( chart USA + UK + Germania, dicembre-gennaio-febbraio )
INVERNO 1972/73: Papà è in crisi e si trucca Papà è in crisi. Strana affermazione? Beh, con “papà” si intende la figura patriarcale, generalmente indicata come guida. Se ne accorgono gli Stati Uniti, che non fanno in tempo ad uscire da quel tunnel dell’orrore che è la Guerra in Vietnam (che finisce il 27 gennaio, con gli Accordi di pace di Parigi), per ritrovarsi il proprio “papà”, ovvero il rieletto Presidente Richard Nixon, nel bel mezzo di uno scandalo che farà epoca. Mai sentito parlare di Watergate? L'8 gennaio 1973 si assiste al processo che condanna per cospirazione gli scassinatori originali, insieme a due uomini vicini al Presidente… L’America scopre che non può più fidarsi del proprio Presidente e tale sentimento si rafforza in particolare nella comunità nera, che già si sente ghettizzata dalla politica nixoniana. E tale malcontento affiora sempre più nella musica black del periodo, capace di sfoderare superclassici grazie ad assi come Stevie Wonder e Curtis Mayfield, tra gli (eccellenti) altri. E anche in ambito black la figura paterna diventa oggetto di una critica da primo posto in classifica. E se si vuole fuggire la cupa realtà, non c’è niente di meglio dello sfarzoso Philly Sound di Gamble e Huff. Ma è la figura tradizionale del maschio in generale a non stare granché bene. Basti pensare a come viene conciato per le feste il “vanitoso” maschietto che si è imbattuto in Carly Simon. E intanto Helen Reddy è responsabile del manifesto femminista in sette note. E se qualche uomo di “una volta” come il vecchio Elvis hawaiano alza trionfalmente la testa, lo fa prima dell’irreversibile declino. E dall’altra parte dell’Atlantico? Nella Gran Bretagna, fresco nuovo membro della CEE, a finire a pezzi, sotto montagne di lustrini, piume, ombretto e stivali con la zeppa è la figura del rocker macho. Il nuovo idolo rock del 1973 è un androgino alieno che arriva da Marte per salvare il mondo dalla banalità. E non c’è nulla di meglio dell’eccesso per spazzarla via. Eccessi visivi, comportamentali e musicali. Benvenuti nell’era del "rock col rossetto", il Glam! Ma bando agli indugi: affrontiamo il calderone di stili e generi che è questo periodo dorato. E iniziamo proprio dal numero uno del classificone, un autentico “j’accuse”....
Carly Simon – Il segreto dell’orsacchiotto vanesio Carly Elizabeth Simon. È impossibile non rimanere affascinati da quel sorriso che sembra aprirti le porte del paradiso. E quella voce, più bianca del bianco. Ma quando il sorriso viene meno, quella voce minaccia di portarti all’inferno… Eh, si, la bambina più piccola di Richard Simon sapeva esattamente quello che voleva. E di sicuro non voleva Richard Perry come produttore. “Mr. Perry, so che lei ha lavorato con Barbra Streisand e Nilsson, ma, sinceramente, non ritengo che sia adatto a me. Come dire… Il suo suono è troppo… Laccato”. Laccato. Miss Sorriso intendeva ovviamente usare un termine gentile per dirgli che lui è un elegante cappotto che le è stato appioppato dai discografici e che lei invece preferisce vestire casual all’ultima moda. E come darle torto, vedendo che figura fa quella semplice maglietta addosso a lei in quella foto di Ed Caraeff presente sulla copertina del suo terzo album…
La mammina si è sempre prodigata per insegnare musica alle tre figliole, tutte dedite al canto. E Carly e la più grande Lucy hanno pure debuttato nel 1964 sotto il nome di Simon Sisters. La ragazza ha dimostrato da subito un buon talento, sia come compositrice che come cantante. Naturale che, avendo sempre sguazzato tra le sette note come un salmone tra le acque, alla fine abbia optato per una carriera musicale. E le conoscenze (nonché un’indiscutibile intelligenza nel coltivarle) le hanno impedito di affrontare le varie insidie che di solito colgono al varco i salmoni che risalgono la corrente verso il successo. Nessun grizzly all’orizzonte e un debutto datato 1971 che ha portato in classifica la nostra pesciolina tra gli onori della critica. Tuttavia, mentre risaliva la corrente, la pesciolina Carly è stata adocchiata da qualche piccolo orsacchiotto vanesio da jet set affacciatosi sul fiume per specchiare il proprio visetto. E la pesciolina non ha detto di no, salvo poi essere lasciata in qualche secca... “You had me several years ago / When I was still quite naive…” Eh già, cadere ingenuamente (dice lei) tra le braccia di qualche orsacchiotto ricco e famoso le deve aver lasciato qualche graffio di troppo che non si intona con il suo amor proprio… E ora la pesciolina ha deciso di ricambiare il favore con un bel motivetto che anticipa il suo terzo album e che diventa un successo epocale. Ed è proprio quel pezzo, YOU’RE SO VAIN (qui versione live più recente), che dimostra tutta l’abilità di produttore di Perry. Povero Richard, deve essere stato sotto pressione durante quelle registrazioni londinesi. Ma ha dimostrato cosa significa lavorare con un vero perfezionista. E ora la pesciolina che non lo voleva lo ha già opzionato per il suo prossimo album. Basti pensare che il pezzo più importante dell’album è stato registrato tre volte con tre diversi batteristi, con due piani e quel basso… Già, il basso di Klaus Voormann… Il basso che introduce il brano simula l’ingresso del nostro orsacchiotto dentro una stanza durante una di quelle feste esclusive a cui non può mancare. Un ingresso elegantemente svogliato, che ambisce ad avere tutti gli occhi femminili addosso, alla stregua di un succulento favo di dolce miele buttato tra tante apette regine golose... Ma le api hanno il pungiglione. Neppure il tempo di togliersi il cappello con il solito gesto apparentemente disinvolto, frutto di studi prolungati, che nell’aria vagano le prime strofe… “You walked into the party / Like you were walking onto a yacht / Your hat strategically dipped below one eye…”. Oh, che strano, sembra che stia parlando di lui… Meglio togliersi la sciarpa… “Your scarf it was apricot…” Dannazione, quella canzone sta parlando di lui! E non appena la convinzione si consolida come la creta lasciata al sole in una secca giornata estiva in un deserto, ecco che l’apetta/pesciolina sfodera il colpo maestro: “sei così vanitoso che penserai che questa canzone è su di te”. Vatti a fidare delle ragazze con un bel sorriso. Specie se hanno flirtato con parecchi orsacchiotti… Già, perché Miss Simon si guarda bene dal dire chi sia veramente il colpevole… Anzi, si diverte a mescolare le carte. Ovvero come stendere più orsacchiotti con un sol colpo da manuale. Qualcosa l’avrà pure imparato da papà, che non per nulla ha fondato la potente Agenzia Pubblicitaria Simon & Schuster. Un dubbio ben coltivato tra segreti e misteri può diventare molto più remunerativo di mille banali verità. Eh, si, la ragazza sa qual’è “The Right Thing To Do”. E così, messa al torchio, l’angelo si limita a dire che il pezzo non parla dell’allora suo fresco maritino, James Taylor (che ha contribuito all’album con la sua “Night Owl”). Anche se poi l’apetta sfodera il pungiglione dicendo: ciò non toglie che anche lui sia un tipo taaanto vanitoso... E intanto si diverte a contemplare le illazioni della stampa, che ormai additano come sospettati quel bellimbusto narciso di Warren Beatty (il sospettato N. 1), per il cui ego il cinemascope è troppo stretto, oppure il menestrello Cat Stevens, uno che non ha esitato a dare pubblici paternalistici consigli a colei che lo mollò, altri pensano sia Kris Kristofferson, altro collezionista di gonnelle. Per tacer di Mick, si, l’amichetto Jagger. Certo è che se si trattasse di lui, la bambola dimostrerebbe di essere un diavolo partorito dalle fiamme infernali, una categoria peraltro per cui il buon Mick ha sempre avuto un certa simpatia. Già, perché la ragazza gli fa pure cantare i cori nel pezzo incriminato. Il ragazzotto telefona all’angelo per annunciarle una visita di cortesia allo studio in cui la bella sta registrando. E questa, con un sorriso, forse approfittando di qualche suo viaggio di troppo, gli infila le cuffie. In ogni caso manterrà il segreto anche nei decenni futuri, lasciando intendere che in realtà il ritratto fornito sia un miscuglio di più orsacchiotti… E aggiungendo ironia su ironia, l’album lanciato dal pezzo con “il grande segreto” si intitola “No Secrets”. E ora l’angelo è al primo posto in America, sia con il singolo che con l’album. E mentre i gonzi scommettono su chi sia l’oggetto dell’atto d’accusa in musica, lei, sorridente, diventa una star con la S maiuscola. E il pezzo diventa un hit in tutto il mondo. Pure in quello strano paese a forma di stivale... Mai voltare le spalle a una ragazza riducendole i sogni a nuvole foriere di sventure nel caffè… Per la cronaca, Janet Jackson campionerà il pezzo (e la sua linea di basso) in "Son Of A Gun (I Betcha Think This Song Is About You)", in cui la Simon parteciperà chiarendo una volta per tutte che il pezzo non parla di Mick… A proposito, il maritino di Carly, James Taylor, impalmato il 3 novembre, mentre la sposina è in vetta alla classifica, arriva al N. 14 USA con DON'T LET ME BE LONELY TONIGHT, tipico brano nel suo stile, tratto dal suo ultimo album, “One Man Dog”, un concept album realizzato nel suo studio casalingo che arriva al N. 4 della classifica degli album USA.
Ma non possiamo concludere una rassegna delle cantautrici in classifica in questo periodo senza parlare di un vero e proprio inno femminista che arriva al N. 1 USA il 9 dicembre…
Helen Reddy – Il ruggito della donna “I am woman, hear me roar” Si tratta di I AM WOMAN, interpretato da una delle cantanti di maggior successo del decennio, l’australiana Helen Reddy. La Reddy diventa la prima artista del paese dei canguri ad arrivare in vetta alla Billboard Chart. Helen è arrivata negli USA nel 1966, dopo aver vinto una gara di talenti in patria. Nel 1970 ha ottenuto un contratto con la Capitol dopo essere stata rifiutata da ben 27 etichette (!). E ora ottiene un hit epocale. È coinvolta nei movimenti femministi e decide di scrivere un pezzo che esprima in termini positivi il desiderio di affermazione femminile, senza incorrere nelle figure femminili stereotipate propinate da migliaia di canzoni (scritte ovviamente da maschi). Il pezzo viene scritto con il musicista conterraneo Ray Burton (con cui in seguito ci saranno le immancabili rogne per le royalties) e finisce nella colonna sonora di una commedia al femminile con Jacqueline Bisset, “Stand Up And Be Counted”. La Reddy chiede come pagamento per i diritti d’autore il versamento di fondi per centri a sostegno delle donne. Forte dell’esposizione cinematografica, la Capitol decide di pubblicare la canzone su singolo. Tuttavia prima il pezzo viene registrato una seconda volta, aggiungendovi delle strofe. La seconda registrazione è segnata dai contrasti tra il produttore Jay Senter e il marito di Helen, Jeff Wald, dal carattere notoriamente infiammabile. I corvacci del malaugurio prevedono che il brano porrà fine alla sua carriera, per altro non proprio esaltante all’epoca (alla sua versione di “I Don’t Know How To Love Him” da “Jesus Christ Superstar” arrivata nella Top 20 USA nel 1971, son seguiti due singoli che hanno fatto flop). E il brano sembra rispettare il copione: entra al N. 99 della Billboard chart il 24 giugno e dopo 3 settimane è già fuori. Per di più le radio non lo trasmettono granché, ritenendolo poco invitante per il contenuto femminista. Ma ecco che rientra in scena il “fastidioso” Wald (si potrebbe parafrasare una nota frase dicendo che dietro una gran donna c’è un grande uomo), che stressando tutti ottiene passaggi televisivi per la moglie, all’epoca incinta. Passaggio dopo passaggio, il pezzo prende piede, viene richiesto a gran voce dal pubblico femminile e rientra nella Hot 100 in settembre. Fino ad arrivare in vetta in dicembre, diventando il primo dei tre N. 1 USA della cantante. Da notare che Helen cederà i diritti del brano per un solo dollaro alle Nazioni Unite per l’Anno Internazionale della Donna. Il brano le farà guadagnare un Grammy e il suo discorso di ringraziamento sarà uno di quelli che passeranno alla storia del premio. Dira infatti "ringrazio Dio, perchè Lei ha reso tutto possibile"… “I can do anything / I am strong / I am invincible / I am woman…” Certo, le fanciulle stanno decisamente sollevando la testa. E questo è sia causa sia effetto della prima inequivocabile crisi della figura maschile e in particolare di quella patriarcale, di cui vengono messe in piazza tutte le magagne. E questo tema è affrontato nel singolo che viene detronizzato proprio da Helen Reddy. Ma per parlarne dobbiamo entrare in un supergenere che sta conoscendo un momento di massimo splendore…
Ghetto e archi – La musica black The Temptations - Un padre inaffidabile di successo "Papa was a rollin' stone/wherever he laid his hat was his home/and when he died, all he left us was alone" Scritta dal duo delle meraviglie Norman Whitfield e Barrett Strong, PAPA WAS A ROLLIN’ STONE è inizialmente destinata agli Undisputed Truth, che peraltro hanno già portato al successo un pezzo prima inciso dai Temptations, “Smiling Faces Sometimes” (vedi autunno 1971). Entrambi i gruppi sono in forza alla Motown, sotto l’ala protettrice di Whitfield, e quindi, quando la versione originale dell’Indiscutibile Verità fa tutt’altro che faville, non andando oltre la 63esima posizione negli USA, Norman decide di riarrangiare il brano destinandolo al nuovo album delle Tentazioni, “All Directions”, con cui si intende reinventare la band, reduce tra l'altro dall'abbandono di Eddie Kendricks e di Paul Williams. La nuova versione si mangia quella degli Undisputed Truth, ed è un formidabile mostro funk-soul di 11 minuti e 45 secondi con un’introduzione memorabile caratterizzata da una linea di basso pulsante a dir poco perfetta (giocata su sole tre note), effetti wah wah e un arrangiamento drammatico basato sulla sovrapposizione di più strumenti, compresi archi e fiati, e amplificato dalle voci di Dennis Edwards, Melvin Franklin, Richard Street e Damon Harris. Edwards a dire il vero odia il pezzo: anche suo padre è morto il 3 settembre, come il padre del brano, e tocca proprio a lui cantare la strofa iniziale con quel riferimento. Anche se suo padre non era un vagabondo, ma un pastore (nel senso di prete), ritiene che questa sia una mossa sleale da parte di Whitfield. Questi smentisce, adducendo il fatto che il brano era inizialmente destinato a un’altra band. In ogni caso il produttore ottiene il risultato sperato in sala di registrazione: Edwards registra il brano aggiungendo alla sua voce proprio quel tono di rabbia repressa che Whitfield andava cercando. La band, nonostante il successo del brano, non perdonerà il produttore-pigmalione, scaricandolo (con conseguente calo del successo del gruppo…). La versione dell’album segna di fatto >un primo esempio di mix soul di lunga durata, anticipando il trend che diverrà dominante nell’epoca disco. La versione su singolo viene invece accorciata a “soli” 7 minuti, diventando il 2 dicembre il quarto e ultimo N. 1 della band, scalzando Johnny Nash. Il pezzo è anche l’unico numero uno della band nella formazione con Damon Harris e con il ritorno di Richard Street, che hanno sostituito i dimissionari Kendricks e Williams. In effetti le Tentazioni non hanno mai saputo resistere alla tentazione di cambiare formazione…
Il pezzo è rientrato in classifica grazie a varie cover. La più fortunata è senza dubbio quella di George Michael, che fondendola con “Killer” di Adamski, ne ha fatto uno dei pezzi di punta del suo EP “Five Live”, arrivato in vetta alla UK chart nel 1993. “Papa Was A Rollin’ Stone” di fatto è una critica ad un padre assente, di cui i figli non sanno altro che “brutte cose su di lui”. E tocca un nervo scoperto della comunità afroamericana. Va infatti ricordato che il consulente per le politiche sociali di Nixon è Daniel Patrick Moynihan, autore anni prima di uno studio che concludeva che la condizione degli afromericani non è la conseguenza della società e della sua struttura, quanto l’effetto della struttura della famiglia nera, segnata dall’assenza frequente della figura paterna. Insomma, è colpa dei maschi neri. Certo, è una brutale semplificazione del problema razziale, che “da la colpa alle vittime”, ma nella generale crisi della figura maschile, il maschio di colore non sta affatto bene. Le stesse Pantere Nere reagiscono a tale crisi in modo estremista, adottando il più bieco maschilismo, ancora ben radicato in molte frange della popolazione di colore (basti pensare a molto hip hop). Va tuttavia detto che le stesse Pantere Nere stanno perdendo il sostegno della comunità nera, spaventata dall’estremismo dei loro leader. Purtroppo, il Governo non sembra molto impegnato a risolvere i problemi della minoranza afroamericana. Non dimentichiamo che il “solito” Moynihan solo poco tempo prima si è reso responsabile di un famigerato memorandum che asseriva che “la questione razziale potrebbe trovare un giovamento dall’essere trascurata”. I primi anni ’70 quindi rappresentano la grande disillusione dopo il sogno di integrazione degli anni ’60. E questa disillusione si traduce in denuncia delle condizioni di vita dei ghetti. E questo senso di abbandono che avvolge la comunità si riflette nei testi di molte canzoni: non si mette più in guardia la gente dai soli politici bianchi sorridenti, ma anche dai fratelli che ti pugnalano dopo averti dato una stretta di mano (molti saluti in codice delle Pantere Nere avvengono tramite strette di mano). È l’apogeo del cosiddetto “soul paranoico”, il cui principale obbiettivo è ammonire gli ascoltatori a “non fidarsi!” (come cantavano gli Undisputed Truth appunto nell’autunno 1971). E lasciati a se stessi, i neri d’America trovano i propri portavoce ufficiali e non compromessi anche in alcuni grandi musicisti…
Curtis Mayfield – Il Genio Gentile e lo Spacciatore Superfico Il musicista di Chicago è stato tra i primi musicisti neri ad affrontare tematiche sociali nei suoi lavori, tanto che gode di un grande credito presso il pubblico di colore che vede in lui una delle maggiori voci del “black pride”. Adesso di quella stagione di lotta per i diritti civili restano spesso solo fantasmi che vagano nei ghetti. E Curtis diventa il reporter della vita in quelle aree, che sono anche il teatro delle vicende dei film blaxploitation. E Mayfield cura la colonna sonora di uno dei classici di questo genere. Si tratta di “Superfly”, storia di uno spacciatore di cocaina. Se il film esalta ambiguamente, romanticizzandola, la figura del macho spacciatore, seguendo una logica tipica del genere, Mayfield non fa sconti e trasforma la colonna sonora in un vero e proprio concept album che critica apertamente i personaggi di cui canta, condannando senza mezzi termini la diffusione delle droghe nei ghetti, di cui descrive lo stato di degrado. I testi diretti e spesso duri sono abbinati a una musica funky molto elegante, con arrangiamenti ricchi ma fluidi, impreziosita dal falsetto del “Genio Gentile”. L’album, uscito a luglio con il film, ha passato 4 settimane in vetta alla USA chart tra ottobre e novembre e ora, dopo la formidabile FREDDIE'S DEAD (Theme From "Superfly") (N. 4 a novembre), entra a gennaio nella Top 10 USA anche SUPERFLY, la title track (qui in un'altra versione live), arrivando al N. 8. Il pezzo ha un grande rilievo nell’ambito del film omonimo, e di fatto musica la sequenza in cui lo spacciatore viene tradito e ucciso. Il riff funky e la sua linea di basso sono stati oggetto di numerosi campionamenti (tra cui “Egg Man” dei Beastie Boys e "Tilt Ya Head Back" della coppia Nelly e Xtina Aguilera). E come già detto prima, il testo parla in modo critico del protagonista, di cui viene evidenziata la solitudine e la mancanza di ideali.
Marvin Gaye – Trouble Man va a Hollywood La febbre da blaxploitation contagia molti altri grandi delle musica black, come James Brown, Barry White e anche Marvin Gaye. E proprio la title-track della colonna sonora realizzata da Marvin, TROUBLE MAN, è presente in classifica in questo periodo. Dopo il trionfo del precedente “What's Going On”, Marvin è tentato da Hollywood. Già in precedenza gli è stata fatta l’offerta di interpretare il suo idolo, Sam Cooke, in una biografia del leggendario cantante. Tuttavia Gaye rifiuta perché non gli va di interpretare un personaggio che muore ucciso con un colpo di pistola (cosa drammaticamente ironica questa, visto come se ne andrà nel 1984). Ora gli viene offerto di comporre una colonna sonora, e stavolta non ci pensa due volte. Marvin si trasferisce così a Los Angeles, che oltre ad ospitare Hollywood, sta diventando la nuova sede della sua casa discografica, la Motown. A differenza però di altri film black con importanti colonne sonore, come “Shaft” e “Superfly”, il film, “Trouble Man” appunto, sembra non essere granchè e di fatto viene realizzato solo in funzione della colonna sonora, prevalentemente strumentale, scritta e prodotta da Marvin. Considerata uno dei capolavori di Gaye, la title track arriva al N. 7 USA all’inizio di febbraio. Il pezzo, un blues/funk jazzato, è autobiografico. Nonostante il successo, Marvin è un uomo estremamente tormentato. La morte di Tammi Terrell nel 1970 l’ha devastato, tanto da pensare addirittura di mollare la musica e di darsi al football americano (!). E il successo del fortissimamente voluto “What's Going On” (pubblicato contro la volontà di tutti i capi Motown) ne ha addirittura acuito la crisi, dato che ora sente il peso di dover replicare quel risultato. Inoltre il suo matrimonio con Anna Gordy (di 17 anni più vecchia), la sorella di Berry Gordy, il gran capo Motown, sta andando a rotoli. E proprio in questo periodo il grande musicista inizia a far uso sempre più frequente di cocaina…
War – Il ghetto multiculturale della West Coast La band californiana multietnica (sei afroamericani e un danese bianco con la maggior pettinatura afro di tutti) dei War torna nella Top 10 USA con la title track del quinto album, THE WORLD IS A GHETTO (qui la versione pubblicata su singolo). Il collettivo che tra i primi ha miscelato generi come funk, soul, rock e jazz è riuscito a sopravvivere brillantemente all’abbandono del leader e fondatore, l’irrequieto ex Animals Eric Burdon, e ora ottiene il suo più grande successo di pubblico e critica. L’album viene salutato come il lavoro più profondo e riflessivo dei War e li pone come la funk band di punta del periodo. Niente male per un gruppo dato per spacciato dopo la fuoriuscita di Burdon…
La Philadelphia International e il Philly Sound E l’etichetta sta ottenendo un grande successo proprio questo inverno. Il passaggio tra il 1972 e il 1973 segna il trionfo del soul raffinato e orchestrale di Kenny Gamble e Leon Huff. I due sono attivi sin dagli anni ’60. Si sono conosciuti nel 1964 mentre lavoravano su un pezzo di Candy & The Kisses chiamato "The 81". Gamble era un cantante turnista, mentre Huff era un produttore. I due formano una band, i Romeos, assieme a Thom Bell, anch’egli futuro produttore e autore del Philly Soul, e al chitarrista Roland Chambers. I due poi iniziano l’attività di autori e produttori nel 1966, lavorando con gruppi soul come gli Intruders e i Soul Survivors. Lavorano con nomi come Wilson Pickett, Jerry Butler e Archie Bell & the Drells. Son proprio gli album di Jerry Butler a porre le basi per la nascita del “Suono di Philadelphia”. Intanto i nostri fondano etichette discografiche a manetta. Nel 1967 la Excel e la Gamble, nel 1969 è il turno della Neptune, e nel 1971 arriva la storica Philadelphia International. L’obiettivo di Gamble è di fare una musica nera che superi le barriere razziali, ovvero anche per il mercato dei bianchi. E a chi gli chiede come mai nella sua orchestra vi siano anche bianchi, lui risponde ironicamente che il suo colore preferito non è il bianco, né il nero, ma il verde… Il 1972 è stato un anno eccezionale per l’etichetta e il duo di produttori, che come autori hanno messo a segno ben 9 hit nella Hot 100 USA. In ottobre è arrivato il primo Top 10 USA dell’etichetta con la splendida “Back Stabbers” degli O’Jays (un altro capolavoro del "soul paranoico"). E il 16 dicembre 1972 arriva per l’etichetta il primo N. 1 americano. E anche in questo caso il protagonista non è esattamente un “padre di famiglia esemplare”: sta infatti vivendo un’appassionata relazione extraconiugale con Mrs. Jones…
Billy Paul – Quell’appuntamento con la Signora Jones al bar… “Me and Mrs. Jones/ We got a thing going on / We both know that it's wrong/ But it's much too strong/ To let it go now” Billy Paul, l’interprete del brano, è attivo sulla scena di Philadelphia da anni. Frequentando il circuito soul e jazz ha avuto la possibilità di collaborare con grandi come Charlie Parker, Dinah Washington, Nina Simone e Miles Davis. Conosce Gamble nel 1967. E così incide per la Gamble Record un album a tinte jazz, “Feeling Good At The Cadillac Club”. La Gamble non è l’unica etichetta del duo Gamble e Huff per cui incide. Infatti poi realizza per la Neptune gli album “Ebony Woman” e “Goin’ East”. E ora pubblica per la Philadelphia l’album “360 Degrees Of Billy Paul”, che contiene il pezzo che lo porta in vetta alla USA chart per 3 settimane a cavallo del Natale 1972 detronizzando Helen Reddy: ME AND MRS JONES (qui una versione live recente). Il protagonista di questa sensualissima cronaca di una relazione extraconiugale si incontra tutti i giorni con la Signora Jones nello stesso bar alle 6 e 30, dove nessuno può vederli…
E la Philadelphia ha già il nuovo singolo degli O’Jays sulla rampa di lancio: LOVE TRAIN. Eh già, il Philly Sound è proprio l’antenato diretto della Disco. Prima s’è accennato a Thom Bell. Ebbene anche il terzo leggendario padre del Philly Sound ha in classifica una band da lui prodotta. Si tratta degli Stylistics, che raggiungono le Top 10 su ambo le sponde dell’Oceano Atlantico con I'M STONE IN LOVE WITH YOU, il loro terzo Top 10 USA e il loro primo in UK. La band si sta apprestando a diventare una delle band soul più popolari della prima metà del decennio grazie a un raffinato soul patinato che però privilegia il falsetto rispetto ai toni più profondi.
Accanto alle Tentazioni, un altro grande gruppo vocale della Motown anni ’60 rinnova ancora una volta il successo nei ‘70. Si tratta dei Four Tops. Dopo il trasferimento della Motown a Los Angeles molti artisti storici dell’etichetta hanno deciso di rimanere a Detroit, e tra questi le Quattro Cime, che passano alla ABC Records. E con la nuova etichetta ritornano nella Top 10 USA, da cui mancavano dal 1967, con KEEPER OF THE CASTLE (video con intervista dallo storico programma "Soul Train").
Stevie Wonder – Superstizioni e beghe Nel novembre 1972 il grande Stevie pubblica il seminale “Talking Book”, pubblicato a soli 8 mesi di distanza dal precedente “Music Of My Mind”. Il “Libro Parlante” segna un’ulteriore evoluzione del suono del musicista, costituendo di fatto il secondo di 5 album capolavoro che Wonder sforna in successione nel giro di altrettanti anni (il suo cosiddetto “periodo classico”). Stevie ha infatti assunto il totale controllo della propria musica e questo gli permette di dare libero sfogo alla propria creatività. Nel nuovo contratto stipulato con la Motown ha posto il veto a ogni manomissione dei suoi lavori da parte dell’etichetta. Il Boss Berry Gordy abbozza, ma alla fine vedendo le vendite non penso si debba lamentare. L’unico controllo che l’ingombrante patron della Motown mantiene è su che pezzi pubblicare come singoli. E il singolo che riporta Stevie in vetta alla USA chart deriva proprio dall’esercizio di tale facoltà da parte di Gordy. Infatti, Stevie inizialmente vorrebbe pubblicare come primo singolo da “Talking Book” il brano “Big Brother”. Ma le insistenze del suo boss portano alla fine alla pubblicazione della splendida SUPERSTITION (qui un altro video e qui una chicca, la registrazione di un'esibizione al programma "Sesame Street"), che, scalzando Carly Simon, diventa il 27 gennaio 1973 il secondo N. 1 dell’artista a distanza di più di 9 anni dal precedente (“Fingertips (Pt. II)”). Il problema è che "Superstition" non doveva essere un singolo di Stevie, ma di un altro artista… L’origine del brano risale a una collaborazione tra Stevie e il grande chitarrista Jeff Beck. La registrazione del brano con Beck risale a luglio, presso gli Electric Lady Studios, gli studi di Jimi Hendrix. La chitarra di Beck permette a Stevie di includere elementi rock nel suo suono. Stevie sta flirtando con il rock da un po’ di tempo ed è reduce dal trionfale Tour Americano estivo dei Rolling Stones che ne ha ampliato la fama presso il pubblico rock, allontanando una volta per tutte l’immagine sdolcinata costruitagli addosso negli anni ’60 dalla Motown. Sta di fatto che Wonder all’epoca è ancora in alto mare con il nuovo album, e così si decide che sarà il chitarrista a farlo uscire su singolo, una volta registrata la sua versione. Eh, più facile a dirsi che a farsi. Infatti Jeff Beck ci mette un’eternità a registrare la sua versione. E nel frattempo Stevie finisce l’album. A sto punto, con Berry Gordy che fiuta chiaramente il potenziale del pezzo, a Stevie non resta che pubblicarlo. E così in novembre esce la versione di Wonder. Prima ancora che Beck registri la sua. Beck non la prende bene e critica pubblicamente Stevie, che ovviamente (e giustamente) si offende. Cavolo, uno ti da un pezzo incredibile e tu cazzeggi e temporeggi prima di registralo e portarlo in classifica?
Beck si decide a registrare la sua versione nel Dicembre 1972 con il bassista Tim Bogert e il batterista Carmine Appice (entrambi ex dei Vanilla Fudge). La versione del trio sarà praticamente ignorata. Non succederà altrettanto alla cover di un altro grande chitarrista, Stevie Ray Vaughan, inclusa nel suo album del 1986 “Live Alive”. E già che ci siamo facciamo una bella citazione cinematografica: il pezzo nella versione di Stevie compare infatti nello splendido “La Cosa” di Carpenter. Il pezzo diventa un grande hit internazionale. Tuttavia arriva “solo” al N. 11 UK, una posizione a dire il vero sorprendentemente bassina per un simile classico. Ma in effetti tutti i classici black di questo inverno pur entrando nella UK chart, difficilmente riescono a sfondare in Top 5. Anche perché quella zona della classifica è in pieno uragano Glam…
The Glam-orous Life Il Glam Rock è all’apice della popolarità in Europa (beh, nel Nord, da noi lo si sente appena, al massimo se ne copia il vestiario). Popolarità che durerà fino al 1975. Negli USA invece il successo appare nettamente più limitato, anche se non mancano le eccezioni. D’altra parte il look ambiguo delle star glam e i loro atteggiamenti appaiono di per se un aspetto limitante nella puritana nazione a stelle e strisce… Ma da dove arriva sta bufera di lustrini multicolore? La crisi del modello patriarcale legato alla rivoluzione di fine anni ’60 e all’aumentata aggressività femminista portano, come già detto, a una seria crisi dello stereotipo maschile. Se poi ci si aggiunge l’onda della controcultura che per prima esplora campi fino ad allora considerati tabù, come quello dell’identità sessuale, il piatto è ben servito. Il rock come forza ribelle trova quindi un nuovo campo da esplorare. E di punto in bianco la star pop-rock diventa “ambigua”. Oddio, sto termine mi fa vomitare, specie perché mi ricorda delle tristi puntate di “Superclassifica Show” in cui il Bowie dell’epoca di “Heroes” veniva liquidato come il “bell’ambiguo”. Ma i primi anni settanta segnano indiscutibilmente l’entrata in scena in Gran Bretagna di una nuova figura di rock star, che gioca apertamente con la propria identità sessuale. E nel far questo recupera le tecniche del cabaret e dell’avanspettacolo, dove l’argomento è stato sempre un cavallo di battaglia. Di fatto si crea la versione “teatrale” del rock. Il Glam, appunto. L’obiettivo è sconvolgere i benpensanti e abbattere nuove barriere. In Inghilterra (e Nord Europa) la missione viene portata trionfalmente a termine da una pattuglia di valorosi con abiti sgargianti, ombretto, zeppe e lustrini. E l’anno che si apre, il 1973, verrà ricordato come il grande anno del Glam Rock. Se avete letto l’articolo relativo all’autunno 1971, saprete che tutto è iniziato con il Tirannosauro di Marc…
T. Rex – Raggiunta la vetta non resta che scendere… Marc Bolan e i suoi T. Rex sono reduci da un’annata memorabile con ben due N. 1 UK e un altro album fortunato, il famoso “The Slider”. A dicembre esce anche il film che glorifica Bolan e soci, “Born To Boogie”. Si tratta di un film concerto in cui compaiono anche Ringo Starr e Elton John. E proprio questi due, assieme a Bolan, sono presenti alla prima del film a Londra. Il film ha successo tra i fan ma è un fiasco critico. Il film documenta il secondo dei due show tenuti dalla band all’Empire Pool di Wembley il 18 marzo. Le riprese del concerto, effettuate dalla Apple Film di Ringo Starr, son alternate a scenette e alcune esibizioni in studio, tra cui una memorabile di “Children Of The Revolution” realizzata con Elton John. SOLID GOLD EASY ACTION è invece il singolo che arriva al N. 2 UK in dicembre, seguendo nella stessa posizione proprio “Children Of The Revolution”. Sul lato B c’è proprio il brano che da il titolo al film. Va tuttavia detto che il 1973 sarà invece un anno molto difficile per la band che, tra contrasti dovuti alle manie di protagonismo di Bolan (favorite anche dall’eccesso di alcol e droghe) e cambi di formazione, subirà un severo ridimensionamento. Il primo grande Divo del Glam sembra infatti condividere il destino dell’alter ego creato dall’artista che è destinato a raccoglierne l’eredità superandolo in popolarità e diventando la più grande star britannica del periodo. Chi è? All’anagrafe è David Jones. Ma forse lo conoscete col suo nome d’arte, David Bowie. Anche se all’epoca si fa chiamare Ziggy, Ziggy Stardust… David Bowie – Ziggy suona la chitarra e ci parla di Jean Genie “Ziggy played guitar, jamming good with weird and gilly / And the spiders from mars. he played it left hand / But made it too far…” Ziggy è atterrato col suo disco volante e i suoi Ragni di Marte il 6 giugno 1972. Ma l’album che ne celebra l’ascesa e la caduta è ancora stabilmente in classifica a dicembre. Dopo la pubblicazione nella primavera 1973 di “Aladdin Sane”, l’album risalirà in Top 10 e Bowie si troverà con ben tre album tra i primi 10 del Regno Unito (ci sarà infatti anche il precedente “Hunky Dory”). E il botto vero e proprio arriva a dicembre, quando Ziggy arriva per la prima volta nella Top 3 britannica con il singolo dal doppio lato A JEAN GENIE / ZIGGY STARDUST, il primo dei 5 singoli da Top 10 che Bowie otterrà nel corso di meno di un anno in UK. Il singolo rappresenta di fatto il punto di unione tra l’album di Ziggy e il successivo “Aladdin Sane”. Se infatti il lato A anticipa il nuovo album, il lato B è praticamente la title-track dell’album dedicato all’androgino rocker marziano. JEAN GENIE è un travolgente rock’n’blues apparentemente dedicato a Iggy Pop, che all’epoca è strettamente legato a Bowie (vedi Uscite Chiave). Se avete visto il film “Velvet Goldmine” avrete un’idea. Altrimenti dategli un’occhiata, sebbene la storia sia solo liberamente ispirata al Bowie dell’epoca glam. Una strofa del pezzo, "He's so simple minded, he can't drive his module" diverrà lo spunto per la scelta del nome da parte di un gruppo scozzese, i Simple Minds. Il pezzo viene composto a New York, durante la frequentazione di Cyrinda Foxe del clan di Warhol. Il brano fa il verso a certo rock blues e sembra che il titolo sia stato ispirato dal poeta Jean Genet. Da notare che il pezzo è accompagnato da polemiche in UK, a causa della somiglianza del riff con quello di "Block Buster" degli Sweet. Tuttavia entrambi le parti diranno che si è trattato solo di una coincidenza. Il lato B racconta in sintesi l’avventura terrestre dell’alieno. Lo scopo che Ziggy si è prefisso è “liberare l’umanità dalla banalità”. Arriva sulla terra dove diventa la più grande rock star. Ma poi cade tra gli eccessi e perde il senso della realtà, finendo travolto dalla propria stessa fama. Scritta per una partecipazione al programma radiofonico della BBC "Sounds of the 70s: Bob Harris" del 7 febbraio 1972, è stata riproposta anche nel successivo "Sounds of the 70s: John Peel", andato in onda il 23 maggio. Del pezzo esistono cover in abbondanza. Forse la migliore (e più gradita a Bowie stesso) è quella dei Bauhaus, di cui ho parlato a proposito dell’autunno 1982. L’album è supportato dal primo grande tour di Bowie, in cui l’artista sfoggia il leggendario look con capelli tinti di rosso e sparati verso l’alto come una fiamma. Nel tour Bowie/Ziggy è accompagnato dai “Ragni di Marte”, ovvero il trio formato dal chitarrista Mick Ronson, dal bassista Trevor Bolder e dal batterista Mick Woodmansey. I concerti sono un trionfo, ma lo stress accumulato è parecchio. Partito a gennaio alla conquista degli USA, il 14 febbraio David ha un collasso per affaticamento dopo un concerto al Madison Square Garden di New York. E i puritani USA non sembrano insensibili al fascino del Marziano: sta iniziando la scalata della Hot 100 il primo successo di Bowie, quella “Space Oddity” che l’ha portato per la prima volta nella Top 10 britannica nel lontano 1969 e che sarà tra due anni, ripubblicata, il suo primo singolo da N. 1 in patria… "Making love with his ego ziggy sucked up into his mind / Like a leper messiah / When the kids had killed the man i had to break up the band" David diventa anche un pigmalione, fornendo brani ad altri artisti, come i Mott The Hoople e si dedica alla produzione di un altro grande, che considera tra i suoi ispiratori.
Lou Reed – La perfetta trasformazione sul satellite dell’amore David infatti produce il seminale “Transformer”, che esce proprio l’8 dicembre 1972. Il disco, il secondo solista di Lou, segna il suo primo vero successo commerciale. E questo anche grazie alla produzione di Bowie, coadiuvato da Mick Ronson. Bowie è sempre stato un grande ammiratore dei Velvet Underground e ora per lui è un onore poter produrre l’album di Reed. D’altra parte Lou all’epoca non sta certo messo bene, con problemi di droga, alcol e depressione. La sua carriera sembra arenata e il suo primo album solista, “Lou Reed”, costituito prevalentemente da brani inizialmente concepiti per i Velvet Underground, è stato un sonoro fiasco. Oltretutto in America le cose son molto cambiate, e della New York degli anni ’60 di Andy Warhol e della sua Factory sembrano essere ormai rimaste solo le macerie. Pertanto, accetta di buon grado l’invito in Albione da parte del futuro Duca Bianco, entrando in contatto con la Londra colorata del glam. La “cura Bowie” consiste nel rendere Lou più “glam”, nel senso di “glamorous”. Ma “glamorous” non significa solo lustrini. Significa anche dare sostanza sonora. Il lavoro che esce dall’incontro segna il termine di unione tra la scena underground newyorkese e il glam rock britannico. Basterebbe questo per segnarlo come epocale. E così Lou ottiene il meritato successo commerciale senza svendersi, ma realizzando il suo manifesto degli anni ’70. Un lavoro decisamente “scandaloso” per l’epoca (fin dalla copertina, votata a giocare sull’ambiguità sessuale del suo interprete), che tuttavia proprio per questo non può essere ignorato dalla “massa”. E allo stesso tempo un omaggio sentito alla New York degli anni ’60, abbandonata da Reed ma capace di suscitargli inevitabilmente profondi attacchi di “nostalgia canaglia” (azzo, citare tu-sai-chi mentre si parla di Lou Reed…). WALK ON THE WILD SIDE è uno dei superclassici del rock di tutti i tempi (e intendo parlarne compiutamente quando diverrà un hit, ovvero quando tratterò della primavera 1973). Pubblicata nel novembre 1972, questa ode a quello che fu la Factory di Warhol infatti diventerà un grande hit tra l’aprile e il maggio 1973. PERFECT DAY è un altro grande classico. E che classico! Quella che sembra una ballata romantica splendidamente sospesa tra piano e archi ha in realtà un retrogusto amaro, legato ai problemi personali di Reed (è vero che sta per sposare Bettye Kronstadt, ma tale scelta non è priva di conflitti legati all’uso di droga e alcol e alla sua bisessualità) e ai melanconici ricordi newyorkesi. E il pezzo si presta anche ad un’altra chiave di lettura: parla di droga e del “giorno perfetto” di un drogato. Insomma, l’”amata” potrebbe essere l’eroina. Nel 1996 il pezzo godrà di una seconda giovinezza grazie al film “Trainspotting” e l’anno dopo una cover per beneficenza ad opera di più artisti lo trasformerà in un N. 1 britannico. Tra le cover si può citare anche quella dei Duran Duran, datata 1995. E per gli amanti dell’orrido, ecco a voi un duetto datato 2001 che “non s’aveva da fare” con Lucianone Pavarotti. Va bene la beneficenza ma... Ma ci sono anche altri pezzi da 90. SATELLITE OF LOVE (questo ho trovato su youtube… qui la versione live), uno dei due brani inizialmente pensati per i Velvet Underground (doveva figurare in “Loaded” ma è stato poi scartato), racconta di un uomo che mentre guarda alla TV il lancio di un satellite rimugina sulla fidanzata infedele… Come in “Perfect Day”, anche in questo pezzo Bowie canta nel cori raggiungendo toni altissimi che impreziosiscono il tutto, con gran gioia di Reed (che non mancherà di considerare “incredibile” il contributo dell’amico/produttore). Anche di questo pezzo esistono numerose cover, tra cui degli U2, degli Eurythmics e di Milla Jonovich (!) per l’orrendo film “The Million Dollar Hotel”. Nel 2004 un remix dance ad opera dei Groovefinder porterà il brano nella Top 10 UK (mentre nel 1973, pubblicato come singolo a febbraio, non entra in classifica). Per tacer di VICIOUS (qui uno spezzone di un documentario che parla del pezzo e qui una versione live), che apre l’album segnandone inequivocabilmente il tono. Un vero e proprio inno al sadomasochismo (suggerito sembra nientemeno che da Warhol, a cui per altro è dedicata “Andy’s Chest”) sottoforma di un tagliente rock con un riff chitarristico molto semplice che richiama un po’ “Wild Thing” dei Troggs: “Vicious / You hit me with a flower”… Ah, il fascino indiscutibile della decadenza… Passiamo dalla musica raffinata di Reed a musica decisamente più sanguigna… DO YOU WANNA TOUCH ME (OH YEAH) invece è il secondo N. 2 britannico per Gary Glitter, all’anagrafe Paul Francis Gadd, che con questo da il via a una serie di ben 7 Top 3 UK consecutivi. Glitter è tra le star del glam più istrionico ed esagerato, con una caratteristica propensione per inni spudoratamente ritmici. Certo che considerate le condanne che si beccherà tra gli anni ’90 e i 2000 (il tizio ha un brutto debole per le minorenni e specie per quelle che fanno le prostitute in Vietnam…) il titolo di questo suo grande successo suona vagamente inquietante… Scherzi a parte, il brano funziona e funzionerà anche nel 1982, quando Joan Jett ne farà una cover da Top 20 USA.
Slade – La semplicità del successo Tuttavia nessun artista glam (o meglio ancora, nessun artista) di questo periodo può ambire nel Regno Unito al livello di successo stratosferico raggiunto dal basettone Noddy Holder e dai suoi Slade. Tra il 1971 e il 1974 sono la band più popolare della Gran Bretagna e inanellano 12 Top 5 consecutivi. Merito di un sound semplice ma efficacissimo, innestato con buone dosi di (auto)ironia. Tra le band glam sono i più semplici e scanzonati, i meno preoccupati di “fare arte innovativa” (alla Bowie e Roxy Music) o di apparire sul palco nel modo “più sconvolgente possibile” (come Wizzard o Glitter). Loro badano al sodo (anche se il caschetto del chitarrista Dave Hill è decisamente inquietante…) ed è probabilmente per questo che diventano popolarissimi. La band chiude alla grande il 1972 con il N. 2 GUDBUY T'JANE, altro mix tra pub rock e glam, sempre cantato nell’inconfondibile slang della Black Country. Nonostante il testo sia un po’ criptico ("Gudbye T' Jane, she's a dark horse see if she can" che vuol dire?!? Che abbiano visto “Una Cavalla Tutta Nuda”, film del 1972 con Don Backy e Barbara Bouchet?). Il pezzo è tratto dal loro album uscito a novembre, “Slayed?”, considerato dalla critica il loro miglior album. Il disco si piazza al N. 1 della album chart britannica a gennaio (duellando con Gilbert O’Sullivan) e contiene un altro grande classico della band, il N. 1 britannico "Mama Weer All Crazee Now", che proprio questo inverno sta arrancando nella Hot 100 americana. Infatti, nonostante il quartetto goda di un successo enorme in patria e nel Nord Europa, non riuscirà mai ad ottenere il grande successo oltre l’Atlantico (anche se molte band USA li utilizzeranno come ispirazione), dove invece il successo arriderà a un’altra band che ottiene a gennaio il suo unico N. 1 britannico…
Sweet – La caramella diventa più dura Si tratta degli Sweet, che all’inizio di dicembre sono al N. 1 tedesco (il secondo di sette!) con la loro WIG-WAM BAM, già N. 4 britannico, e a gennaio sono in vetta alla UK chart con uno dei loro più grandi classici, BLOCK BUSTER. La band ha appena compiuto la definitiva transizione da band bubble gum a band rock glam. I primi segnali si son avuti proprio con WIG-WAM BAM, singolo di transizione con cui la band smette di essere un giocattolino di produttori che non suona neppure nei propri dischi, ma diventa una vera rock band che suona i propri pezzi. E il suono approda definitivamente al glam rock col singolo seguente, BLOCK BUSTER appunto. Scritta dal duo dei miracoli glam Nicky Chinn e Mike Chapman (futuri pigmalioni anche di Suzi Quatro), la canzone rimane in vetta in UK per 5 settimane, replicando poi il successo in vari paesi europei, Germania in testa, dove la band è la più popolare dell’epoca (in termini di successo nella storia della classifica tedesca, gli Sweet rivaleggiano con Beatles, Abba, Boney M e Rolling Stones). Il pezzo ha un duplice significato: da un lato significa “blocca quello che ti sta rubando la donna” (ovvero il Buster della situazione), dall’altro fa riferimento alle bombe “blockbuster”, scaricate durante la Seconda Guerra Mondiale, con tanto di allarme antiaereo nel pezzo. “Block Buster” non riesce a far faville negli USA, tuttavia la band sta per ottenere un grande successo oltreoceano con il singolo pubblicato in Europa prima di "Wig-Wam Bam", ovvero "Little Willy", che diventerà il primo dei 4 Top 10 americani della band. Va detto che un’esibizione con “Block Buster” a Top Of The Pops scatena polemiche a causa dell’abbigliamento del bassista Steve Priest, che indossa una giacca militare nazista con tanto si svastica, che lo fa assomigliare a una hostess racchia nazista. Il glam è infatti contrassegnato da una vera e propria “corsa agli armamenti”, ovvero all’abbigliamento e al trucco più shockante. Non per nulla gli Sweet stessi dicono di vestirsi come “checche senza speranza”. E, in quanto a shock provocato, c’è un indubbio vincitore e, sorpresa delle sorprese, è un americano!
Alice Cooper – Campagna elettorale shock “Io ho capito che tutto quello che vuole il pubblico sono sesso e violenza. L’ho capito guardando la televisione per tutto il giorno”. Alice Cooper. Vincent Fournier, nativo di Detroit, spinge sull’acceleratore miscelando carica sessuale e horror con il rock, attingendo a piene mani alla tradizione teatrale del Grand Guignol. E scegliendo per la sua band (oltre che per il suo personaggio alter ego) il nome di una strega bruciata sul rogo. Il buon Alice viene così proclamato il Re dello Shock Rock (ebbene si, figliuoli cresciuti nei decenni successivi, Marilyn Manson non ha inventato proprio nulla, al massimo ha un po’ rimescolato), ovvero di quel rock di matrice glam che ai lustrini preferisce camicie di forza e secchiate di sangue finto. Magari con qualche ghigliottina e pitone decorativi. L’obiettivo è quanto mai chiaro: scandalizzare i benpensanti e fornire materiale per l’esaltazione di adolescenti ribelli.
“And if I am elected / I promise the formation of a new party / A third party, the Wild Party!” Di fatto gli Alice Cooper (perché all’epoca in realtà si tratta di una band) son l’unica band glam americana di successo e soprattutto son tra i pochi artisti di questo genere a godere di grande seguito oltreoceano, grazie anche ai travolgenti show live, sempre più esagerati. Questo anche perché nei puritani USA un look “ambiguo” viene meglio digerito se portato all’estremizzazione in una pantomima horror. Ovviamente il rock scenico del buon Alice fa proseliti, tra cui una band tiene il proprio primo concerto il 30 gennaio al Popcorn Club del Queens. Si chiamano Kiss. Ma torniamo in Britannia… Debuttano in classifica i Wizzard di quel matto di Roy Wood. Wood, ex dei Move e co-fondatore degli Electric Light Orchestra (ELO), abbandonati dopo contrasti con l’altro co-fondatore, Jeff Lynne, forma la nuova band con il tastierista Bill Hunt, il violoncellista Hugh McDowell e l’ingegnere del suono degli ELO, Trevor Smith. Del gruppo fanno parte anche l’ex bassista dei Move Rick Price, i batteristi Charlie Grima e Keith Smart e due sassofonisti, Mike Burney e Nick Pentelow. Il gruppo potrebbe essere definito la versione glam degli ELO. Debuttano nell’agosto 1972 ad un Rock 'N' Roll Festival a Wembley, per poi partecipare al Festival di Reading. La band ha un indiscutibile impatto visuale: Wood ha il viso dipinto e indossa strani costumi che lo fanno assomigliare a una specie di stregone, e quando si esibisce la band non è da meno, adottando inverosimili costumi. Si potrebbe definirli “molto pittoreschi”. E a gennaio mettono a segno il primo hit: BALL PARK INCIDENT (si potrebbe descrivere come uno scontro tra “Jean Genie” e “Waterloo” degli Abba – che, ricordo, arriverà solo tra più di un anno), che arriva al N. 6 UK, aprendo un clamoroso 1973 per la band che otterrà ben due N. 1.I Wizzard uniscono al suono Glam un Muro del suono alla Phil Spector, mostrando influenze verso il Rock N’ Roll a cavallo tra i ’50 e i ’60. E proprio con la cover di un vecchio successo Rock’N’Roll del 1956 arrivano a febbraio al N. 6 della UK chart anche gli ELO di Jeff Lynne, la precedente band di Roy Wood. Il brano è ROLL OVER BEETHOVEN, in origine un pezzo di Chuck Berry. La versione degli ELO diventa uno di quei tour de force (8 minuti!) di rock orchestrale stratificato che contraddistinguono la band degli inizi, unendo al pezzo di Berry la Quinta di Beethoven. Il pezzo è il secondo Top 10 UK, ma diventa anche il primo hit di Lynne e soci in terra americana. Il pezzo è tratto dal secondo album del gruppo, “ELO 2”, è il primo realizzato senza Roy Wood, che ha abbandonato la band proprio durante le registrazioni per formare i Wizzard. Da notare la copertina, realizzata dal celeberrimo studio Hipgnosis (anche se all’epoca il disco esce con due copertine diverse in UK e USA). E parlando di riferimenti al rock a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 e di look esageratamente vistosi, indovinate chi arriva al N. 1 USA il 3 febbraio scavalcando Stevie Wonder e restandoci 3 settimane?
Elton John – Ma il Coccodrillo come fa? Se ho citato l’innominabile Carrisi parlando di Lou Reed perché a sto punto non nominare una delle canzoncine della trasmissione della Clerici parlando di Elton John? Forse dovrei seriamente preoccuparmi dei riferimenti culturali che uso… D’altra parte uno degli hit di maggior successo del periodo è proprio CROCODILE ROCK (qui una chicca dal "Muppet Show"!), il pezzo coccodrillesco firmato Elton John e Bernie Taupin. All’epoca Reginald sfrutta costumi e atteggiamenti tipicamente glam, anche se il suono è decisamente di altro genere, “imbrogliando” i critici più distratti. Il brano è un affettuoso omaggio al Rock’N’Roll, quello di Eddie Cochran, di Sam The Sham e di Del Shannon, la cui “Runaway” viene citata tramite l’impiego dell’organo elettronico Farfisa suonato da Elton. Mentre il titolo richiama "See You Later, Alligator” di Bill Haley e delle sue Comete, la cui “Rock Around The Clock” viene pure nominata nel testo. Mentre il coretto in falsetto è ispirato da "Speedy Gonzalez", hit del 1962 di Pat Boone. Il pezzo è inoltre ispirato a una band australiana scoperta da Elton, i Daddy Cool, e al loro pezzo "Eagle Rock". Ed Elton ha citato tra le fonti di ispirazione anche i Beach Boys, che rifaranno proprio “Crocodile Rock” nell’album tributo a Elton del 1991 “Two Rooms”. Insomma, un pezzo volutamente “patchwork”. I due autori infatti vogliono realizzare un brano allegro che catturi il feeling dell’epoca a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 e che possa risvegliare la nostalgia per la musica di quel periodo. Nonostante la musica sia molto divertente, il testo, proprio in virtù della nostalgia che vuole evocare, è tuttavia un po’ triste. Il protagonista del pezzo racconta di quando frequentava un ristorante in cui tutti amano una danza chiamata appunto il Rock del Coccodrillo (sembra che il ballo comunque sia esistito per davvero e abbia goduto di un effimero successo nella California dei primi anni '60: i ballerini saltellavano fingendo di sfuggire ai coccodrilli...), destinata rapidamente ad essere dimenticata. E nel frattempo anche Suzie, la ragazza con cui la ballava, l’ha lasciato. Poiché nessuno è profeta in patria, in UK si deve accontentare della quinta posizione (per vedere Sir Elton al N. 1 UK si dovrà aspettare il 1976 e il duetto con Kiki Dee e per vederlo al N. 1 da solo dovremo attendere il 1990!). In compenso il Rock del Coccodrillo diventa un enorme hit mondiale, arrivando al N. 1 USA (è il primo singolo dell’artista ad arrivare in vetta in America) e pure in Italia (a proposito, ecco a voi un'altra chicca: il video di un’esibizione dell’epoca in RAI, nella trasmissione “Hai Visto Mai?”, con siparietto con Gino Bramieri e Lola Falana ed Elton un po’ scazzato…). In Germania arriva al N. 3. Il singolo anticipa il sesto album di studio di Elton, “Don't Shoot Me I'm Only The Piano Player”, che arriva dritto in vetta alla Billboard Chart, risultato già ottenuto anche dal precedente, “Honky Château”. L’album diventa anche il primo numero uno britannico per Elton. Il lavoro vuole essere una svolta pop (l’autore lo definisce il suo album “ultra-pop”) e segna il debutto di John con la MCA. Registrato come il precedente in Francia, contiene anche una bella ballata che diventa il secondo estratto e che a febbraio si piazza al N. 4 della chart britannica. È DANIEL, che arriverà anche al N. 2 USA. Il brano parla di un reduce dal Vietnam che torna a casa cieco e che alla fine decide di abbandonare gli Stati Uniti per andare in Spagna. Da notare che il Coccodrillo verrà rifatto dai Baha Men (con il testo cambiato) per la colonna sonora del film “The Crocodile Hunter: Collision Course” con la nota star dei documentari Steve Irwin, scomparso nel 2006. Abbiamo parlato di anni ’50? Gli ELO hanno fatto una cover di un pezzo di Chuck Berry? E allora chiudiamo il cerchio, ma non crediate che si finisca in bellezza…
Miscellanea pop con qualche orrore Chuck Berry – Come brutta la vecchiaia (artistica)! Ha realizzato classici imperituri come “Johnny B. Goode” (ricordate “Ritorno Al Futuro”?), “You Never Can Tell” (come immortalata in “Pulp Fiction”), per tacer di “Maybellene". Basterebbero questi pezzi per consacrare il buon Charles Edward Anderson "Chuck" Berry uno dei Padri Fondatori del Rock’N’Roll. Purtroppo a fine anni ’50 avere un colorito scuro e fare Rock’N’Roll non porta a grandi vendite, specie se si han già più di 30 anni suonati e si deve competere con divi bianchissimi come Elvis. Un certo andirivieni dalle patrie galere inoltre non aiuta granché a garantire quella continuità necessaria per costruire una carriera di successo. E così, nonostante tutti i classici sfornati, bisogna attendere il 1972 per vederlo in vetta. Su ambo le sponde dell’Atlantico. E con cosa? Con un allegro motivetto in cui, con un festival di doppi sensi, il veterano ci racconta di un ragazzino che scopre quanto sia bello giocare con il proprio “dindolino”… MY DING-A-LING. Praticamente siamo sui lidi del “Clarinetto” di arboriana memoria. Il pezzettino arriva al N. 1 USA a fine ottobre, e a dicembre è in vetta alla UK chart, dove rimane per quattro settimane, venendo superato alla fine, in un autentico salto mortale dalla padella nella brace, da Little Jimmy Osmond. Da notare che il pezzo è stato registrato dal vivo al Coventry Lanchester Polytechnic, durante un concerto che ha corso il rischio di non avvenire a causa del fatto che Berry è arrivato con più di un’ora e mezza di ritardo e non in uno stato non propriamente lucidissimo… Chuck piazza nelle classifiche anche un secondo singolo, la versione live della classica REELIN' AND ROCKIN', che pur ottenendo un successo nettamente minore rispetto al “dindolino” si piazza nelle Top 40 su ambo le sponde dell’Atlantico. Eh, si, brutta cosa la vecchiaia artistica (per la cronaca, all’epoca Chuck ha solo 46 anni! Ma in termini musicali è come se ne avesse 70). Ma c’è una cosa sicuramente più terribile. I cantanti in età prepuberale…
Osmonds – Le mille ugole dell’idra mormone Allora, ci sono cose che tutti dicono di odiare ma che poi puntualmente hanno successo. Certi politici ad esempio. Non troverete uno che ammetta di averli votati, eppure eccoli lì, a fare i Ministri. Oppure i cinepanettoni. No, ora che ci penso ormai il livello del gusto è talmente sceso che c’è gente che si vanta di andarli a vedere. Oppure certi reality. Che nessuno vede, ma alla fine portano a casa milioni di spettatori. Ebbene, ci son canzoni che nonostante se ne stiano settimane in vetta alle classifiche sembrano essere considerate da tutti emerite ciofeche. E a cavallo tra il 1972 e il 1973, al vertice della UK chart per cinque terribili settimane, compresa quella natalizia, c’è un degno esempio di tale categoria. LONG HAIRED LOVER FROM LIVERPOOL della creatura infernale Little Jimmy Osmond. Il Piccolo Jimmy è l’ultimo nato di quella covata malefica che sta infestando le classifiche mondiali dall’inizio del decennio. E come tutte le cose piccole (mosche, pulci, zanzare, zecche, batteri, virus), è oltremodo molesto. Ma le Isole Britanniche sono in piena “Osmondmania” e i suoi abitanti non si accontentano dell’idolo teen Donnie e del resto della truppa riunito negli Osmonds. Ed ecco che per soddisfare questa sorta di innaturale bisogno ed evitare crisi di astinenza, ecco che arriva il “delizioso” (probabilmente per i leoni) Jimmy. Che ci propina un fastidioso motivetto stile dixie con quell’irritante vocina all’elio stile Shirley Temple. Inizialmente il brano doveva essere il lato B di una cover di un pezzo di Neil Reid, "Mother Of Mine", ma poi qualcuno ha avuto la sublime idea di promuovere la canzone sul lato A. E Jimmy, a 9 anni, diventa il più giovane titolare di un N. 1 UK di tutti i tempi. Per fortuna crescerà… I fratelli Osmond tuttavia sono un presenza infestante nelle classifiche. Donnie arriva al N. 3 UK con WHY a dicembre, dietro il fratellino minore. Il brano è una cover di un N. 1 USA di Frankie Avalon del ’59 e diventa il suo terzo Top 10 britannico del 1972.
E nel 1973 l’”Osmondmania” (o “Osmomania”) raggiungerà il picco assoluto Oltremanica, e ai fratelli si aggiungerà un’altra terribile hit maker: la gorettiana Marie. Va detto che in questo periodo neppure il principale membro della famiglia ispiratrice delle gesta dei terribili fratellini Osmond sforna un capolavoro. Il buon Michael Jackson (i cui Jackson 5 son lo stampo su cui son stati modellati gli Osmonds) arriva al N. 7 UK con BEN, che ad ottobre è diventata il suo primo N. 1 americano solista. La ballata, piuttosto melensa, è una languida serenata in note dedicata a un topo. E non parlo di Topolino. Si tratta di una pantegana. Per di più assassina. Il pezzo è infatti tratto dalla colonna sonora di un film horror che parla dell’amicizia tra un bambino e un surmolotto capo di un branco di ratti omicidi. E Michael, all’epoca 13enne, interpreta il pezzo con estrema convinzione, manco si fosse fidanzato con il roditore. Si doveva capire fin da allora che c’era qualcosa che non andava...
Cavalcata finale: rock e dintorni E ora che ne dite se parliamo di (ex) Beatles?
Scarabei natalizi ed erbivori Seppur ormai su strade diverse, i Fab Four son onnipresenti nelle classifiche degli anni ’70. E in questo periodo son in classifica due di loro, John e Paul. Uno con un pezzo che parla velatamente di droghe e viene così censurato dalla BBC e l’altro con un pezzo natalizio. Come dite? Che sicuramente John è il responsabile dell’inno lisergico e che Paul è alle prese con una delle sue cantilene festive? Eheheh, qua vi volevo! Perché in realtà accade l’esatto contrario! Il buon John (con l’onnipresente Yoko) infatti è presente nella chart britannica con HAPPY XMAS (WAR IS OVER), la strafamosa canzone natalizia e pacifista che è interpretata con The Plastic Ono Band e The Harlem Community Choir. L’origine del brano risale a ben 3 anni prima. Nel 1969 John e Yoko hanno tappezzato 11 città del Mondo (tra cui Roma) con cartelloni su cui era riportata, nelle diverse lingue, la frase “La Guerra è finita! Se lo vuoi. Buon Natale da John e Yoko". La campagna ha ispirato il testo del brano, che viene registrato due anni dopo, nell’ottobre 1971 al Record Plant Studios di New York City con il produttore Phil Spector (con cui John ha già lavorato su “Imagine”). Il brano esce quindi negli USA per il Natale 1971, diventando un hit nella speciale classifica natalizia, ma non entrando nella Hot 100.
John e Yoko sono da anni in prima linea nella protesta contro la Guerra in Vietnam. La coppia inoltre diventa amica di leader radicali della protesta come Jerry Rubin e Bobby Seale (che non esiteranno a servirsi della popolarità di Lennon per il proprio tornaconto politico). E proprio per questi motivi John finisce nell’obiettivo dell’Oscuro Signore dell’FBI, Edgar Hoover, e del Governo Americano (Nixon lo vede come un nemico molto pericoloso che potrebbe pregiudicargli la rielezione: rieletto, alla fine riuscirà a rovinarsi con le proprie mani in modo a dir poco spettacolare, quando si dice legge del contrappasso…). E così il Natale 1972 non è dei più tranquilli per l’ex Beatle, che è in piena battaglia legale, in quanto minacciato di espulsione dal Governo Americano. Insomma, sebbene la Guerra in Vietnam finisca questo inverno, quella del Governo di Nixon contro Mr. Lennon è in pieno corso… La vicenda si concluderà solo nel 1975, quando John riceverà l’agognata Green Card. I file del caso Lennon son stati resi pubblici solo nel 2006. Per chi voglia saperne di più, consiglio il bel documentario “The U.S. vs. John Lennon”. La motivazione dell’espulsione di John è che nel 1968 è stato trovato a Londra in possesso di erba. E a proposito di erba, si tratta di una delle colture a cui Paul si dedica nel suo cottage del Kyntire… Infatti il “ragazzaccio” Paul McCartney, da buon futuro vegetariano, all’epoca non nasconde una notevole propensione per i vegetali che lo fanno sentire HI HI HI (ovvero “high high high”). Il pezzo viene addirittura censurato dalla BBC per il suo riferimento (tutto sommato velato) alle droghe. E per non farsi mancare niente, il brano viene censurato anche per frasi ritenute sessualmente esplicite ("get you ready for my body gun" – “tieniti pronta per la pistola del mio corpo”, anche se Paul dirà che non si trattava di “body gun” ma di “polygon”). E così mentre la BBC non programma il lato A, preferendo la più innocua “C Moon”, presente sul lato B, il singolo arriva al N. 5 in UK in gennaio. Certo, se si considera che la precedente, politica, "Give Ireland Back To The Irish" non veniva neppure nominata dalla BBC… Negli Usa i problemi son (stranamente) minori e il singolo arriva al N. 10 all’inizio di febbraio. Il 1973 sarà comunque un’annata clamorosa per Paul e i suoi Wings: sono in arrivo due classici clamorosi.
Focus – La formula magica di Thijs van Leer Non tutte le rock band progressive son britanniche. Basti pensare ai Focus, che arrivano dall’Olanda. La band è nata nel 1969 su iniziativa del tastierista (virtuoso dell’organo Hammond) e flautista Thijs van Leer. Van Leer in precedenza si è dedicato al jazz e ha una preparazione classica. E ora la band sta conoscendo un clamoroso successo in Gran Bretagna con ben due singoli in contemporanea nella Top 20. Se SYLVIA arriva al N. 4 (grazie anche al suo impiego come sigla di un programma TV inglese), la precedente HOCUS POCUS si piazza al N. 20. HOCUS POCUS è un pezzo che risale al 1971, ed è contenuto nell’album “Moving Waves”. Inizialmente un flop, diventa un successo a distanza di più di un anno dalla prima pubblicazione. Si tratta di un pezzo strumentale in cui la voce di van Leer viene usata alla stregua di uno strumento. Praticamente si tratta di una specie di dialogo tra un riff chitarristico proto-heavy metal di Jan Akkerman e i “versi operatici” di van Leer (con tanto di yodel) e il suo flauto, il tutto su base Hammond. Impossibile descriverlo, meglio ascoltarlo. Un pezzo che oggi sarebbe un autentico UFO ma che all’epoca, sia pur con un certo ritardo, diventa un hit transcontinentale. In giugno lo vedremo nella Top 10 USA. “Hocus Pocus”, di cui in seguito faranno cover sia gli Helloween che gli Iron Maiden, viene ripubblicato poco prima dell’uscita del terzo album della band, “Focus III”, da cui viene estratto SYLVIA, trascinante pezzo di guitar rock di chiara impronta classicheggiante. Il successo dei due brani catapulta nella Top 10 britannica i due rispettivi album, che arrivano rispettivamente al N. 2 e al N. 6. La band non riuscirà più a replicare un simile successo, pur continuando a incidere (con album come “Hamburger Concerto” del 1974, considerato il loro capolavoro) fino al 1978 anno del primo, temporaneo scioglimento. Attualmente van Leer, che nel frattempo ha intrapreso anche una fortunata carriera solista, è in circolazione con una nuova formazione della band. Se i Focus rappresentano la faccia più sperimentale del progressive, c’è in circolazione anche una band che invece costituisce il più immediato termine di transizione tra il progressive e l'hard rock. Gli Uriah Heep, che, partendo da basi Hammond, finiscono per parlare di temi mistico-mitologici, fissando per primi un tema che diverrà ricorrente nell’ambito dell’heavy metal. La band inoltre costruisce vere e proprie armonie vocali basate sui cori, grazie al cantante David Byron, che fa loro guadagnare il titolo di "The Beach Boys dell’heavy metal". Dall’album in classifica in questo periodo, "The Magician's Birthday", il singolo è SWEET LORRAINE.
Deep Purple – Cartoline sonore di lusso e donne dal Giappone Un’altra band sulla cresta dell’onda sono i Deep Purple. Che pubblicano nel giro di due mesi ben due album. A dicembre esce un autentico Mostro del Rock. “Made In Japan”, forse il miglior live della Storia. Sicuramente uno dei più famosi. D’altra parte il Giappone fa bene ai dischi live. Il disco viene considerato forse il miglior album dei Profondo Porpora. All’epoca la band è nella cosiddetta formazione “MK2” (Mark 2), ovvero la formazione “classica”, costituita dal cantante Ian Gillan, dal chitarrista Ritchie Blackmore, dal bassista Roger Glover, dal tastierista Jon Lord e dal batterista Ian Paice. Il disco, doppio, è stato registrato durante tre concerti a Osaka e Tokyo tenuti il 15-17 agosto 1972. Realizzato senza sovraincisioni, dimostra sia la maestria tecnica che l’energia della band, catturata nel suo momento migliore. E pensare che c’erano molti dubbi riguardo alla qualità della riuscita dell’operazione, anche perché Gillian riteneva di aver cantato male per problemi alla gola. L’album esce in Europa nel dicembre 1972, anche per bloccare la diffusione dei bootleg pirata (in origine era destinato solo al mercato giapponese). Vedrà invece la luce negli USA solo nel maggio 1973. L’album contiene i pezzi forti dell’ultimo album di studio della band, “Machine Head”, in strepitose versioni chilometriche (quasi 20 minuti per "Space Truckin'", che chiude l’album!), che da un lato esaltano il virtuosismo dei musicisti, dall’altro travolgono per forza ed emozione. Tra le perle, l’apertura tellurica di "Highway Star" (l'unica reperibile su youtube), il crescendo di "Child In Time", per tacer di “Smoke On The Water” e “Strange Kind Of Woman”. La MK2 a gennaio (in febbraio negli USA) pubblica anche un nuovo album da studio, “Who Do You Think We Are”, il quarto e ultimo realizzato dai Deep Purple in questa formazione. Registrato tra Roma e Francoforte usando lo studio mobile dei Rolling Stones, l’album arriva al N. 4 UK e al N. 15 USA (dove tuttavia i Purple saranno la band che vende di più del 1973), sospinto anche dall’hit WOMAN FROM TOKYO, ispirato proprio dal tour dell’estate 1972 in Giappone. Si tratta tuttavia di un periodo delicato, in quanto la band è minata dalle frizioni tra Gillian e Blackmore, che porteranno in estate alla fuoriuscita di Gillian e di Glover. Per rivedere la MK2 si dovrà aspettare il 1984…
Steely Dan – Donald e Walter lo fanno per la prima volta Ovviamente alludo all’entrare in classifica. Entra infatti per la prima volta nella Top 10 USA con un altro grande classico, DO IT AGAIN (qui in versione live alla Rock 'N' Roll Hall Of Fame), la band capitanata dal duo Donald Fagen e Walter Becker, ovvero gli Steely Dan. I due si son incontrati al College a New York nel 1967. Trasferitisi a Brooklyn nel ’69, i due suscitano l’interesse di Kenny Vance, membro di Jay And The Americans, che li mette sotto contratto e li porta a realizzare brani per la colonna sonora di un film a basso costo con Richard Pryor. Durante questo periodo realizzano alcuni demo molto semplici, agli antipodi del tipico ripulitissimo suono che caratterizzerà la loro band. Nel 1971 le acque iniziano a muoversi. La Gran Canoppiona Streisand registra un loro pezzo, "I Mean To Shine". E poco dopo avviene il salto. Gary Katz, già collaboratore di Vance, va a Los Angeles per lavorare come produttore per la ABC e assume i due come autori. I due volano a L.A., dove tuttavia il loro materiale viene giudicato troppo complesso per essere affidato agli artisti in forza alla ABC. Viene così proposto loro di formare una band con i chitarristi Denny Dias e Jeff "Skunk" Baxter e il batterista Jim Hodder. La band parte anche con il cantante David Palmer, che solo in seguito verrà sostituito da Fagen: all’inizio infatti Donald è molto insicuro e ha paura di cantare in pubblico... Il nome ha origine letteraria: è il nome di un dildo che compare nel “Pasto Nudo” di William Burroughs (per la serie questa non ve l’aspettavate, vero?). Insicurezze a parte, la band esordisce nel 1972 con il singolo “Dallas”, che manco a dirlo fa un bel buco nell’acqua. Tuttavia le cose cambiano con l’album “Can't Buy A Thrill”. L’album si presenta bene sin dalla confezione, con la bella copertina stile collage che fa riferimento ai “brividi (di piacere) che non si possono comperare”. Ma all’ascolto, il disco dona invece molti brividi grazie a una brillante mistura tra rock e jazz della band all’epoca suona davvero innovativa. L’album, trainato da DO IT AGAIN (e dal secondo singolo estratto, l’altrettanto classica "Reelin' In The Years"), porta la band nella Top 20 USA. Gli arrangiamenti sofisticati che di fatto sono il marchio di fabbrica della band raggiungono l’apice proprio nel primo hit, in cui clamorosamente Fagen vince ogni riluttanza e decide di cantare e in cui compaiono un memorabile sitar elettrico suonato da Dias e un organo ("plastic organ") registrato con la tecnica del pitch scaling, ovvero modificando il tono senza alterarne il tempo (per spiegazioni più precise arrangiatevi con google che sennò mi viene mal di testa…). Il brano, una sorta di riflessione criptica sull’inevitabilità del fato e sulle inevitabili ricadute negli errori dovute alle ossessioni (con la metafora del giocatore), si piazza al N. 6 USA a febbraio. Il pezzo viene attribuito a "Trad", nomignolo adottato da Fagen e Becker, che amano giochini di questo tipo. Da notare che nel 1983 il brano verrà mixato in medley con “Billie Jean" di Michael Jackson dagli italiani Clubhouse, ottenendo un buon successo europeo. Quelli di Billboard ci hanno visto giusto quando, recensendo l’album, parlano di un “gruppo che rimarrà in circolazione per un bel po' di tempo”.
Johnny Rivers - Malattia rock John Henry Ramistella, questo il vero nome del cantante di New York ma cresciuto in Louisiana, già produttore di grandi successi per i 5th Dimension, è specializzato in cover che gli garantiscono un grande successo sin dai primi anni ’60 (durante i quali ottiene anche un N. 1 USA con la ballata "Poor Side Of Town"). In questi mesi arriva al N. 6 USA con ROCKIN' PNEUMONIA - BOOGIE WOOGIE FLU, cover rock blues di marca sudista di un piccolo successo (non andò oltre la posizione N. 52) datato 1957 per Huey Smith And The Clowns. Il successo del pezzo, il suo più grande hit degli anni ’70, porta in classifica anche l’album "L.A. Reggae".
America – Alligatori nel cielo Il trio all’epoca formato da Gerry Beckley, Dewey Bunnell e Dan Peek è reduce da uno straordinario 1972. La loro "A Horse With No Name" e il relativo album di debutto, “America”, si son involati al N. 1 USA. Adesso il trio è ritornato a novembre con il secondo album, “Homecoming”. L’album è intitolato così perché è stato registrato “tornando a casa”, ovvero negli USA. Nonostante il nome, i tre infatti si son conosciuti a fine anni ’60 mentre vivevano a Londra, essendo figli di militari americani di stanza in Gran Bretagna sposati con donne inglesi. E il loro primo album è stato registrato in UK. Per il secondo invece decidono di abbandonare Londra per trasferirsi a Los Angeles, patria della scena West Coast in cui sono appena emersi nomi come Linda Rondstadt e gli Eagles. L’album prosegue sulla traccia del predecessore, sebbene sia più elettrico e faccia uso anche di tastiere. Il pezzo di punta è VENTURA HIGHWAY, scritto da Dewey Bunnell e sembra sia stato ispirato a un viaggio di Peek con i genitori, che gli ha visti con una gomma a terra nella zona della Ventura County californiana. Gli alligatori nel cielo citati nel testo son ovviamente nuvole dalla forma di rettile. Il pezzo parla del sogno giovanile di Bunnell, che desiderava abbandonare il Nebraska, nel quale ha vissuto per alcuni anni, per andare nella calda California. Il brano verrà suonato al party di elezione di un wrestler diventato governatore del Minnesota, Jesse Ventura. Il brano è stato campionato nel 2001 da Janet Jackson (di nuovo lei!) nella sua "Someone To Call My Lover". Passiamo a un po' di country rock?
Loggins & Messina - Tutti ballano meno che la mamma Kenny Loggins ha raggiunto un po’ di fama sulle nostre coste per un paio di brani di colonne sonore anni ’80, ovvero “Footloose” e “Danger Zone” da “Top Gun”. Tuttavia il buon Kenny all’epoca degli hit cinematografici è un veterano. All’inizio degli anni ’70 Kenny è già noto come autore per la Nitty Gritty Dirt Band, mentre Jim Messina dopo aver fatto parte di Poco e Buffalo Springfield, lavora come produttore per la A&M. Gli viene affidato il primo disco di Loggins e i due si trovano così bene che Messina partecipa attivamente alla registrazione. I due propongono alla A&M di pubblicare l’album con il titolo “Kenny Loggins With Jim Messina Sittin' In". I discografici a questo punto hanno una proposta: lanciarli come un vero e proprio duo. E così accade. E dopo il debutto, targato 1971, arriva il successo con il secondo album, “Loggins & Messina”, da cui viene tratto il grande N. 4 USA, YOUR MAMA DON'T DANCE. Il pezzo, un country rock basato sulle armonie vocali tra i due, sembra ispirato a un pezzo del 1963 ad opere dei The Rooftop Singers, "Your Mama Don't Allow." Nel 1989 i Poison ne faranno una cover street metal. Nel 1974 pure Elvis ne includerà una parte in un medley. E a proposito del King…
Elvis Presley - Satellite hawaiano Mentre la sua ALWAYS ON MY MIND si arrampica nella Top 20 inglese (nel 1987 verrà rifatta e portata al N. 1 UK dai Pet Shop Boys, mentre negli USA la loro versione dance sarà preceduta in classifica dalla cover country di Willie Nelson datata 1982), è protagonista di un evento mediatico senza precedenti: il 14 gennaio è protagonista di un concerto da Honolulu che viene trasmesso via satellite per un pubblico stimato di circa un miliardo e mezzo di persone (ventotto paesi europei connessi via Eurovisione, Oceania e Estremo Oriente godono dello spettacolo in diretta – in Giappone con uno share del 98%! Gli USA lo vedranno invece in uno speciale della NBC il 4 aprile). “The Aloha Satellite Show” è il primo concerto rock trasmesso via satellite: è il coronamento del sogno del Colonnello Tom Parker, manager di Elvis. E il concerto viene indicato come una delle migliori esibizioni live di The Pelvis. Il disco del concerto viene pubblicato dalla RCA il 4 febbraio sia in versione stereo che quadrifonica. Album e concerto celebrano l’intera carriera di Presley, da "Hound Dog" alla più recente "Burning Love", eseguendo inoltre sue versioni di disparati classici, da “Fever” a “Something” degli “odiati” Beatles. Durante il concerto esegue anche la cover dell’ironica STEAMROLLER BLUES, canzone scritta da James Taylor nel 1970, che verrà pubblicata su singolo nel marzo del 1973. Da notare che il concerto si apre con “Also Sprach Zarathustra", il pezzo di Strauss celebrato da “2001: Odissea Nello Spazio” che proprio in questo periodo sta iniziando la sua scalata della classifica USA nella formidabile versione funk-jazz di Eumir Deodato… L’album “Aloha from Hawaii: Via Satellite” arriverà al N. 1 USA in maggio, sfrattando “The Dark Side Of The Moon” e venendo poi detronizzato dai Led Zeppelin di “House Of The Holy”. Niente male come periodo, eh? Ah, parlando di Strauss, in UK ha grande successo la colonna sonora ad opera della London Symphony Orchestra dello sceneggiato “The Strauss Family”. Il ritorno al successo tuttavia è accompagnato dal progressivo deterioramento del cervello del nostro (già in opera da anni ormai, basti pensare ai deliri sparati durante l’incontro col presidente Nixon), schiavo di psicofarmaci, droghe e cibo spazzatura e con le tendenze paranoiche al massimo livello, acuite dalla crisi coniugale con la moglie Priscilla (da cui divorzierà il 9 ottobre 1973). E proprio l’epoca d’oro di Elvis viene rivisitata da un film che esce il 27 gennaio e diventerà un classico: “American Graffiti”… Grande rock anche per un altro N. 6 UK a febbraio, WHISKEY IN THE JAR, versione rock di un vecchio pezzo tradizionale irlandese (datato tra il ‘700 e ‘800) che parla di un uomo tradito dalla moglie, ad opera degli irlandesi Thin Lizzy. La band guidata dal grande Phil Lynott, formatasi a Dublino nel 1969, è la prima band irlandese di successo internazionale. All’epoca è un trio, con il chitarrista Eric Bell e il batterista Brian Downey. E, trasferitasi a Londra, ottiene il meritato successo. Dopo questo singolo tuttavia la band si troverà con alcuni problemi, legati all’alcolismo di Bell. Quando Bell se ne andrà, verrà sostituito da un grande chitarrista, Gary Moore. “Whiskey In The Jar” verrà rifatta dai Metallica nel 1998 nel loro album di cover “ Garage Inc.”.
Il 24 febbraio invece annunciano il loro scioglimento i Free di Paul Rodgers (attualmente cantante con i Queen). Il loro ultimo hit è WISHING WELL (non so bene come mai il video sia degli anni ’80 - se qualcuno mi fornisce un lume...), N. 7 britannico in febbraio tratto dal loro settimo e ultimo album, “Heartbreaker”. L'album ha avuto una genesi tribolata a causa del chitarrista Paul Kossoff, oramai ridotto male a causa delle droghe (se ne andrà nel 1976). Dalle ceneri dei Free nasceranno i Bad Company.
Beh, vi basti sapere che per 9 settimane regna una cabnzone per bambini, ICH WÜNSCH' MIR 'NE KLEINE MIEZEKATZE attribuita al cagnetto dei cartoni Wum (Wums Gesang vuol dire il Canto di Wum). Tra tanti cantanti cani un cane cantante seppur di cartone? Tra gli album arriva invece al N. 1 il soporifero easy listening pianistico da salotto buono di James Last, di cui non parlo per non prendere… zzzzzzzz
USCITE CHIAVE Il 5 gennaio 1973 segna il debutto discografico di un cantautore 33enne del New Jersey fulminato a sette anni da un’esibizione di Elvis all’Ed Sullivan Show e messo sotto contratto con la Columbia da John Hammond, lo scopritore di Bob Dylan. E il suo disco, che si intitola “Greetings From Asbury Park, N.J.”, intriso di folk-rock, suscita paragoni proprio con il leggendario menestrello di Duluth. Il debuttante si chiama Bruce Springsteen e incide l’album con la sua band, la The E Street Band. Il futuro Boss e il suo primo manager Mike Appel registrano l’album negli economici 914 Sound Studios nel giro di una settimana. L’obiettivo economico è il risparmio. Ma artisticamente l’album contiene già alcune gemme, come l’energica "Blinded By The Light" (che 4 anni dopo arriverà al N. 1 USA grazie alla cover ad opera di Manfred Mann), "Spirit In The Night" (con il sax di Clarence Clemons in evidenza), e le antemiche "For You" e "Growin' Up". L’album venderà nel primo anno 25.000 copie, ma è nata una superstar. Ci son Dame Inglesi che aiutano i cani maltrattati, i senza tetto o i poveri bimbi malati. Ebbene, tra il 1972 e il 1973 c'è una singolare "Dama", che di cognome fa Bowie, che si dedica alla caritatevole assistenza di rockstar alternative americane a un passo dal baratro. Dopo aver accolto, come visto prima, nella sua Londra un ramingo esule della Factory warholiana, ecco che ora offre un tetto anche a un tipo ben più selvaggio. A cui, come dicono i ben informati, dedica pure il suo ultimo hit, "Jean Jenie". Si parla di Iggy Pop. Ebbene Iggy e i suoi Stooges, finiti sotto l'ala protettrice bowiana, pubblicano a febbraio l’album “Raw Power”. La band arriva da un periodo difficile: i due primi album, mal distribuiti dalla Elektra, si son rivelati sonori insuccessi e il Re Iguana ha deciso di sciogliere la band. Si trova sull'orlo del precipizio quando incontra Bowie. È il settembre 1971. E inizia quella che sarà una lunga amicizia (e qualcosa di più). David sta elaborando quello che diverrà Ziggy ed è prodigo di consigli per il turbolento e disastrato amico. Invita Iggy e il chitarrista degli Stooges, James Williamson, a registrare il nuovo album a Londra. Qui la band si riforma e pubblica “Raw Power”, titolo che dice tutto. L’album, prodotto da Pop, è così crudo e duro che la nuova casa discografica, la Columbia, prende paura e chiede a Bowie di rimissarlo (il futuro Duca Bianco è l’unico a cui Iggy permette di toccare il proprio materiale). Bowie accetta, tuttavia non snatura il lavoro dell’amico. E il risultato, che risente anche delle influenze glam rock, sarà uno dei mattoni su cui edificare il futuro movimento punk. Ascoltare per credere la dichiarazione d'intenti di "Search & Destroy", in cui compare anche il suono di un duello di spade, e la “ballata” "Gimme Danger" (la Columbia voleva una ballata e ha ottenuto questo). Purtroppo l’album è troppo avanti per i tempi e diventa il terzo fiasco della band, che imploderà definitivamente nel 1974. Iggy rischierà seriamente l’autodistruzione. Ma ci penserà ancora la Dama David, diventata nel frattempo nobile, a resuscitarlo artisticamente. Passiamo al folk-jazz intimistico e lunare di “Solid Air”, uno degli album chiave degli anni ’70 per la musica inglese. A realizzarlo è il grande John Martyn (all’anagrafe Iain David McGeachy). L’album è il suo sesto e presenta una miscela di sonorità folk, jazz e blues e testi personali interpretati in modo magico dalla voce penetrante e "fumosa" di Martyn e dal basso di Danny Thompson. La title track è dedicata a Nick Drake, una sorta di omaggio-ammonimento per l’amico che all’epoca soffre di depressione (morirà dopo 18 mesi per un’overdose di antidepressivi). Emozioni rese con una strumentazione essenziale e notturna, come anche in un'altra gemma come “Don’t Want To Know”. Per non parlare di “May You Never” e della "cattiva" “I’d Rather Be The Devil”. Avete capito che quest'epoca mi piace parecchio, eh? La prossima volta si inaugurerà il ciclo degli interventi primaverili con un periodo non altrettanto entusiasmante. Una primavera radioattiva che, dopo l’abbondanza della stagione delle piogge legata al periodo precedente, è seguita da una rapida desertificazione pop che lascerà molti cadaveri nelle classifiche… Per fortuna ci sono anche chi ci da un bacetto e si lamenta del lunedì, chi si spaccia per un debuttante assoluto nonostante i quarti di nobiltà e chi arriva dall’Austria e conquista l’America. E per salvare il salvabile ritorna l’Arcangelo…
Marco Fare clic qui per inserire un commento a questa monografia.  
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