On The Wild Side” di Lou Reed. Il pezzo di Reed non costruisce il brano rap, ma è solo una della componenti della ricetta (in cui fa capolino pure Prokofiev!). Qui sta la differenza per esempio da “Wildside”, “cattivo” rap commerciale fatto da Marky Mark (il futuro attore Mark Walberg) nel 1991 sfruttando in toto, a cominciare dal titolo, il pezzo di Reed… Se il rock in vetta alle classifiche non brilla per qualità e profondità, tuttavia appena sotto la superficie troviamo qualche capolavoro. Il 21 settembre esce uno dei capolavori del metal (o meglio del thrash metal, l’aggressivo sottogenere caratterizzato da elevata velocità), Rust In Peace, dei Megadeth. Giunta al quarto album, la band, formata nel 1983 da Dave Mustaine dopo la sua esclusione dai Metallica (con cui ingaggerà una sfida musicale a distanza) per i suoi problemi di droga, agguanta il capolavoro. Merito sia della nuova formazione che, accanto al leader Dave e al bassista Dave Ellefson, i due membri originari, annovera il chitarrista Marty Friedman, sia del fatto che Dave ha pienamente superato la tossicodipendenza. Inoltre, per la prima volta un produttore può iniziare e finire un lavoro della band senza essere licenziato (si tratta di Mike Clink). Storie di fantasmi e Ufo (la divertente HANGAR 18, dedicata all’hangar in cui leggenda vuole che il Governo USA custodisca un Ufo a Roswell) e brani di denuncia (HOLY WARS sull’intolleranza religiosa) vengono uniti a riff spettacolari e intricati suonati alla perfezione, destinati a diventare il marchio di fabbrica del gruppo. L’album arriva al N. 8 UK e al N. 23 USA, posizione che verrà decisamente migliorata nel 1992 dal successivo “Countdown to Extinction”. ALa voce celestiale di Elizabeth “Liz” Davidson Fraser compare nella top 10 degli album UK? Ebbene si! I Cocteau Twins son riusciti nell’impresa. Uscito il 17 settembre, l’album “Heaven Or Las Vegas” rappresenta il picco commerciale della band scozzese, una delle più influenti del decennio precedente, e sicuramente uno dei loro migliori lavori. Le canzoni in esso contenute possono essere paragonate a deliziosi dolci: la voce angelica, ipnotica e nervosa di Liz avvolge come delicata panna i millefoglie creati dagli strati di chitarra di Robin Guthrie e resi consistenti dalla densa crema, ricca di gocce di cioccolato, garantita dal basso di Simon Raymonde. Vi ho fatto venire appetito? Eccovi un assaggio: la splendida ICEBLINK LUCK, autentico gioiello pop uscito come primo singolo. E come seconda portata l’altrettanto celestiale title-track HEAVEN OR LAS VEGAS. Purtroppo per la band all’album non seguirà un grande periodo: lascerà la storica etichetta 4AD, di cui ha contribuito a definire l’estetica, e andrà incontro a una seria crisi interna che la porteranno vicina allo scioglimento. Quindi, ricapitolando, molte porcherie ai primi posti, ma tutta la musica del nuovo decennio ribolle giusto sotto la superficie. Basta(va) accorgersene! Tra 15 giorni puntata speciale di Halloween, piena zeppa di cose paurose: rapper dall’oltretomba, vampiri musicali, inni funebri, novelli Frankenstein delle note, torme di boy e girl band, canoppione mannare, babau, oscure maledizioni e… la bambola Barbie!
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