( chart USA + UK + Germania, marzo-aprile-maggio )
LA PRIMAVERA DEL 1979 - Balliamo sul Mondo in attesa dell’Onda Stagflazione. Questa è la parola d’ordine del periodo. La crisi energetica raggiunge nuovi picchi, anche a causa della Rivoluzione Islamica guidata dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini che trasforma ufficialmente il 1 aprile 1979 l’Iran in una Repubblica Islamica. Il Regno Unito, colpito duramente dalla crisi e con il numero di disoccupati ai massimi storici, elegge il suo nuovo Primo Ministro: Margareth Thatcher. E intanto, mentre l’Europa e l’Italia sono in pieni anni di piombo, Three Mile Island negli USA è il teatro di una sindrome cinese. Come diranno tra breve gli Chic in “Good Times”, “In giro si dice che si sta facendo tardi / il tempo continua a marciare, non aspetta / le lancette continuano a girare, perché esitare? / Tu, stupido sciocco, non puoi cambiare il tuo destino”. Tanto vale ballare, sapendo bene che la dura realtà ti aspetta là fuori dalle porte della discoteca. L’effetto della febbre scoppiata a fine 1977 è ai massimi storici. Negli USA ci sono oltre 20.000 discoteche e le charts sono dominate da una sfilza quasi continua di numeri uno da ballo, in un’altalena esilarante tra capolavori e orrori. Certo, quando si raggiunge la vetta non si può che scendere. Neppure la Disco potrà cambiare il suo destino. All’inizio magari sarà una Tragedia, ma poi Sopravviverà, come canta una delle sue Regine. E intanto arriva al N. 1 più ambito del Mondo un brano che, partito dal CBGB, finisce dritto allo Studio 54. Un ponte all’epoca eretico, ma che di fatto anticipa quella che sarà la musica del prossimo decennio. E dal sottosuolo new wave germinano piantine che daranno i loro frutti nei decenni a venire: la nuova Onda sta per infrangersi sulle classifiche. Iniziamo dal N. 1? Indovinate, è un pezzo Disco, anzi, per molti, IL pezzo Disco.
Gloria Gaynor – Caduta (dal palco) e resurrezione Nel 1975 la Gloriona (all'anagrafe Gloria Fowles) è stata eletta “Regina della Disco” soprattutto grazie al successo della sua versione del classico "Never Can Say Goodbye". Tuttavia poi è arrivata dalla Germania Donna Summer, che si è arraffata scettro, corona e trono in quattro e quattr’otto, a suon di disco-orgasmi, approfittando anche di una serie di fiaschi incrociati da Gloria. La caduta dell’ex Regina diventa addirittura materiale nel 1978, quando la nostra precipita da un palco. Tra marzo e ottobre 1978 è bloccata in ospedale, dovendo tra l’altro sottostare ad un intervento alla spina dorsale. E giusto per aggiungere disgrazia alla disgrazia, nello stesso periodo sua madre, a cui è molto affezionata, viene a mancare. Uscita dall’ospedale, ancora convalescente, la nostra incontra i produttori Freddie Perren e Dino Fekaris (già autori di un altro classico disco, "Heaven Must Be Missing An Angel" dei Tavares), che le confezionano addosso I WILL SURVIVE, vera e propria dichiarazione di forza da parte di una donna provata dalla vita. E trattata come uno zerbino dal proprio amato. Va detto che all’epoca è felicemente sposata (almeno quello!), per cui il pezzo non ha a che fare con la sua vita amorosa. Per lei significa cantare la propria uscita dal tunnel in cui è sprofondata con l’incidente e la morte della madre. D’altra parte, dopo l’incidente non son pochi i menagrami che danno la “Regina della Disco” come morta. Ebbene, Gloria intende avvisarli che non è affatto detta l’ultima parola… Il pezzo musicalmente è un disco-gospel in crescendo, con archi drammatici e charleston in evidenza. A un intro melodrammatico segue una trascinante sinfonia in 4/4. Il pezzo tuttavia è inizialmente destinato al lato B di “Substitute” (cover disco del successo delle Clout), il primo singolo di Gloria dal suo nuovo album “Love Tracks”. Sono le discoteche a scoprire il lato B. Narra la leggenda che il primo a programmarlo sulla pista sia stato, a fine 1978, il DJ dello Studio 54, Ritchie Kaczor. Al suo battesimo in discoteca il brano produce come primo effetto lo svuotamento della pista da ballo. Kaczor tuttavia non demorde: il pezzo gli piace e lo rimette. E così, dopo qualche passaggio, diventa il pezzo preferito anche del pubblico della discoteca. E dal "54" rapidamente si diffonde anche nel resto di New York, degli USA e del pianeta. La Polydor fiuta l’hit e promuove subito il pezzo in serie A con lo slogan “è più di un hit, è un modo di vivere!”. La Gloria ne registra anche la versione in spagnolo, "Yo Viviré". Il brano entra nella Billboard Hot 100 il 20 gennaio 1979. 12 settimane dopo è in vetta, rimanendovi tre settimane. E in contemporanea arriva in vetta alla UK chart, dove regna per 4 settimane. Di lì a poco è in classifica ovunque. E di punto in bianco Gloria si ritrova tra le mani un altro classico. Uno dei pezzi preferiti a ogni karaoke. Un inno adottato sia dalle donne sia, in seguito alla crisi dell’AIDS, dai gay. Non per nulla comparirà nelle colonne sonore di film come “Priscilla” e, cantata da Diana Ross, “In & Out”. D’altra parte Gloriona ha sempre saputo che il mercato gayo è fondamentale per ogni disco star. E ritornerà nel 1983 con un’altra rivendicazione di autodeterminazione con “I Am What I Am”, tratto dal musical “La Cage Aux Follies”, tratto da “Il Vizietto”. Il pezzo compare in svariate altre colonne sonore, sia di film che di telefilm (mi viene in mente “Medium”). Jim Carrey la canterà nel film “Man On The Moon” nei panni di Tony Clifton, uno dei personaggi di Andy Kaufman, il comico interpretato da Carrey nel film. Il brano, in forma remixata, rientrerà nella Top 5 britannica nel 1993 e, nel 1996, ci saranno ben due cover del brano che si avventureranno nelle classifiche. Notevole quella alternative rock ad opera dei Cake, in cui è invece un uomo che si rivolge alla donna che l’ha zerbinato (tuttavia Gloriona non l’apprezzerà per l’uso della parola “fucking” nel testo, al posto dell’originaria "stupid”). Più fiacca quella ad opera di Chantay Savage (stile R’N’B lamentoso). E il buon Robbie Williams la campionerà nel 2000 per la sua “Supreme”. Da notare che il brano vincerà un Grammy come miglior canzone disco. Sarà l’unica volta in cui verrà istituita questa categoria nella storia del premio. Dopo "I Will Survive", Perren e Fekaris hanno scritto anche un altro grande N. 1 di questo periodo…
Peaches & Herb – Riunione di fatto Parlo di REUNITED di Peaches And Herb. Il brano arriva al N. 1 USA il 5 maggio, rimanendovi 4 settimane. Il duo di soul dolce è nato negli anni ’60 (con la nomea de “gli innamorati del Soul”), formato da Herb Fame (vero cognome Feemster) e Francine Barker. Questa versione del duo chiude nel 1970, e Herb si arruola nella polizia di Washington. Poi, nel 1976 viene messo in contatto con Linda Greene da Van McCoy, il papà di “The Hustle” (e scopritore negli anni ’60 del duo originario). I due quindi formano una nuova versione del duo, ma il primo album , prodotto da McCoy, non lascia traccia nelle classifiche. I due così migrano alla MVP productions di Freddie Perren e realizzano nel 1978 il secondo album “2 Hot”. E diventano “caldi” per davvero. Il primo singolo, la disco SHAKE YOUR GROOVE THING arriva dritta al N. 5 USA. Il secondo estratto è invece, appunto, REUNITED, ballatona tracimante glucosio che tuttavia diventa un hit enorme, vendendo 3 milioni di copie solo negli USA. Il duo replicherà con altri hit nel 1980, e sull’onda del successo ottenuto, registrerà uno special con Bob Hope in Cina nel 1981. Nel 1983 il duo si scioglierà. Herb si riunirà con altre Peaches ma sarà costretto a tornare a fare il poliziotto, anche a causa del mancato versamento dei guadagni da parte della MVP di Perren. Questi sarà costretto a pagare dopo una lunga causa nei ’90. Ora mi sa che Herb non ha più bisogno di fare il poliziotto… La fine di una relazione può essere vissuta nei panni di chi subisce gli eventi, come la Gloria, che tuttavia trova le forze per rialzarsi e proclamare la propria indipendenza, in pieno stile Rossella O’Hara. Ma c’è chi invece molla, e taglia corto definendo il mollato “un fastidio nel culo”. E si tratta del mio primo vero grande amore musicale... Eh già, dovevo capirlo fin da allora che la mia vocazione era quello dello zerbino... Ah, il primo innamoramento. È inutile, è sempre speciale. La rivelazione avviene tramite schermo televisivo (Discoring? Superclassifica Show? Eh, quando i Mammuth ancora vagavano per le lande, mica si avevano ancora 20 canali satellitari che trasmettono musica 24 ore su 24, per tacer di Internet...). A un certo punto compare lei. Una bionda sinuosa circondata da loschi individui. Buca lo schermo con uno sguardo lisergico e provocante cantando un pezzo che sembra una cosa diversa. Non è discomusic, ma le assomiglia. Non è rock, ma non cade lontano da quell’albero. La bellissima bionda si chiama Debbie e sarà il mio primo vero grande amore musicale…
Blondie – Debbie does Disco "Once I had a love and it was a gas / Soon turned out to be a pain in the ass" Ok, nell'anno di grazia 2008 l’ex-playmate Deborah Harry è un’eccentrica carampana che ha oltrepassato le 60 primavere e sfoggia un gusto piuttosto “alternativo” per l’abbigliamento. Ma nel 1979 è la Dea del Sesso ufficiale del pop rock internazionale. Oggetto di studio e culto da parte delle Madonne a venire. E la canonizzazione avviene proprio con HEART OF GLASS. Prima di questo brano i Blondie erano una delle band uscite dal magico calderone punk newyorkese che è il CBGB, di cui rappresentavano l’anima più pop. Ma se in Gran Bretagna, in gran parte dell’Europa e in Australia la bionda Debbie Harry è già famosa, negli States è ancora una perfetta sconosciuta. Dopo questo brano i Blondie diventeranno una delle band pop più popolari del pianeta per un buon biennio. All’epoca i Blondie son formati da Debbie, dal suo compagno, il chitarrista Chris Stein, dal chitarrista Frank Infante, dal bassista Nigel Harrison, dal tastierista Jimmy Destri e dal batterista Clem Burke. Il pezzo in gennaio diventa il primo dei 6 N. 1 UK della band, dominando la classifica britannica per 5 settimane, per poi arrivare al N. 1 in mezza Europa. In aprile arriva al N. 1 della Billboard chart (il primo dei 4 N. 1 USA della band), stabilendo un primato: è il primo brano etichettabile come “new wave” ad arrivare in vetta negli USA. La band è talmente sorpresa dal successo del pezzo che quasi si scuserà con tutti i fan della prima ora per aver accettato di “compromettersi con la commercialità” (parole di Nigel Harrison). In realtà Debbie la vede in modo differente. Il successo commerciale non è negativo di per se, e oltretutto il pezzo è interessante proprio perché è un incrocio di generi. Un mix perfettamente riuscito tra sonorità disco e il sound della new wave. I Blondie infatti son stati tra i primi a tenere i piedi in due scarpe alquanto diverse: il dissoluto tempio della disco (lo Studio 54) e la culla del punk e della new wave newyorkese (il già citato CBGB). Oddio, dopo il successo di questo brano verranno considerati “traditori” sulle sponde punk. E tutto per “colpa” della famigerata “Disco Song”, nome dato al pezzo durante i concerti. Il pezzo è nato con una versione più funk, e risale al 1975. All’epoca si intitola "Once I Had a Love". Il pezzo nasce come provocazione: vogliono far incazzare gli avventori del CBGB con un pezzo che suoni disco, pur incrociata con il punk. A dire il vero prima di essere pubblicato, nel 1978, il pezzo ha assunto un arrangiamento reggae-rock. Ma ecco che entra in scena il produttore Mike Chapman, già pigmalione di Sweet e Suzi Quatro, nonchè produttore di altri N. 1 USA, tra cui "Kiss You All Over" degli Exile e "Hot Child in the City" di Nick Gilder. Chapman ritiene il reggae non adatto al pezzo e agli States, e consiglia di tornare ad un arrangiamento disco, spostandosi però verso la disco elettronica europea, quella del Signor Moroder. La band confessa che il brano viene inserito nell’album “Parallel Lines” giusto per mettere dentro un pezzo un po’ “strano”. E la versione definitiva della canzone flirta con la disco a tal punto che, una volta pubblicata su singolo, si guadagna un party proprio al leggendario Studio 54 patrocinato nientemeno che da Andy Warhol (anche il video del brano è girato nella famosa discoteca). La strofa iniziale, con il riferimento al "problema posteriore", produce non pochi problemi con le radio nei paesi anglofoni. Viene così realizzata anche una versione censurata del brano per poterlo trasmettere (usando al posto di “pain in the ass” l’”heart of glass” del titolo). “Heart Of Glass” lancia in orbita anche l’album che la contiene, il terzo della band, che è ancora al N. 1 UK all’inizio di marzo e che, trainato dal singolo, entra nella Top 10 USA. Si tratta tuttavia del terzo hit tratto dall’album, dato che già “Picture This” e “Hanging On The Telephone” si son avventurate nella Top 10 UK. E da esso verrà tratto un altro N. 1 UK, “Sunday Girl”. Una curiosità: quando arrivano al N. 1 USA i Blondie son in tour in Italia, a Milano. Da noi il brano arriva in Top 3. Però la divertente copertina erotica del singolo italiano è quella impiegata per il precedente “Picture This” in UK… Nel 2007 il brano verrà impiegato in un famigerato spot pubblicitario di “Gucci by Gucci” girato da David Lynch e nella colonna sonora del noir “I Padroni Della Notte” (dove sonorizza una scena decisamente calda), mentre l’intro, realizzato da una drum machine Roland CR-78 verrà campionato nel 2002 da Missy Elliott nella sua minimalista “Work It”. Il successo del singolo dei Blondie è anche merito del già citato energico produttore Mike Chapman (Debbie Harry, pur entusiasta, lo descrive come una sorta di dittatore e il nostro non si smentisce, facendosi fotografare vestito come il Generale Patton su una rivista). Ebbene Mike questa primavera, assieme al compare Nicky Chinn, mette a segno anche un altro hit, più collegato al suono pop-glam detto "Chinnichap", coniato dai due per band come Sweet e Suzi Quatro. Si tratta di SOME GIRLS, secondo (e ultimo) Top 3 UK per la band dei Racey, guidata da Phil Fursdon e Clive Wilson. Il brano che si piazza al N. 2 britannico e nella Top 3 tedesca in un primo momento era stato pensato da Chapman proprio per i Blondie.
Ma torniamo ai N. 1 del periodo e alla Disco. Prima dei Blondie arriva al N. 1 USA una cover da discoteca…
Amii Stewart – Batti il legno finchè è caldo... Eccola qua, con un pretzel in testa a cantare una trascinante versione del classico di Eddie Floyd, KNOCK ON WOOD (già portato nella Top 10 albionica anche da David Bowie). Il brano diventa un enorme successo internazionale (N. 6 UK), arrivando in vetta pure da noi, e proprio nel nostro paese Amii troverà casa a partire dagli anni ’80, quando, svanita la disco, si riciclerà abilmente come cantante soul-pop in virtù delle collaborazioni con Mike Francis e Gianni Morandi. Per tacer del successivo “Segreto Del Sahara” e dei musical. E allora dirà che la disco non le è mai piaciuta... Ovviamente prima che il gallo canti tre volte. Ma torniamo al 1979. Figlia di un impiegato del Pentagono, quinta di sei figli, studia canto e danza sin da piccola. Nel 1975 partecipa al musical “Bubbling Brown Sugar”, finendo prima a Broadway e poi nel West End londinese. Ed è a Londra che incontra Barry Leng, produttore della tedesca Hansa, che, nonostante un’audizione col raffreddore, le produce la cover del pezzo Stax. Il brano originale, scritto nel 1966, non è andato oltre la 28esima posizione negli USA. Amii fa decisamente meglio. La Stewart poi insisterà con qualche cover di troppo (vedi Estate 1979), per poi ricomparire nelle chart internazionali con “Friends”, scritta per lei dal nostro Puccioni, in arte Mike Francis. Da notare che la cantante, intenta ad eseguire “Knock On Wood” con pretzel in testa, verrà interpretata dall’attrice Mary Griffin nel film “Studio 54”. E prima di Amii arrivano al N. 1 USA…
Doobie Brothers – Uno sciocco illuso sul tetto del mondo Quella che all’inizio degli anni ’70 era una semplice band da pub californiana che si manteneva mangiando tutto quello che trovava alla fine delle serate sopra (e sotto) i tavoli, nel corso del decennio è diventata una delle band di punta del pop-rock americano grazie al duo di autori Tom Johnston e Patrick Simmons. A un certo punto tuttavia Johnston, sempre più affetto da problemi legati anche all’uso di droghe, diventa sempre più inaffidabile e la sua creatività sembra evaporare. La band decide quindi di immettere nuova linfa nel proprio organico (per altro già oggetto di numerose modifiche in passato). Il chitarrista Jeff "Skunk" Baxter, già degli Steely Dan, diventa membro stabile della fratellanza nel 1975. E questi propone alla band di assumere il tastierista, autore e cantante Michael McDonald, che entra a sostituire proprio il dimissionario Johnston nel bel mezzo di un tour. E l’effetto McDonald si fa sentire. Se il primo album “Takin' It To The Streets” rivela la trasformazione della band da band pop rock a collettivo funky soul, il pieno potenziale viene raggiunto nel 1979, grazie all’album “Minute By Minute” e soprattutto al singolo WHAT A FOOL BELIEVES, scritto da McDonald con Kenny Loggins. A dirla tutta, una prima versione del pezzo finisce proprio nell’album di Loggins, “Nightwatch”, uscito a fine ’78. Il produttore dei Doobie, Ted Templeman, è tuttavia talmente convinto della qualità del pezzo da farne fare una versione anche alla band. Cronaca dolceamara di un incontro tra due ex amanti, ciascuno con la sua versione della storia (l’uomo, lo scemo del titolo, crede che la loro storia sia stata la più bella della sua vita, la donna non ha esattamente la stessa idea, anzi…), il brano arriva in vetta alla USA chart, diventando il 14 aprile il secondo N. 1 della band (e pure l’album arriva al N. 1), e si porterà via i Grammy come miglior disco e canzone. Da notare che il pezzo stava per comparire sui titoli di testa di un film di successo di questa primavera, “Sindrome Cinese”. Tuttavia poi è stato tolto in quanto ritenuto “non adatto al film”, venendo sostituito da "Somewhere in Between" di Stephen Bishop. In UK invece non impazziranno per il pezzo che non andrà oltre la 31esima posizione. Ah, ovviamente avrete presente questo brano nella versione 2008 ad opera di Neri Per Caso e Mario Biondi… Da notare che il pezzo è l’unico non legato minimamente al mondo disco che arriva in vetta agli USA nel periodo compreso tra il 9 dicembre 1978 e il 25 agosto 1979. E guarda caso, i brani che inaugurano e chiudono questa serie son della stessa band, la più “chiccosa” in circolazione…
Chic – L’amore ai tempi della disco Allora, mentre il ciclone LE FREAK (6 milioni di copie vendute solo negli USA, nonché il brano che renderà più in royalties della storia dopo due pezzi natalizi, ovvero “White Christmas” e “Rudolf La Renna Dal Naso Rosso”) sta lentamente scendendo le classifiche mondiali, la macchina del ritmo di Nile Rodgers e Bernard Edwards (per tacer del metronomo umano, il batterista Tony Thompson) piazza nelle parti alte delle charts un altro hit epocale. Si tratta di I WANT YOUR LOVE, secondo estratto dall’album “C’est Chic”, che arriva al N. 7 USA e al N. 4 UK. La band vestita da stilisti regala un brano sull’amore che rende schiavi, perennemente a cavallo tra rassegnazione e gioia, con campane inquietanti e la formidabile e incessante chitarra ritmica di Rodgers. D’altra parte gli Chic son sempre stati la band che ha guardato cinicamente al mondo sfavillante delle discoteche, mettendone spesso alla berlina l’atteggiamento edonista e sbeffeggiandola (basti pensare a come è nata “Le Freak” – eh, no, ve lo dirò solo quando si parlerà dell’Inverno 1978/79!). E tale cinismo viene usato anche quando parlano dell’amore in 4/4 ai tempi della disco (non per nulla nel loro album “Good Times” l’amore verrà spesso associato al sadismo). Tuttavia Nile e Bernie non si dedicano solo agli Chic. Con tutti soldi che fanno incassare all’Atlantic hanno i discografici ai loro piedi: potrebbero produrre una qualsiasi delle star dell’etichetta, compresa Aretha. Ma i nostri non sono interessati alle star, da bravi iconoclasti. E decidono di diventare i pigmalioni di quattro sorelle che dal 1973 se ne stanno nelle retrovie in attesa della grande occasione. Sono le sorelle Sledge, ovvero Kathy, Joni, Debbie e Kim. Le ragazze son nipoti della cantante lirica Viola Williams e colpiscono il duo di produttori per la loro personalità. E proprio per adeguarla a tale personalità, Rodgers ed Edwards adattano la ritmica Chic a un sound antemico che si avvicina il gospel. L’album che ne deriva parla proprio di queste ragazze e si intitola "We Are Family”. Sono delle “brave ragazze” e infatti ci son problemi proprio per il primo singolo tratto dall’album, che lancia le sorelle nelle Top 10 transatlantiche (N. 6 UK e N. 9 USA). Si tratta di HE’S THE GREATEST DANCER (qui una versione live). Il pezzo, col marchio Chic impresso a fuoco (con una formidabile chitarra), descrive il miglior ballerino della disco usando strofe come “Halston, Gucci, Fiorucci”. Tuttavia rischia di non venire neppure inciso. Le sorelle, da brave figliole qual sono, ritengono il testo troppo osè, in particolare una strofa in cui chiedono al ballerino di “portarle a casa”. Sono preoccupate che la mamma, sentendolo, dica che son diventate delle mignotte! Loro vorrebbero cambiare la strofa con “non andare a casa”, ma Nile si impunta. Non è un pezzo autobiografico, dopo tutto! Le ragazze alla fine cedono e tra un’Ave Maria e un Mea Culpa, registrano le indicibili parole. Però poi, in concerto, pregheranno sempre il Divo della discoteca di “non andare a casa”… L’avventura delle Sorelle Mazza è appena iniziata. A giugno la title-track del loro album sbancherà la chart USA finendo al N. 2 e diventerà un inno valido tanto per i raduni famigliari quanto per le feste sportive. Per tacer dei party per drag queen… Nel 1998 “He’s The Greatest Dancer” verrà vampirizzato da Will Smith, nella sua “Gettin’ Jiggy With It”, che si piazzerà al N. 1 USA. Beh, dato che siamo finiti in pieno territorio disco parlando di sorelle, non possiamo non parlare dei fratelli più famosi del periodo…
Bee Gees – Tregenda in discoteca Eccoli qua, i leviatani della disco. Quelli che hanno provocato la più terribile epidemia di febbre dai tempi della spagnola… Ovviamente un tale successo porta a una conseguenza che è il sogno di ogni artista: la completa libertà artistica e una disponibilità di fondi praticamente illimitata. L’esito di cotante premesse è generalmente di tre tipi: 1) il gruppo fa l’album “artistico” che ha sempre sognato di fare. Il pubblico non lo capisce, fa fiasco, ma tra 20 anni sarà ricordato come il capolavoro della band. 2) Fa l’album “artistico” che ha sempre sognato di fare. Il pubblico e la critica dicono che fa schifo. E tra vent’anni verrà ricordato come la porcheria che ha affossato la band. 3) Fa l’album “artistico” che ha sempre sognato di fare. Solo che di “artistico” non ha poi molto. La critica lo bollerà come un lavoro banale, ma il pubblico, rassicurato dall’effetto fotocopia, lo premierà portandolo in vetta ovunque e comprandolo per più di 20 milioni di unità. Poi lo stesso pubblico dopo qualche mese cambierà idea, dirà che la disco fa schifo, che il gruppo fa schifo e che i Knack sono la più grande band del pianeta e la band non venderà quasi più un disco (a suo nome) per un buon decennio… Secondo voi qual è la risposta giusta per i fratelli Gibb e il loro album “Spirit Having Flown”? Ebbene, il successore di “Saturday Night Fever” arriva al N. 1 USA il 3 marzo, rimanendovi per 5 settimane, poi ingaggia un duello con “Minute By Minute” dei Doobie Brothers e ritorna in vetta per un’altra settimana. L’album arriva al N. 1 anche in UK, il 17 marzo, scalzando i Blondie, ma deve accontentarsi di due sole settimane, in quanto viene scacciato da una raccolta di Barbra Streisand (una futura beneficiata dal Gibb Touch - vedi Inverno 1980/81). In Germania arriva al N. 1 a maggio. L’album è stato anticipato dal quarto N. 1 USA consecutivo del trio, il lentazzo "Too Much Heaven", copia sbiadita di “How Deep Is Your Love”, e a marzo è accompagnato dal quinto N. 1 USA, TRAGEDY (qui una versione Live del 1997), che arriva al N. 1 il 22 marzo, deponendo per due settimane Gloria Gaynor (che poi però ritorna in vetta). Il brano rappresenta una sorta di tour de force produttivo, con tuoni, fulmini e falsetto (a proposito, se volete vedere come hanno ottenuto l’effetto esplosione presente nel brano date un’occhiata a questo documentario). È, a detta dei fratelli, il brano più ambizioso del lotto, in quanto vuole incorporare nel 4/4 disco sonorità rock. L’esito, pur oggi considerato un classico, forse pecca per eccessiva “melodrammaticità”. Che i fratelli abbiano sempre avuto una propensione per testi piuttosto deprimenti o drammatici è un dato di fatto (hanno esordito con il resoconto di un disastro minerario e son andati avanti parlando di naufragi, della morte di Nelson e scrivendo testi allegri come “mi sento bene come se fossi morto”). In questo caso il tragico lamento di uno scaricato viene abbinato a una ritmica disco con arrangiamento drammatico con tastiere gotiche, chitarre ululanti e fiati dirompenti (dei Chicago). Forse se l’avessero cantato nel 1980, in piena era di crociate anti-disco avrebbe avuto più senso. In ogni caso è un N. 1 mondiale. Arriva primo in UK il 3 marzo detronizzando i Blondie e rimanendovi 2 settimane, prima di cedere anche lì alla Gloriona (la bestia nera dei Bee Gees a quanto pare). Da noi svetta, mentre in Germania si ferma al N. 2, tenuto sotto dai Blondie (non so se avete notato, ma praticamente la triade Gaynor-Bee Gees-Blondie monopolizza la vetta delle classifiche del periodo). Il brano che domina le classifiche marzoline è nato in un pomeriggio del 1978 assieme a “Too Much Heaven”, durante una pausa della lavorazione del film a cui stanno partecipando, il memorabile fiasco “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band”. E già che c’erano, la sera compongono “Shadow Dancing”, un altro N. 1 USA, per il fratellino Andy. Praticamente compongono tre numeri N. 1 milionari in un giorno. A giugno arriverà il sesto N. 1 USA consecutivo dei fratelli, “Love You Inside Out”, che consentirà al trio australiano di eguagliare il record dei Beatles. Verranno superati in seguito solo da Whitney Houston. In Gran Bretagna le cose andranno invece diversamente e dopo “Tragedy” non rivedremo i Bee Gees in Top 10 fino al 1987, anno in cui ritorneranno con un nuovo N. 1. E nel gennaio 1999 il brano tornerà in vetta alla UK chart con la cover degli Steps, il cui singolo venderà oltre 1 milione di copie solo nel Regno Unito. Per altre informazioni sulla Tragedia dei Gibb, vi rimando alla Scheda Critica di Luca. Ma se i Bee Gees sfiorano il territorio minato del kitsch, c’è chi in quel territorio ha stabilito la residenza da tempo… Benvenuti in quello che per molti potrebbe essere l’inferno fatto disco. Ma come ben sapete in inferno ci si diverte sicuramente di più che in paradiso... Ma per divertirsi nella selva oscura di note in 4/4 una cautela deve essere osservata: “lasciate ogni buon gusto o voi che entrate”...
Disco Inferno Village People – Ma come fanno i marinai? Loro hanno la risposta! Anche se poi pongono un altro inquietante quesito: “che potrò mai fare in un sottomarino?”. Allora, la creatura a sei teste assemblata dal produttore francese Jacques Morali e da Henri Belolo è reduce da uno di quegli hit destinati a rimanere immortali, quello spottone kitsch ironico sugli Ostelli Cristiani della Gioventù (Y.M.C.A.). E adesso il “People’s Liberation Group” (così amano definirsi i sei – per il loro produttore invece illustrano “lo splendido mosaico rappresentato dal maschio americano”…) invita la gioventù ad arruolarsi in marina perché là ci si diverte per davvero! La Marina USA pensa addirittura di usare il pezzo in questione, IN THE NAVY, come jingle per i propri spot e addirittura ne finanzia il video! Poi qualcuno fa notare da chi arriva il pezzo e ci ripensano… Diciamo che rischiavano di finire dalle parti di “Querelle Du Brest”… Ebbene, sta marcetta con coretto telefonato che ammicca all’omoerotismo da camerata si spiaccica al N. 3 negli USA e al N. 2 in UK, e i suoi interpreti il 19 aprile 1979 finiscono sulla copertina più ambita da tutti i popparoli-rockettari del mondo: quella di “Rolling Stone”. I Village People sono una delle pop band più popolari dell’epoca, con ben due album nella Top 10 USA: “Cruising” (N. 1 in Germania) e “Go West”, anticipato proprio da “In The Navy” e contenente anche la traccia omonima (e successivo hit), vero e proprio coro da spogliarellisti montanari modellato sulla stessa progressione di accordi del ”Canone In Re” del compositore Pachebel, che diverrà un hit anche nel 1993 grazie alla bella cover dei Pet Shop Boys. E intanto “In The Navy” viene pure rifatto dai Muppets in versione vichinga. Niente male per un inno malizioso (probabilmente il pezzo più gayo dell’anno dopo “Super Superman” di Bosè...). Certo, i Village People rappresentano la disco più caciarona, e trionfano grazie a un’esilarante stupidità che diventa contagiosa (e divertente) per chiunque non sia affetto da seriosità congenita. Ma in quanto a trash, c’è chi oltrepassa ogni limite… E indovinate in che paese arrivano al primo posto? Vi do un indizio… Vi si parla il tedesco… Ebbene, in Germania arrivano al vertice nel corso della primavera i Blondie (6 settimane) e Patrick Hernandez (5 settimane) (del quale ho parlato a proposito dell’Estate 1979). Ma a noi interessa il brano che arriva in vetta tra questi due brani, a partire dal 13 aprile… Si tratta del brano che rappresenta la Germania all’Eurofestival 1979, si intitola DSCHINGHIS KHAN (sul video di youtube, preso direttamente dall'Eurofestival, il pezzo inizia dopo 45 secondi, dopo un'inquietante presentazione dell'Eurofestival) e a propinarlo sono, in un tripudio di fantasia, I Dschinghis Khan. Ebbene, possiamo considerarli l’equivalente musicale del terribile condottiero mongolo. Dove passano loro solo macerie e distruzione. Inutile dire che rappresentano in assoluto il peggio che l’Eurodisco può creare, tuttavia proprio perché radono al suolo, polverizzandola, ogni barriera del cattivo gusto, ascoltarli diventa un’esperienza quasi mistica. Il gruppo è assemblato appositamente per l’Eurofestival dal produttore Ralph Siegel. E il nome (nonché il look) derivano dal pezzo che devono eseguire. La band otterrà 4 Top 10 hit in Germania tra ’79 e ’81 (per il secondo, prego passare all'Estate 1979). Tuttavia tuttora godono di una notevole fanbase, probabilmente legata anche all’aspetto ultra-trash della band...
Se tuttavia ci son titoli "infernali", non mancano assolutamente anche i brani "paradisiaci". In realtà anche il Paradiso è un tema che compare spesso nei titoli danzerecci del periodo. E parlando di Paradiso e Santi, non si può parlare che della Maria Maddalena della disco music, la meretrice redenta, che dopo aver orgasmato e invitato l’amato a “venire tra le sue braccia”, ora vuole parlare di Gesù e addirittura vince un Oscar...
Donna Summer – Il paradiso è un Oscar (e un futuro marito) Alla consegna dei 51esimi Academy Awards, che si tiene il 9 aprile (un po’ in ritardo rispetto alle edizioni più recenti), la nostra vince l’omino dorato per la miglior canzone da film con “Last Dance”, pezzo tratto dalla colonna sonora di “Grazie A Dio è Venerdì”, filmetto che cavalca la moda disco. La concorrenza annovera Olivia Newton-John col pezzo da “Grease” “Hopelessly Devoted To You”, nominabile in quanto non presente nel musical teatrale d’origine ma realizzato appositamente per il film. Curiosamente non vengono nominate né "You're The One That I Want" nè "Grease", entrambi scritte appositamente per il film, ma in compenso viene nominata una canzone tratta da un film di Lassie. Eh, non per niente l’Academy è formata da vegliardi… In ogni caso la vittoria del pezzo della Summer sembra un risarcimento per aver snobbato l’anno prima la colonna sonora di “Saturday Night Fever”. Il pezzo comunque non è malaccio ed è la prima canzone disco che presenta un intro lento, alla “I Will Survive”. A dire il vero l’Oscar lo ritira Paul Jabara, autore e produttore di “Last Dance” (che si porta a casa anche un Grammy). In ogni caso “Last Dance” è un successo del 1978, e ora siamo in pieno 1979. E parliamo quindi dell’hit primaverile di Donna: HEAVEN KNOWS (ecco qua il Paradiso, o meglio il Cielo!). Un altro pezzo disco con un testo drammatico (eh si, è la tendenza). Narra la storia di una donna che cerca disperatamente di salvare il proprio matrimonio nonostante una caterva di rogne. La Regina della Disco la interpreta con i Brooklyn Dreams, duettando con il loro cantante Joe "Bean" Esposito. Il pezzo è scritto dalla Summer con gli immancabili Pete Bellotte e Giorgio Moroder, a cui per l’occasione si unisce il tastierista Greg Mathieson, e si piazza al N. 3 USA a marzo. Da notare la Summer sposerà uno dei membri dei Sogni di Brooklyn nel 1980: si tratta di Bruce Sudano e i due son tuttora felicemente sposati (a volte succede!). Insomma, se il matrimonio cantato incontra sfighe a profusione, quello vero evidentemente funzionerà bene. Come funzionerà alquanto bene il nuovo album di Donna, anticipato da un singolo che a maggio inizia una rapida ascesa verso il Paradiso: “Hot Stuff”. La title track di quell’album sarà firmata da Donna assieme al futuro marito e alla sua band. Ma di tutto questo ne parlo nell’Estate 1979... Restando in tema di Oscar, va segnalato che evidentemente l’Academy s’è svegliata di botto e premia anche il pigmalione di Donna, ovvero il nostro Giorgio Moroder, compositore della colonna sonora di “Fuga Di Mezzanotte” (“Midnight Express”), il cui tema principale, CHASE (che musica appunto la scena dell’inseguimento del protagonista da parte dei poliziotti), approda nella Top 40 americana in marzo. Il Munich Sound robotico approda al cinema e fa la sua bella figura. Ovviamente Giorgio negli anni a venire si beccherà altri Oscar.
Disco Lazzaro: alzati e fai ballare! Iniziamo da Edwin Starr. L’interprete del N. 1 USA del 1970 “War” manca dalle classifiche da 8 anni, quando la sua CONTACT, un convincente disco funk elettronico, arriva al N. 6 UK ad inizio marzo. E già che c’è replica a maggio con H.A.P.P.Y. RADIO, che arriva al N. 9 britannico. Un altro nome che manca dalle classifiche dal 1970 e vi ritorna proprio grazie alla Disco, che funziona meglio del Gerovital, è quello di Gene Chandler, all’anagrafe Eugene Dixon. Il cantante di Chicago, noto anche come “The Duke”, è arrivato alla fama nel lontano 1962 con un N. 1 USA, "Duke of Earl" (dal quale prenderà il soprannome). Già collaboratore di gente come Curtis Mayfield e Jerry Butler, ritorna nelle charts con GET DOWN, altro esempio di disco-funk, che si piazza al N. 11 UK. Da notare che nell’estate 1979 una cover di "Duke of Earl" arriverà al N. 6 UK grazie ai revivalisti del rock'n'roll The Darts.
Cher – La Vichinga Disco Si tratta di Cherilyn Sarkisian La Pierre, che firma per la Casablanca Records e ritorna a maggio nella Top 10 USA con TAKE ME HOME (N. 8 USA), pezzo disco tratto dall’album omonimo, il suo quindicesimo, sulla cui copertina la nostra compare (s)vestita da dea vichinga (in tipico stile da disegno sui camion). E la cantante, fresca del secondo divorzio, quello da Gregg Allman (dal primo marito Sonny Bono ha divorziato nel 1975), si accompagna a Gene Simmons dei Kiss e ritorna al tanto agognato successo discografico che le mancava dal lontano 1974 (l’album venderà oltre 6 milioni di copie). L’album sarà seguito nel corso dello stesso anno da “Prisoner”, sulla cui copertina Cher appare nuda in catene. L’album andrà meno bene, ma non temete, negli anni ’80 l’indistruttibile diva (beh, con tutta la plastica che ha addosso è praticamente immarcescibile) risorgerà dalle ceneri per l’ennesima volta (e non l’ultima!), diventando pure un’attrice da Oscar. All’epoca i britannici snobbano Cher in versione disco, tuttavia “Take Me Home” arriverà al N. 2 UK nel 2001 grazie alla cover di Sophie Ellis Bextor. Da notare tuttavia che la carampana non gradirà la nuova versione, in quanto Sophie modificherà leggermente il testo rendendolo un po’ più “spinto” (Cher che si lamenta di una cosa spinta?!?). E giusto perchè l'abbiamo nominato, Gregg Allman, l'ex maritino di Cher, ritorna nella Top 10 USA degli album con "Enlightened Rogues", l'album che segna il ritorno della Allman Brothers Band, storica e sfortunatissima formazione del Rock Sudista. CRAZY LOVE (sample audio su last fm) è un hit medio (N. 29 USA), ma ormai i tempi d'oro della band son passati. Qualcono potrà obiettare che il Southern Rock sta alla Disco come i cavoli a merenda! Beh, non esattamente... Perchè c'è pure chi si piazza in classifica incrociando il Southern Rock con la Disco! Tale connubio è realizzato da un altro grande veterano, Randy Bachman (già dei Guess Who e dei Bachman-Turner Overdrive), che ritrova le classifiche con la sua nuova band, gli Ironhorse. La band approda nella Top 40 USA in maggio sfruttando una ritmica disco con SWEET LUI-LOUISE, brano che ricorda la passata produzione di Bachman con i BTO (anche se Randy dice di essersi ispirato a Buddy Holly e la sua "Peggy Sue"). Da notare che il singolo otterrà un successo in proporzione maggiore sulle nostre sponde.
Wings – Buonanotte Macca A dire il vero per Sir Paul McCartney c’è stata una lieve flessione di popolarità: i suoi ultimi due singoli hanno fatto flop. "I've Had Enough" e "London Town" infatti non hanno raggiunto la Top 40 britannica. Oddio, parlare di crisi è piuttosto eccessivo. Dopotutto nell’ultimo annetto e mezzo la band è diventata la titolare del disco più venduto di sempre (all’epoca) in Gran Bretagna (vedi Inverno 1977/78), nonché dell’ennesimo N. 1 USA (“With A Little Luck”). Forse il fatto che quei due singoli abbiano fatto flop è dovuto al fatto che è necessario dare un ritocco alla formula. Urge dunque un rimedio. Pare di vederlo nel salotto del suo cottage scozzese, signorilmente seduto sulla poltrona, mentre, pensieroso, si fa una canna… Ed ecco che arriva l’idea: perché non fare un pezzo che suona come quel genere che sta andando, si quello che si balla in quelle sale piene di luci strane? D’altra parte se Mick e i ragazzi hanno fatto un pezzo di quel genere perché non potrebbe riuscirci lui! Poi è un bassista e il segreto di un buon pezzo disco è proprio un bel giro di basso. Che John gli dia pure del venduto di nuovo! John non scrive più un pezzo da anni! E poi, il gusto di John non è legge… basti pensare cosa si è sposato! E giusto per fare qualcosa di diverso, perché non mettere qualche break di chitarra flamenco? Il testo, mah, basta fare un bel gioco di parole che si adatti alla musica. Quella è importante, specie se si vuol far ballare. Le parole devono servire come arricchimento del suono. E così ecco Paul e le sue Ali (a cui si son aggiunti di recente Laurence Juber e Steve Holly) piazzarsi trionfalmente al N. 5 su ambo le sponde atlantiche con GOODNIGHT TONIGHT, un pezzo disco decisamente ben fatto (compresa la grandiosa versione mix di oltre 7 minuti, regalatami per il compleanno da una zia che evidentemente si è fatta ben consigliare – mica come l’amica di famiglia che mi ha rifilato “Tu Sei L’Unica Donna Per Me”!). Curiosamente il brano, che in un primo momento è stato annunciato col titolo “Don’t Say It”, nonostante il successo, non viene inserito nell’album dei Wings che esce a giugno, “Back To the Egg”, per il quale assembla un cast di collaboratori faraonico, ma che si rivelerà nel complesso una delusione. Piccola digressione dal sound Disco per rimanere a parlare di Beatles. Mentre la sua ex moglie Pattie Boyd (musa di “Something”) convola a nozze con Eric Clapton (che le ha dedicato l’album “Layla and Other Assorted Love Songs” nonché la ballata “Wonderful Tonight”), George Harrison (già risposatosi nel 1978) pubblica un album che porta il suo nome, da cui viene tratto il delizioso hit BLOW AWAY (N. 16 negli USA), scritto a quanto dice la leggenda in una giornata piovosa...
Miscellanea Disco Accanto a star in rispolvero, grandi artisti che hanno segnato l’era ed “esterni” che sperimentano le sonorità, ci sono numerosi nomi che son durati giusto qualche hit, ma che hanno contribuito non poco a segnare il periodo… Eccone una piccola carrellata! I Gary’s Gang sono una garage band che arriva da Queens e piazza al N. 8 UK KEEP ON DANCING, che si ferma invece a N. 41 negli USA (pur arrivando in vetta alla dance chart). Da notare che nel Regno Unito la gente pensa si tratti di Gary Glitter sotto uno pseudonimo. Ovviamente non è così, in quanto il nome della band deriva dal batterista e cantante Gary Turnier. Il successo del brano li porta a realizzare in velocità l’album omonimo. I successivi album e singoli non replicheranno, tuttavia la band godrà di un discreto successo nelle discoteche anche nel biennio 1982/83. Per la cronaca oggi Turnier è preside di una scuola a Long Island. Se avete iniziato a ballare con la Gary’s Gang, non potete certamente terminare con Gonzalez, la cui HAVEN'T STOPPED DANCING YET arriva al N. 15 UK. Il pezzo verrà rifatto in modo orrendo 10 anni dopo e portato nella Top 10 UK da Pat & Mick, ennesima produzione degli orridi Stock Aitken & Waterman.
Altri hit del periodo Iniziamo con il lentazzo che scalza la Gaynor dal N. 1 britannico. E a proporlo è la metà di uno dei duo di maggior successo di sempre…
Art Garfunkel – Occhi di coniglio Il buon Art ottiene un clamoroso N. 1 britannico per la bellezza di 6 settimane grazie al tema del film di animazione “La Collina Dei Conigli”, BRIGHT EYES. Scritto da Mike Batt, è ispirato all’autore dalla morte per cancro del padre (gli occhi del titolo si riferiscono all’effetto dei farmaci oppiacei). Nel film si lega al passaggio da vita a morte del coniglio Hazel. Il singolo vende solo in UK oltre 1 milione di copie, mentre non entra nella Hot 100 USA. Da notare che è solo il secondo hit solista di Art in UK e che anche il suo predecessore, la cover di "I Only Have Eyes For You" del 1975, è arrivato al N. 1 (e pure quello parlava di occhi...). Una curiosità: mentre questo brano trionfa oltremanica, la stampa USA si scatena su un tragicomico fatto che riguarda il presidente Jimmy Carter: mentre sta pescando viene attaccato da un coniglio selvatico… Che fosse uno dei conigli del film? Ciliegina finale: “Bright Eyes” è il singolo al N. 1 quando la Thatcher diventa Primo Ministro.
Dire Straits – La chitarra di Mark arriva in classifica "Harry doesn't mind if he doesn't make the scene, he's got a daytime job, he's doing all right". Con un vero e proprio manifesto programmatico irrompono in modo strepitoso sulla scena i Dire Straits di Mark Knopfler. La band mette in chiaro subito le sue intenzioni: non ci tengono proprio ad essere la band più “cool” in circolazione. Di fatto gli Stretti Perigliosi (traduzione letterale di un'espressione che sta in realtà ad indicare "Tempi Difficili" - grazie a Mario Bonatti per l'imbeccata -, nome che deriva dal fatto che all’epoca la band è al verde e sta attraversando un periodo finanziario a dir poco problematico) sono una specie di oggetto misterioso per l’epoca, dato che non corrispondono a nessuna delle correnti musicali contemporanee. A Mark e soci interessa solo suonare la musica che piace a loro, a prescindere dalle mode, alla stregua dei protagonisti del loro primo grande successo, SULTANS OF SWING. Il racconto dylanesco (nel senso di Bob) di una band che si riunisce nel dopolavoro e a cui non interessano fama o successo ma che suona solo per il piacere di farlo. Il brano sembra sia stato ispirato a Mark da una serata passata ad ascoltare un gruppo in un locale: i suoi membri sul palco hanno un aspetto anonimo, ma la musica che producono è coinvolgente. A dire il vero c’è anche un’altra teoria, che indica proprio in Mark e compari la band su quel palco. All’epoca la band è un quartetto formato da Mark, da suo fratello David (chitarra ritmica), da John Illsley (basso) e da Pick Withers (batteria). Formatisi nel 1977 a Newcastle, i quattro suonano un rock molto classico, tecnicamente ineccepibile, lontano anni luce dalle sperimentazioni post-punk e dagli orpelli produttivi in cui si è cacciato il rock da stadio di fine anni ’70. L’ascesa di una delle band di maggior successo degli anni ’80 ha così inizio con i Sultani dello Swing. A dire il vero gli Stretti ci hanno messo un bel po’ prima di sfondare nelle Top 10 su ambo le sponde dell’Atlantico. Il singolo nasce come un demo che entra in rotazione a Radio London. Questo attrae i discografici della Phonogram che offrono un contratto alla band e pubblicano il pezzo su singolo nel maggio 1978. Praticamente non se ne accorge nessuno. In ottobre esce l’album di debutto, chiamato come la band. La band lo registra per 12.500 sterline per la Vertigo, sussidiaria della Phonogram. L’album esce e passa inosservato. Almeno fino a che Karin Berg, responsabile degli artisti e talent scout presso la Warner di New York (tra le sue scoperte ci sono Television, B-52’s e R.E.M.), si innamora del disco e convince la casa discografica che il disco sia quello che la gente, sopraffatta dalla disco, sta cercando. L’album viene così pubblicato dalla Warner in America non senza problemi (parte della compagnia non lo ritiene adatto al pubblico). La Berg tuttavia rivela di aver fiuto e il disco entra nella Top 10 USA in febbraio: arriverà al N. 2 (bloccato solo dai Doobie Brothers), vendendo oltre 1 milione di copie. E l’album è accompagnato dal singolo, che arriva al N. 4 della Hot 100 in aprile. Il successo americano fa da sponda per quello britannico e singolo e album si piazzano nelle agognate patrie Top 10 (il primo arriva al N. 8, il secondo al N. 5). La mossa viene poi ripetuta nelle classifiche di numerosi altri paesi (ovviamente non da noi). SULTANS OF SWING contiene uno dei migliori assoli di chitarra di sempre, che verrà esaltato nella versione live contenuta in “Alchemy”. E in cui emerge l’influenza di David Gilmour dei Pink Floyd. Da notare che il brano presenta anche una (supposta) citazione per George Harrison: "Guitar George, he knows all the chords, but he's strictly rhythm,he doesn't want to make it cry or sing", con riferimento al pezzo beatlesiano “While My Guitar Gently Weeps”, in cui il lamento della chitarra è suonato da Eric Clapton. Ed Eric suonerà con Mark una clamorosa versione dei Sultani di 11 minuti nella storica esibizione del 1988 al Nelson Mandela 70th Birthday Tribute Concert di Londra. E già che ci sono eccovi anche l'esibizione al Live Aid! Non so se l’avete notato, ma le classifiche sono stracolme di gruppi “a conduzione famigliare”. La fratellanza Doobie, i fratelli Gibb, le sorelle Sledge, i fratelli Mael e Knopfler, per tacer dei Jackson… E ora andiamo in Irlanda a trovare un'altra guitar band...
Thin Lizzy – La rosa nera di Phil e Gary Parlando di grandi band con grandi chitarristi, passiamo agli irlandesi Thin Lizzy. La band riesce a trattenere l’irrequieto chitarrista “intermittente” Gary Moore il tempo necessario per farlo suonare in un intero album. Moore infatti, già compare del cantante Phil Lynott nella band Skid Row (nulla a che vedere con la band hard rock americana di fine anni ’80), è entrato e uscito dalla band più volte, sia nel 1974 che nel 1977. Ora Moore arriva per sostituire con la sua chitarra blues Brian Robertson, e questo influisce sul suono del nuovo album della band, che esce nell’aprile 1979, “Black Rose: A Rock Legend”. L’album, registrato a Parigi, arriva in maggio al N. 2 della classifica britannica diventando il maggior successo della band oltremanica. Dall’album vengono tratti ben tre hit: WAITING FOR AN ALIBI (N. 9 UK) (uno dei classici del gruppo), DO ANYTHING YOU WANT TO (N. 14) e SARAH, dedicata alla prima figlia di Lynott. Per quest’ultimo brano Moore registra ben sette tracce di chitarra che vengono sovrapposte. L’album è di fatto l’unico in cui la chitarra di Moore duetta con quella di Scott Gorham, dato che Moore lascerà la band poco dopo. Rimarrà tuttavia sempre amico di Lynott. E proprio con l’aiuto di Lynott, Moore realizza in contemporanea all’album dei Thin Lizzy il proprio album di debutto solista, “Back On The Streets”. L’album è anticipato da un singolo, PARISIENNE WALKWAYS, in cui alla chitarra di Moore si associa la voce di Phil Lynott. Il singolo si piazza al N. 8 della UK chart in aprile, poco prima dell’uscita dell’album dei Lizzy. Il chitarrista, fulminato da un’esibizione di Jimi Hendrix, si mantiene fedele alle sonorità blues-rock che ne caratterizzeranno sempre la carriera, regalando un pezzo notturno che evoca vicoli nebbiosi. La primavera porta il primo successo anche per una band che nel 1974 ha aperto i concerti dei thin Lizzy e che è influenzata dalla band irlandese… Si tratta dei "Metal Gods", ovvero i Judas Priest, formati all’epoca da Rob Halford, K.K. Downing, Ian Hill e Glenn Tipton, oltre che dal batterista, temporaneo, Les Binks. I Priest ottengono il loro primo hit con TAKE ON THE WORLD, che arriva al N. 14 britannico in marzo. Il singolo è tratto dal loro quinto album, “Killing Machine” che segna lil passaggio a un suono più semplice e diretto e la definitiva adozione dell’immagine pelle e borchie che caratterizzerà la band. Negli Stati Uniti verrà ribattezzato “Hell Bent For Leather”, perché ai discografici non piace l’idea di un titolo che evochi un delitto…
Kate Bush – Kate va alle crociate (ovvero in Tour) con Cuor Di leone, il suo figlio "sfortunato" Miss Kate Bush, dopo lo straordinario successo dell’album di debutto “The Kick inside” e in particolare delle sue splendide Cime Tempestose, pressata dalla EMI, ha pubblicato il 13 novembre 1978 l’album “Lionheart”. L’album, registrato in Francia (l’unico realizzato fuori dall’Inghilterra della sua carriera) deve il nome al brano "Oh, England, My Lionheart", racconto di un pilota abbattuto che prima di schiantarsi al suolo osserva per l’ultima volta la patria. Ebbene questo descrive più o meno l’esito nelle classifiche dell’album, che arriva al N. 6 britannico salvo poi precipitare. Anche perché il primo estratto, “Hammer Horror”, fa (ingiustamente) flop, non riuscendo neppure ad entrare nella Top 40 britannica. Il pezzo è un omaggio ai film dell’orrore della Hammer, la casa inglese responsabile di successi come il Dracula con Christopher Lee. Narra di un attore che ottiene la parte principale de “Il Gobbo Di Notre Dame” ma viene ossessionato dall’attore a cui ha soffiato la parte. Per fortuna di Kate le cose migliorano con il secondo singolo, WOW, che si piazza al N. 14 UK. Il brano è un tentativo di imitare le sonorità del pigmalione David Gilmour e della sua band. Il pezzo è una sorta di parodia dello show business e diverrà a sua volta oggetto di varie parodie. Kate odia il video girato all'epoca tanto che quando pubblicherà la raccolta “The Whole Story” lo sostituirà con un nuovo filmato. E sarà questo il brano che Miss Bush presenterà in qualità di ospite straniero a San Remo 1979. In ogni caso la Signorina Cespuglio non nasconderà il fastidio per essere stata costretta a realizzare un album in fretta. Per ovviare a questo inconveniente creerà la Kate Bush Music e la Novercia, compagnie gestite direttamente da lei che le assicureranno la gestione del proprio catalogo senza imposizioni altrui. La Emi la costringe pure a fare un breve tour promozionale. E così per la prima e unica volta Miss Kate si ritrova su un palco per un tour, il The Tour of Life, tra il 3 aprile e il 10 maggio 1979. Con la consueta pignoleria maniacale ne cura tutti gli aspetti ed è la prima artista ad impiegare sul palco un microfono radio che le consente di esibirsi con complicate coreografie mentre canta. Non lo rifarà più. Alcuni dicono perché i suoi lavori poco si prestano ad essere suonati dal vivo. Altri adducono varie manie e fobie della nostra. Altri dicono che sia il risultato dello shock provocato dalla morte del suo direttore delle luci, Bill Duffield, che a soli 21 anni perde la vita cadendo da un’altezza di 6 metri durante il suo concerto del 20 aprile 1979 al London Palladium. Il 12 maggio Kate tiene un concerto per raccogliere fondi per la famiglia dello scomparso allo Hammersmith Odeon di Londra il 12 maggio, con Peter Gabriel e Steve Harley. Le due date finali, all’Hammersmith verranno registrate e pubblicate nell’unico live di Kate, “Live At The Hammersmith Odeon” (qui "Wow" live). Il 21 aprile Kate partecipa a uno special pasquale in Svizzera con “Wow”. E a presentarla sono nientemeno che Björn Ulvaeus e Benny Andersson. Lo show è infatti uno special degli Abba… Il palindromo più famoso della storia del pop pubblica infatti il 23 aprile il sesto album, “Voulez Vous”, con cui il quartetto spinge l’acceleratore sui suoni disco (vedi anche Estate 1979). L’album è il primo registrato ai Polar Music Studios di Stoccolma, lo studio di registrazione creato da Benny e Björn utilizzando tutta la miglior tecnologia a disposizione (vi registreranno album band come i Genesis e i Led Zeppelin) ed è anche l’unico che presenta tracce registrate fuori dalla Svezia (per l’esattezza a Miami). L’album contiene un pezzo uscito a gennaio e destinato a raccogliere fondi per l’UNICEF, CHIQUITITA, N. 1 in una decina di paesi. Ne riparlerò. Il secondo estratto invece è DOES YOUR MOTHER KNOW? un pezzo molto particolare, in quanto è cantato da Björn Ulvaeus. Non è la prima volta che i barbuti maschietti degli Abba cantano un pezzo, ma è la prima volta che un brano non affidato a Frida e Agnetha viene pubblicato su singolo. Il tema d’altra parte parla di un uomo che flirta con una ragazza molto più giovane e musicalmente ricorda i pezzi degli anni ’60. Il pezzo esce in aprile e si piazza nelle Top 10 di mezza Europa, arrivando al N. 4 UK e al N. 10 tedesco. Negli States arriva a un onorevole 19esima posizione. Le classifiche europee traboccano di gruppi che si rifanno al suono dei quattro di Svezia. Alcuni son decise fotocopie, come i Brotherhood Of Man, altri si limitano a sfruttarne la formula sulla strada del pop facile melodico. Tra questi, le Clout. Le ho già nominate prima, parlando di Gloria Gaynor. Si tratta di un gruppo tutto al femminile di origine sudafricana (!). E dopo il grande hit del 1978 "Substitute" (quello poi rifatto da Gloria), adesso piazzano nelle chart europee un altro successo pop, SAVE ME, che arriva al N. 4 tedesco. In questo periodo tuttavia le classifiche europee son invase anche da un easy listening strumentale che vede tra i suoi principali artefici il francese Richard Clayderman (vero nome Philippe Pagès), che per la gioia di nonne e zie piazza tra i singoli tedeschi BALLADE POUR ADELINE (pezzo scritto nel '76 da Paul de Senneville per la propria figlia) e svetta tra gli album teutonici con "Träumereien". L'album del pianista francese rimane in vetta in Germania per 7 settimane tra marzo e maggio e segue altri album analoghi al N. 1, realizzati da James Last (titolare dell'orchestra che spesso accompagna Clayderman) e dal nostro Nini Rosso. Praticamente un'epidemia. Dopo di lui la musica cambia, e il Regno di Terrore finisce con l'arrivo in vetta dei Supertramp...
Ma come detto nell’introduzione, c’è un nuovo genere che sta arrivando. Ed è ora di parlarne...
La Nuova Onda sta per diventare uno Tsunami Allora, nell’articolo dedicato all’Estate 1979 abbiamo “chiarito” (?) il significato del termine New Wave. All’epoca il il calderone che raggruppa tutta la musica che costituisce il Post-Punk sarà già la musica dominante in UK. In primavera l’onda sta montando e sta per abbattersi sulle classifiche, anche se le prime gocce sono già cadute. Se i Blondie fanno en plein miscelando pop, punk e disco, ci son tuttavia molti artisti che stanno emergendo e piazzano i primi grandi hit. Ovviamente la classifica più attenta a queste novità è la britannica, ma l’onda non risparmierà nessuna sponda.
Elvis Costello & The Attractions – L’esercito di Mr. McManus L’Elvis britannico (all’anagrafe Declan MacManus) e le sue Attrazioni ottengono a marzo il loro più grande hit con OLIVER'S ARMY, che si piazza al N. 2 UK. Il pezzo è il suo primo Top 10 UK ed è tratto dal terzo album “Armed Force” (il cui titolo in origine doveva essere “Emotional Fascism”, ovviamente cambiato dalla casa discografica), anch’esso N. 2 UK. Narra la leggenda che il brano, antimilitarista, sia stato scritto in aereo dopo una visita a Belfast. Elvis è sconvolto dalla visione di giovanissimi soldati britannici con mitra e di fatto critica le forze militari britanniche che puntano ad arruolare i giovani disoccupati delle classi più basse, spesso reclutandoli direttamente al termine delle scuole dell’obbligo, a 16 anni, offrendo la vita militare come “l’unica possibilità di carriera” (all’epoca la disoccupazione è altissima in UK). E l’Oliver del titolo altri non è che Oliver Cromwell, leader del parlamento opposto a Re Giorgio I e creatore durante la guerra civile inglese del New Model Army (un esercito formato da professionisti), prima versione del moderno esercito britannico. Oltretutto Cromwell invase l’Irlanda e si rese responsabile di fatto di un genocidio (e così vi siete beccati pure una lezioncina di storia...). Il pezzo, oltre a parlare del Nord Irlanda, fa una bella panoramica su tutte le zone del Mondo "calde" dell’epoca, il Sudafrica, la Palestina, Berlino e Cipro. Il testo include anche una strofa che causa non poche polermiche: "All it takes is one itchy trigger, One more widow, one less white nigger". Negli USA viene considerata razzista (anche per quanto succede in Ohio, di cui parlerò dopo), tuttavia il termine “white nigger” è il termine dispregiativo usato dagli inglesi per indicare gli irlandesi. E l'occhialuto cantautore lo usa proprio per evidenziare la mentalità fascista dell'esercito. Nonostante i contenuti, musicalmente invece è un pezzo allegro, con un giro di basso ispirato a “Dancing Queen” degli Abba. L’intenzione di Elvis è esplicita: fare un brano che la gente si ritrovi a canticchiare ovunque nonostante i temi trattati. Diciamo un altro brillante esempio di come fare una canzone politica ma confezionata in modo da piacere al pubblico… Per i contenuti viene visto come la peste dalle Radio USA, e pertanto non diventa un hit. Invece l’album, prodotto da Nick Lowe, diventa anche un successo oltreoceano, arrivando nella Top 10 di Billboard. L’album rappresenta il vertice della carriera di Costello, sia artisticamente che commercialmente. Elvis mostra una padronanza della melodia pop ineguagliabile. E le sue feroci analisi dei giochi di potere nei rapporti umani, da quelli più personali a quelli politici sono accompagnate da arrangiamenti che richiamano gli anni ’60, con organetto Farfisa in prima linea. Divertente che il recensore di “Ciao 2001” (si dice il peccato, non il peccatore) abbia parlato di quest’album come di “un’esaltazione in chiave pop-rock dell’esercito, della guerra, della forza militare”. Ma i testi li aveva letti (non dico capiti) o si era fermato ai titoli? Comunque è divertente ripassare i vecchi numeri di certe riviste. Specie per rendersi conto di quante cazzate si siano scritte. E di come alcuni album siano stati recensiti. E di come l’ignoranza spesso regnasse sovrana. In effetti fa sorridere osservare dissertazioni intinte nell’ideologia sui Bee Gees (“Oddio, il disimpegno”!) o disfide tra sostenitrici (inde)fesse di Travolta e amanti delle stitiche nenie dei nostri cantautori "politicamente impegnati", per tacer dei dinosauri musicali inneggianti agli ELP nonostante questi fossero ormai superstracotti… vabbè, oggigiorno col senno di poi e con la valanga di informazioni a disposizione viene proprio da dire che un certo progresso c’è stato… Forse a non progredire è certa gente… Basta digressioni! Lasciamo le nostrane miserie e torniamo ad Elvis! Come già detto, l’album è l’unico Top 10 americano del musicista di Liverpool. Purtroppo il successo americano subirà uno stop a causa di una controversia. Una sera a Columbus in Ohio, completamente sbronzo, durante una discussione con il team di Stephen Stills inizia ad insultare mezzo mondo musicale. E i suoi commenti su James Brown e Ray Charles (definiti “negri”) finiscono sui giornali. Si scuserà subito (peraltro è sempre stato un sostenitore di campagne antirazziste in Gran Bretagna, per cui non sembra il candidato ideale per il KKK), ma il danno sarà fatto. Non tornerà più negli USA fino al 1981 e la sua carriera oltreoceano di fatto si bloccherà, anche perché la Columbia deciderà di non promuoverlo più. Ray Charles comunque lo perdona subito, dicendo che “quel che si dice da sbronzi non deve essere pubblicato”. Una curiosità: nel 2004 un altro brano da Top 3 UK citerà Cromwell (sperando che prima o poi gli Inglesi sputeranno sul suo nome…): si tratta di "Irish Blood, English Heart" di Morrissey. E si pongono le basi anche per il revival ska: nasce la 2-Tone, fondata dagli Specials che pubblicano il loro primo disco, un 45 con sul lato A “Gangsters” e sul lato B “Selecter” dei Selecter. Troverete informazioni a riguardo nell’Estate 1979. Il disco diverrà un successo da Top 10 in estate e proprio Costello produrrà il primo album della band. Invece Nick Lowe produce anche il singolo d'esordio in classifica di una nuova band che, dopo aver firmato il 21 marzo un contratto con la Sire Records, arriva al N. 34 UK. La band, anglo-americana, è capitanata da una rocker mora dell’Ohio di nome Chrissie Hynde: si chiamano Pretenders e il loro primo (piccolo) hit si intitola STOP YOUR SOBBING, cover di un pezzo del 1964 dei Kinks.
Lene Lovich – Lili-Marlene da i numeri Il N. 3 invece è il numero fortunato di Lene Lovich, dato che è quella la posizione raggiunta da LUCKY NUMBER (anche se nel testo del brano il numero fortunato è il N. 1, salvo poi diventare il 2… la tipa è indecisa o sbaglio?). Lene, il cui vero nome è Lili-Marlene Premilovich (!), è nata a Detroit da madre britannica e padre serbo. Traferitasi a 13 anni a Hull in Inghilterra, due anni dopo scappa di casa. Nei ’70 studia scultura, conosce Salvador Dalí, lavora con Arthur Brown (quello di “Fire”), registra urla per i film dell’orrore, fa la “go go dancer”, si dedica al teatro, fa parte di un gruppo funk chiamato The Diversions e collabora con il produttore disco Cerrone (scrivendo il testo di un suo grande successo, “Supernature”). Niente male come curriculum, eh? E nel 1978 firma per la Stiff, storica etichetta indipendente. Inizialmente pubblica su singolo una cover di un vecchio successo di Tommy James and the Shondells (e futuro hit per la teenager Tiffany e le Girls Aloud), "I Think We're Alone Now" (nessun video, ma potete ascoltarne una inverosimile versione in giapponese), a cui tuttavia segue “Lucky Number”, che diventa il suo più grande hit rendendo molto popolari i suoi folli vocalizzi che la fanno somigliare a una Patti Smith impazzita. Al successo del brano segue un album, "Stateless", che contiene anche il successivo hit di Lene, “Say When” (N. 19 UK). Nel 1979, grazie alla partecipazione ad un film che documenta la scena new wave olandese, conosce un’altra grande artista “folle”, la tedesca Nina Hagen, che pubblicherà la sua versione in tedesco di “Lucky Number”, intitolata "Wir Leben Immer Noch" (“Siamo ancora vivi”), inclusa nell’album “Unbehagen”, il suo più grande successo commerciale.
The Police – I Poliziotti e la mondana Debutto invece nelle classifiche mondiali per un trio di poliziotti che raccontano di una prostituta. Si tratta di un trio formato dal bassista Gordon Matthew Thomas Sumner (noto come Sting, ovvero Pungiglione, a causa di una maglia a righe gialle e nere indossata che lo faceva somigliare a un’ape), dal chitarrista Andrew James Somers (meglio noto come Andy Summers) e dal batterista Stewart Armstrong Copeland. È quest’ultimo che forma la band all’inizio del 1977, in piena esplosione punk. E dato che Copeland è il figlio di un agente CIA, perché non chiamare ironicamente la band "La Polizia"? La prima formazione comprende il chitarrista Henry Padovani e Sting. I tre incidono il singolo “Fall Out” a febbraio. Poi a maggio Sting conosce Summers (ex degli Animals): sono stati entrambi convocati da Mike Howlett che vorrebbe riformare i Gong con il nome Strontium 90. Sting si porta dietro Copeland come batterista. Gli Strontium 90 arrivano a suonare a Parigi e Londra dei concerti. La band ha vita breve e così Sting, Andy e Stewart rientrano nei Police con Padovani. Nel luglio 1977 i Police sono così quattro: Copeland, Sting, e Summers. Padovani tuttavia è una schiappa con la chitarra e alla fine se ne va. Resta il trio definitivo. L’ex insegnante delle superiori Sting e i due compari iniziano a mettere a punto il suono della band: una miscela tra reggae e rock che segue la via intrapresa dai Clash. Nel 1978 i tre registrano il primo album, “Outlandos d'Amour”, senza un manager o un contratto discografico. Ma tra i pezzi registrati ce n’è uno che assicura loro un contratto con la A&M. Si intitola ROXANNE (qui altro video e qui l'esibizione ai Grammy 2007). Un pezzo in cui Sting scongiura la prostituta del titolo di non accendere la famigerata luce rossa e di vendere le proprie grazie. Sembra che il brano sia stato ispirato a Sting da una visita a Pigalle, mentre il nome è quello dell’amata da Cyrano De Bergerac. Inizialmente il brano è concepito come una bossa nova (!), mentre Copeland è il responsabile dell’arrangiamento finale, praticamente un tango (e come tale il brano verrà ripreso nel film “Moulin Rouge!”). Nel pezzo sono rimasti anche alcuni errori di registrazione, come l’accordo di piano sbagliato e la risata risultanti dal fatto che Sting per sbaglio s’è seduto sulla tastiera… Il pezzo trova un fan entusiasta in Miles Copeland III, fratello di Stewart e fondatore della I.R.S., che diventa il manager dei tre e ottiene il famigerato contratto. Il brano esce nel 1978 ma viene ignorato, come il predecessore “Can’t Stand Losing You”. La BBC non apprezza molto i brani che parlano di prostitute e alludono a suicidi, per cui evita di programmarli. Come per i Dire Straits, sono gli americani ad accorgersi per primi del pezzo (con gli australiani). A sostegno della campagna d’America, i tre sbarcano oltreoceano girando gli States stipati in un furgone della Ford con un tour di 29 date che parte il 1 marzo, compresa una esibizione al leggendario CBGB di New York. In aprile il singolo è prima nella Top 40 americana per poi piazzarsi al N. 12 UK. Purtroppo Sting in seguito si dedicherà a fare le marchette per davvero e arriverà a fare nel 1997 un’orripilante nuova versione del pezzo con quella specie di virus musicale che risponde al nome di Puff Daddy (almeno finché non lo cambierà…). Piuttosto soporifera quella “soft jazzy” di George Michael datata 1999. Intanto il 2 maggio c’è la prima londinese di "Quadrophenia", il film tratto dall’opera rock degli Who, con Sting al suo debutto cinematografico. Nel cast anche un’altra futura protagonista delle classifiche, Toyah Willcox. La stessa sera invece gli autori, ovvero gli Who, suonano in concerto al Rainbow Theatre col nuovo batterista, Kenney Jones, ex dei Faces, che ha preso il posto del defunto Keith Moon. E il 13 maggio gli Who presentano in anteprima a Cannes il film che racconta la loro storia: “The Kids Are Alright”. Tra tante band che stanno emergendo dallo scenario post-punk, tuttavia c’è da osservare che ve sono alcune che sono state in prima linea nella rivoluzione punk che stanno andando incontro a destini ben diversi…
Sex Pistols – La regola aurea di Malcolm: spremere il cavallo anche se è morto… Tra tante band che stanno esplodendo, ce n’è una avviata verso un tristissimo declino precoce. Si tratta dei Sex Pistols. Johnny Rotten se n’è andato e Sid Vicious è finito due metri sotto. Malcolm McLaren si ritrova con in mano un mucchio di macerie. Nel 1977 aveva ingaggiato "L’Eisenstein della mammella", ovvero Russ Meyer (per chi non lo conoscesse Meyer è un regista cult specializzato in film satirico-erotici con protagoniste superpettorute) per girare un film con i Sex Pistols. Il film doveva essere tratto da "Who Killed Bambi?", un soggetto scritto dallo stesso McLaren. Le riprese durano un giorno e mezzo, poi la troupe abbandona le rirpese per protesta contro McLaren e la sua mossa di trattenere i soldi destinati alle paghe. A metà 1978 è il turno di un secondo film (che uscirà nel 1980), "The Great Rock 'n' Roll Swindle" ("La Grande Truffa del Rock'N'Roll") di Julien Temple (futuro regista di "Absolute Beginners"). La storia romanzata dei Pistols, visti come burattini nelle mani di McLaren, vede una colonna sonora che annovera pezzi cantati da Vicious, Stev Jones, Paul Cook, Edward Tudor-Pole (Tenpole Tudor) e pure il criminale Ronnie Biggs, autore della famosa Grande Rapina al Treno del 1963. Se il film uscirà nel 1980, l’album della colonna sonora esce il 2 marzo 1979 e da esso vengono tratti ben tre singoli da Top 10. Il primo è il Top 3 UK SOMETHING ELSE / FRIGGIN' IN THE RIGGIN'. Il primo pezzo, una cover di Eddie Cochran, vede proprio Sid alla voce. Il secondo invece è un vero e proprio pezzo da osteria “vietato ai minori”, noto anche come "Good Ship Venus" e cantato da Steve Jones per l’occasione. E non appena il singolo inizia a scendere, ecco subito pronto un secondo singolo, che stavolta accoppia SILLY THING, composizione di Jones e Cook, sempre cantata da Jones, con WHO KILLED BAMBI, accreditata a Tenpole Tudor. Se il primo brano si definisce “sciocchezza” nel titolo, il secondo lo è veramente. E il singolo arriva al N. 6. In estate arriverà in Top 3 UK anche C’MON EVERYBODY, altro pezzo originariamente di Eddie Cochran nell’interpretazione di Sid Vicious. E rimanendo in tema di cover punk, al N. 7 UK si piazza invece BANANA SPLITS, nota sigla di un programma per bambini, nella versione del gruppo punk Dickies… C'è anche chi all’epoca invece non piazza singoli in alto nelle classifiche ma è destinato a esplodere definitivamente nei prossimi mesi. Sono i Clash, che dopo l’album del 1978, "Give 'Em Enough Rope", arrivato al N. 2 UK, piazzano nella Top 40 dei singoli prima ENGLISH CIVIL WAR (N. 25 UK), tratta dall’album sopraccitato, e l’EP “The Cost Of Living” (N. 22 UK), che include la cover di I FOUGHT THE LAW. Il primo pezzo è tratto da un inno della Guerra Civile Americana, "When Johnny Comes Marching Home", a sua volta ricavata da una canzone irlandese. Joe Strummer e soci ne fanno la versione aggiornata, che tiene conto della crecsita inquietante di movimenti fascisti come il British National Front. Strummer quindi non fa altro che avvisare del pericolo, evidenziando tuttavia che Johnny ora non deve più marciare, dato che può usare la metropolitana o il bus. Il pezzo di punta dell’EP che esce a maggio è invece una cover di un brano prima inciso da Sonny Curtis and The Crickets nel 1959 (dopo la morte di Buddy Holly), poi portato al successo nel 1965 da parte dei Bobby Fuller Four (Fuller morirà per un colpo di pistola poco dopo l’ingresso in Top 10 USA del pezzo, e non s’è mai chiarito se fosse suicidio o omicidio). Dopo aver sentito su un juke box il singolo di Bobby Fuller, i Clash decidono di farne una cover. E il pezzo sarà pubblicato come primo singolo della band negli USA. Da notare che il brano verrà rifatto da numerosi altri musicisti, dai Dead Kennedys ai Green Day. Nel 1988 il pezzo nella versione dei Clash rientrerà nella classifica UK, arrivando al N. 29. Tornando ai Clash, a fine anno ci annunceranno un messaggio da Londra... Un'ultima cosa prima delle uscite chiave: è vero che qualche chicca tedesca ve l'abbiamo già presentata. Ma forse la chicca più chicca arriva al N. 13 tedesco a maggio. Si tratta di un brano che noi italiani conosciamo perfettamente, dato che è arrivato in vetta alla nostra classifica nel lontano 1976: cliccate qui per sapere qual'è.
USCITE CHIAVE La new wave post-punk sta producendo numerose perle. Se in classifica arrivano quelle più pop, ci son album chiave che escono in questo periodo e che influenzeranno generazioni di gruppi a venire… Allora, a Manchester nel 1979 non si sta proprio bene. La decadente e inquinata città inglese, ex prima città industriale del mondo è ora teatro della crisi imperante come poche altre. E i tentativi di ristrutturazione urbana del centro danno il colpo di grazia, radendo al suolo le case a schiera vittoriane e sostituendole con condomini popolari. A quel punto a un giovane abitante di quella città restano poche vie di fuga: libri, musica e sostanze illecite. Ebbene tutte e tre le vie son percorse da Mark E. Smith, leader dei Fall, il cui primo album, “Live At The Witch Trials”, esce in marzo. I Fall (nome della band deriva da “La caduta”, un racconto di Camus) sono una delle band di punta della scena di Manchester con i Joy Division. Le due band all’epoca si ignorano, impegnate in un singolare duello che decretasse quale delle due fosse la band regina della scena post-punk della città. La musica dei Fall vuole essere musica grezza, opposta ai lavori iperprodotti che vanno all’epoca (non per niente criticano ironicamente l’industria musicale in “Music Scene”). La voce “strana” di Smith cantilena sulle linee chitarristiche di Martin Bramah e sul delizioso organetto Snoopy (l’organo più economico – e peggiore – in circolazione). E che tra brani che parlano di droghe e presentazioni della band come “merda bianca del Nord che risponde a tono”, cantano la Manchester allo sfascio dell’epoca (le cartoline dall’inferno INDUSTRIAL ESTATE e FUTURES AND PASTS), guadagnandosi l’amore del noto DJ John Peel. Anche a Belfast si sta male nel 1979. La città è in uno stato continuo di potenziale guerra civile e di fatto è sotto rigido controllo militare. Tuttavia nel Nord Irlanda di fine anni ’70 i ragazzi riescono ad avere anche pensieri “normali” e cercano di trovare la normalità e la gioia delle piccole cose banali (ragazze, serate, estate e ovviamente sesso). È quello che dimostrano gli Undertones, il cui grande album omonimo di debutto esce a maggio. E la musica trasmette questa voglia di normalità e divertimento: un pop punk contagioso e semplice. La band guidata dal cantante Feargal Sharkey e da John O’Neill ha un orecchio per la melodia pop che all’epoca in ambito “nuova onda” hanno solo Blondie e Buzzcocks. JIMMY JIMMY diventa il loro primo hit da Top 20 in Gran Bretagna, HERE COMES THE SUMMER regala buonumore. FAMILY ENTERTAINMENT apre alla grande. E 5 mesi dopo verrà incluso nell’album il loro grande classico, TEENAGE KICKS, divertente inno dedicato all’attività fai da te che diventa il pezzo preferito di sempre di John Peel. Purtroppo i link su youtube son come al solito miseri, sennò sarebbe da linkare l’intero album… E neppure a Bristol si sta proprio bene. La crisi morde ferocemente. Tuttavia Bristol è stata uno dei porti principali per la tratta degli schiavi e da tempo immemore presenta una notevole fetta di popolazione di colore, molta originaria delle Indie Occidentali. Anche in questo caso è l’atmosfera della città ad influire sui suoni. Il reggae e il punk si incontrano su questa scena. E il Pop Group prende entrambi, e li miscela nel loro album di debutto “Y” con le altre sue passioni, il jazz e il funk. La miscela è tuttavia una sorta di miscuglio che non trova pace e ribolle in continuo stato di agitazione, quasi scalciando per abbattere i propri limiti formali. Gruppo Pop. Mai nome fu più ingannatore. Lontani anni luce dalla musica “pop”, i cinque di Bristol guidati da Mark Stewart e Gareth Sager si dedicano a un jazz-funk-punk-reggae avanguardistico e fortemente e ferocemente politico. È la visione di una società moderna che schiaccia il debole. A cui la band intende ribellarsi cercando di andare oltre, verso aree sconosciute o proibite (come nel mito di Prometeo, citato in “Thief Of Fire”). Questo si traduce anche in un ritorno al tribale e primitivo, esemplificato dalla copertina che appare tanto grottesca quanto minacciosa (sono i buoni selvaggi o i feroci cannibali?) con quella Y rossa (che si pronuncia Why) su una foto del Popolo del fango della Nuova Guinea. Copertina che si contrappone a quella interna, che presenta foto che vanno da Auschwitz al Vietnam. E da selvaggi, attaccano col machete le ritmiche e i suoni. SHE’S BEYOND GOOD AND EVIL, il singolo che esce a marzo, è il pezzo “orecchiabile”, intriso di sonorità dub, costituito da continue frenate, su cui Stewart predica in mezzo a riverberi e ritmiche spezzate. BOYS FROM BRAZIL è uno scontro frontale tra free jazz e suono tribale. E purtroppo su youtube non c’è altro. Astenersi chi ritiene che la musica debba solo basarsi su facili ritornelli, potrebbero rimanerci secco. E anche per questa primavera è tutto. Al prossimo turno si torna indietro di un buon lustro. Mentre quattro svedesi diventano superstar, la mania americana del momento è correre nudi in giro. Le classifiche vivono "una botta di allegria" con un'invasione di pezzi che parlano di defunti o morituri, Hollywood sforna successi discografici a manetta e le radio trasmettono l'inno ufficiale del Philly Sound...
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