( chart USA + UK + Germania, marzo-aprile-maggio )
PRIMAVERA 1986: La primavera atomica dell’età della plastica Primavera atomica quella del 1986. Come se la Guerra Fredda e il suo carico di testate non bastassero, ecco l’incidente nucleare più grave della storia: Chernobyl, “ridente località” dell’Unione Sovietica (oggi Ucraina) il 26 aprile diventa il teatro di un disastro le cui conseguenze sono ben lungi dall’essere finite. Intanto, negli USA del reaganismo rampante, si assiste a una progressiva omologazione del prodotto musicale verso un tripudio di innocui buoni sentimenti. Il pubblico americano sta mostrando una preferenza per la produzione estera che porta pure un austriaco in vetta alla Billboard chart? Niente di meglio che innalzare barriere alla distribuzione della musica. Le radio, già spaventate dalla censura, si adeguano e riempiono le proprie frequenze di produzioni sempre più levigate e "rassicuranti": plastica per le orecchie che tuttavia deve suonare come ovatta per il cervello. L'era di Whitney Houston è appena cominciata. Non che oltremanica si stia proprio bene. L'esplosiva sbornia videopop del lustro precedente sta passando e si assiste ai tragicomici canti del cigno di varie pop band in pericolosa crisi di idee. Per tacer dei veterani, che, salvo qualche eccezione, mostrano preoccupanti segni di affaticamento. E non per nulla nelle classifiche iniziano a comparire sempre più vecchi classici, quasi a voler ritornare al passato. A proposito di vecchie glorie: il 5 maggio si annuncia che Cleveland diventerà la città che ospiterà la Rock And Roll Hall Of Fame. Tra progetti (fallimentari) di sfarzosi musical cinematografici e estreme operazioni di marketing, benvenuti nella primavera di quello che è stato definito da più parti “l’annus horribilis del rock”. Ma state tranquilli, cercando, si trova anche del buono! Ma iniziamo da chi vola dove osano le aquile, anche se è un’altra specie di rapace…
Falco – Amadeus è la prima rock star "Er war Superstar / Er war populär / Er war so exaltiert / Because er hatte Flair / Er war ein Virtuose / War ein Rockidol / Und alles rief: / Come on and rock me Amadeus" C’era una volta un giovane viennese di nome Johann Holzel, dal nome d’arte di Falco. Il ragazzotto all’età di 25 anni ottiene un clamoroso successo nel Vecchio Continente con un pezzo del genere Guardie e Spacciatori. Tuttavia il nostro non ha una barca e pertanto non riesce a compiere la traversata di quel freddo braccio di mare che separa il Continente dalle Isole dei Britanni. Figuriamoci l’Oceano Atlantico. E così al nostro rapace non riesce lo sbarco nel Nuovo Mondo, dove invece arriva nella Top 5 un gruppetto britannico, gli After The Fire, con la cover, in inglese e col testo slavato con l'acqua di rose, del suo successo. Insomma, arriveranno pure le royalties, ma la fama oltreoceano ha tutto un altro sapore… Ma come ben si sa, basta saper attendere per ottenere l’agognata rivincita. E per Falco arriva nel 1986… Il nostro va al cinema per vedere “Amadeus” di Milos Forman, film vincitore dell’Oscar 1985. La figura di Mozart tratteggiata nel film lo fulmina. A tal punto che Hansi (così lo chiamano in famiglia) decide di dedicare all’illustre compatriota un pezzo, partendo dall’assunto che se Wolfango Amedeo fosse vissuto nella seconda metà del ‘900 sarebbe stato di sicuro una rock star. E lo intitola ROCK ME AMADEUS. Il testo fa infatti riferimento alla “vita spericolata” di Mozart, tra debiti, alcol e donne, considerandolo un punk ante-litteram. Il brano è realizzato con i fratelli olandesi (ma nati in Sudafrica) Bolland, per i quali il 1986 sarà decisamente un anno da ricordare: la loro “In The Army Now”, hit datato 1982 (la dicitura nel video di youtube è sbagliata), nell’autunno del 1986 verrà portata al N. 2 UK dagli Status Quo. E così il nostro volatile ottiene un altro grande hit. È l’estate 1985. Nell’autunno il successo copre tutto il Vecchio Continente, Stivale compreso. A questo punto il nostro ha tutte le carte in regola per ritentare l’assalto dei paesi anglofoni. Dal suo primo tentativo son cambiate molte cose. Se il colpaccio è riuscito a olandesi, tedeschi e norvegesi, perchè non dovrebbe riuscirci pure lui? E stavolta organizza le cose per bene. Per non farsi fregare, registra egli stesso la versione in inglese del brano. Ed è con tale versione che compare al N. 79 della Billboard chart. E 8 settimane dopo svetta al N. 1 della classifica più agognata del mondo. È il 29 marzo. Ci rimane per tre settimane. E l'album che la contiene, “Falco 3”, arriva addirittura al N. 3 della album chart! Mai un austriaco è arrivato a tanto. Figuriamoci un austriaco bianco che fa rap! Ed entra persino nella classifica black! E a questo punto, il successo a stelle e strisce gli consente di abbattere le ancor più rognose porte blindate della classifica albionica, arrivando al N. 1 UK il 10 maggio, sfrattando nientemeno che George Michael. Nel frattempo, in Germania ed Europa il nostro ha già piazzato un altro N. 1, l'inquietante JEANNY, storia del rapimento di una ragazza raccontata dal rapitore (forse omicida). Se nei mercati anglofoni Falco otterrà solo un altro hit, “Vienna Calling”, in Europa continentale continuerà a macinare hit, mantenendo una buona popolarità fino alla sua prematura morte, avvenuta per un incidente automobilistico nella Repubblica Dominicana nel 1998, all’età di soli 40 anni. E Falco viene sfrattato da N. 1 USA da...
Prince – Il bacio del principe ranocchio C’era una volta un gruppo che si chiamava Mazarati, fondato da Brown Mark, bassista della corte del Principe Rivoluzionario. Per il loro album di debutto la combriccola chiede un pezzo a Sua Bassezza. E la generosa Maestà dona loro un demo. Si tratta di un pezzo acustico blueseggiante di circa 1 minuto. I Mazarati e il produttore David Z si mettono al lavoro e lo trasformano in un funky minimalista irresistibile. E non appena il groove giunge alle orecchie del Piccolo Principe, questi capisce che il pezzo è un sicuro successo. E cosa fa? Ovviamente se lo riprende! Ci aggiunge un break di chitarra e il suo inconfondibile falsetto e lo inserisce all’ultimo minuto nell’album a cui sta lavorando, “Parade”. Tuttavia i Mazarati possono cantare nei cori del brano…
Una curiosità: la frase originaria "You don't have to watch Dynasty / To have an attitude" verrà in seguito modificata nelle esibizioni live e “aggiornata”, diventando prima "You don't have to watch Sex and the City / To have an attitude" e poi "You don't have to watch Desperate Housewives"… Nel 1988 una cover ad opera di Tom Jones e Art Of Noise si piazzerà al n. 5 UK e al N. 31 USA, riportando sulla cresta dell’onda il cantante gallese. Il pezzo confermerà lo status di classico comparendo anche in varie colonne sonore, tra cui il cartone con pinguini ballerini “Happy Feet”. E i Mazarati? Beh, loro avranno a disposizione un altro potenziale hit. E infatti un hit lo diventerà nel 1990, ma per i The Time, col titolo “Jerk Out”… Forse se al posto dei Mazarati ci fosse stata qualche graziosa fanciulla la sorte e il Principe sarebbero stati più benevoli… L’album è anche la colonna sonora ufficiosa del secondo film del Piccolo Principe, “Under The Cherry Moon”, una specie di commedia in bianco e nero girata in Francia, in cui il nostro “recita” nei panni dello gigolo Christopher Tracy (e un brano di “Parade” si intitola infatti “Christopher Tracy’s Parade”). Il film si rivela un flop e darà il via a una serie infinita di beghe tra l’artista e la Warner… Ma intanto il nanerottolo usa il nome del suo personaggio per firmare un pezzo che viene gentilmente donato a quattro deliziose fanciulle. E stavolta Prince non se lo riprende… “Christopher” infatti firma il brano che è al N. 2 USA proprio dietro la sua “Kiss”…
The Bangles - Il lunedì regalato dal Piccolo Principe C’era una volta una fanciulla di nome Susanna Hoff che stava vagando da tempo nei sotterranei musicali della città di Los Angeles recando seco un cestello colmo di demo ricolmi di una miscela tra garage punk e folk pop psichedelico tipico della West Coast di fine anni ’60. La mistura all’epoca caratterizza la cosiddetta scena Paisley, tipica della Città degli Angeli. La ragazza vaga per i sotterranei assieme a due sorelline, Vicki e Debbi Peterson. Le fanciulle cambiano spesso il nome della band che le riunisce, partendo come The Colours, passando a The Bangs e finendo come The Bangles, addizionando la bassista Michael Steele. Le fanciulle confezionano un EP e un album e per un pezzo, “Going Down To Liverpool”, girano un video in cui compare nientemeno che il Signor Spock in persona, di cui conoscono il figliolo. Tuttavia le ragazze non riescono a trovare l’uscita del sotterraneo e arrivare alla superficie delle classifiche. Susanna tuttavia un giorno imbocca un cunicolo piccino picciò, che la porta a una porticina piccina picciò. E aperta, trova un Principino piccino picciò che la invita nel suo harem, grande come una casa… E il Piccolo Principe, per suggellare l’incontro (traduzione: nel tentativo di farsela) le regala un vecchio brano, scritto nel 1984 per un’altra sua concubina, Apollonia, e poi scartato. Si chiama MANIC MONDAY. Non ci è dato sapere che ha fatto la (forse) casta Susanna di fronte a una simile proposta, sta di fatto che quando ritorna dalle amichette ha nel cestello la canzone di Christopher… E quella canzone è la chiave che permette loro di uscire alla luce del sole e di diventare stelle delle classifiche degli anni ’80. E quando, nella deliziosa versione jangle delle Bangles (l’originale principesco è più funky), si piazza al N. 2 USA dietro il suo autore, consente a quest’ultimo di entrare nel ristretto novero degli autori capaci di piazzare in contemporanea una doppietta in vetta alla Billboard Chart. Il Principe Roger Nelson da Minneapolis diventa infatti solo il quinto autore nella storia della classifica USA che riesce nell’impresa. Prima di lui ci son riusciti solo Elvis (nel lontano 1956), Lennon & McCartney (ovviamente con i Beatles, per ben 6 settimane nel 1964!), i fratelli Gibb (in fase di Febbre del Sabato Sera, più volte nel 1978) e Jim Steinman (nel 1983, con i pezzi scritti per Bonnie Tyler e Air Supply). Se la melodia ha dei punti in comune con un altro pezzo principesco, 1999, il testo di MANIC MONDAY parla di una donna che cerca disperatamente di arrivare in orario al lavoro il lunedì. Tuttavia non crediate che il testo sia innocuo. Considerate chi l’ha scritto! Infatti al ragione del ritardo è il suo ragazzo, disoccupato, che l’ha tenuta sveglia per buona parte della notte. Indovinate perché… Ah, e c’è pure un velato riferimento alla crisi economica americana dell’epoca! Il singolo lancia anche l’album “Different Light” e dopo essersi piazzato al N. 2 USA, raggiunge la stessa posizione in numerosi altri paesi, tra cui UK e Germania. Da noi invece non va oltre la 19esima posizione… E il Principe viene detronizzato dalla vetta alla Billboard Chart da un gentleman britannico trasferitosi da tempo alle Bahamas...
Robert Palmer – Drogato d’amore Già nella Top 20 USA a fine anni ’70, il buon Robert ha conosciuto un ritorno di popolarità nel 1985, come cantante del supergruppo Power Station, formato con John e Andy Taylor dei Duran Duran e con l’ex batterista degli Chic Tony Thompson. Abbandonato il gruppo alla vigilia di un tour americano, per il quale viene sostituito da Michael Des Barres (all’epoca marito di Pamela, la leggendaria groupie nota per aver “assistito” tutto il mondo del rock a cavallo tra i ’60 e i ’70), si dedica al nuovo album, “Riptide”, per il quale assolda lo stesso produttore della Centrale Elettrica, ovvero l’ex Chic Bernard Edwards, e chiama anche due ex compari, Andy Taylor e Tony Thompson.
Il successo del brano tuttavia è legato anche al memorabile video diretto da Terence Donovan, in cui l’azzimato britannico compare vestito con la consueta eleganza in stile “broker di Wall Street” attorniato da una band di modelle supergnocche truccate e vestite in modo uguale, che ancheggiano annoiate non preoccupandosi neppure lontanamente di fingere di suonare gli strumenti. Il video vuole essere ironico, ma non mancano le polemiche di “uso dell’immagine femminile come oggetto”. E le polemiche aiutano a vendere, tanto che Robert ripeterà il giochetto anche in tre altri video… E dalle modelle di Robert, passiamo ora a parlare di un poker di Regine…
Quattro Hit per quattro Regine Iniziamo dalla Regina di Fiori, nel senso dei mazzi floreali che la sommergono ad ogni esibizione. E lei contraccambia, lanciando autentiche mattonate musicali…
Whitney Houston – Amore (e cuore) di Mamma Anno di Grazia 1977. Al film “The Greatest”, biografia agiografica di Mohammed Ali, interpretata da lui medesimo, serve una canzone. Vengono quindi chiamati i due autori Michael Masser e Linda Creed. Masser si reca addirittura a Gerusalemme per trovare gli stimoli che hanno spinto un simile uomo a tali cambiamenti nella sua vita. La Creed sta lottando con il cancro, e intende mettere in quel testo tutto l’amore che sente per la vita. Cotante premesse portano a compimento un brano grondante miele intitolato "The Greatest Love Of All" che, affidato a George Benson, non va oltre la 27esima posizione nella chart USA. Pericolo scampato? Certo che no! Anno di (dis)Grazia 1985. 8 anni dopo la lagna riemerge dalle nebbie del tempo. Una fanciulla di sicuro talento la esegue davanti al boss dell’Arista Clive Davis durante un’audizione. Al momento la creatura dall’ugola d’oro è contesa tra l’Arista e l’Elektra. E dopo quell’audizione di 30 minuti l’Arista offre un bel contratto alla ragazza: sono sicuri di avere una star in divenire tra le mani. Oltretutto, oltre ad essere brava, la nostra è pure gnocca, e vanta ascendenze musicalmente nobili: la mamma è Cissy Houston, nota cantante gospel, mentre la cugina è nientemeno che Dionne Warwick. C’è però un piccolo problema. A Clive Davis la lagna di Masser e Creed proprio non piace. Ritiene addirittura di escluderla dalla tracklist dell’album di debutto della ragazza. Masser, autore e produttore di altri tre brani dell’album, si impunta e alla fine l’ha vinta. E così “Whitney Houston” esce anche con la lagna. All’Arista tuttavia ritengono che il pezzo non sia granché, e lo rifilano sul lato B del primo singolo pubblicato dalla Houston, “You Give Good Love”. Tuttavia il buonismo che gronda dal brano non può non risultare attraente per le radio USA, ancora in fase “We Are The World” e preoccupate di non far arrabbiare Tippy Gore e il suo PMRC (vedi Inverno 1984/85). E così il pezzo inizia a diventare popolare. Intanto un altro brano scritto e prodotto da Masser, “Saving All My Love For You” è arrivato al N. 1 USA (e UK), subito seguito nella stessa posizione dalla più ritmata I WILL I KNOW (inserita nell’album per evitare che l’ascoltatore si addormentasse…). A sto punto, come quinto (!) singolo dall’album si decide di pubblicare proprio la lagna. E THE GREATEST LOVE OF ALL diventa il terzo N. 1 USA della cantante, arrivando in vetta a maggio e rimanendovi per 3 settimane. Purtroppo la Creed non vedrà il successo del brano: muore poco prima che il brano scali le classifiche. Il brano è un tripudio di buoni sentimenti cantato in modo enfatico da Whitney, che lo dedica alla mamma (all’epoca la fanciulla è ancora virginale). E mamma Cissy compare pure nel finale del video con tanto di abbraccio. Il trattamento Houston si rivela in tutto il suo terrificante splendore: aggiungere enfaticamente zucchero sul miele. Praticamente darle un lento equivale a mettere della benzina nelle mani di un piromane: ne farà l’uso più spaventoso. Nel caso in questione ce n’è abbastanza per far fuori una vagonata di diabetici. Di fatto questo brano è uno dei primi esempi di quel genere terrificante che è la “ballata over the top con crescendo in puro stile hollywoodiano” che regalerà momenti di straordinario terrore nel corso del decennio successivo. Non per nulla il pezzo compare anche in un’emblematica sequenza del film “American Psycho”… E parlando di citazioni cinematografiche, il pezzo viene allegramente sfottuto da Eddie Murphy ne "Il Principe Cerca Moglie" nei panni dell'improbabile cantante Randy Watson... Intanto l’album sta per diventare il più venduto disco di debutto di tutti tempi con oltre 25 milioni di copie e domina quasi ininterrottamente la chart USA dall’8 marzo al 28 giugno (salvo 3 settimane tra aprile e maggio in cui deve cedere l’osso ai Van Halen). Merito anche di milioni di mamme - Tipper Gore sicuramente in testa - che son entrate nei negozi di dischi per regalare un disco alle figliole: “questa ragazza si che è brava e per bene, non come quella Madonna! E prendi esempio da questa, che di sicuro tra vent’anni non sarà sicuramente ridotta male come quella disgraziata che gira con i crocefissi!” Parole sante… Ah, già, la disgraziata con i crocefissi, che per l’occasione battezziamo Regina di Quadri, nel senso di Bilanci commerciali che lei fa quadrare. E lei che fa?
Madonna – Sono una signora Ebbene, adesso fa la signora. Il 1985 è stato il suo anno. Qualche centinaio di dischi in classifica (basta anche un suo grugnito per vendere), un film che l’ha fatta sembrare quasi un’attrice, milioni di squinzie sparse sul globo che le copiano il vestiario e altrettanti ragazzi che sognano di toglierglielo di dosso. E a fine anno, pure impalma il “giovin attor ribelle” Sean Penn. Oddio, più che un matrimonio sarà un incontro di wrestling, ma quella è un’altra storia. Sta di fatto che adesso la Signora Ciccone in Penn capisce che deve cambiare strategia. E così ripone i crocefissi e i pizzi, adottando un look più da “signora per pene” e decide di far anticipare il suo prossimo album con una ballata “adulta”, ovvero LIVE TO TELL, composta col fido Patrick Leonard e prodotta da lei medesima (il primo singolo prodotto da lei). Il singolo esce a marzo e subito scala tutte le classifiche mondiali. Se in UK viene bloccato al N. 2 da Falco, negli USA arriverà in vetta il 7 giugno (il primo dei 3 N. 1 americani tratti da “True Blue”). Il pezzo è realizzato per la colonna sonora di “A Distanza Ravvicinata”, interpretato dal maritino, una terribile storia ambientata nella più cupa provincia americana basata su un fatto realmente accaduto e interpretata anche da un sulfureo Christopher Walken. Il pezzo serve a Madge per far dire ai critici “oh, ma sa fare anche ballate serie!” e si può dire un passo riuscito. Se musicalmente la Diva non sbaglia un colpo, cinematograficamente si dedica a quello che diverrà il primo di una serie di disastri: ha infatti terminato da poco le riprese col maritino dello straordinariamente brutto “Shangai Surprise” che rischierà di mandare sul lastrico il temerario produttore: tal George Harrison… Tornando al brano, da citare se non altro per i livelli di kitsch e polemiche provocate, la versione "crocefissa" del Confessions Tour del 2006... Anche Madonna come Whitney è di plastica. Tuttavia in questo caso la plastica è sfacciatamente esibita. Whitney è invece come quella plastica che si vuol far passare come "ecologica" e invece inquina lo stesso... E parlando di plastica, nel senso di chirurgia (a cui si darà cospicuamente), c'è un'altra cantante a cui originariamente era destinata “I Will I Know” di Whitney e che questa primavera ottiene l’agognato successo diventando la Regina di Picche, visto il Due che rifila all’ex…
Janet Jackson – Femminismo post-moderno Sto parlando dell’allora 20enne (e un po’ tondetta) sorellina di Michael, Janet. La ragazza ha fatto la sua gavetta, ha già inciso due album e ha pure partecipato alla quarta stagione (84/85) del telefilm “Saranno Famosi”. Tuttavia adesso diventa famosa per davvero e per conto proprio. Il singolo che la lancia in orbita è WHAT HAVE YOU DONE FOR ME LATELY?, funky elettronico martellante in cui la ragazza mette alla berlina l’ex (un messaggio diretto all’ex maritino James DeBarge?), sbancando sia la classifica USA (dove arriva al n. 4 a maggio) sia quella UK (N. 3 ad aprile). Sta di fatto che il pezzo dimostra che la nostra si è ascoltata per benino Prince e che ha imparato la lezione. Merito anche dei produttori che la A&M le ha affiancato, Jimmy Jam e Terry Lewis, con cui lavora sul suo terzo album, “Control”. L’album è uscito il 25 gennaio e segna il passaggio dal pop facile dei suoi primi lavori a un pop-urban molto ritmico e funky. Anche se l'insieme tende a risultare piuttosto monocorde e ripetitivo (diciamo che tutti i pezzi ritmici son praticamente copie del primo singolo), la cosa non sembra tuttavia preoccupare il pubblico e l’album venderà più di 10 milioni di copie, sull’onda del successo della serie interminabile di singoli da esso estratti (ben 6 Top 20 USA!). Da notare che il primo hit sarà alla base di un monologo di Eddie Murphy nel film “Raw”, che riprende un’esibizione teatrale dell’attore. Le coreografie del video sono invece opera di Paula Abdul, futura pop star e giudice di “American Idol”, che compare pure nel filmato. Il brano in ogni caso darà luogo a molti epigoni, come “Talk To Me” di Chico De Barge (che quando gli hanno proposto di imitare lo stile della Jackson ha proprio preso l’indicazione alla lettera, non solo musicalmente… basta vedere quella foto sulla copertina…). E dalla giovane Janet, passiamo allora a una diva più stagionata, principale cantrice negli anni '60 e '70 di cuori frementi e/o infranti, e pertanto nostra Regina di Cuori, che conosce un momento di ritorno di fiamma nella classifica britannica…
Diana Ross – Il ritorno dal sarcofago Allora, il suo ultimo album, “Eaten Alive”, uscito nell’agosto 1985, nonostante l’omonimo pezzo scritto per lei da Michelino Jackson e la produzione dei fratelli Gibb, si è rivelato un mezzo fiasco. Quando tuttavia tutto sembra ormai destinato al cestino, ecco che uno dei brani di quell’album, già pubblicato senza successo negli USA, si rivela un hit clamoroso in Gran Bretagna. Si tratta di CHAIN REACTION. Il pezzo, come il resto dell’album, è confezionato su misura per Madama Ross dai Bee Gees. Tuttavia i fratelli sono restii a proporre il brano a Diana. Temono infatti che la Diva lo consideri troppo “Motown” e pertanto troppo simile ai suoi lavori con le Supremes per accettarlo. Alla fine glielo porgono suggerendolo come “un omaggio nel passato”. E la Diva accetta. E a quanto pare anche il pubblico britannico, che spedisce Diana al N. 1 della classifica l’8 marzo 1986, spodestando Billy Ocean. E il pezzo rimane in vetta per tre settimane, rilanciando l'ex Supreme e il suo album. Negli USA le cose non vanno altrettanto bene, e il brano, ripubblicato, si ferma al N. 66. Una curiosità: l’altro N. 1 britannico solista di Diana, “I’m Still Waiting”, datato 1971, ha avuto una sorte simile: non è infatti andato oltre la 63esima posizione negli USA. Il brano è ritornato nella chart UK nel 2001, grazie (o per colpa) della cover degli Steps, piazzandosi al N. 2. In Gran Bretagna è anche il momento dei cosiddetti “novelty hits”, ovvero di quei tormentoni che devono il successo a motivi non strettamente musicali e spesso nascono dalla TV. E infatti così accade per ben due N. 1 britannici del periodo. Alla Ross segue infatti al N. 1 LIVING DOLL, per Cliff Richard e The Young Ones. Il pezzo, il primo pubblicato per beneficienza nell'ambito dell'iniziativa "Comic Relief" (basata sull'abbinamento di pop star e comici), è la cover del più grande successo britannico del 1959, sempre cantato da Cliff. Il pezzo all'epoca doveva essere un rock’n’roll, ma alla fine s’è deciso di arrangiarlo come una ballata country. E ora ricompare in una versione comica, con gli interventi dei quattro comici responsabili dello show TV “The Young Ones”. Torna al N. 1 e ci resta per 3 settimane. Cliff intanto è protagonista del nuovo musical fantascientifico che debutta l’8 aprile 1986 nel West End Londinese: “Time”, scritto, tra gli altri, da Dave Clark (ex leader della band anni ’60 dei Dave Clark Five). Sempre a proposito di musical, il 14 maggio esordisce un altro musical, “Chess”, di cui ho già parlato a proposito dell’Inverno 1984/85. E a maggio, resta per tre settimane in cima alla classifica britannica un altro novelty hit nato in TV. Si tratta di THE CHICKEN SONG, eseguita dai pupazzi del fortunatissimo show “Spitting Image” (ovvero l’immagine sputata). Come suggerito dal titolo, i pupazzi in gran parte son caricature di personaggi famosi che diventano l’oggetto di una satira spietata che fa la fortuna del programma. E satira dell’hit pop è il tormentone che lanciano: praticamente un pezzo il cui testo dice che il pezzo fa veramente schifo, ma che si attaccherà al vostro cervello e non ve ne libererete più. I pupazzi compariranno tra qualche mese anche in un altro video musicale, quello di “Land Of Confusion” dei Genesis.
Veterani in (rin)corsa (sbracata) Iniziamo da una band che tutto sommato mette a segno una discreta ballata, anche se i tempi delle fulminanti "Barracuda" e "Crazy On You" son proprio lontani anni luce...
Heart – I sogni del nuovo corso delle sorelle Wilson Il brano in questione è THESE DREAMS, ballata rock che diventa il primo N. 1 USA degli Heart delle sorelle Wilson. Il gruppo, dopo un periodo di crisi di risultati, ha cambiato nel 1985 squadra e allenatore, passando alla Columbia e affidandosi alle cure del produttore Ron Nevison. Il nuovo corso è rivoluzionario: fino ad allora tutti i pezzi degli Heart sono stati scritti dalle sorelle mentre ora la nuova casa discografica mette a disposizione della band brani di autori prezzolati. Nel caso di "These Dreams" nientemeno che Bernie Taupin e Martin Page. A riprova della validità della "cura", il pezzo diventa il terzo hit tratto dall’album “Heart”, il primo realizzato per la nuova etichetta. Il brano a dire il vero è uno scarto. Offerto infatti a Stevie Nicks, questa l’ha rifiutato. Gli Heart invece la prendono al volo e la portano in vetta il 22 marzo. Si tratta dell'unico brano dell'album e del primo singolo della band cantato da Nancy (la bionda) anziché da Ann (la mora). All’epoca della registrazione la Wilson ha un forte raffreddore. Tuttavia il tono rauco della sua voce piace al produttore Ron Nevison e così la registrazione viene mantenuta per la pubblicazione. Anzi, quel tono gli piacerà a tal punto che nei successivi dischi chiederà ad Ann “puoi ammalarti di nuovo?”. Da notare che le sorelle Wiklson dedicano il pezzo a una loro fan morta di leucemia, Sharon Hess. Il pezzo viene ignorato in UK all’epoca, come molte altre power ballad made in USA dell’epoca. Diventerà tuttavia un hit nel 1988, quando, ripubblicato, raggiungerà l’ottava posizione. Gli Heart scalzano dal N. 1 americano un’altra power ballad, e stavolta direi che abbiamo a che fare con un gruppo in pieno sbracamento…
Starship – L’astronave volerà anche alto ma fa decisamente meno sognare dell’aeroplano Prima di “These Dreams”, Page e Taupin hanno scritto un altro N. 1 USA, datato 1985. Si tratta dell'orrido rockazzo "We Built This City", per gli Starship, primo estratto dal loro primo nonché 17esimo album di studio (primo e diciassettesimo? Poi capirete perché), “Knee Deep In The Hoopla”. E ora gli Starship ritornano al N. 1 USA il 15 marzo con SARA, sempre tratto dallo stesso album. Da notare che il pezzo ha in comune una cosa con “Rock Me Amadeus”. Anch’esso infatti >è un N. 1 USA scritto da un austriaco nato a Vienna. Si tratta di Peter Wolf (da non confondere con l’ex leader dei J. Geils Band), autore del pezzo con la moglie Ina. Wolf è inoltre reduce dalla produzione di un altro grande hit del 1985, “Nightshift” dei Commodores. Purtroppo il pezzo, una power ballad molto pop, è interpretata da un gruppo che nel suo storico passato ha fatto ben altro. Una volta infatti si chiamavano Jefferson Airplane, storica formazione della psichedelia americana. Negli anni ’70 l’aeroplano di Jefferson si trasforma in un’astronave (Jefferson Starship), ma ha continuato a volare alto grazie a lavori come “Red Octopus”. Poi a metà anni ’80 accade il fattaccio: Paul Kantner, storico chitarrista e fondatore se ne va e impedisce l’uso del nome completo agli altri. E così l'astronave perde il “Jefferson”. “Knee Deep In The Hoopla” è quindi il primo album della formazione con il nome Starship (mentre sarebbe il 17esimo in totale – chiarito l'arcano?). I cambiamenti del nome sono collegati anche ad ancor più turbolenti cambiamenti della formazione e, di conseguenza, del suono. Del gruppo degli anni ‘60 ora c’è solo la cantante Grace Slick. E così la band che cercava Qualcuno da Amare si è tristemente messa con Sara. E nel 1987 faranno un pezzo pop rock da FM USA e getta veramente brutto che diverrà un hit planetario… Tornando a SARA, il pezzo è cantato da Mickey Thomas (già cantante per Elvin Bishop nell’hit nel 1976 “Fooled Around And Fell In Love”), che dedica il pezzo alla moglie, che si chiama appunto Sara. Prima degli Starship arriva in vetta alla chart USA un’altra band pop rock da tipica radio americana anni '80 con un altro brano pop rock da tipica radio americana anni '80… Sto parlando di KYRIE, secondo N. 1 USA dei Mr. Mister, band formata da turnisti, già responsabile di un altro N. 1 e hit internazionale, “Broken Wings”. Il brano, stando alla leggenda scritto in velocità, ha un significato religioso: “Kyrie Eleison” infatti significa “Signore abbi pietà” e parla di un “percorso da compiere”. Purtroppo per loro, il percorso dei Mr. Mister sarà piuttosto breve e la band durerà giusto un paio di altri hit. Poi il cantante Richard Page, che nel frattempo rifiuta l’offerta di sostituire Peter Cetera nei Chicago, si dedicherà alla musica pop cristiana…
The Queen – Di magia non ce n’è poi molta… C’è un giovane regista di videoclip di nome Russel Mulchahy che s’è fatto il nome girando una serie di video sempre più costosi per i Duran Duran. Il tipo passa al cinema, e dopo un film con protagonisti un Bisonte Bianco e Charles Bronson (non nella parte del suddetto bisonte), realizza un kolossal fantasy. Il film è “Highlander”, storia di immortali che vagano nei secoli mozzandosi la testa finchè non ne resterà che uno. Ovviamente l’unico che resta è il figaccione Christophe Lambert, all’epoca nel suo periodo di grande popolarità. C’è pure Sean Connery, che visto come invecchia bene, immortale potrebbe pure esserlo per davvero...Ebbene per musicare le vicende a base di duelli del suddetto film (che incasserà alquanto bene, generando ahimè pure dei seguiti insulsi) il giovane regista si affida alla Regina. E qui si potrebbe aprire un dibattito col titolo “La Regina e le Colonne Sonore: amore corrisposto?”. Già perché il suono pomposo ed epico del gruppo sembra fatto apposta per commentare esplosioni e duelli pirotecnici. Tuttavia alla prova dei fatti il risultato risulta poco equilibrato. Invadente come commento di immagini e poco ispirato sotto il puro aspetto musicale. Certo, non siamo ai livelli di bruttura della precedente soundtrack confezionata dalla Regina, “Flash” (vedi Inverno 1980/81), con la band in pieno trip sintetizzatorio, però... Certo, sicuramente l’album che include i pezzi realizzati per la colonna sonora di “Highlander”, "A Kind Of Magic" (che esce il 3 giugno), è meglio di quello sfigatissimo esperimento “Freddie Goes Funky” che è “Hot Space” del 1982, però... Certo, i quattro son maestri nella realizzazione di sontuose ballate per funerali megalomani, di quelli con feretro in carrozza trainata da branchi di purosangue bianchi con pennacchio in testa, come testimoniato da "Who Wants To Live Forever", però... Diciamo che si riciclano spunti ormai già abbondantemente sfruttati nel periodo aureo della band, i ’70. E in certo casi, in modo straordinariamente ordinario ("Friends Will Be Friends", "One Vision"). In ogni caso, l'album vende. E non poco. Basti considerare il pezzo che sta funzionando in classifica proprio questa primavera. Si tratta della title track dell’album (per la prima volta un album dei Queen ha una title-track), A KIND OF MAGIC. Orecchiabile, diventa un successo in 35 paesi, raggiungendo le Top 10 di tutta Europa (Italia esclusa), arrivando al N. 3 in Gran Bretagna e al N. 6 in Germania. Il pezzo è scritto da Roger Taylor e compare nei titoli di coda del film. Per la pubblicazione sull’album viene modificato da Mercury col produttore David Richards, che vi aggiunge una linea di basso e altri strumenti. Il problema è che forse lo rende troppo “laccato”. Diciamo il classico pezzo che non sfigurerebbe in un album di un gruppo smaccatamente pop. Il titolo deriva da una frase pronunciata dal personaggio interpretato da Christopher Lambert nel film e contiene altri riferimenti a frasi chiave del film. Il pezzo diventerà tra i favoriti del Magic Tour del 1986, l’ultimo dei Queen con Freddie. Ma la band spudoratamente (e meravigliosamente) esagerata della Rapsodia Boema che cercava Qualcuno da Amare è tutta un’altra cosa… I Queen sono ormai entrati in una fase che contraddistingue ogni rock band: la fase da superconcerti. Se le nuove uscite discografiche iniziano a mostrare qualche ruga di troppo, il repertorio accumulato è tuttavia talmente ricco di classici da consentire scalette di sicuro effetto che, unite ad un’indubbia capacità di tenere il palco, attirano il pubblico come il miele attira le api... E ci son dei vegliardi che son indiscutibili maestri in questo... D’altra parte, con il repertorio che si ritrovano, potrebbero vivere di concerti fino al 3000 d.c.
The Rolling Stones – Mick e Keith, separati in casa… Nonostante le tonnellate di stupefacenti e alcolici ingurgitate, i vegliardi (beh, all'epoca musicalmente parlando, ovvio) son ancora in piena attività. Tuttavia le idee sembrano iniziare a scarseggiare. E infatti, per la prima volta, le Pietre Rotolanti lanciano una cover come primo singolo da un loro album. E la scelta ricade su un pezzo lanciato da Bob & Earl nel 1963 (e diventato nel 1969 un Top 10 UK, ripescato sull’onda della scena Northern Soul). Si tratta di HARLEM SHUFFLE. La scelta del pezzo viene operata da Keith Richards e Ron Wood in assenza di Mick Jagger. Mick all’epoca (1985) è infatti preso dalla promozione del suo album solista “She’s The Boss” e la cosa non è affatto gradita a Keith che accusa Mick di trascurare la band per la carriera solista (a dire il vero non proprio esaltante, visti gli esiti dell’album...). Che i due siano in una fase non proprio amorosa è evidenziato anche dal “Live Aid”, dove Mick si esibisce come solista con Tina Turner e Keith suona con Bob Dylan. La scelta del brano avviene con la collaborazione della leggenda soul Bobby Womack, che poi partecipa ai cori. Quando Mick torna e si incontra con i compari a Parigi, il pezzo gli piace e lo registra in quattro e quattr’otto. E la cover degli Stones si piazza quindi al N. 5 negli USA e al N. 13 in UK. Sarà il loro ultimo pezzo capace di piazzarsi in Top 20 su ambo le sponde atlantiche. Memorabile il video, con cartone animato diretto dal grande Ralph Bakshi (papà di “Fritz il Gatto”). L’album, intitolato "Dirty Work", il 21esimo degli Stones, esce invece il 24 marzo, prodotto da Steve Lillywhite, è una testimonianza delle tensioni all’epoca presenti tra Mick Jagger e Keith Richards, alimentate dalle continue assenze del primo. L’album è infatti il primo degli Stones in cui compaiono pezzi cantati da Keith Richards. Anche il batterista Charlie Watts non è molto coinvolto nelle registrazioni: è dipendente da alcol ed eroina ed è per questo che nell’album vengono accreditati anche i batteristi di riserva (praticamente suonano loro). Basta vedere in che stato appare nella copertina dell’album. Watts sarà la scusa impiegata da Jagger per non fare un tour di supporto a “Dirty Work”. E così Mick ne approfitterà per dedicarsi a un secondo album solista… L’album segna il ritorno all’hard rock puro, tralasciando ogni esperimento dance effettuato nei precedenti lavori. All’album, oltre a Womack, partecipano altri nomi eccellenti, tra cui Tom Waits, Jimmy Page e Patti Scialfa, sebbene il lavoro sporco non risulti poi tanto memorabile. Vuoi per le tensioni, vuoi per la produzione troppo “anni ‘80”. Non per nulla è considerato l’album più debole dell’intera produzione degli Stones… Per fortuna delle Pietre, Mick e Keith alla fine faranno pace e li troveremo 20 anni dopo ancora alle prese con tour monumentali. C’è invece chi, a seguito di rogne interne, perde una pedina importante, ma se ne fa una ragione e riesce a limitare i danni, almeno dal lato commerciale...
Van Halen – E il carrozzone riprende la via... Tutte le cose belle son destinate a finire. Scosse la testa facendo oscillare i lunghi e selvaggi capelli biondi. Un ciuffo di questi sfiorò sensualmente le labbra che si dischiusero producendo una serie di urla stridule che si conclusero con un perentorio: “è finita!”. E voltandosi felinamente se ne andò sculettando e sbattendo la porta. L’ultima immagine che colpì gli occhi di Eddie fu l’ondeggiare di quel rotondo sedere avvolto dai pantacollant leopardati sotto quella selva di capelli biondi. La Diva della sua band se n’era andata. Per sempre (o quasi). Eh già… David Lee Roth, stanco delle beghe col leader, aveva abbandonato i Van Halen. È successo il primo aprile 1985. E purtroppo per Eddie Van Halen non si è trattato di un pesce d’Aprile. Il “divorzio” (il primo di una serie infinita con i cantanti per la band) è tra i più chiaccherati e leggendari della storia del rock. Non è mai stato veramente chiarito chi ha dato il benservito a chi. E il divorzio origina uno dei più notori ritornelli del rock: “forse quest’anno i Van Halen tornano assieme!” (che rivaleggia con “forse quest’anno esce il nuovo album dei Guns’N’Roses!”). In ogni caso nel 1985 Eddie si trova di fronte a una bella gatta da pelare: con chi diavolo sostituire David? La fama dei Van Halen è tanto legata al virtuosismo chitarristico di Eddie quanto alla carica sessual-aggressiva del pirotecnico e spudorato frontman. Trovare un sostituto non è cosa facile. La prima scelta è Patty Smyth (non Patti Smith la cantautrice!), cantante degli Scandal. Ma lei saggiamente rifiuta. A sto punto entra in gioco un meccanico. Si, uno di quei tizi che aggiustano le macchine. Nel caso in questione la Lamborghini di Eddie. Il tipo ha un altro cliente, un cantante, Sammy Hagar, ex dei Montrose e all’epoca solista di discreto successo. E così i due entrano in contatto e la scelta si compie: Sammy entra nella band. Parte dei fan della band decidono all’istante di odiare Hagar, ma questi non si fa intimorire e partecipa anche alla composizione dei pezzi del nuovo album “5150”. Il primo estratto dall’album è WHY CAN'T THIS BE LOVE?, una sorta di tentativo (non proprio efficace) di ricatturare il sound di “Jump” con tastiere in evidenza. In ogni caso il singolo si piazza al N. 3 negli USA (il secondo miglior piazzamento di sempre della band nella chart USA) e al N. 8 in UK. Il brano è inferiore rispetto agli standard della band, tuttavia è adeguato alla programmazione delle radio dell’epoca. L’album, il settimo della band, esce nella primavera 1986 e diventa un hit, piazzandosi al N. 1 USA per tre settimane tra aprile e maggio, sfrattando temporaneamente Whitney Houston (è il loro primo N. 1: “1984” infatti è stato tenuto al N. 2 da “Thriller”). Il lavoro tuttavia non viene accolto benissimo da parte dei fan della band, che poco apprezzano sia il suono decisamente più pop, oramai pesantemente dominato dalle tastiere, sia i testi, semplificati, conseguenza diretta dell’influenza del nuovo cantante e soprattutto dell’abbandono del produttore Ted Templeman, che ha seguito il trasfuga Lee Roth. Il Tour che l’accompagna, chiamato il “1986 Tour”, che parte il 27 marzo, si rivela tuttavia un successo, sebbene i pezzi storici della band siano ridotti al minimo, probabilmente per evitare paragoni tra i due cantanti. La band cambia anche il logo per l’occasione: è iniziata “l’era Hagar” (o "Van Hagar" come chiamata dai fan), fino al successivo divorzio, datato 1996. Anche il nuovo album solista di David Lee Roth, che uscirà in autunno, sarà deludente. Insomma, l’unione delle parti era superiore alla semplice somma... Le band sopra citate mostrano tutti segni di invecchiamento, tuttavia son tutte band piuttosto stagionate, nate negli anni '60 e '70. Quindi possono essere perdonate, in onore dei vecchi tempi gloriosi. La cosa più preoccupante è invece la terrificante precoce crisi di idee in cui incappano molte pop band esplose solo pochi anni prima...
British (e Australian) Invasion: crolli prematuri, tettone, esperimenti pop art e nuovi grandi fabbricatori di hit Quelli messi peggio son i Culture Club, e il titolo del loro ultimo album, “From Luxury To Heartache” ("dalla lussuria al mal di cuore") descrive perfettamente lo stato della band che ormai ha i giorni contati. Boy George è ormai bollito e vaga di paradiso artificiale in paradiso artificiale e gli altri tre ormai non ne possono più. Oltretutto la vena creativa si è decisamente esaurita, come testimoniato dal primo singolo estratto, la fiacca MOVE AWAY, che arriva al N. 7 UK più sull’onda della popolarità della band che per altro. Rivedremo il Boy ripulito – forse – da solo tra meno di un annetto, con una cover di una cover di un pezzo dei Bread. Sarà il suo ultimo N. 1 UK.
Depeche Mode – Messa nera berlinese È il caso dei Depeche Mode che il 17 marzo escono con l’album “Black Celebration”. La band adotta un suono elettronico più cupo e minimalista. In realtà è Martin Gore a compiere la svolta, sembra in disaccordo con il resto della banda, che arriva a un passo dallo scioglimento. Potremmo dire che “Black Celebration” è il “momento berlinese” di Martin, che scrive da solo l’intero album nella città tedesca. Ed è l’album in cui compare la chitarra! Il synth pop capace di graffiare ma comunque “popparolo" viene cestinato e il loro quindicesimo singolo, STRIPPED, un rock elettronico industriale (come base ritmica campiona il suono del motore di una motocicletta, rallentandolo e distrocendolo, per tacer del campionamento dell’avviamento di una macchina) fa capire cosa ci aspetta da ora in poi. Ci hanno messo un mese per registralo, ma il pezzo diventa un grande successo da Top 10 in Germania. Il primo passo di quel cammino di maturazione che porterà i quattro di Basildon verso album come “Music For The Masses” e “Violator”. E c'è chi decide di abbandonare la via più facile finchè è ancora in vetta.
George Michael – Ora faccio il “serio” Tra tante band che si stanno disintegrando davanti al pubblico, c’è anche chi invece decide di saltar giù dal cavallo in corsa quando questo non rischia ancora di essere trasformato in sfilacci. È il caso del buon Georgios Kyriacos Panayiotou, i cui Wham! son ancora la pop band più popolare del Regno di Sua Maestà. George tuttavia inizia ad essere stanco di essere considerato solo un bel faccino con la propensione per il ritornello orecchiabile e la canzonetta. Vorrebbe più considerazione da parte di quei critici che lo insultano e gli preferiscono Morrissey e i suoi Smiths. E allora George annuncia che in estate gli Wham! (ovvero il suo partner musicale, Andrew Ridgeley) verranno messi in pensione. Già che c’è, annuncia anche un singolo, un album e un concerto d’addio. E intanto pubblica il suo secondo singolo solista, una ballata minimale, struggente e un po' soporifera intitolata A DIFFERENT CORNER, che fa addirittura gridare al miracolo qualche critico che non esita a nominare Brian Eno e George nello stesso paragrafo (causando probabilmente lo svenimento dalla gioia per il ragazzotto di origini greche). Il brano, come quasi tutta la produzione di George dell’epoca, si incolla per tre settimane al N. 1 inglese a cavallo tra Cliff Richard e Falco, e si invola rapidamente nelle classifiche mondiali, arrivando al N. 7 di quella USA (dove risulta essere il primo vero singolo solista di George, dato che “Careless Whisper” - vedi Inverno 1984/85 - in realtà è stato pubblicato come un pezzo di George con gli Wham!). Il brano sembra derivi da una riflessione su una relazione avuta da George con una fanciulla (eh?!). Inoltre George con questo brano mette in pratica il detto “chi fa da se fa per tre”, dato che se lo scrive, canta, suona, arrangia produce tutto da solo. Il ragazzo ha stoffa. Però io lo preferivo quando faceva lo scemo cantando “Freedom”... Nel frattempo la voce di George compare anche nei cori di un altro Top 10 USA di questa primavera, si tratta di NIKITA di Elton John, che è stato un grande hit invernale europeo e di cui pertanto parlerò in altra sede.
OMD – Le manovre in America della Cenerentola in rosa Tra tante band britanniche avviate verso un irreversibile declino, ce n’è una che invece viene scoperta dall’America solo ora, pur essendo in circolazione sin dal lontano 1979. Si tratta degli Orchestral Manouvres In The Dark (OMD) di Andy McKluskey e Paul Humphreys. La band di Liverpool (nota sulle nostre sponde per "Enola Gay") ottiene un clamoroso N. 4 USA con IF YOU LEAVE, ballata synth pop molto melodica che deve il suo successo a stelle e strisce al suo inserimento nella colonna sonora di uno dei film per teenagers del momento: “Pretty In Pink”. Il filmetto, con protagonista la rossa Molly Ringwald, è realizzato da John Hughes, lo stesso autore di un altro cult per teenagers anni ’80, “The Breakfast Club”. E se il Club della Colazione ha miracolato i Simple Minds grazie a un "Non Ti Scordar Di Me" colto all'ultimo momento, ora la Bella Cenerentola In Rosa (la storia è infatti la solita: “ragazza povera si innamora di fighetto altolocato e l’amore trionfa”, merito stavolta di un vestito rosa indossato dalla Cenerentola al gran ballo studentesco) lancia in orbita le Manovre Orchestrali al Buio, proprio quando la loro popolarità sta scendendo in UK. Il successo americani li rilancerà anche in patria, anche se curiosamente il loro maggior successo americano non entrerà neppure nella Top 40 UK… Il successo del film e della colonna sonora portano in classifica anche altri brani. In primis il pezzo che da il titolo al film, PRETTY IN PINK degli Psychedelic Furs, pezzo del 1981 incluso nel loro secondo album “Talk Talk Talk”. La versione per la colonna sonora è tuttavia una nuova versione, ri-registrata per l’occasione dalla band. E diventa un hit da Top 40 in America e l’unico Top 20 UK della storica band. In effetti le Pellicce Psichedeliche di Richard Butler han avuto più successo in proporzione negli USA che non in patria. Nella colonna sonora anche un hit per una cantaurice americana che sta ottenendo un buon successo con il suo primo album. Il pezzo è LEFT OF THE CENTER ed è realizzato da Suzanne Vega con al piano il grande Joe Jackson. La Vega intanto ottiene un buon successo con l’album di debutto, “Suzanne Vega”, che uscito nell’ottobre 1985 si piazza nella Top 20 UK a marzo grazie alla spinta del singolo “Marlene On The Wall”, ballata acustica che esemplifica il suo stile intimista. E sempre nella colonna sonora c’è anche "Do Wot You Do", pezzo di una band che sta arrivando al grande successo americano, partendo tuttavia dall’Australia…
INXS – Son quello di cui hai bisogno, baby… Ebbene si, Michael Hutchence e il suo gruppo esordiscono finalmente nella Top 10 USA con WHAT YOU NEED. La band è nata nel 1977 a Sydney e sta cercando di sfondare negli USA da anni. La loro "Original Sin", prodotta dal mago Nile Rodgers, ha smosso le acque nel 1984, anche se i contenuti del brano, provocatoriamente antirazzisti (si evocano relazioni interraziali), non la aiutano molto nelle radio americane. Stesso destino viene riservato al primo singolo estratto dal loro quinto album, “Listen Like Thieves”, “This Time”, che non va oltre l’85esima posizione della Billboard chart. Ora invece arriva il botto con il secondo singolo. L’album segna l’inizio della collaborazione della band con il produttore di Chris Thomas, che realizzerà i più famosi album del gruppo. La band ormai ha messo a punto il suo suono, esemplificato dal singolo: una sorta di pezzo alla Rolling Stones filtrato attraverso al ritmica degli Chic. WHAT YOU NEED è l’ultimo brano realizzato per l’album: infatti Thomas ritiene che l’album non abbia un hit potenziale e chiede a Hutchence e Andrew Farriss di scriverne uno nel giro di una notte. Il risultato arriva al N. 5 della Billboard chart e Michael diventa uno dei sex symbol del pop rock anni ’80. E parlando di sex symbol, torniamo in Gran Bretagna…
Samantha Fox – Due mele e poco più… Ok, il titolo non è dei più raffinati… Però mi stavo riferendo all’altezza della nostra sexy Sam. Praticamente la puffetta con le mele… Una vera Popp star. Ok, di giochi di parole ne ho fatti abbastanza. Ma Samantha Karen "Sam" Fox non è una creatura innocente. Prima diventa famosa in patria come diva dei paginoni centrali che fan la felicità di molti camionisti. E non guasta neppure un’omonimia con una nota pornostar americana, che se non altro crea equivoci e ovvia pubblicità. E finalmente la ragazza è pronta per il grande salto verso una carriera musicale. D’altra parte le doti per sfondare negli anni ’80 le ha. Tutte e due. E le manifesta in tutta la loro grazia invitando l’ascoltatore a “Toccarla per tutta la notte”. Oltretutto promette di ricambiare, dato che “vuole il suo corpo”! Eh, si, la Samanthona invade prepotentemente tutti i sogni onanistici degli adolescenti brufolosi europei grazie al suo pop tamarrissimo TOUCH ME (ALL NIGHT LONG), che arriva al N. 3 UK e scala subito anche la chart tedesca. I ragazzi americani dovranno aspettare il 1987 per trovare un valido motivo per diventare ciechi, ma si rifaranno in abbondanza. Eh, si. E pensare che poi anni dopo la nostra rivelerà che l’invito era indirizzato a una fanciulla! Son sicuro che se l’avesse detto subito i maschietti non si sarebbero dispiaciuti, anzi, avrebbero decisamente intensificato l’attività… E se Sam esibisce le sue grazie, c’è chi se ne esce con un album che si intitola “Flaunt It!”, ovvero “esibiscilo!”, ma da esibire alla fine ha più che altro la teoria dell’operazione…
Sigue Sigue Sputnik – Il Satellite pubblicitario di Tony Qua siamo in piena fantascienza cyberpunk. Un ex musicista punk, Tony James, ex bassista dei Generation X (ex band anche di Billy Idol), decide di dedicarsi a un esperimento musicale che ha lo scopo di fare molti quattrini. Albione è terra di esperimenti musicali. Molti riescono. Altri si schiantano al suolo. E questo sarà i tragico destino del Satellite che Brucia Brucia. Il Satellite dovrebbe essere mandato in orbita usando come propellente una miscela in cui la musica è un complemento. I Sigue Sigue Sputnik (il nome deriva da una gang moscovita) sono l’estremizzazione del concetto di “gruppo teorico”. Tesi di partenza: l’artista e l’arte (in questo caso il gruppo pop) sono oggetti da piazzare sul mercato. L’opera è l’idea che sta dietro il gruppo. Praticamente i concetti pop art di Warhol come rielaborati da McLaren. Tuttavia se la cosa ha funzionato per i Sex Pistols, che erano di fatto quello che apparivano, non funzionerà per i SSS perché hanno rinunciato ad essere in funzione della pura apparenza. E dato che si deve apparire, ecco un look all’epoca clamoroso che miscela glam e punk con Mad Max creando di fatto una versione tecnocratica e fantascientifica dei Sex Pistols. E per reincarnare le nuove Pistole del Sesso, perché non affidarsi ad autentici sedicenti “pistola”? Pertanto James recluta come cantante Martin Degville e una serie di figuri come Neal X (Whitmore), Chris Kavanagh, Ray Mayhew e Yana Yaya, scelti, con l’aiuto di Mick Jones dei recentemente disciolti Clash, solo in base all’aspetto. Per creare uno status di “pupazzi maledetti fantascientifici”, la band dichiara provocatoriamente di non saper suonare e di basarsi solo sul look. I SSS rivendicano quindi una totale incapacità musicale. Sono una parodia delle band giocattolo “serie”, quelle fatte da inetti musicali che tuttavia pretendono di far vedere che “sanno suonare”. La cosa divertente è che, nonostante tutto, i SSS suonano davvero nei concerti… Da questo punto di vista anticipano il futuro, ma proprio per l’immagine che adottano sono sicuramente più innocui di boy band assemblate a tavolino, che dietro un’apparente normalità e “artisticità” celano il nulla assoluto. Qui invece il nulla è esibito (“Flaunt It”, il titolo dell'album, si riferisce a quello, probabilmente). Il gruppo come demo realizza un video collage di spezzoni di film di fantascienza. E incredibile ma vero, i pesconi chiamati discografici abboccano all’amo. Si ingaggia una battaglia vinta dalla EMI, che sborsa qualcosa come 4 milioni di sterline per accaparrarseli (!). Si, siamo in pieno fantahorror demenziale musicale. James, sfruttando la sommetta a disposizione, chiama a produrre uno dei guru dell’elettronica: il nostro Giorgio Moroder. Il risultato tuttavia non è proprio “I Feel Love”. La musica che ne risulta è un patchwork. Un miscuglio di effetti, campionamenti, slogan, su basi elettroniche semplici. Un taglia e cuci finalizzato alla provocazione. I testi son pieni di riferimenti a film e a un immaginario fantascientifico di sesso e violenza. E per sancire che il disco è un prodotto commerciale, gli spazi tra le tracce vengono riempiti con spot pubblicitari veri e falsi. Dichiareranno: "Siamo dei geni perché siamo in vetta a tutte le charts mondiali con un album di 11 brani tutti uguali". E infatti l’album è più interessante per gli spot pubblicitari (a proposito questo è lo spot usato per lanciare l'album) e per gli slogan usati ("Pleasure is our Business"). L’album è anticipato dall’unico vero hit della band. Lanciato con gran fanfara dalla casa discografica, LOVE MISSILE F1-11, un mix tra rockabilly e elettronica che approda sull’onda della pubblicità scatenata (un dj londinese spacca il vinile in diretta radiofonica dando ancora più risalto al gruppo) al N. 3 UK e diventa un buon hit in mezza Europa. L’album invece arriva al N. 10 britannico. Nel giro di poco tempo l’hype attorno alla band si accartoccia su se stesso e il secondo singolo, "21st Century Boy" (che ovviamente cita nel titolo "20th Century Boy" dei T. Rex), si ferma al N. 20. E la band non sopravviverà al secondo album, lanciato nel 1988 con la frase “questa volta è vera musica” (in cui ci son pezzi prodotti da Stock Aitken & Waterman!!). Tuttavia la loro ricetta musicale non passerà ignorata e verrà rielaborata in termini più “strutturati” e accattivanti proprio da Billy Idol pochi mesi dopo (avete presente “To Be A Lover”?). Ah, per la cronaca, la bionda Yana Yaya diventerà la stilista dei 5ive (…). La band avrà un ritorno di fiamma nei ’90 come “gruppo di culto” grazie alla diffusione di internet e della cultura cyberpunk, e da allora continuerà a vendere i propri dischi su internet e ad organizzare tour. All’epoca la band viene invece vista solo come uno strano esperimento pop. L’unico paese che all’epoca sembra prenderli sul serio è proprio l’Italia, dove le loro apparizioni scatenano disordini per questioni “politiche”. Memorabile a tale riguardo una loro esibizione al Festivalbar, con lancio di bottiglie e contestazioni del pubblico (stando a quanto trovato in rete dovrebbe essere stata la tappa di Siena). Qui un'esibizione più tranquilla in un'altra tappa... Mick Jones ha aiutato Tony James a formare la strana combriccola. E negli anni successivi alcuni membri dei SSS, tra cui James si uniranno ai suoi Big Audio Dynamite II. E proprio in questo periodo la prima incarnazione della band fondata dal buon Mick, ovvero i Big Audio Dynamite (senza “II”), ottiene un piazzamento al N. 11 UK con E=MC², brano ispirato a più film di Nicolas Roeg e in particolare a “Insignificance” (da noi maldestramente battezzato “La Signora In Bianco” – sparate ai distributori!!!) che fa un uso consistente di campionamenti. Il singolo è tratto dal primo album della band, “This Is Big Audio Dynamite”.
Pet Shop Boys – Chris, Neil e le ragazze del West End "My love for you will still be strong, after the boys of summer have gone" Atto Primo: Agosto 1981. Londra, un negozio di hi fi. Neil Tennant, ex correttore di bozze per la Marvel (deve “inglesizzare” i testi dei fumetti) e giornalista per la rivista Smash Hits, vi si è recato per acquistare un raccordo per collegare il suo sintetizzatore con l’impianto stereo. Mentre gli stanno preparando il connettore gironzola per il negozio e si imbatte in Chris Lowe. Iniziano a chiacchierare di tastiere e sintetizzatori. Due giorni dopo Chris va da Neil e iniziano a scrivere canzoni. Entrambi hanno una formazione musicale (Neil ha studiato violoncello, Chris piano e trombone) e hanno fatto parte entrambi di band. I due realizzano così dei demo.
Gran finale: il singolo esce nell’ottobre 1985 in UK. Il singolo entra in Top 30 (il primo di una serie di 39!) e il gennaio successivo arriva al N. 1 britannico, diventando subito dopo un enorme hit internazionale (indovinate in che paese non entra in classifica?), piazzandosi in vetta ad almeno altri 8 paesi (e in Top 5 in almeno altri 6) e il 10 maggio è al N. 1 più ambito, quello americano, sfrattando un altro britannico, Robert Palmer. La canzone rientrerà nelle classifiche più volte nel corso degli anni successivi: come cover degli East 17 (1993), campionata dalle Mis-Teeq nel singolo “Style” del 2003 e, nel 2004, citata da Kelis in “Trick Me”. Intanto, il 24 febbraio esce in patria il secondo singolo, LOVE COMES QUICKLY. Il brano diventa un hit minore, non andando oltre la 19esima posizione (e già ci son i corvacci del malaugurio che predicono una fine rapida per il duo). Profezie smentite dal successo dell’album “Please”, un gioiello del synth-pop che, uscito il 24 marzo, venderà oltre 10 milioni di copie, piazzandosi nelle Top 3 tedesca e britannica e nella Top 10 USA.
La British Invasion presenta altri nomi che sbancano le classifiche mondiali. Tra cui i…
Level 42 – La svolta fortunata di Mark e soci A maggio arrivano per l’unica volta nella Top 10 USA i Level 42 con l’hit europeo di fine 1985 SOMETHING ABOUT YOU. E pensare che la band non riteneva il pezzo adatto alla pubblicazione, in quanto molto diverso dai precedenti lavori, più rivolti alla fusion jazz-funk. Anzi, la nuova direzione intrapresa dalla band è causa di scontri tra il leader Mark King e il tastierista e cantante Phil Gould, che se ne va (salvo poi rientrare dopo una settimana). E il pezzo invece diventa un Top 10 transatlantico che spinge l’album che lo contiene, “World Machine”, verso i 3 milioni di copie venduti, lanciando a livello internazionale la band nata dalle ceneri degli M di Robin Scott (vedi Estate 1979). Intanto il quartetto guidato del bassista Mark King, noto come “l’uomo dal pollice d’oro” per la sua caratteristica tecnica di suonare il basso, è già nella Top 3 UK e nelle Top 10 europee (Italia compresa) con il nuovo singolo, la pop-dance dai toni funk-jazz LESSONS IN LOVE, che diventerà il loro maggior successo: raggiungerà il N. 1 in 8 paesi e sarà il secondo disco più venduto dell’anno in Europa (nel 1987 raggiungerà il N. 12 negli USA). Il singolo anticipa anche il nuovo album, “Running In The Family”, che uscirà nel 1987, da cui verranno tratti ben 4 Top 10 UK. Ah, sapete da che deriva il nome della band? Dal divertente libro “Guida Galattica Per Autostoppisti” di Douglas Adams, in cui “42” è la risposta a una domanda sul senso della vita… Un altro Mark invece inaugura la primavera saldamente al comando della album chart britannica, si tratta del buon Mark Knopfler, che con i suoi Dire Straits domina le classifiche grazie all’album “Brothers In Arms”. L’album sarà il più venduto oltremanica del decennio. Mentre “Your Latest Trick” (dal famoso intro al sax) è il quinto hit tratto in UK, il primo singolo uscito in Europa, SO FAR AWAY, diventa il terzo Top 20 tratto dall’album negli USA in aprile, a un anno esatto di distanza da quando è entrato nella Top 20 UK.
Altri hit del periodo Rock made in USA Piazzamento al N. 2 della USA chart per John Cougar Mellencamp e la sua R.O.C.K. IN THE U.S.A, affettuoso omaggio al rock degli anni ‘60. L’hit è il terzo e il maggiore tratto dall’album “Scarecrow”, lavoro in cui il cantautore affronta contenuti sociali, con un occhio per la crisi che si abbatte sugli agricoltori americani. Non per nulla il Coguaro è, con il Boss, il principale cantore dell’America di provincia degli anni ’80. Altri hit rock americani del periodo sono l'energica AMERICAN STORM di Bob Seger (N. 13), tratto dal nuovo album del musicista di Detroit e della sua Silver Bullet band, intitolato “Like A Rock” (N. 3 USA) e l’ironica ballata (dal video clamoroso) ROUGH BOY dei barbuti texani ZZ Top (N. 22).
The Quiet Storm La musica black che domina le classifiche dell’epoca si divide in due tipi opposti. Da un lato il funk elettrico e martellante che vede in Prince e Janet Jackson i suoi maggiori rappresentanti. Dall’altra c’è la “Quiet Storm”. Ma che diavolo è sta Tempesta Quieta? Ebbene, dicesi Quiet Storm un genere di R’N’B vagamente jazzato e molto levigato (anche troppo a volte!) che si insedia nella programmazione delle radio black durante le ore notturne, visti i contenuti romantici e rilassanti. Si tratta dei cosiddetti “slow jams” di cui il rapper Twista narrerà la gloria nell’Inverno 2003/04. Il genere prende piede a metà anni ’70 e deve il nome a un pezzo del grande Smokey Robinson. Si tratta quindi di un genere trasversale che prende il nome da un formato radio lanciato dal DJ Melvin Lindsey. Se negli anni ’70 la programmazione vede trionfare nomi con Al Green e Marvin Gaye, negli anni ’80 i dominatori del genere sono Luther Wandross, Anita Baker e gli Atlantic Starr. Le Stelle dell’Atlantico sono nate a New York nel 1976 per decisione dei tre fratelli Lewis e sono da anni una presenza fissa delle classifiche R’N’B, tuttavia SECRET LOVERS, storia di una relazione extraconiugale, è il loro primo vero successo pop. Un successo internazionale che raggiunge il n. 3 USA a marzo e il N. 10 in UK il mese successivo. Il brano, una ballata R’N’B un po' laccata, è tratto dal sesto album del gruppo, il primo con la nuova cantante Barbara Weathers, che sostituisce la dimissionaria Sharon Bryant. Gli Atlantic Starr fanno tuttavia heavy metal in confronto a quello che ormai ci propina Stevie Wonder, ormai affogato in un mare di melassa con OVERJOYED. Non si riprenderà più. Un altro pezzo del genere sta rapidamente salendo le classifiche mondiali. Si tratta di uno splendido duetto tra due delle più belle voci in circolazione: Patti LaBelle e Michael McDonald. ON MY OWN arriva al N. 2 UK in maggio, ma il picco di successo lo otterrà in giugno, raggiungendo la vetta della Billboard Chart. Ne riparleremo a tempo debito. A metà strada tra pezzi pop ritmati e pezzi “quiet storm” è Billy Ocean. Tuttavia parlerò del suo hit WHEN THE GOING GETS TOUGH THE TOUGH GET GOING, che musica il film “Il Gioiello Del Nilo” quando si tratterà dell’inverno 1985/86.A rappresentare invece il più torrido funk anni ’80 ecco A LOVE BIZARRE, dell’ex percussionista di Prince, Sheila E., ovvero Escovedo, figlia d’arte (il padre è il percussionista Pete Escovedo) e figlioccia di Tito Puente. Il brano è inserito nella colonna sonora del film "Krush Groove", in cui Sheila compare con altri artisti della nascente scena hip hop come Run DMC e Kurtis Blow. Dopo essere salito al N. 11 della Billboard Chart nel 1985, questa primavera arriva nella Top 3 tedesca. One hit wonder sono gli Sly Fox, duo formato dal musicista funk Gary "Mudbone" Cooper (già collaboratore di gente come George Clinton, Sly Stone e Bootsy Collins) e dal cantante di origini ispaniche Michael Camacho. Il loro unico hit, LET'S GO ALL THE WAY, arriva al N. 7 USA e raggiungerà la Top 3 britannica a inizio estate. Il brano è un rock dance elettronico che parla di un tizio che vive una vita frustrante e si sfoga attraverso incontri sessuali casuali… Ben lungi dall’essere delle one hit wonder sono invece i Miami Sound Machine di Gloria Estefan, i Raul Casadei della Miami cubana, che dopo aver fatto ballare la CONGA (causando la formazione di milioni di trenini da festa, i cui deragliamenti hanno provocato vittime a iosa), replicano con BAD BOY, canzoncina motowneggiante accompagnata da un video stile "Cats" e tratta come la precedente dall’album “Primitive Love”.
Europa Passando in Europa, facciamo un salto in Scandinavia, e più precisamente in Norvegia, nazione natale del trio degli A-Ha che, dopo due N. 1 internazionali ("Take On Me" e "The Sun Always Shine On TV") ottiene il terzo Top 10 UK dal loro album “Hunting High & Low”, si tratta di TRAIN OF THOUGHT, che arriva al N. 8. La band decisamente sta smentendo chi li ha considerati una potenziale meteora che dopo "Take On Me" sarebbe sparita nel nulla. E restando in ambito norvegese, il paese dei fiordi ospita l’Eurofestival il 3 maggio. Vince per la prima volta il Belgio con la tredicenne Sandra Kim, vero nome Sandra Caldarone (di origini italiane dunque) e il pezzo “J'aime La Vie”. Nel pezzo la ragazzina dice di avere 15 anni e la Svizzera chiede addirittura la squalifica (per "falso ideologico"?). Non sarà un grande hit. L’Italia non partecipa alla manifestazione.
Ritorno al passato La chart britannica sta guardando molto anche al passato e si riempie di molti vecchi successi. Tra le cause principali vi è l’impiego dei pezzi in spot pubblicitari. In particolare questa primavera inizia quella che è destinata a divenire una tradizione duratura: il lancio di hit grazie agli spot della Levi’s. Se per i primi anni la casa produttrice di jeans si limiterà a rilanciare vecchi hit, dal 1994 si dedicherà al lancio di pezzi inediti, buona parte dei quali arriveranno fino in vetta alla UK chart. Nella primavera 1986 son ben due i classici che rientrano nella Top 10 britannica grazie alla Levi’s. Se WONDERFUL WORLD di Sam Cooke (1960) arriva al N. 2 (posizione poi replicata anche in Germania), I HEARD IT THROUGH THE GRAPEVINE di Marvin Gaye (già N. 1 transcontinentale nel 1968, qui in una strepitosa versione a cappella) si piazza al N. 8. Il pezzo di Gaye viene rilanciato grazie a uno spot ambientato in lavanderia in cui un modello resta in mutande. Il ragazzotto si chiama Nick Kamen, Madonna lo noterà e gli offrirà un hit (non si specifica in cambio di cosa...). E il prossimo inverno lo ritroveremo in giro per le classifiche europee... Se del superclassico di Gaye parlerò quando affronterò il periodo in cui dominerà le classifiche angloamericane, vale la pena fare due chiacchiere sul pezzo di Sam Cooke. Nel 1960 non è sto gran successo. Scritta da Cooke con Lou Adler e Herb Alpert nel 1958 per il suo album di debutto, viene finalmente pubblicata su singolo nel 1960, piazzandosi al N. 12 della classifica americana e al N. 27 di quella inglese. Un po’ pochino per un classico. Il pezzo poi diventerà un grande hit per gli Herman's Hermits (versione Merseybeat) nel 1965 e anche Art Garfunkel ne farà una cover (versione cantautorale intimista). Il pezzo compare anche in alcune colonne sonore, tra cui quelle di “Animal House” e “Witness”. E ora, grazie a uno spot TV il pezzo ottiene il suo miglior piazzamento, planando al N. 2 della UK chart. Il successo del singolo fa da traino anche a una raccolta di successi dell’artista, che entra nella Top 10 britannica. Intanto compaiono in classifica anche altri vecchi classici, come YOU TO ME ARE EVERYTHING, N. 1 britannico nel 1976 per i Real Thing, che ricompare in versione remixata per celebrare il decennale (molti conosceranno questo pezzo nella cover italiana fatta da Marina Rei, ovvero “Primavera”). Oppure pezzi che all’uscita non sono entrati in classifica, son diventati nel frattempo classici e ora, finalmente, trovano, ripubblicati, la strada per la Top 20. Come la divertente ROCK LOBSTER dei B-52’s, abbinata per l’occasione su singolo a un altro classico del gruppo di Athens, PLANET CLAIRE. Entrambi i brani fanno parte dell’album di debutto datato 1979 (vedi Estate 1979). Il pezzo è la surreale descrizione di un party sulla spiaggia durante il quale compare un gamberone. Nel ’79 il gamberone non è andato oltre la 37esima posizione (mentre arriva al N. 1 in Canada e al N. 3 in Australia). Adesso arriva al N. 12 UK. Nonostante il successo a scoppio ritardato del singolo, la band sta attraversando un pessimo periodo: il 12 ottobre 1985 è scomparso a soli 32 anni il chitarrista Ricky Wilson per AIDS. Tra tre anni incontreranno il loro periodo di massimo successo mondiale.
Anche agli americani piace tuttavia fare un tuffo nel passato: il 30 maggio parte il tour della reunion dei Monkees che festeggia il ventennale del gruppo. Sarà una serie di concerti da tutto esaurito.
The Art Of Noise - Il ritorno del detective Un altro brano proveniente dal passato rientra in classifica in versione tuttavia nettamente aggiornata. Si tratta di PETER GUNN, nella versione degli Art Of Noise. Il singolo arriva nelle Top 10 UK (N. 8) e tedesca, diventando un buon hit paneuropeo. Il trio formato da Anne Dudley, J. J. Jeczalik e Gary Langan nel 1985 ha rotto con la ZTT di Trevor Horn e Paul Morley per problemi di controllo creativo e soprattutto di soldi. Il gruppo “oggetto d’arte” di Morley ora decisamente svolta verso un suono molto più pop (Morley in seguito dirà che dopo l’abbandono son diventati “un gruppetto da canzoncine”). E pubblicano una cover elettronica di "Peter Gunn" con l’aiuto della chitarra di Duane Eddy, già interprete del tema nel lontano 1959. L’originale è stato scritto da Henry Mancini come tema dell’omonima serie TV di fine anni ’50 dedicata un detective privato. Il tema è stato già oggetto di numerosissime versioni, di cui la più fortunata in UK è proprio quella di Eddy (N. 6 nel 1959), mentre negli USA è quella di Ray Anthony (N. 8). Tra le versioni più memorabili quella dei Blues Brothers, che compare nel film omonimo. Per la versione degli Art Of Noise, Eddy riregistra la sua parte. Pertanto non si tratta di un campionamento. La nuova versione si porta a casa un Grammy come miglior brano rock strumentale. Insomma, ricapitolando, in classifica UK ci son ben due cover di brani del 1959 e un brano uscito nel 1960. Sbaglio o gli inglesi son in piena fascinazione musicale per quel periodo? Beh, se si considera quello che doveva essere il film del momento, la risposta potrebbe essere si…
I Debuttanti Assoluti Il 18 aprile 1986 esce in Gran Bretagna “Absolute Beginners”. Il film, un musical, viene lanciato come uno dei film che farà epoca. Purtroppo per i suoi produttori, di epocale ci sarà solo il fiasco, che porterà lo studio produttore, la Goldcrest, alla bancarotta. Praticamente gli molla il colpo di grazia dopo il fiasco del precedente polpettone “The Mission” (buon successo da noi, ma flop in molti mercati strategici). Non male per il film che doveva salvare la cinematografia inglese, già fiaccata da altri fallimenti, come l'altrettanto ambizioso “Revolution”. “Absolute Beginners” è (molto liberamente) tratto dall'omonimo romanzo datato 1959 di Colin MacInnes, che fotografa la Londra del 1958, sospesa tra jazz e scontri razziali (fa parte di una trilogia dedicata alla città). Il film è diretto dall’allora enfant prodige del cinema rock britannico, quel Julian Temple già responsabile di “The Great Rock ‘N’ Roll Swindle”. Se come protagonista nel ruolo di Crepe Suzette viene scelta una vera debuttante come Patsy Kensit (di cui parlerò tra breve), il resto del cast vede in ruoli di contorno nomi altisonanti della musica britannica. Padri storici del rock anglosassone come David Bowie e Ray Davies (dei Kinks), grandi veterani del jazz, come Slim Gaillard, associati a divi più recenti del “new cool” come Sade. E infatti la colonna sonora, a differenza del film, si salva. Curata da un grande veterano, il compositore e pianista Gil Evans, presenta influenze jazz che pescano proprio dalla musica di fine anni ’50. Al film non partecipa invece Paul Weller, che ha rifiutato di interpretare un ruolo nel film. Tuttavia Paul e i suoi Style Council rifanno la loro “My Ever Changing Mood” per il film, dotandola di un arrangiamento lounge per fiati e ribattezzandola HAVE YOU EVER HAD IT BLUE. Il ruolo di punta della colonna sonora tuttavia spetta alla sontuosa title-track di Bowie.
David Bowie - Sigarette amarcord per il Duca Bianco Come molti altri suoi colleghi visti in precedenza, anche il buon David è in un periodo di scelte artistiche poco indovinate. Dopo “Let’s Dance”, musicalmente non ha quasi più imbroccata una (al massimo si salva il singolo con Pat Metheny tratto da un’altra colonna sonora, quella de “Il Gioco Del Falco”). Per carità, è tra le massime star del pianeta, ma le sue ultime uscite son tutt’altro che memorabili. E cinematograficamente, dopo un inizio anni ’80 decisamente lusinghiero (tra i film vale la pena ricordare “Furyo” e “Miriam Si Sveglia A Mezzanotte”), sembra diventato un collezionista di ciofeche. Nel 1986 per esempio esce il tremendo “Labyrinth”, altro fiasco in cui il nostro, con parrucca alla Ivana Spagna prima maniera, interpreta il re dei folletti che sottrae il fratellino a una Jennifer Connelly pre-esplosione delle tette. Per tacer dell’insipida “Underground” che ne musica le sequenze, un pop dance che offende la memoria dell’uomo che cadde sulla terra (e non ho parlato di "Magic Dance"! vabbè, il Duca si è dato ai pezzi per bambini...).
Da notare che gli stessi musicisti suonano anche nella cover di "Dancing In The Street", registrata da Bowie con Mick Jagger poco dopo e pubblicata a seguito del “Live Aid”. Temple filma anche il video (strumento a lui decisamente più congeniale), in cui compare anche una Donna Zebra, in omaggio a una vecchia pubblicità di sigarette (i tempi non erano ancora quelli della guerra alla nicotina…) Il film ha noie anche al momento di ottenere il visto della notoriamente rigida censura britannica. Sembra infatti che in una scena compaia un capezzolo di Patsy Kensit. Dopo essere stato analizzato fotogramma per fotogramma, lo zelante funzionario conclude che la suddetta parte anatomica non compare nel film. Non temete, per vedere ugualmente un capezzolo della Kensit, pigiate qui… E poi non dite che non vi facciamo vedere le tette! Eh, già, Patsy Kensit, la lolita biondina che all’epoca, 17enne, ricorda Brigitte Bardot.. Il film dovrebbe lanciarla come la nuova star inglese. Lei stessa spara fregnacce tipo “voglio diventare più famosa di chiunque altro!”. Non le riuscirà. Anche se potrà contare su una discreta carriera d’attrice e sul titolo di “Starlette da tabloid inglese degli anni ‘90”, grazie a tre matrimoni (con divorzio) con personaggi della scena musicale britannica, Dan Donovan, tastierista dei Big Audio Dynamite (1988), Jim Kerr, leader dei Simple Minds (1992-96) e Liam Gallagher, leader degli Oasis (1997-2000). Come si può notare è passata di livello a ogni matrimonio. Questo andirivieni matrimoniale le varrà il titolo di “Vedova Nera” del pop. Ma dato che qui si parla di musica… Musicalmente all’epoca se la filano solo due paesi. Uno è il Giappone, terra misteriosa in cui le regole del successo nella musica pop rifuggono spesso ogni logica. L’altro è un paese ancor più strano. Vediamo se indovinate. Ha la forma di uno stivale e ha la propensione per apprezzare mezze tacche che altrove non si filano. Patsy è reduce infatti da un N. 1 in Italia con la sua band, gli Eighth Wonder, capeggiati anche dal di lei fratello. Si tratta dell’innocua “Stay With Me”, poppettino che ammicca ai ’60 nella forma ma non, purtroppo, nella sostanza. La band godrà di alcuni anni di successo nell’Italia di fine anni ’80, dove gente come Nick Kamen verrà salutata come la più grande scoperta della storia del pop… In ogni caso avranno anche i loro 15 minuti di vera popolarità internazionale nel 1988, quando i Pet Shop Boys regaleranno loro “I’m Not Scared”, l’unico top 10 UK dell’ottava meraviglia… Il problema è che all’epoca la classifica italiana inizia a diventare una specie di centrale di riciclaggio di fiaschi esteri. Se la diffusione dei video ha permesso negli anni precedenti l’esplosione vera e propria dei cosiddetti “stranieri”, lanciando in Italia gente che comunque dominava le classifiche internazionali dell’epoca, adesso sembra che le case discografiche, per questioni "tecniche", siano più interessate a far funzionare in Italia progetti di seconda fascia, piuttosto che promuovere gli hit internazionali, magari di qualità, che stanno realmente funzionando. Le major, con la tipica logica dell'investimento a brevissimo termine, preferiscono promuovere nomi già affermati, più facili da vendere, preferendo lanciare nomi emergenti solo in particolare occasioni che riducano al minimo i rischi di investimento (per esempio, la Houston dovrà aspettare San Remo 1987 per essere veramente lanciata in Italia), mentre le altre etichette raccolgono patacche economiche in giro per i discount europei. E così, mentre da noi pezzi destinati a diventare classici del periodo come "West End Girls", "Manic Monday" o "Addicted To Love" (ma anche "A Kind Of Magic" o "What Have You Done For Me Lately") proprio non si vedono in Top 10, accogliamo a braccia aperte qualsiasi sfigato (decisamente meno costoso da promuovere di una band al N. 1 USA) che le case discografiche fanno circolare su tutti i canali TV, possibilmente con un pezzo brutto... Tale trend durerà un buon lustro…
Le "superstar" esotiche della Terra dei Cachi Iniziamo con i britannici Drum Theatre di “Eldorado” che sembrano trovare la leggendaria terra dell’oro proprio in Italia per i soliti 15 minuti (durante i quali finiscono addirittura al N. 1!). Praticamente il risultato di un inquietante accoppiamento tra Duran Duran e Thompson Twins. In patria non son andati oltre il N. 44. Gli anglo-germanici Picnic At the Whitehouse con la banalotta e truzza “We Need Protection” trovano il successo solo nello stivale. Giusto una curiosità: il demo del pezzo è stato realizzato con un diverso cantante, tal Terence Trent D’Arby… C’è poi chi, dopo un piazzamento nella Top 20 UK nel 1983 con “Last Film”, diventa una star da hit parade da noi per qualche mese. Si tratta dei Kissing the Pink, ex band alternativa che propina il motivetto dance “One Step”. Però questi non son one hit wonder, un loro singolo successivo arriverà al N. 97 della classifica americana. E ancora i teutonici Hong Kong Syndicat con “Too Much”, emuli dei Matt Bianco che vendono da noi ma non in patria… Tutte proposte che durano al massimo 5 singoli, caratterizzate da un suono estremamente sintetico e dall’assenza di successo nei rispettivi paesi ma tutte diventate "superstar" (così come alcuni siti dedicati agli anni '80 li hanno definiti) da DJ Television… per carità, dovevano pur magnare anche questi, ma perché allora non far entrare nella nostra classifica anche pezzi di livello decisamente superiore? E tra tanti successi “nostrani” spicca anche il ripescaggio di un “vecchiaccio”. Si tratta del buon Joe Cocker, con il tormentone “You Can Leave Your Hat On”, pezzo scritto da Randy Newman. Il pezzo risale al 1972 ed è inserito nell’album capolavoro di Newman, “Sail Away”. La versione originale è splendida: a metà strada tra l’ironico e il triste, quasi uno che da le istruzioni a una prostituta su come spogliarsi… Invece la versione che fa breccia (solo o quasi) nella nostra classifica (pure questa al N. 1) è una versione imbottita di steroidi su cui l’idraulico alcolico gorgoglia… Tutto perché musica il celebre strip di Kim Basinger in “9 Settimane e Mezzo”. La Basinger è splendida, ma il film dimostra come fare un soporifero spot pubblicitario di un'ora e mezza vendendolo come “erotismo da frigorifero”. Il film è oltremodo gradito dalle nostre parti (terzo incasso della stagione dopo "Rambo 2" e "Rocky IV" - per la serie "se non è brutto non lo vediamo") e genererà una serie di strip tease senza fine dietro le veneziane (dalla stellina TV alla casalinga di Voghera, tutte si lanceranno nell’imitare la Basinger con rischio di strangolamento col cavo del telefono). Il film è invece un fiasco negli USA. Vabbè, gli USA son puritani, ma porca miseria, noi non potevamo noleggiarci un bel pornazzo con Moana a sto punto? Ovviamente dopo sto film il brano verrà associato solo agli strip tease, e pertanto, rieccolo comparire, in altra versione steroidea, stavolta di Tom Jones, in “Full Monty”. Ma almeno stavolta il film è divertente e fatto bene… Putroppo la vita è dura e non c’è giustizia: pertanto su youtube non ho trovato la versione originale di Newman. Se non altro a commento di quella del Cocker c'è la Basinger... Dallo stesso film viene estratto anche un altro singolo, la contorta I DO WHAT I DO, che da noi (e negli USA, dove arriva al N. 23) ha successo solo perché la canta John Taylor, il bassista lungagnone dei Duran. L’avesse cantata chiunque altro manco sarebbe stata pubblicata. In Britannia il suo fascino è invece in ribasso (o forse semplicemente ammettono che il pezzo fa schifo) e non va oltre la 42esima posizione…
USCITE CHIAVE Il 26 marzo esce uno degli album più influenti della storia dell’heavy metal: “Master Of Puppets”, terzo album dei Metallica. Siamo già nell’era cartonesca dello street metal e questo album vi si inserisce come un cuneo con il suo thrash metal diretto e feroce. Una combinazione di velocità e aggressività con melodia e complessità che pone i Metallica su un piano completamente diverso da quello dei loro contemporanei. Si tratta di un lavoro ambizioso e, cosa fondamentale, riuscito. Se il tema dell’album è il controllo degli altri, il lavoro dimostra soprattutto la maestria dei quattro burattinai nel riuscire a controllare l’equilibrio tra le componenti thrash e quelle più “canonicamente” mainstream. E nel mantenere tutto coeso. Ne fuoriescono pezzi “mutanti”, in cui da frenetico e aggressivo muro sonoro emergono riff melodici o, come nel brano di apertura, BATTERY (il video è quel che è, ascoltate il pezzo), un intro “delicato” (e spiazzante per chi conosceva i precedenti lavori della band) si deforma in un attacco frontale incessante che poi a suo volta incorpora un riff heavy elaborato. E a “Battery” segue la title-track, con un grande assolo melodico che i(nte)rrompe a metà la cavalcata aggressiva e potente. Altre perle sono, la psicotica e inquietante ballata in levare (pezzo “mutante” o meglio, “schizofrenico”) WELCOME HOME (SANITARIUM) e il tour de force ritmico politico DISPOSABLE HEROES. L’album diventerà senza essere accompagnato da video e promozione, il primo disco d’oro di Hatfield e soci. La band purtroppo perderà il bassista Clifford Lee (Cliff) Burton pochi mesi dopo l’uscita di questo album, il 27 settembre, in un tragico incidente del bus con cui sono in tour in Svezia. Per avere un’idea della sua tecnica, ascoltate la strumentale e progressiva ORION. Sempre a marzo esce "The Colour of Spring", terzo album dei Talk Talk. E il lavoro segna un importante cambiamento. La band smette i sintetizzatori per riabbracciare gli strumenti “normali”, in primis batteria e percussioni. Scelta quasi eretica per una band che con il precedente “It’s My Life” aveva costruito un tassello importante del synth pop anni ’80. Andatosene il tastierista Simon Brenner, la band assolda come produttore Tim Friese-Greene, che diventa di fatto un membro della band, favorendone l’evoluzione del suono (che raggiungerà la definitiva compiutezza con i lavori successivi). E così la band di Mark Hollis passa a suoni più “naturali”, profondamente emotivi, che chiamano in causa paragoni illustri (si scomodano nientemeno che i Pink Floyd). Se il primo singolo, la superba e ritmica LIFE’S WHAT YOU MAKE IT, dimostra che la band ha cambiato corso (e si rivela un hit a sorpresa in patria), una menzione la merita anche la “densa” LIVING IN ANOTHER WORLD (qui la versione uscita su singolo), memore dei precedenti successi che però riscuoterà poco successo come singolo, destino condivisco anche dalla altrettanto bella I DON’T BELIEVE IN YOU. E da citare è anche l’acquerello di HAPPINESS IS EASY. Un lavoro di transizione, ma di quelli che non suonano datati anche all’orecchio odierno. E per un disco uscito nel 1986 è una cosa clamorosa. Il 19 maggio arriva nei negozi invece “So” di Peter Gabriel. È il primo album di studio dell’Arcangelo a presentare un titolo e non il nome dell’artista. È anche il primo che mostra in copertina il volto dell’artista al “naturale”, senza maschere o deformazioni. Ed è il primo dell’artsita con la Virgin. Peter sembra sereno e la musica sembra dimostrarlo. Forse rappresenta il miglior compromesso mai raggiunto da Peter tra “arte” e “popolarità”. Prodotto (forse un po’ troppo – ma è il problema dell’epoca) da Daniel Lanois, il disco presenta ritmiche influenzate dai suoni d’Africa (suonate da gente come Stewart Copeland) che si alternano in perfetta armonia con ballate intimistiche. Dirò la verità, a me DON’T GIVE UP, delicato e disperato duetto con Kate Bush, non è mai piaciuta. Però brani epici come RED RAIN e IN YOUR EYES (in cui fa il suo ingresso nella scena internazionale il musicista senegalese Youssou N’Dour) mostrano l’Arcangelo al meglio. Mentre "Excellent Birds (This Is The Picture)" è frutto della collaborazione con Laurie Anderson. Il disco diventerà un enorme successo grazie alle tracce ritmiche, che sposano influenze world con sonorità black anni ’60. In primavera inizia a scalare la chart il primo e più famoso di questi brani, l’esilarante SLEDGEHAMMER, di cui parlerò quando arriverà in vetta alla Billboard chart, nell’estate 1986. Il 22 marzo esce uno dei capolavori del Quiet Storm anni ‘80: “Rapture” di Anita Baker. La produzione raffinata qui è al servizio di una delle più belle e intense voci del decennio. Ma quello che colpisce è che, nonostante la produzione a tratti riveli in che decennio ci troviamo, non suona plasticoso. Anzi. La 29enne, nata a Toledo (Ohio) e cresciuta artisticamente a Detroit, riesce a compiere il miracolo: dimostrare che nel soul anni ’80 c’è ancora anima. Mentre mostri come Whitney contribuiscono a cancellare ogni emozione sotto chili di drum machine e di strati di melassa, Anita e il suo collaboratore, Michael J. Powell (suo partner nella band soul anni ’70 Chapter 8) dimostrano che il Quiet Storm ha anche un lato emozionale e che romanticismo non significa inondare di zucchero. A metà strada tra jazz e soul commerciale, con sfumature blues e gospel, l’album inanella perle. tra cui l’hit SWEET LOVE, BEEN SO LONG, la jazzata CAUGHT UP IN THE RAPTURE e NO ONE IN THE WORLD. Impreziosite da una voce bellissima che non si limita alla tecnica: emoziona. Farà incetta di Grammy (meritati) e venderà oltre 8 milioni di copie. Fatta anche questa... La prossima volta ci sarà un ritorno sulla scena del delitto, ovvero tratterò la primavera di un anno già visitato in estate. La primavera 1979: apogeo disco, con la nuova onda che si sta alzando. E ve lo confesso spudoratamente: lo faccio per parlare del mio pezzo preferito... Eh già sarò trasparente come il vetro. Se qualche temerario è riuscito ad arrivare in fondo a questo articolo e vuole provare a indovinare... Premi e cotillons in palio!
Marco Fare clic qui per inserire un commento a questa monografia.  
|
  |