( chart USA + UK + Germania, marzo-aprile-maggio )
LA PRIMAVERA DEL 1970 - Tutte le cose son destinate a finire Tutto è destinato a finire. E così pure finiscono, anche nello spirito, gli anni ’60. E mai fine sarà più traumatica. Dopo il tragico inverno di Altamont, gli ideali di pace e amore che solo meno di un anno prima hanno trasformato Woodstock in un successo si scontrano con i proiettili della dura realtà. Accade, come cantato da Neil Young, in Ohio. Meglio consolarsi con il ricordo dello storico concerto, che è riproposto nei cinema e nelle classifiche. Anche perché nel frattempo arriva la notizia più tragica per milioni di fan: i Beatles non esistono più. E tra breve pure Simon & Garfunkel faranno saltare con la dinamite il ponte su acque turbolente che li lega. Solo che i due li si rivedrà spesso in concerto. I Fab Four invece, tutti e quattro assieme, non li rivedrà più nessuno. E così, anche il sogno della band del Sergente Pepe ha una fine. L’unica cosa che al momento sembra un gorgo senza fine è la guerra del Vietnam, che vede l'impegno USA ai massimi livelli. E questa primavera vi son numerose canzoni di protesta contro di essa che arrivano in alto nelle classifiche, spesso “imbrogliando” gli ascoltatori che le credono patriottiche. E la situazione non è proprio più rosea oltremanica, dove la questione nordirlandese sta esplodendo in tutta la sua tragicità. Meglio consolarsi con la vittoria all’Eurofestival proprio di una nordirlandese. Oppure pensare al prossimo campionato del mondo di Calcio, in cui l’Inghilterra si presenta come campione in carica. Ma forse in periodi come questo, quello che azzecca veramente i sentimenti diffusi è il buon Norman Greenbaum. Anche lui ha fiducia in un mondo migliore. Si, quello dei più. E parlando di cose che finiscono, c'è chi, se non altro, finisce in bellezza...
Simon & Garfunkel – Le acque agitate buttano giù il ponte “Bridge Over Troubled Water” è il quinto e ultimo album da studio del duo più popolare di fine anni ’60, formato da Paul Simon e Art Garfunkel. Esce il 26 gennaio e diventa il disco più venduto dell’anno, piazzandosi per ben 10 settimane in vetta alla classifica USA a partire dal 7 marzo, per 13 settimane consecutive in UK dal 21 febbraio (ritornerà in vetta in UK più volte, fino al settembre 1971, collezionando qualcosa come 33 settimane al N. 1!) e per 18 settimane dal 29 maggio nella classifica tedesca. Venderà la bellezza di più di 25 milioni di dischi, diventando il disco più venduto di sempre della Columbia Records. Eppure il ponte tra i due si sgretola proprio durante la lavorazione di questo disco. E il duo arriverà a breve alla seconda e definitiva separazione (almeno dal punto di vista dell’incisione di pezzi in studio, dato che li rivedremo periodicamente in concerto). Fondamentalmente, Art è stanco e oltretutto ha ricevuto l’offerta di girare “Comma 22” di Mike Nichols. E pertanto se ne va in Messico sul set. E così Paul si trova a lavorare sull’album in solitario. E quando torna Art sembra che non faccia proprio i salti di gioia. Oltretutto, si rifiuta di cantare il pezzo “Cuba Si, Nixon No” (qui una chicca con un filmato dell'epoca), cosa che fa infuriare Paul (sembra che sia questa la goccia che causa la separazione). E Paul (per ritorsione?) si rifiuta di incidere un pezzo basato sulla Corale di Bach che piacerebbe tanto ad Art. E così l’album esce con 11 brani invece che con i previsti 12. E in gran parte di questi i due non cantano neppure insieme. Insomma, c’è una caterva di indizi che rivelano che è tempo per i due di percorrere strade diverse. E la title-track (qui la versione live dal celeberrimo "Concert In Central Park" dell'81) fa parte dei brani cantati da uno solo dei due. Paul Simon la scrive nell’estate 1969, mentre Art è in Messico. All’epoca sta in una casa affittata con la moglie (la “silver lady” a cui si accenna nel brano) e l’assente Garfunkel a Los Angeles. È la stessa casa che ha ispirato a George Harrison “Blue Jay Way”. Paul la compone alla chitarra e poi la traduce al piano. La concepisce infatti come una semplice ballata per piano. La scrive espressamente per Art. Il pezzo è basato su una strofa di una canzone "Oh Mary Don't You Weep For Me" del gruppo gospel The Swan Silvertones ("I'll be your bridge over deep water if you trust in me"). Inizialmente comprende solo due blocchi di strofe. Quando arriva Art, lui e il produttore Roy Halee pensano a un arrangiamento più sontuoso, ispirato al “Muro del Suono” di Phil Spector e aggiungono una terza strofa, su cui poi Paul esprimerà non poche riserve. Nel pezzo suona il piano Larry Knechtel dei Bread, mentre il suono della batteria che entra a metà del pezzo è stato ottenuto mettendo una batteria sul fondo del vano di un ascensore e ponendo il microfono all’estremità opposta. Paul in seguito si lamenterà del fatto di aver lasciato la parte cantata interamente ad Art, in quanto il pezzo mette sotto la luce dei riflettori il compare che tuttavia non ha quasi per niente partecipato alla creazione del pezzo (problemi di ego?). E pensare che Art proprio non la voleva cantare, ritenendola non adeguata a lui. Nel tour del 2003 "Old Friends" i due la canteranno alternandosi nelle strofe (un accordo raggiunto?). Il singolo arriva in vetta della classifica americana dei singoli il 28 febbraio, rimanendovi 6 settimane. Trionfa anche in Gran Bretagna, dove passa 3 settimane in vetta a partire dal 28 marzo. E ai due riesce l’impresa di piazzare al N. 1 USA e UK in contemporanea sia album che singolo. Il pezzo ottiene un successo straordinario anche perché tocca un nervo scoperto all’epoca. È un brano “rassicurante”, un’offerta di protezione e aiuto, cosa di cui molti sentono il bisogno. In Italia il singolo viene ignorato, mentre l’album è ovviamente un successo. Da notare che all’epoca gli acquirenti di album e di singoli nel nostro paese sembrano vivere in due pianeti completamente diversi… Il pezzo verrà rifatto da mezzo mondo. Tra le varie cover, la migliore forse, e quella di maggior successo, è quella gospel di Aretha Franklin, che la riporterà nella Top 10 USA l’anno dopo. Anche Elvis la rifarà. Il brano nel 1971 vincerà ben 5 Grammy, mentre l’album vincerà quello di Album dell’Anno. E dopo il Ponte arriva in classifica la divertente CECILIA, che si piazza al N. 4 USA. Curiosamente il brano non entra in classifica in UK, dove verrà portato in Top 5 nel 1996 da una cover di Suggs, il cantante dei Madness. La canzone sembra essere dedicata a un’amata volubile, tuttavia alcune fonti indicherebbero in Santa Cecilia (Patrona dei musicisti) la destinataria del pezzo, e pertanto il pezzo avrebbe a che fare con la volubile ispirazione che porta a comporre canzoni. Tuttavia il pezzo nella versione originale in vinile contiene suoni che non possono essere uditi dall’uomo ma dai cani. E Cecilia era il nome del labrador di Simon. Insomma, alla fine probabilmente la canzone è dedicata a un cane… E a proposito di separazioni, di canzoni dedicate a cani, e di riferimenti a figure religiose… C’è in circolazione il singolo di una band che, in base a quanto detto nel 1980 da un suo membro di nome John, sarebbe stato ispirato al suo autore, di nome Paul, proprio da “Bridge Over Troubled Water”. Ovviamente nel 1980 il buon John fa un errore un po’ grosso, dato che non ricorda che quel pezzo è stato registrato molti mesi prima del brano di Simon & Garfunkel. Ma forse i ricordi di quell’epoca non gli son ben chiari, dato che indugiava un po’ troppo tra i paradisi artificiali e forse aveva un senso della realtà un po’ alterato che gli faceva pure credere di avere una gran gnocca tra le mani…
The Beatles – Se la nave affonda, lasciala andare... 10 aprile 1970. Durante la presentazione ufficiale del suo album di debutto solista, Paul McCartney annuncia ufficialmente la sua fuoriuscita dai Beatles. Di fatto proclama lo scioglimento della band più amata della storia del rock. E il giorno dopo, quasi a voler consolare i fan scioccati dalla notizia, non completamente inattesa ma comunque sconvolgente, esce il “nuovo” singolo dei Fab Four, LET IT BE. Il brano entra direttamente al N. 6 della classifica di Billboard, all’epoca mai nessun singolo ha fatto meglio. E l’11 aprile, tre settimane dopo, sfratta dalla vetta Simon & Garfunkel. Il brano sembra quasi un messaggio ai fan dopo l’accaduto, ma in realtà non ha assolutamente a che fare con gli eventi recenti. Infatti il pezzo è stato tenuto in freezer dal gennaio 1969. La canzone, scritta da Paul, è dedicata alla madre scomparsa quando era quattordicenne, Mary (sebbene la figura di “Mother Mary” viene interpretata da alcuni anche in chiave religiosa). Paul dirà che il brano deriva da un sogno avuto durante le difficili sessioni di registrazione. La versione del pezzo su singolo è prodotta da George Martin. La versione che invece compare sull’album omonimo è invece prodotta da Phil Spector e di fatto è un “remix” ante-litteram. Una versione orchestrale con tanto di fiati e cori e un diverso assolo di chitarra di George. Ed è proprio il trattamento scelto da Spector per il materiale dell’album a scatenare la crisi definitiva della band. Ma per meglio spiegarvelo, è meglio fare un salto indietro, al gennaio 1969, mese in cui “Let It Be” e le altre canzoni dell’album sono state registrate. All’epoca il progetto è ancora chiamato “Get Back” e dovrebbe costituire un ritorno ad un approccio più diretto, quasi “live”. Per questo motivo i vari brani vengono registrati al primo colpo, in presa diretta, senza usare sovraincisioni come nel precedente “White Album”. L’idea è di Paul. È durante le sessioni di registrazione che la band tiene lo storico concerto sul tetto della sede della Apple, al N. 3 di Savile Row. Le sessioni di prova iniziano agli studi di Twickenham e vengono inoltre registrate da due telecamere che dovrebbero filmare il processo creativo della band. Testimonieranno invece le rogne interne al gruppo. All’epoca John è strafatto, se ne sta chiuso nel suo mondo e Yoko parla in sua vece, George ne ha le tasche piene di essere quasi ignorato come autore e sta pensando di andarsene a suonare con Eric Clapton, Paul è ormai tutto dedito al ruolo di capo, mentre Ringo sta pensando al cinema… Le sessioni sono un calvario, e George, dopo un furioso alterco con John, le abbandona. Alla fine le prove riprendono solo con il cambio di studio (Savile Row) e la concessione a George di lasciar perdere ogni idea di concerti dal vivo (anche se poi si farà il concerto sul tetto). George fa partecipare alle sessioni anche Billy Preston, valente tastierista la cui presenza dovrebbe calmare gli animi e al contempo, fornire un altro musicista per evitare sovraincisioni (e Preston compare anche proprio in "Let It Be"). Concluse le registrazioni sembrerebbe tutto a posto. E invece no. I quattro non sono contenti di quello che ne è venuto fuori e alla fine il disco finisce nel congelatore, soppiantato da un nuovo progetto: “Abbey Road”. Dopo il successo di quest’ultimo, i membri della band, pur sempre più interessati a sviluppare progetti solisti, decidono di tirare fuori dal frigo il vecchio progetto. E qui scoppia la rogna definitiva. Harrison e Lennon consegnano il lavoro nelle mani di Phil Spector (che ha appena collaborato con John su un brano di cui parlerò tra breve), e il produttore modifica il materiale con un notevole lavoro di post-produzione. E proprio questo trattamento scatena l’ennesima lite nella band. Paul non tollera che i suoi brani siano stati stravolti. Il 14 aprile scrive una lettera di fuoco al losco Allan Klein (all’epoca manager della Apple) in cui chiede che le strumentazioni aggiunte, in particolare su “The Long And Winding Road”, (qui il confronto diretto tra la versione di Spector e quella di McCartney) trasformata da una ballata per piano in un tripudio di archi e cori, vengano rimosse, intimando di “non fare più una cosa del genere” a sua insaputa. La risposta non c’è. E per aggiungere benzina sul fuoco, Paul il 17 aprile ha in programma di far uscire il suo debutto solista, “McCartney”. La Apple teme che il suo album possa interferire con il lancio previsto per “Let It Be”. Viene quindi mandato Ringo come ambasciatore per richiedergli uno spostamento. Immaginate la reazione di Paul... E così arriviamo al fatidico 10 aprile… L’annuncio di Paul provoca l’ennesimo scontro con gli ormai ex compari, dato che John riteneva che l’annuncio sarebbe dovuto spettare a lui. In realtà la band era ormai, parole di Paul, “una nave che affonda”. Il singolo clamorosamente non arriva in vetta alla UK chart: entra sparato al N. 2 e lì si ferma. In compenso finisce primo nel resto del mondo, USA, Germania e Italia (è solo il secondo N. 1 italiano dei quattro, dopo “Michelle”) compresi. Il brano, come avrete intuito dal cappello prima del titolo del paragrafo, è odiato da John. E con la consueta ironia dissacrante, nell’album viene seguito dal riarrangiamento di un pezzo tradizionale, “Maggie May”, dedicato a una prostituta di Liverpool (niente a che vedere con il brano di Rod Stewart – Maggie May è un nome che tradizionalmente indica una prostituta). E in “Let It Be”, durante la strofa “And when the broken hearted people living in the world agree” si può udire qualcuno sussurrare, probabilmente George, qualcosa come “shut up, John!”. Il brano ritornerà al N. 1 UK nel 1987, con il progetto benefico Ferry Aid. La causa sarà nobile, ma la nuova versione, a cui parteciperanno accanto a Macca, Mark Knopfler, Boy George, Kate Bush e molti altri, lascia alquanto perplessi, anche per la produzione laccata di Stock, Aitken e Waterman. Il brano verrà suonato alla cerimonia funebre di Linda, da Paul, George, Ringo ed Elton John (figuratevi se non cantava a un funerale…). Nel 2003 la versione definitiva del pezzo, quella corrispondente ai voleri di Paul, vedrà la luce nell’album “Let It Be... Naked”, che rispecchia il progetto originario (senza “Maggie May”). L’album esce l’8 maggio, dopo lo scioglimento ufficiale del gruppo. Le prenotazioni negli USA ammontano ad oltre 3 milioni di copie. In Gran Bretagna, al disco è abbinato un album fotografico che documenta la genesi dell’album. Da notare che la copertina non è più quella pensata in origine e scattata nello stesso luogo in cui era stata presa quella di "Please Please Me". Diventerà la copertina del famoso “Album Rosso”, la raccolta che documenterà la seconda fase della carriera dei Fab Four. Il disco che ne esce, produzione a parte, risulta decisamente il meno coeso della band, mostrando in effetti tutte le rogne avvenute durante la registrazione e la natura di lavoro “patchwork”. Nell’album è incluso anche un brano del 1968 scritto da Lennon, la splendida “Across The Universe” (che darà il titolo al bel film del 2007), inizialmente destinata a un album promosso dal WWF e presente in una versione più lenta. Tre brani son stati registrati dal vivo, durante la famosa esibizione sul tetto, "I've Got a Feeling", "One After 909” e "Dig A Pony". L’album è accompagnato anche da un film omonimo, che esce 12 giorni dopo l’album. La pellicola testimonia appunto le registrazioni del disco e comprende l’esibizione sul tetto. Il film farà guadagnare alla disciolta band un Oscar come miglior colonna sonora composta da canzoni. L’album arriva in vetta alla UK chart il 23 maggio, scalzando Simon & Garfunkel, che tuttavia dopo 3 settimane si riprendono la vetta. Da notare che l’album arriverà invece al N. 1 USA il 13 giugno, scalzando proprio il primo album di Paul McCartney. “McCartney” infatti, uscito regolarmente il 17 aprile, arriva in vetta alla Billboard chart il 23 maggio, scalzando Crosby, Stills, Nash & Young. In UK invece si ferma al N. 2, bloccato sempre dai soliti due del Ponte. L’album è interamente realizzato da Paul, che suona tutti gli strumenti. Solo a sua moglie Linda è concessa la partecipazione, e vi canta nei cori. Viene registrato tra la fine del ‘69 e il marzo 1970 nella sua casa di Londra, ai Morgan Studios e agli Studi di Abbey Road (dove registra sotto lo pseudonimo di Billy Martin). Da notare che all’epoca dall’album non vengono tratti singoli. Tuttavia uno dei migliori pezzi della carriera post-Beatles di Paul, MAYBE I’M AMAZED, ballata dedicata alla moglie Linda (uno dei quattro brani a lei dedicati da Paul nel corso della carriera), diventerà un classico del suo repertorio e una sua versione dal vivo (inclusa in “Wings Over America”) arriverà nel 1977 nella Top 10 USA.
John Lennon & The Plastic Ono Band – Il singolo “lampo” luccicante “Who do you think you are? a superstar? well right you are!” Tornando al singolo di “Let It Be”, il suo lato B presenta “You Know My name (Look Up the Number)”, destinato alla pubblicazione come singolo della Plastic Ono Band. Già c’è il numero di catalogo (1002), ma poi il disco viene sospeso e Lennon pubblica un altro pezzo clamoroso, che diventa un grande hit. INSTANT KARMA! (We All Shine On) entra nella Hot 100 il 28 febbraio, 3 settimane prima di “Let It Be”. Quando quest’ultima è al N. 1, il pezzo della Plastic Ono Band è al terzo. In UK invece si ferma al N. 5. Da notare che il singolo è il terzo solista di John, dopo “Give Peace A Chance” e “Cold Turkey”. Per ottenere il massimo della spontaneità, il pezzo è stato scritto e registrato nel giro di un giorno, il 27 gennaio, agli Studi di Abbey Road e 10 giorni dopo è già pubblicato su singolo. Come dirà John: “scritto per colazione, registrato per pranzo e fatto uscire per cena”. Il brano segna anche l’inizio della collaborazione tra Lennon e Phil Spector che porterà subito dopo alle beghe sopra descritte. Sebbene la Plastic Ono Band sia in realtà una sigla più che una band, per la registrazione del pezzo è formata da John, Yoko, George Harrison, Billy Preston, dal bassista Klaus Voorman (autore anche della copertina di “Revolver” dei Beatles) e dal batterista Alan White. Nei cori cantano anche i clienti di un pub vicino ad Abbey Road raggruppati da Allan Klein… Il pezzo è accreditato a Lennon-McCartney per questioni contrattuali, anche se Paul proprio non c’entra (ovviamente). Negli anni ‘90 finirà in uno spot Nike. Ah, lo sapete che Stephen King è stato ispirato da questo pezzo quando ha scritto “The Shining”? A questo punto tuttavia vale la pena di rivelare una sorpresa. Infatti, il Beatle che pubblica per primo un vero e proprio album solista di studio “di canzoni commerciali” (ovvero non sperimentale – come già fatto da John e George - o una colonna sonora – come già fatto da George e Paul) non è Paul, né John. E, sorpresa, nemmeno George. Si tratta infatti del meno prevedibile dei quattro, Ringo. Il nostro fa uscire il 27 marzo l’album “Sentimental Journey” che, come recita il titolo, è un viaggio nostalgico nel passato. Si tratta infatti di una raccolta di cover karaoke di pezzi del passato (per lo più standard classici). Fondamentalmente i pezzi amati dai suoi genitori. L’album vede Ringo collaborare con uno stuolo di produttori/arrangiatori di prim’ordine (uno per brano), tra cui George Martin, Quincy Jones, Maurice Gibb, Klaus Voorman e anche Paul McCartney. L’uscita viene anticipata per evitare di collidere con i lavori di Paul e con “Let It Be”. E l’album approda in aprile nella Top 10 UK, al N. 7, finendo al N. 22 negli States. Ah, se avete la sensazione che vi sia un sovraffollamento di prodotti beatlesiani nelle classifiche di questa primavera, vi sarà utile sapere che i Beatles arrivano al N. 2 degli album USA con la raccolta di pezzi non presenti su album intitolata “Hey Jude”, dal nome del brano più noto incluso. In origine l’album si doveva intitolare “The Beatles Again” e infatti alcune copie escono con quel titolo. Se i suoi quattro cavalli di razza decidono di correre in corsie separate, la Apple può contare anche su altri nomi da piazzare in classifica.
Badfinger – Paul ti offre il successo? Vieni a prenderlo! È il caso dei Badfinger, quartetto gallese guidato da Peter Ham e Tom Evans, che ottiene un hit transatlantico (N. 4 UK e al N. 7 USA) con la beatlesiana COME AND GET IT. Il pezzo, nei cui cori compare anche Elton John, è stato scritto da Paul McCartney per un film con protagonisti Peter Sellers e Ringo Starr, “The Magic Christian”. Il divertente film parla di un milionario eccentrico, tal Sir Guy Grand (Sellers) che intende dimostrare al figlioccio Starr che la gente farebbe qualunque cosa per soldi (“tutti hanno un prezzo”). Nel cast compaiono nomi clamorosi, come Raquel Welch (nel ruolo de “La Sacerdotessa della Frusta”), John Cleese, Christopher Lee (nei panni, guarda caso, di un vampiro), Roman Polanski e Yul Brynner nei panni di un travestito (!). La scena madre vede molta gente fare un bagno nel letame per cercare i soldi che vi son stati gettati… I Badfinger son tra le prime band che firmano per la Apple e questo brano diventa il loro primo successo. Formatisi nel 1965, prima della pubblicazione del singolo si chiamano The Iveys. Godono di una discreta fortuna nel circuito londinese come cover band, fino a che non vengono notati da Malcolm "Mal" Evans, ex road manager dei Beatles e all’epoca collaboratore della Apple. Questi li segnala all’etichetta e un loro demo viene approvato nientemeno che da Paul, George e John. Il primo singolo, uscito a fine ’68, "Maybe Tomorrow", fa fiasco in UK, ma diventa un hit in Europa continentale e Giappone. Il botto vero arriva però questa primavera con “Come And Get It”, per il quale la band cambia nome in Badfinger. Il nuovo nome deriva dal titolo di lavorazione del brano “With A Little Help From My Frieds”, “Badfinger Boogie”. Il demo di “Come And Get It” è stato interamente realizzato da Paul durante le sessioni di Abbey Road, e la band, anche se con qualche riluttanza, registra la sua versione pari pari, seguendo le indicazioni di McCartney, che assume il ruolo di produttore. Il quartetto tuttavia registra anche due proprie composizioni per la colonna sonora di “Magic Christian”, "Rock Of All Ages" e "Carry On Till Tomorrow". Purtroppo nell’aprile 1970 la band compie la prima di una serie di mosse sciagurate che, unite a una buona dose di sfiga, la porteranno verso la tragedia. Infatti per il suo primo tour americano si affiderà a Stan Polley, losco figuro sospettato di collusioni con la mafia. La band inoltre non riuscirà mai a scollarsi di dosso, nonostante i ripetuti tentativi, l’immagine di “band ombra dei Beatles”, e d’altra parte, con simili mentori è anche difficile riuscirci. Otterrà altri successi nei primi anni ’70. Un loro pezzo, la splendida power-ballad “Without You”, diverrà nel 1972 un grande hit per Nilsson (e nel ’94 per Mariah Carey). Tuttavia la loro carriera sarà stroncata da una serie di beghe legali e finanziarie (causate da Polley, diventato loro manager) e da frizioni interne. Finirà, come detto, in tragedia. Peter Ham si impiccherà nel 1975, e Tom Evans farà lo stesso nel 1983. Se Ringo è tentato dal cinema, non è il solo. Il 28 maggio esce “Performance” film di Nicolas Roeg e Donald Cammell in cui recita Mick Jagger. In realtà il film, da noi intitolato “Sadismo”, storia di un gangster in fuga che incontra una rock-star in declino, è stato girato nel 1968 ma è stato bloccato per due anni dalla produzione per varie noie censorie. Il 25 aprile “Let It Be” molla l’osso, ovvero la vetta della classifica americana, a favore invece della band di un futuro collaboratore di Paul, solo che all'epoca è ancora piccolo e nero...
The Jackson 5 – L’alfabeto del pop ABC sembra quasi una canzone adatta a una lezione di scuola. È probabilmente lo è. La scrive infatti (in qualità di membro della cosiddetta “Corporation”, formata anche da Fonce Mizell, Deke Richards e Berry Gordy) Freddie Perren, che è un ex insegnante, e che si occupa della produzione e dell’educazione al canto e alla musica dei 5 fratelli. ABC inoltre suona come il suo illustre predecessore, I WANT YOU BACK, che questa primavera si piazza al N. 2 UK dopo aver dominato in inverno la classifica americana. Ed infatti viene spudoratamente ricavata dal ritornello di quel brano prima ancora che quest’ultimo esplodesse in classifica lanciando i ragazzi. È una tradizione della Motown dell’epoca adottare la formula: “ricetta vincente non si cambia”, come già accaduto per i Four Tops e le Supremes. E il nuovo brano comunque mette a tacere chi già liquidava i cinque fratellini come una one hit wonder. Arriva in vetta in America (il secondo di quattro consecutivi!) e si piazza al N. 8 in UK. Nel 1991 “ABC” verrà campionata in "O.P.P.", classico hip hop ad opera dei Naughty by Nature e nel 2007 verrà omaggiata dai Justice nella loro “D.A.N.C.E.”. Il singolo anticipa l'album omonimo, il loro secondo, che conterrà anche la cover di un pezzo delle Supremes che figura sul lato B del singolo. Si tratta di “The Young Folks”. E proprio in questo periodo i fratellini si trovano a Los Angeles (ormai la nuova sede della Motown). Mentre alcuni di loro son ospiti di Gordy, Michael vive proprio in casa di Diana Ross. Narra la leggenda che i fratellini siano stati scoperti da Diana Ross. In realtà nel 1969 i Jackson 5 hanno aperto i concerti di Diana Ross e delle sue Supremes e il loro primo album, in classifica ancora questa primavera, si intitola “Diana Ross Presents The Jackson Five”. Tuttavia, come anche dichiarato da Diana stessa, non è stata lei a scoprire i 5 fratellini dell’Indiana. In realtà a segnalarli a Berry Gordy son stati Bobby Taylor e Gladys Knight. Riguardo alle Supremes, stanno attraversando un periodo particolarmente delicato. Diana oramai ha optato per la carriera solista e se n’è ufficialmente andata dopo un concerto d’addio tenutosi il 14 gennaio 1970 al Frontier Hotel di Las Vegas. A questo punto Mary Wilson e Cindy Birdsong, affiancate da Jean Terrell, pubblicano il primo album dell’era post-Diana. L’album “Right On” viene etichettato come "l’album delle Nuove Supremes” lancia alcuni hit, il primo dei quali è l’eterea UP THE LADDER TO THE ROOF, che si piazza in aprile al N. 10 USA e arriverà a giugno al N. 6 UK (il gruppo mancava dalla Top 10 britannica dal lontano 1967). Ma la soddisfazione maggiore mi sa che le ragazze la ottengono associando questo loro successo con un'altra notizia. Infatti, il singolo di debutto solista di Diana, REACH OUT AND TOUCH (Somebody's Hand), scritto e prodotto da Nickolas Ashford e Valerie Simpson e anch’esso uscito questa primavera, si ferma clamorosamente al N. 20 USA ai primi di giugno, surclassata (per il momento) dalle ex compagne abbandonate, che ne faranno una cover assieme ai Four Tops.Tra gli altri hit Motown dell'epoca c'è anche NEVER HAD A DREAM COME TRUE di Stevie Wonder, che approda al N. 6 UK. Il brano anticipa l’album "Signed, Sealed, and Delivered", il primo album in cui Stevie può dedicarsi alla produzione, sebbene al momento limitata a due soli brani.
Purtroppo per Marvin questo è davvero un brutto periodo. Il 16 marzo infatti si spegne Tammy Terrell, la cantante con cui ha realizzato grandi duetti di successo e a cui Marvin è stato molto legato affettivamente. In UK arrivano in Top 10 anche altri veterani Motown, come Jimmy Ruffin, con FAREWELL IS A LONELY SOUND (N. 8 UK - rientrerà in Top 40 anche nel 1974), e i Four Tops, con la classica I CANT HELP MYSELF (Sugar Pie Honey Bunch). Quest’ultimo pezzo risale al 1965, anno in cui è arrivato in vetta alla classifica americana, diventando il primo dei due N. 1 della band. E pensare che il cantante Levi Stubbs odiava il pezzo e ha inciso il pezzo solo dopo le insistenze del produttore Brian Holland. E per la solita serie “formula vincente non si cambia di un'unghia”, la band ha subito dopo inciso un pezzo che di fatto ne è la copia perfetta, intitolato – senza vergogna o con una punta di sarcasmo? - "It's The Same Old Song"… In ogni caso, all’epoca “I Can’t Help Myself” è stata snobbata o quasi dai britannici, che non l'hanno mandata oltre la 23esima posizione. Adesso la ristampa approda meritatamente in Top 10. E se volete sapere che brani ha ispirato, cliccate qui… Un altro veterano ottiene un grande successo questa primavera. Si tratta di Rufus Thomas, esponente del Memphis Sound di un'altra storica etichetta, la Stax. Il musicista ultracinquantenne porta in classifica DO THE FUNKY CHICKEN, che arriva a marzo al N. 28 della Billboard Chart e diventa anche il suo unico Top 20 britannico. La Stax due anni prima si è separata dall'Atlantic, che questa primavera piazza in classifica un altro grande hit per la grandissima Aretha Franklin, l'intensa CALL ME, canzone scritta da lei che approda al N. 13 USA in aprile. A maggio si piazza invece al N. 6 USA LOVE OR LET ME BE LONELY per i The Friends Of Distinction. Il brano è il secondo ultimo Top 10 USA del quartetto vocale soul che incide per la storica RCA Victor.
TURN BACK THE HANDS OF TIME diventa il maggiore successo di Tyrone Davis e della Dakar Records quando si piazza a maggio al N. 3 USA. Il cantante del Mississippi scomparso nel 2005 otterrà comunque altri hit soul per il resto del decennio. Soul satinato per LOVE ON A TWO WAY STREET per i Moments. Il trio nato a Washington come quartetto e formato all’epoca da Al Goodman, William Brown e John Morgan ottiene il suo maggiore hit con questo N. 3 USA di fine maggio, inciso per la Stang Records di Sylvia Robinson (futura creatrice della Sugar Hill Records, a cui si deve il primo hit rap). La band otterrà altri hit minori. Il gruppo riemergerà a fine anni ’70 con un nuovo nome (dovuto a problemi contrattuali e al cambio di etichetta), ovvero Ray, Goodman & Brown, cogliendo un altro grande successo nel 1980 con "Special Lady". E nel 1981 il loro hit del 1970 verrà riportato nella Top 40 USA da Stacy Lattisaw. DIDN'T I (Blow Your Mind This Time) dei Delfonics (qui in versione live) invece rappresenta uno dei primi grandi hit di quello che è in nuce il Philly Sound. È il secondo Top 10 USA della band che incide per la Bell Records di Thom Bell. Si tratta di un pezzo che anticipa la ricetta di Bell, all'epoca definita anche "sexy soul": falsetto prominente su un tessuto sonoro ricco e raffinato costituito da strati sovrapposti di archi e fiati. Vincerà un Grammy. Purtroppo la band non riuscirà più a ottenere successi simili, anche perché Bell preferirà dedicarsi ad altri gruppi, come gli Stylistics, modellati, ironia della sorte, sull’impronta dei Delfonics. Anche di questo brano vi sarà una cover. Quella ad opera dei fastidiosi New Kids On The Block, che arriverà al N. 8 USA nell’ottobre 1989. Per la serie "un buon pezzo non riescono ad ammazzarlo neppure loro", anche se è meglio non fare confronti con l’originale. Anche i Delfonics fanno parte dei “Tarantinati”. Questo brano infatti rientra nella colonna sonora di “Jackie Brown”. Uno degli hit maggiori del periodo è appannaggio della scuderia assemblata dei leggendari autori Brian Holland, Lamont Dozier e Eddie Holland, che hanno abbandonato la Motown nel 1967. E tra gli artisti assoldati dal magnifico trio ci sono i The Chairmen Of The Board, la cui GIVE ME JUST A LITTLE MORE TIME arriva al N. 3 su ambo le sponde dell’Atlantico, a marzo negli USA e a fine estate in UK. La band di Detroit è stata formata da Holland/Dozier/Holland allo scopo di farne il gruppo di punta della loro Invictus Records, unendo il solista General Johnson a Eddie Custis, Danny Woods e Harrison Kennedy. “Give Me Just A Little More Time” è il loro singolo di debutto (accreditato a Ron Dunbar & Edyth Wayne, pseudonimo usato dai tre autori in quanto ancora alle prese con beghe legali con la Motown). Da notare che il pezzo è suonato da alcuni membri originari della Funk Band, la band da sala di incisione della Motown, che hanno lasciato l’etichetta dopo il suo trasferimento a Los Angeles. La canzone ritornerà in classifica nel 1992, con la cover di Kylie Minogue. Gli ultimi tre brani son ritornati tutti in classifica per mezzo di versioni ad opera di altri artisti. E parlando di grandi successi di questa primavera che tra parecchi anni ritorneranno ai vertici delle classifiche sottoforma di cover, non possiamo non citare una delle più clamorose one hit wonder della storia della musica...
Norman Greenbaum – La canzone delle one-hit wonder Il buon Norman, dal Massachusetts, realizza SPIRIT IN THE SKY, uno degli hit più clamorosi dell’anno e un classico dell’epoca. A metà anni ’60 Norman forma una band, i Dr. West's Medicine Show, una band di folk psichedelico che nel ‘66 fa una comparsa nella Hot 100 di Billboard con un pezzo intitolato "The Eggplant That Ate Chicago" (“La melanzana che mangiò Chicago”). Sciolta la band nel ’68, Norman si mette in proprio e nel '69 arriva a scrivere “Spirit In The Sky”. Il pezzo è una sorta di pezzo rock di argomento religioso, anche se l’argomento è trattato in modo decisamente naïf (in sintesi dice che quando morirà vorrà stare in un bel posto e confida in una raccomandazione dell’amico Gesù per arrivare in Paradiso…). L’idea gli viene dopo aver visto alla TV la leggenda del country Porter Wagoner cantare un pezzo gospel dedicato a un predicatore. E così Norman decide di fare il “suo” gospel: un gospel psichedelico. Sebbene Greenbaum sia di religione ebraica, nel pezzo fa riferimento a “Jesus”, in quanto lo ritiene più adatto a raggiungere una platea più vasta. Il pezzo che ne esce presenta uno degli intro più famosi della storia del rock con un caratteristico suono distorto della chitarra, ottenuto, a quanto dice Greenbaum, con una Fender Telecaster distorta con un fuzz box fatto in casa. Più tecnica e completa la spiegazione del chitarrista Russell DaShiell (per la quale vi rimando a Wikipedia). Il brano arriva al N. 1 UK il 2 maggio e al n. 3 USA il 18 aprile, tenuto sotto solo da Jackson 5 e Beatles, vendendo oltre 2 milioni di copie. Tra i fan del brano all’apice c’è nientemeno che John Lennon, che ne apprezza la semplicità. Dopo questo hit Norman non riuscirà più a replicare il colpo e si ritirerà in breve tempo dalla musica (narra la leggenda che si dedicherà anche all’allevamento delle capre). Tuttavia il pezzo gli riserverà clamorose sorprese anche dopo il ritiro. Il pezzo è infatti tra i pochi ad essere arrivati al N. 1 britannico più volte, per l’esattezza tre. Dopo la versione di Greenbaum infatti son arrivate in vetta quella di Doctor & The Medics (1986 – praticamente un’altra one hit wonder) e quella, per beneficenza, di Gareth Gates And The Kumars (2003 - una mezza one hit wonder, dato che i Kumars, comici televisivi, non avranno più hit). In realtà il pezzo potrebbe essere considerato menagramo: se lo registri, poi non riuscirai più ad avere hit. Infatti Gareth Gates dopo questo non ne azzeccherà più una... Che c'entri qualcosa che tra una versione e la successiva ogni volta passano 17 anni? All’epoca del successo del Dottore e dei Suoi Medici, Norman gestisce un bar. Scocciato da tutte le telefonate di giornalisti che chiedono all’autore originario come si sente rivedendo il proprio pezzo al N. 1, il suo capo gli dice: “Se sei questa grande star, non hai bisogno di lavorare qua!”. Il brano verrà impiegato in numerose colonne sonore, tra cui vale al pena ricordare “Apollo 13” di Ron Howard, in cui viene usata come sottofondo durante le apparizioni TV degli astronauti (la vicenda reale dell'Apollo 13 si svolge proprio in questo periodo, tra l'11 e il 17 aprile). Tuttavia si tratta in questo caso di un errore storico: nella realtà suonarono “Aquarius” dei 5th Dimensions, nome anche del modulo che servì da scialuppa di salvataggio dopo l'avaria. E nel film c'è anche un altro errore: vi compare l'album "Let It Be" che in realtà doveva ancora uscire... In ogni caso il buon Norman affermerà di ottenere più soldi per la vendita del brano per spot e film di quanti ne abbia guadagnati effettivamente dalle vendite del disco… Per tacer delle cerimonie funebri, dove il pezzo è tra i più richiesti! Parlando di cover e di one-hit wonder, trionfa nelle classifiche anche la cover ad alto tasso di distorsioni di THE HOUSE OF THE RISING SUN, ad opera dei Frijid Pink, band rock di Detroit nata nel 1968. Il pezzo, cover del grande successo degli Animals del '64 si piazza al N. 7 USA, al N. 4 UK e al N. 1 tedesco. I successivi singoli, tra cui una cover di “Heartbreak Hotel” non otterranno pari successo.
Edison Lighthouse – I mille nomi di Tony Burrows Dopo aver passato 5 settimane al vertice della classifica inglese a partire dal 31 gennaio, gli Edison Lighthouse entrano nelle classifiche mondiali (arrivando a marzo al N. 5 USA) con la gioiosa LOVE GROWS (Where My Rosemary Goes). Il pezzo, scritto dai produttori Tony Macaulay e Barry Mason, è in origine destinato ai The Grass Roots, che però lo rifiutano. I due allora lo fanno incidere a un gruppo formato da turnisti. Il successo arriva inatteso a tal punto che i due devono mettere su una band (con gli ex membri del gruppo Greefield Hammer) da far comparire sul palco (quel che si potrebbe definire una "band instantanea"...). E il cantante che ha inciso il pezzo finisce davanti al pubblico con loro. Si tratta del cantante Tony Burrows. Tony è un session singer e ha già cantato in un Top 10 britannico del 1967 ("Let's Go To San Francisco" dei Flowerpot Men). Ebbene, nel 1970 si ritrova a cantare in numerosi hit e di fatto segna un record molto particolare: compare in una puntata di Top Of The Pops ben tre volte con tre gruppi diversi! E infatti, mentre è ancora in classifica con il pezzo degli Edison Lighthouse, eccolo ricomparire anche in un altro Top 10 britannico, UNITED WE STAND del quintetto dei Brotherhood Of Man, creazione stavolta del produttore Tony Hiller. Il gruppo, all’inzio un tipico colelttivo vocale pop-folk basato sulla creazione di armonie vocali, diverrà famoso vincendo l’Eurofestival del 1976 con tuttavia una formazione completamente diversa, un quartetto (2 maschi e 2 femmine) che sembrerà il risultato di uno inquietante incrocio genetico (e musicale) tra Abba e Tony Orlando & Dawn. E rieccolo comparire stavolta con The Pipkins nel loro unico hit, GIMME DAT DING, sorta di pezzettino da ballo dal gusto retrò che arriva al N. 6 UK in aprile. E a questi possiamo aggiungere un Top 10 UK di fine febbraio, MY BABY LOVES LOVIN' Numero 9 per i White Plains… Potremmo definirlo lo Stakanov del pop… Ah, per la cronaca ricomparirà in classifica nel giugno '74 con i First Class...
E così siamo approdati in pieno territorio easy listening. E perciò passiamo a parlare della donzella, il cui secondo nome guarda caso è Rosemary, che scalza dalla vetta inglese Simon & Garfunkel. Non si sa se dove passa lei nasce l'amore, ma di sicuro ha tra le mani un grosso successo...
Dana – La Biancaneve d’Irlanda Dana Rosemary Scallon è la vincitrice dell’ultimo Eurofestival e il brano che l’ha portata alla vittoria è proprio quello che arriva al N. 1 UK, ALL KIND OF EVERYTHING. La ragazza, nata a Londra, è tuttavia cresciuta a Derry, in Irlanda del Nord, città natale dei suoi genitori. Ha già qualche singolo all’attivo (tra cui una cover di “Heidschi Bumbeidschi”, terrificante motivo di cui ho già parlato) quando partecipa all’Irish National Song Contest, che funge da selezione per l’Eurofestival del 1969, piazzandosi seconda. Tom McGrath, patron della manifestazione, la invita anche per il 1970. All’epoca la fanciulla è 18enne e sta studiando per fare l’insegnante e non pensa proprio a una carriera musicale, tuttavia decide di accettare la proposta giusto per un’ultima occasione. Stavolta tuttavia le va bene, dato che il produttore le affida una canzone che sembra fatta apposta per lei: la ballata “All Kinds Of Everything". Il pezzo, che pare perfetto per un film disenyano con uccellini, farfalline e fiorellini, viene portato all’Eurofestival in Olanda il 21 marzo e sbanca. La ragazza batte la concorrenza dell’amica e coetanea Mary Hopkin e uno spagnolo di nome Julio Iglesias (quarto). Il nostro concorrente, Gianni Morandi, arriva ottavo con “Occhi Di Ragazza”. E la ragazza torna vincitrice a Dublino (è la prima delle sette vittorie all’Eurofestival dell’Irlanda), dove viene accolta in trionfo. A Derry la sua vittoria viene vissuta come un gioioso intervallo in un periodo nero. Poco prima ha infatti avuto luogo la cosiddetta Battaglia di Bogside, che di fatto ha dato il via ad un lungo periodo di disordini in Nord Irlanda. Da notare che la cantante sta in Rossville Street, la strada che tra due anni sarà teatro della Domenica di Sangue, in seguito cantata dagli U2. Tornando al singolo, il suo unico N. 1 UK resta in vetta per due settimane per poi essere deposto da Norman Greenbaum. Il brano la lancerà a livello internazionale (in giugno si piazzerà al N. 4 tedesco) e arriverà a vendere più di 2 milioni di copie. Negli anni '80, la Scallon si dedicherà alla musica cattolica e diventerà la prima donna eletta nel Parlamento Europeo per l’Ulster. Intanto, dopo aver ricordato nel 1968 i bei vecchi tempi, la biondina gallese Mary Hopkin, favorita alla vigilia dell'Eurofestival e finita seconda classificata, a inizio aprile arriva al secondo posto della classifica britannica con il pezzo presentato alla manifestazione, l’altrettanto biancanevesca KNOCK KNOCK WHO'S THERE, che diventa il quarto e ultimo Top 10 UK della sua carriera. Nel 1971, dopo aver realizzato un album di influenze folk sotto la sua produzione, Mary sposerà Tony Visconti (produttore di Bowie e T. Rex, tra gli altri) e si ritirerà a vita privata per alcuni anni, salvo poi ritornare per progetti più di nicchia (sua è la voce in "Rachael's Song", brano della colonna sonora di "Blade Runner" a firma di Vangelis).
Ma c'è una strana contaminazione tra country e easy listening che sbanca la classifica britannica di questa primavera. Si potrebbe definirla un'autentica chicca anomala...
Lee Marvin & Clint Eastwood – Anche i duri fanno il musical C’è un singolo dal doppio lato A che sta furoreggiando. WAND'RIN' STAR / I TALK TO THE TREES è un singolo accreditato a due artisti diversi, che, se un marziano arrivasse sulla terra e basasse le sue considerazioni sulla sola visione delle classifiche musicali, apparirebbero come emerite meteore. In realtà l’attività canterina è decisamente un’attività secondaria per i due figuri. Il primo pezzo infatti è interpretato dalla voce roca e profonda del grande Lee Marvin, mentre il secondo è cantato da Clint Eastwood. Praticamente due tra i duri più duri del cinema anni ’60-’70. A questo punto vi chiederete: perché diavolo han fatto un singolo? Beh, perché entrambi hanno recitato nel fiasco “La ballata della città senza nome”, tratto da un vecchio musical del 1951. Il film pone fine alla carriera del regista Joshua Logan e a parecchi alti papaveri della Paramount. Tuttavia la sua colonna sonora diventa un successo e finisce al N. 2 della classifica degli album britannici, bloccata solo da Simon & Garfunkel. Sia Marvin sia Eastwood decidono di non farsi doppiare e cantano tutti i brani destinati ai loro personaggi nel film. E il singolo che li vede protagonisti domina la classifica inglese tra il 7 e il 21 marzo per 3 settimane, prima di essere cacciato da Simon & Garfunkel (sempre loro!). Durante la sua dominazione tuttavia si permette di tenere lontano dalla vetta nientemeno che “I Want You Back” dei Jackson 5 e addirittura “Let It Be” dei Beatles (!). Il pezzo interpretato da Marvin è una ballata in stile western in cui il vocione profondo dell'attore (definito proprio in virtù di tale profondità il primo 33 giri pubblicato a 45 giri), al limite della stonatura, fa tuttavia una sua figura e arriva a caratterizzare il brano. Verrà impiegato anni dopo in uno spot pubblicitario. E sarà suonato, in ossequio alle sue volontà, al funerale di Joe Strummer. Riguardo al pezzo cantato dal futuro regista di “Million Dollar Baby”, è una ballata romantica (eh, si Dirty Harry fa il mollaccione romantico molti anni prima de “I Ponti Di Madison Country”). Diciamo che Clint non è tutto sommato malaccio come cantante. A riprova ecco un altro pezzo da lui cantato nel film, “Gold Fever”. E a proposito di colonne sonore, questa primavera trionfa nelle classifiche europee, replicando il successo avuto in patria, quella del film manifesto della controcultura, “Easy Rider” (vedi vedi Estate 1969). Purtroppo, l'amara constatazione del film, ovvero che il sogno degli anni ’60 è destinato a finire nel sangue, come se ce ne fosse stato bisogno, diventa tragica realtà ancora una volta questa primavera.
Crosby, Stills, Nash & Young – Da Woodstock all'Ohio Il 4 maggio 1970 si verifica quello che molti considerano l'evento che ha posto la pietra tombale definitiva sull'ottimismo anni '60. Quel giorno, si svolge l’ennesima manifestazione di studenti contro la Guerra in Vietnam nel campus della Kent State University, in Ohio. Le manifestazioni di protesta si son accresciute da quando il conflotto vietnamita, arrivato al massimo livello, si è esteso in Cambogia. Tali manifestazioni son sempre state accompagnate da tensioni, tuttavia quel giorno accade una cosa inedita e terribile. La Guardia Nazionale USA, chiamata a presidiare la manifestazione, apre il fuoco sui manifestanti. Il bilancio è di quattro morti e 9 feriti. John Filo, un fotografo presente sul posto, scatta una foto che rimarrà impressa nella coscienza della nazione: la quattordicenne studentessa Mary Ann Vecchio urla ingocchiata presso il corpo di uno degli uccisi, Jeffrey Miller. La foto vincerà il Pulitzer e finirà su tutte le principali testate giornalistiche. L’opinione pubblica americana ne esce sconvolta. Anche perchè i manifestanti uccisi sono ragazzi bianchi di buona famiglia. Tuttavia il fatto rivela anche che la nazione è profondamente divisa al suo interno. Insomma, l’America è in preda a un serio sdoppiamento della personalità. E il lato oscuro della forza sembra prendere il predominio. Sembra che tutte le figure su cui chi invoca un cambiamento ripone le sue speranze siano destinate a prendersi una pallottola. Robert Kennedy e Martin Luther King. E dall’altra parte c’è chi ha il terrore di un ulteriore cambiamento, ancora scombussolato dai troppi e troppo recenti mutamenti dello status quo agognatamente difeso negli anni ’50. E questo viene riportato in una canzone che Neil Young scrive pochi giorni dopo, dopo aver visto le foto di Filo su “Life”. “Should have been done long ago” – "Avrebbero dovuto farlo già da tempo" è infatti il pensiero di parte della nazione. Il 21 maggio il quartetto delle meraviglie Crosby, Stills, Nash & Young torna in sala di incisione per registrare quella canzone scritta da Young. Che si intitola OHIO. "Tin soldiers and Nixon coming / We're finally on our own / This summer I hear the drumming / Four dead in Ohio" Young attacca “Nixon e il suoi soldatini di piombo”. Ovviamente citare esplicitamente Nixon nel testo del brano ne impedisce il passaggio su alcune radio. La motivazione ufficiale della censura è "evitare che il brano fomenti esplosioni di violenza". Come già accaduto e come succederà in seguito, non c'è niente di meglio di una censura per rendere popolare un brano. E questo, pubblicato a giugno (Una vera “instant song”), arriverà nella Top 20 americana. E vale la pena di dirlo, senza causare disordini... E nonostante tutte le polemiche, Nixon verrà trionfalmente rieletto nel 1972. Certo, si fregherà da solo poco dopo, ma questa è un'altra storia... Il pezzo verrà rifatto da vari artisti, tra cui i Devo: Jerry Casale e Mark Mothersbaugh erano presenti quel giorno alla Kent State e son stati testimoni oculari dei fatti. Se negli anni ’60 il motto è “mettete un fiore nei vostri cannoni”, ora tale ideale sembra lontano anni luce. I cannoni sparano. E nonostante Woodstock risalga a un solo anno prima, sembra preistoria. E Crosby, Stills, Nash & Young erano anche a Woodstock. Anzi, il Festival è stato proprio il battesimo del fuoco del quartetto, che aveva accolto l’orso dal cuore d’oro canadese poco prima. E il 9 maggio i quattro arrivano al N. 11 della classifica americana dei singoli con il tema ufficiale dello storico concerto. Si tratta ovviamente di WOODSTOCK, scritta da Joni Mitchell. Il brano è incluso in “Deja Vu”, il primo album inciso dal quartetto (il suo predecessore è stato realizzato solo dal trio Crosby, Stills & Nash). “Deja Vu” arriva nei negozi a marzo, circondato da molte aspettative che non vengono tradite. Celebrato dalla critica, arriva in vetta alla classifica degli album il 16 maggio, tra Simon & Garfunkel e Paul McCartney. Il primo singolo estratto è il pezzo della Mitchell. Il brano viene scritto dalla cantautrice in base a quanto raccontatale dall’allora suo moroso Graham Nash. Se infatti leggete l’articoletto sull’Estate 1969 scoprirete che Joni non è potuta andare a Woodstock… Tuttavia è riuscita a catturare nel brano lo spirito dell’evento in modo perfetto. Il pezzo figura anche nell’album della Mitchell che esce in aprile, “Ladies Of The Canyon”, che contiene anche un altro suo grande classico, “Big Yellow Taxi”. In ottobre "Woodstock" diventerà un N. 1 in UK nella versione più folk ad opera dei Matthews' Southern Comfort. Ma Woodstock è più che mai di attualità, in quanto questa primavera esce lo storico film concerto che documenta l’evento. La prima del film avviene il 1 aprile a Hollywood e l’11 maggio esce la colonna sonora. Un disco triplo che arriverà in vetta alla Billboard chart in estate, sfrattando i Beatles. Sarà il primo album triplo ad arrivare al N. 1. A dire il vero film e album sono un tentativo da parte degli organizzatori di recupare le perdite avute. L'evento infatti si è rivelato un clamoroso flop economico, nonostante, o meglio, a causa, dell'incredibile afflusso di persone, che ha trasformato un concerto a pagamento in un evento libero... Ma il Festival ha decisamente portato fortuna ai suoi partecipanti, che son presenti in gran numero nelle classifiche...
Reduci da Woodstock Santana - L'anima latina di Frisco trova la strada delle classifiche Dopo aver suonato come illustri sconosciuti a Woodstock, debuttano nella classifica americana i Santana (all'epoca Santana è il nome dell'intera band guidata dal grande Carlos Santana), tra gli indiscussi protagonisti dell’evento. All'epoca il collettivo comprende il figlio di emigrati messicani Carlos, Gregg Rolie (organo, piano, voce), David Brown (basso), Michael Shrieve (batteria), Michael Carabello (percussioni) e Jose 'Chepito' Areas (percussioni). L'album con cui debuttano (a cui ho già accennato nelle uscite chiave dell'Estate 1969), intitolato col nome della band, è prevalentemente formato da brani strumentali. Tuttavia su consiglio del loro scopritore e manager, il leggendario Bill Graham, i Santana realizzano anche canzoni più convenzionali, tra cui quella che diventa il primo hit della band nata a San Francisco nel 1966 come Santana Blues Band. Si tratta di un pezzo di Willie Bobo, EVIL WAYS (qui in versione live dal Montreux Jazz Festival del 1971). Il singolo arriva al N. 9 USA il 21 marzo, mentre l'album si arrampica fino alla quarta posizione. Il pezzo, cantato da Gregg Rolie e impreziosito da un assolo del grande chitarrista e da una parte con l'organo Hammond, parla di una ragazza che flirta un po’ troppo con tutti. Il protagonista la invita a cambiare comportamento o perderà il suo amore. Di fatto rappresenta già il tipico rock latino della band, che trionferà nelle classifiche dei primi anni '70. E qui vale la pena di citare una curiosità: il sound latino della band non è affatto dovuto alle ascendenze di Carlos. In realtà Santana e Rolie son influenzati dal melting pot di suoni che caratterizzano la San Francisco di fine anni '60. Un altro miracolato dall’evento è Joe Cocker, che è alle prese con un trionfale tour degli States e il 27 marzo suona al Fillmore East di New York, il tempio del rock creato proprio da Bill Graham. E il buon Joe piazza nella chart USA una strepitosa cover live di THE LETTER, già grande N. 1 USA per i Box Tops nel 1967. La cover di Cocker, terza versione del brano ad entrare nella Top 20 USA, arriva al N. 7 USA il 30 maggio. Il brano verra incluso nel seminale “Mad Dogs and Englishmen”, che immortalerà proprio il tour con cui Joe sta attraversando gli States.
Jimi Hendrix – La breve esperienza della banda degli zingari "I pick up my axe and fight like a bomber" Allora, Jimi ha pensionato a metà 1969 gli Experience. Partecipa a Woodstock con una band chiamata Gypsy Sun and Rainbows, in cui milita il bassista Billy Cox. La band dura giusto per Woodstock, ma costituisce la base da cui evolve la Band of Gypsys (il nome era tra quelli in predicato per la band da portare a Woodstock). Questo è il nome del suo nuovo progetto, e del relativo album dal vivo, realizzato con Cox e il batterista Buddy Miles. A dire il vero, l’album viene realizzato per assolvere a un obbligo contrattuale. A dicembre infatti Jimi ha perso una disputa contrattuale che gli impone di pubblicare un album di inediti per la Capitol i cui diritti andranno ad Ed Chalpin, a cui spetta pure una parte dei diritti sui lavori precedenti. Per assolvere a tali obblighi, la nuova band debutta al Fillmore East alla vigilia del nuovo anno. Si tratta di quattro show tenuti tra il 31 dicembre e il 1 gennaio, in cui la band suona pezzi da destinare al famigerato album per la Capitol, un Live. Tra i brani va ricordata sicuramente l'eccellente MACHINE GUN (solo omonima del recente ottimo pezzo dei Portishead e del successo anni '70 dei Commodores), con effetti improvvisati di percussioni e di distorsioni che simulano la mitragliatrice del titolo e scoppi di bombe. Il brano è raccontato dalla prospettiva di un soldato sotto il fuoco nemico. Ma non si riferisce solo al Vietnam. Riguarda anche la situazione interna americana e la questione razziale. Il pezzo viene infatti introdotto dedicandolo a "All the troops fighting in Harlem, Chicago and, oh yes, Vietnam". Ovviamente Hendrix si guarda bene dal far pubblicare in quell’album dal vivo tutti gli inediti suonati in quei concerti. E così dei 6 pezzi presenti nell’album, solo metà sono sue composizioni, mentre 2 son cover di Buddy Miles, tra cui "We Gotta Live Together", che viene tagliata per farla stare sull’album. La pubblicazione ha una qualità inferiore rispetto alla media, ma la cosa non interessa all'altrimenti pignolissimo Jimi, che ritiene che venderà poco. Il disco esce in aprile e arriva rapidamente nelle Top 10 su ambo le sponde dell’Atlantico, smentendo le previsioni di Hendrix… Ma quando il disco esce la band è già un ricordo: il 28 gennaio Hendrix, in uno stato psico-fisico sempre più provato, si rende responsabile di uno show disastroso al Madison Square Garden: insulta una spettatrice, suona due pezzi e se ne va. E così la Band of Gypsys. E poco dopo Jimi riforma gli Experience, con Mitch Mitchell (già membro degli Experience durante la prima fase) e Billy Cox, con i quali intraprende in aprile il “Cry Of Love Tour”. E inizia a lavorare sul suo nuovo album, un probabile doppio. Purtroppo quell’album non verrà mai completato. Ma questa è un’altra storia. Le performance al Fillmore East sono state filmate e verranno raccolte in un DVD e, nel 1999, uscirà un doppio live che documenterà in modo più completo le quattro sessioni.
Canned Heat – L'orso, il gufo cieco e i compari sbancano in UK Successo in UK e Germania per i Canned Heat nella formazione "classica", con tanto di soprannomi (Bob "The Bear" Hite, Alan "Blind Owl" Wilson, Henry "Sunflower" Vestine, Larry "The Mole" Taylor e Adolfo "Fito" De La Parra). La loro versione di LET'S WORK TOGETHER arriva al N. 2 britannico, diventando così il maggiore hit oltremanica della formazione rock-blues che nelle stesse settimane arriva nella Top 10 degli album con la raccolta “Canned Heat Cookbook”. Il singolo viene pubblicato in contemporanea con il tour europeo che la band intraprende nei primi mesi del 1970. Il pezzo è una cover di un brano del cantante blues Wilbert Harrison. Il pezzo risale al 1962 e in origine si intitola origine “Let’s Stick Together”. Harrison la riprende nel 1969 con il nuovo titolo, “Let’s Work Together”. Il pezzo sale la classifica USA a inizio 1970. Dato che i Canned Heat, da fan rispettosi, non vogliono danneggiare la prestazione in classifica del suo singolo (che diventa il suo primo ingresso nella Hot 100 dopo una decina d’anni), la loro versione verrà pubblicata negli USA solo in autunno, dopo la pubblicazione dell’album “Future Blues”. Mentre la versione di Harrison si ferma al N. 32 USA a febbraio, quella dei Canned Heat arriverà a novembre al N. 26. Le registrazioni effettuate durante il tour europeo invece verranno impiegate nell’album live “Canned Heat ’70 Concert”. Purtroppo, a settembre la morte per overdose di barbiturici di Alan "Blind Owl" Wilson segnerà duramente la band che di fatto non si riprenderà più. “Let’s Stick Togheter” tornerà invece nella Top 10 britannica nel 1976 grazie alla cover di Bryan Ferry (che la riporterà in Top 20 anche nel 1988).
Creedence Clearwater Revival – Dalla pioggia vietnamita alla giungla urbana Al picco del successo sono i Creedence, la band americana più popolare del periodo. E a marzo la band ottiene l’ennesimo N. 2 USA (il quarto!) dal doppio lato A TRAVELIN' BAND / WHO'LL STOP THE RAIN. Stavolta vengono bloccati al secondo posto da Simon & Garfunkel (arieccoli!). Il singolo arriva in classifica mentre il precedente album “Willy And The Poor Boys” è ancora nella Top 10 USA. E anticipa il nuovo album, il loro sesto, il grande “Cosmo’s Factory”. Se “Travelin’ Band” è un divertente rock’n’roll, “Who’ll Stop The Rain” è decisamente un pezzo più serio, scritto da John Fogerty contro la Guerra in Vietnam, che viene vista come una tempesta di pioggia da cui il protagonista cerca rifugio (ovvero risposte che non trova, dato che la torre – del potere - è ormai troppo alta per essere raggiunta). Il brano tuttavia fa riferimento anche a Woodstock, evocando l’immagine di una folla che in nome della pace di unisce cercando calore sotto la pioggia battente. Il brano darà anche il titolo a un film del 1978 con Nick Nolte. Da notare che la band ha un feeling particolare con la pioggia, dato che un altro loro classico è "Have You Ever Seen the Rain?". E, nel 2003, Springsteen la userà per aprire i suoi concerti. E mentre il singolo arriva anche al N. 8 UK, il suo successore a maggio entra nella Top 5 USA. Si tratta UP AROUND THE BEND / RUN THROUGH THE JUNGLE, splendida accoppiata che arriverà anche al N. 3 UK. Anche in questo caso si tratta di un'accoppiata formata da un inno da party e un pezzo "politico". Il primo brano, che si apre con l’inconfondibile riff, rappresenta l’anima festaiola della band. Il secondo brano invece sembra legato anch’esso al Vietnam e da l’idea del soldato che vaga nella giungla. Tuttavia la giungla a cui Fogerty si riferisce è quella urbana e sulla proliferazione di armi nelle città americane. Il pezzo, molto cinematografico, verrà impiegato da Ligabue in "Radiofreccia". Da notare che “Travelin’ Band” questa primavera entra anche nella Top 10 tedesca, dove a marzo c’è anche il precedente hit dei CCR, DOWN ON THE CORNER, che dimostra la capacità della band di sfornare a manetta singoli splendidi con una facilità impressionante. I “rivali” dei CCR, ovvero i Three Dog Night piazzano nella Top 15 USA CELEBRATE, terzo estratto dal loro secondo album, “Suitable for Framing” e segue il secondo Top 5 della band, “Easy To Be Hard”, contenuta anche nel musical “Hair”. Se Neil Young e John Fogerty si dedicano a pezzi di protesta, c'è un brano che - un po' ambiguamente a dire il vero - attacca la politica USA e finisce clamorosamente al N. 1 Americano il 9 maggio, scalzando i fratellini Jackson...
The Guess Who – Tutte le donne, purchè non americane. Ovvero come portare al N. 1 una canzone di protesta "American Woman, get away from me" Si tratta di AMERICAN WOMAN, la title track del terzo album dei Guess Who, la band canadese guidata da Randy Bachman e Burton Commings. Associata su singolo all’altrettanto classica NO SUGAR TONIGHT diventa l’unico N. 1 USA del gruppo, rimanendo in vetta per 3 settimane. Il pezzo, che diventa il primo N. 1 di un artista canadese negli States, nasce come un’improvvisazione sul palco. Succede durante un concerto in Ontario: a Randy si rompe una corda della chitarra e la band deve fare una pausa. Quando la band torna sul palco il cantante Burton Cummings è svanito nel nulla (la versione ufficiale recita che stesse contrattando per acquistare dei vecchi 45 di cui sarebbe accanito collezionista, ma le malelingue dicono che sembra stesse intrattenendo delle fanciulle). Randy Bachman sta accordando la chitarra e ne esce il riff che sarà la base del pezzo. L'attenzione del pubblico viene catturata e la band allora inizia a suonare seguendo il chitarrista. Cummings sente la band, corre sul palco e inizia a cantare le prime parole che gli vengono in mente, che diventeranno il ritornello di "American Woman". L'esibizione è talmente estemporanea che la band dovrà ricorrere alla registrazione di uno spettatore per "fissare" il pezzo... Il pezzo che ne esce non è esattamente un’ode alle donne americane, anzi. Infatti contiene un attacco alle politiche americane all’epoca della Guerra del Vietnam e degli scontri razziali ("I don't need your war machines/I don't need your ghetto scenes"). Sembra che la band stessa sia stata bloccata al confine tra USA e Canada proprio per problemi legati al Vietnam. E la band, quando verrà invitata a suonare alla Casa Bianca davanti a Nixon dovrà rinunciare a suonarla (ma se erano contro la politica di Nixon che ci facevano là?). Sebbene il bassista Jim Kale dirà che il pezzo non è politico, ma riflette solo lo shock culturale affrontato dalla band, proveniente dalla provincia canadese, alle prese con la grandi città americane, Cummings e Bachman riveleranno che la Donna Americana del titolo è addirittura Miss Liberty, ovvero la Statua della Libertà. Ovviamente molti americani la interpretano come un motivo patriottico (a loro basta che ci siano le parole America o USA e non capiscono più una tega. Vero Bruce?) e la portano al N. 1… Anche se ci son gruppi femministi che accusano la band di sciovinismo, prendendo alla lettera il testo, ovvero ritenendolo contro le donne americane (sic...)… Da notare che anche questo brano verrà impiegato in uno spot Nike e nel 1999 Lenny Kravitz ne farà una cover (appena un po' più funkeggiante) per la colonna sonora del divertente “Austin Powers 2, la spia che ci provava” (italica traduzione perbenista dell’originale: “Austin Powers, la spia che mi ha trombata”). La versione originale comparirà in altri film, tra cui “American Beauty”. “No Sugar tonight” deriva invece da un’avventura occorsa a Bachman in California. Un tipo molto grosso lo sta minacciando, ma il cantante viene salvato da una donna che urla che il bestione non riceverà zucchero quella notte se si comporterà male… Dopo questo formidabile N. 1 Randy Bachman se ne va dalla band, i cui costumi molto “rock’n’roll” son poco consoni al suo credo religioso (è mormone). In più ha problemi di salute che lo rendono indisponibile per parte del tour americano. E così Randy suona con la band per un ultimo concerto il 16 maggio 1970 al Fillmore East di New York e poi molla. Formerà i Bachman-Turner Overdrive e, in seguito, gli Ironhorse. La band otterrà comunque altri due Top 10 USA. Poi si dissolverà nel 1975, a causa proprio del successo ottenuto e delle frizioni tra i membri. Ovviamente in seguito si riformeranno più volte per trionfali concerti all’insegna della nostalgia. Il buon Randy su quel palco in cui è nata "American Woman" improvvisa un riff blues rock che riecheggia quello di un altro classico dell'epoca, anzi di un autentico superclassico...
Led Zeppelin – Tutto l’amore per il blues I Dirigibili, dopo aver trionfato nell’inverno nelle chart USA e UK con il seminale “Led Zeppelin II” (per altro questa primavera ancora nelle parti alte di entrambi le classifiche) stanno ora dominando la classifica tedesca degli album (N. 1 in aprile). E la dominazione dei quattro si estende anche alla classifica dei singoli germanici col singolo dal doppio lato A WHOLE LOTTA LOVE / LIVIN' LOVIN' MAID (She's Just a Woman), che resta in vetta per 9 settimane tra febbraio e aprile. Il singolo è già arrivato al N. 4 USA il 31 gennaio e rappresenta un caso clamoroso nella discografia della band. È infatti il loro unico singolo da Top 10. No, non sono ammattito. Perché Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e Bonzo Bonham non sono mai stati molto propensi a pubblicare singoli. Anzi. È il loro manager, Peter Grant, ad opporsi alla pubblicazione di singoli in UK, in quanto ritiene la mossa perniciosa per le vendite degli album (e vedendo queste ultime, probabilmente ha anche ragione…). Basti pensare che nel 1969 la Atlantic Records ha già iniziato a stampare copie del singolo da destinare alla vendita in Gran Bretagna quando Grant insorge bloccandone la pubblicazione. E nel Regno Unito, per vedere un loro singolo in classifica dovremo attendere una ristampa proprio di “Whole Lotta Love” datata 1997. Grant è anche contrario alle apparizioni televisive. Pertanto la band non comparirà mai a Top Of The Pops. Ironia della sorte, “Whole Lotta Love” in seguito diventerà la sigla del popolare programma. Negli USA, dove il singolo è ritenuto un veicolo più semplice per pubblicizzare la band, Grant è leggermente più disponibile, anche se il pezzo più famoso dei quattro, “Stairway To Heaven” non verrà mai pubblicato a 45 giri, nonostante diventi il brano più passato dalle radio americane. Riguardo “Whole Lotta Love”, che dire? Per un appassionato di rock è uno dei monumenti del genere. Un fenomenale intro al fulmicotone che è un perfetto biglietto da visita per la rock band N. 1 degli anni ’70. Da notare che, come molte altre composizioni della band, il brano paga pegno a una composizione blues. Si tratta di un pezzo del ’62, “You Need Love” di Willie Dixon. Il pezzo è già stato rifatto col titolo “You Need Lovin’” dagli Small Faces nel 1966 (che si potrebbe definire il termine di transizione perfetto tra l'originale e il brano dei Led Zeppelin). Il pezzo dei Dirigibili prende molto da quel brano blues, uno dei preferiti di Plant. E infatti Willie Dixon, non riconosciuto nei crediti, porterà in tribunale la band. L’accordo a cui arriveranno le parti nel 1985 porterà soldi a Dixon che li destinerà a varie scuole. Tuttavia il brano è ispirato anche ad altri brani blues, come anche "Back Door Man", sempre di Dixon. Ovviamente gli Zeppelin, come molte altre band britanniche amanti del blues americano, traggono ispirazione dai pezzi che amano fino a citarli esplicitamente, tuttavia quello che ne esce è un suono personalissimo che parte dal passato per arrivare a qualcosa di nuovo, impreziosito dai talenti di Page e Bonham. Il pezzo viene registrato “utilizzando tutti trucchi di registrazione conosciuti all’uomo”. Il brano impiega un artifizio particolare: un’eco infatti anticipa il cantato di Plant dando luogo a un effetto unico (anche se c’è chi dice che in realtà il tutto sia dovuto al deterioramento del master impiegato...). La parte di Plant, realizzata in una sola registrazione è l’equivalente maschile rock degli orgasmi disco della Summer. Tuttavia tale parte tutto sommato appare decisamente (eccessivamente?) debitrice della versione degli Small Faces e dello stile del loro cantante, Steve Marriot, anche se in effetti con le band britanniche anni '60 che pescano nel blues americano questo gioco di rimandi continui è prassi comune. Insomma, senza togliere nulla alla grandezza della band, qualche citazione in più nei crediti del brano sarebbe stata più corretta... La band eseguirà spesso "Whole Lotta Love" in medley durante i concerti. In “How The West Was Won” il pezzo fa parte di un epico medley di oltre 23 minuti. Il brano verrà suonato nel 1988 al concerto per i 40 anni della Atlantic Records da Page, Plant e Jones, con il figlio di Bonham, Jason, alla batteria. Va ricordato che per le radio è stata anche realizzata su singolo una versione ridotta del pezzo, senza la cosiddetta parte “orgasmica” di Plant, ritenuta non programmabile. Abbinato su un singolo a questo classico c’è "Livin' Lovin' Maid (She's Just a Woman)". Quest’ultimo pezzo è dedicato a una groupie che ha infastidito la band. Il pezzo è praticamente una fotografia di molte groupie dell’epoca (non ovviamente di Pamela Des Barres, che in questo periodo diventa la groupie ufficiale della band: è una specie di quasi-fidanzata di Jimmy Page e per “rimanergli fedele” – cosa non ricambiata dall’amato – la poverina si troverà costretta a negarsi – con non poche sofferenze - alle pressanti avanches di Mick Jagger…). Il brano non è amato da Page, tanto che non verrà suonato dal vivo, mentre Plant lo considera uno dei suoi preferiti. In “Led Zeppelin II” segue senza soluzione di continuità “Heartbreaker”. A dire il vero una particolare versione strumentale di “Whole Lotta Love” approderà in autunno al N. 3 UK grazie a una cover ad opera dei CCS. Un’altra cover arriverà nella UK Top 3 nel 1996, si tratta della versione dance dei Goldbug, che hanno osato mixarla con “Asteroids”, tema della Pearl and Dean (!). I Led Zeppelin sono la band di punta del nuovo fenomeno musicale esploso nell’inverno appena passato. Si tratta di una forma di musica nuova, derivante da una sorta di commistione tra la distorsione psichedelica e il rock blues, che viene estremizzato (delle cui origini ho parlato anche nell'Autunno 1968). Questo nuovo genere, più duro, viene codificato in particolare da tre band, gli Zeppelin, i Deep Purple e i Black Sabbath, che il 13 febbraio hanno debuttato discograficamente con l'album omonimo. L'impatto di tali band a inizio anni '70 è paragonabile a quello di Beatles e Stones nella prima metà degli anni ’60. Di tutto questo voglio tuttavia parlare in modo degno e approfondito proprio nel momento dell’esplosione, ovvero quando affronterò l’Inverno 1969/70. Rimanendo in ambito rock blues e spostandoci in California, parliamo di un'altro pezzo da 90...
The Doors – Soggiorno in Hotel con blues Le Porte di Jim Morrison ritornano infatti nelle parti alte della classifiche con “Morrison Hotel”, che si piazza al N. 4 USA. L’album diventa anche il miglior piazzamento all’epoca della band in UK, dove si arrampica fino alla dodicesima posizione. Le Porte infatti han sempre trovato le serrature bloccate per l’accesso nelle parti alte della classifica britannica. Basti pensare che “Light My Fire” non è andata più in alto della 49esima posizione. Ci vorrà il film di Oliver Stone del ’91 per portarla in Top 10.
La foto di copertina è stata scattata in un hotel di Los Angeles. La band chiede ai proprietari se possono fotografare l‘edificio. I proprietari rifiutano e allora i Doors sgattaiolano dentro senza essere visti per farsi fotografare… Ora quel posto si chiama Morrison Hotel… Intanto il 7 aprile esce negli States un libro di poesie di Jim Morrison, si intitola “The Lords And The New Creatures”. È la fusione di due volumi, “The Lords” e “The New Creatures” pubblicati nel 1969. Si tratta degli unici scritti di Morrison pubblicati prima della sua morte. Se band britanniche come i Led Zeppelin rinnovano gli schemi del blues, vi sono altre band che, partendo da radici psichedeliche, stanno sviluppando un altro suono, complesso, che non esiterà a miscelare le più disparate influenze, come jazz e classica. Si tratta del Rock Progressivo. Ebbene l’11 aprile nasce anche il primo grande supergruppo progressive: Emerson, Lake & Palmer. I tre arrivano rispettivamente dai Nice, dai King Crimson e dagli Atomic Rooster. Intanto, arriva a maggio al N. 3 UK anche “Benefit”, il terzo album dei Jethro Tull, a cui spetta il compito di seguire il loro N. 1 “Stand Up” vedi Estate 1969. L’album, il terzo, è il primo con il tastierista John Evan e l’ultimo con il bassista Glenn Cornick. Prima della pubblicazione dell’album la band ottiene un altro singolo di successo con un'accoppiata di classici sui due lati, TEACHER / THE WITCH’S PROMISE, che si è piazzato al N. 4 UK in febbraio. Il primo brano brano è uno dei pezzi più noti della band e di fatto dimostra come Ian Anderson e compari stanno elaborando sempre più il proprio suono che sta diventando sempre più personale. La versione su singolo differisce per arrangiamento da quella che compare sulla versione americana dell'album (in quella inglese originale il pezzo non è presente). Per chi volesse ascoltare la versione sull'album, basta cliccare qui. La band adotta anche artifizi produttivi come l’impiego di registrazioni di strumenti al contrario. La strada per “Aqualung” è intrapresa… Ma passiamo invece a chi dall’altra parte dell’Atlantico unisce rock, R’N’B e jazz in una miscela esplosiva…
Chicago – Nome nuovo e primo hit Il collettivo rock jazz della Città Ventosa arriva per la prima volta nella Top 10 USA con MAKE ME SMILE (qui una bella versione live), che si piazza al N. 9 il 6 giugno. Scritta da James Pankow, fa parte di una suite di 13 minuti intitolata “Ballet for a Girl in Buchannon”, dedicata a una ragazza del West Virginia (che comprende anche il terzo hit tratto dall’album, la ballata “Colour My World”). La versione pubblicata su singolo viene ovviamente accorciata. Il pezzo è cantato da Terry Kath e presenta il tipico suono della band all’inizio degli anni ’70: un poderoso arrangiamento jazz-rock con fiati travolgenti e un bell’assolo di chitarra di Kath. Il singolo è il primo dei tre Top 10 tratti dal secondo album, con cui la band sta ottenendo un grande successo nelle classifiche degli album UK (N. 6) e USA (N. 4) intitolato “Chicago II”. A dire il vero all’epoca l’album si intitola solo “Chicago”. Infatti è il secondo album della band, ma il primo con il nome accorciato a Chicago. Il primo album infatti si chiama con il primo album del gruppo, “The Chicago Transit Authority”. Poi l'omonimo ente ha minacciato di far loro causa, e così la band ha accorciato il nome. L’album comprende anche "It Better End Soon", pezzo politico contro la Guerra in Vietnam scritto da Robert Lamm e il primo pezzo scritto da Peter Cetera per la band, "Where Do We Go From Here". Intanto in Germania arriva in Top 10 la loro versione di I'M A MAN, pezzo del '67 scritto da Steve Winwood e Jimmy Miller per lo Spencer Davis Group. La cover è inclusa nel loro primo album e verrà pubblicata su singolo negli USA solo nel '71, come lato B di "Questions 67 And 68", piazzandosi al N. 49. La versione dei Chicago è un travolgente pezzo di oltre 7 minuti impreziosita dalla chitarra di Terry Kath. Certo che a risentire i loro primi lavori mette proprio tristezza vedere cosa son diventati negli anni ’80… E parlando della Città Ventosa, dai suoi sobborghi arriva un’altra band che propone un convincente Rock-jazz con influenze rhythm n’ blues e fiati in evidenza. Sono gli Ides Of March, che ottengono il loro più grande hit con VEHICLE (qui in versione live), che si piazza al N. 2 della classifica americana. Le Idi di Marzo son in circolazione dal 1964, sebbene il nome definitivo sia stato scelto nel 1966. “Vehicle” è la loro prima mossa dopo aver firmato il contratto con la Warner, e diventa il disco venduto più rapidamente della storia della casa discografica. La band si inserisce sulla scia del rock-jazzato dei Blood, Sweat and Tears, tanto che il pezzo di fatto copia il riff di un brano di Al Kooper, "More Than You'll Ever Know". La band passerà il resto dell’anno in tour, aprendo per Jimi Hendrix, Janis Joplin e Led Zeppelin, a quanto pare, rubando la scena a questi ultimi. I successivi album tuttavia non porteranno a nuovi hit e la band si scioglierà nel 1973. Il cantante e chitarrista Jim Peterik formerà allora una nuova band, i Survivor, quelli di “Eye Of The Tiger” (vedi Autunno 1982). Le Idi si riformeranno nel 1990. Al N. 2 USA arriva anche un rapper ante-litteram. Infatti si insedia a marzo THE RAPPER per i The Jaggerz. Niente a che fare con l’hip hop, ovviamente. Per rapper infatti all’epoca si indica un tipo che fa abborda le ragazze nei locali. La band della Pennsylvania infatti pratica pop-rock influenzato tuttavia dall’R’N’B. Il brano venderà oltre 5 milioni di copie a livello mondiale. Fa parte della band anche Donnie Iris, futuro membro di un’altra band etichettata come “one hit-wonder”, i Black Cherry, quelli che otterranno un N. 1 con “Play That Funky Music” del 1976 (e qui un legame col rap c’è, dato che verrà rifatta malamente da Vanilla Ice nel 1990…).
British Invasion: Le truppe d'invasione britanniche sciolgono le righe Allora, i Beatles hanno attivato l'autodistruzione. Ma che ne è delle altre band che hanno costituito la prima leggendaria British Invasion? Beh, in classifica ce ne son ancora alcune, anche se quasi tutte stanno ormai sparando le ultime cartucce… Tra le vecchie glorie che ottengono gli ultimi successi vi sono gli Herman's Hermits, tra gli alfieri della prima British Invasion. Il quintetto di Manchester guidato dal cantante Peter “Herman” Noone ottiene il suo ultimo Top 10 UK con la facile (e tutto sommato antiquata per i tempi) YEARS MAY COME AND YEARS MAY GO, che si piazza al N. 7 UK. Si tratta dell’ultima incisione della band per la Columbia. Poi infatti il gruppo passa alla RAK, etichetta creata dal produttore e manager della band, Mickie Most, l’effettivo artefice del lancio della band. La band otterrà altri due hit entro la fine dell’anno, poi Noone e Keith Hopwood lasceranno il gruppo. E mentre Noone si dedicherà a una carriera solista per la RAK, il resto della band nel 1973 si lancerà in trionfali tour all’insegna della nostalgia, senza tuttavia ricomparire in classifica. Forse la band che, nella fase iniziale della British Invasion che fu, è riuscita a rivaleggiare in popolarità nientemeno che con i Beatles sono i Dave Clark Five, guidati dal batterista Dave Clark. La band ha dimostrato una capacità notevole di scrivere grandi pezzi pop e i Cinque son stati la seconda band dopo i Beatles ad entrare nella Top 10 USA. Ora ormai la band è stanca e più che altro pubblica cover, come quella che piazzano al N. 8 UK, EVERYBODY GET TOGETHER (purtroppo su youtube c’è solo un video di pessima qualità), cover di “Get Together” portata poco tempo prima al successo dai Youngbloods. Si tratta dell’ultimo Top 10 della band, che si scioglierà a fine anno. In realtà per assolvere a compoiti contrattuali il gruppo inciderà ancora qualcosa come Dave Clark & Friends. Poi, dal ’75 Clark si ritirerà, gestendo il proprio catalogo (anzi togliendolo dal mercato fino al 1993, cosa più unica che rara nel mondo del pop!) e la serie completa della storica tramissione inglese “Ready Steady Go!”, vetrina del beat britannico tra ’63 e ’66, di cui ha acquistato i diritti. E nel 1985 comporrà il musical “Time”, alla cui colonna sonora parteciperanno Cliff Richard, Freddie Mercury, Stevie Wonder e altri. Anche altre band britanniche più recenti sono minate da contrasti interni che stanno mettendone a rischio la sopravvivenza...
The Move – Il brontosauro è a rischio di estinzione. O si sta evolvendo? I Move, band chiave della scena britannica della seconda metà degli anni ’60 (per chi non lo sapesse, son gli autori originali di “Tutta Mia La Città”, chiamata “Blackberry Way”, N. 1 UK nel 1969) si trovano senza cantante all’inizio del 1970. Il frontman Carl Wayne infatti se n’è andato a gennaio dopo una divergenza con il resto della band. In effetti, il leader Roy Wood ha già la testa sul suo nuovo progetto, dedito al rock orchestrale (gli Electric Light Orchestra). Si tratta di un momento di notevoli cambiamenti per i Move, che sostituiscono pure il manager, tornando a Don Arden. A questo punto entra nella band Jeff Lynne (ex degli Idle Race e futuro leader degli ELO) e la band va in tour con i Black Sabbath (anch’essi sotto contratto con Arden). Esce così l’album “Looking On”, orientato verso un rock più duro che sorprende non poco i fan. Il singolo che viene tratto dall’album è BRONTOSAURUS, che arriva al N. 7 UK e rappresenta la svolta del sound della band. Il brano è il primo che vede Wood come frontman e presenta un riff di chitarra aggressivo. A Top Of The Pops la band compare con Woods con il viso truccato: un’anticipazione di come si presenterà con i Wizzard tra un paio di anni. Piccola lezione paleontologica: il bestio chiamato Brontosauro, un sauropode per l'esattezza, in realtà non esiste ufficialmente. Infatti il suo vero nome è Apatosauro (Apatosaurus ajax). Per errore i suoi fossili son stati classificati anche con un secondo nome, Brontosauro appunto, che tuttavia non è scientificamente valido. E poi non dite che non pensiamo alla vostra cultura generale! Carl Wayne nel 2000 si unirà a un’altra storica band della scena inglese, con cui si esibirà fino alla morte, avvenuta nel 2004. E anche quella band è in classifica in questo periodo, ma dall’altra parte dell’Atlantico… Sono gli Hollies, che stanno ottenendo uno dei loro rari hit americani con HE AIN'T HEAVY, HE'S MY BROTHER, che a marzo arriva al N. 7. Non è un momento facile neppure per gli Agrifogli. Graham Nash ha lasciato la band nel 1968 per formare il trio Crosby, Stills & Nash. La sua partenza è un duro colpo per la band che ha chiamato a sostituirlo Terry Sylvester. "He Ain't Heavy, He's My Brother", scritta da Bob Russell e Bobby Scott, ha raggiunto la terza posizione UK e ora diventa il quarto Top 10 americano della band. Da notare che il brano, ripubblicato, diventerà un N. 1 a sorpresa nel 1988. Questa primavera la band intanto piazza un altro singolo nella Top 10 UK, I CAN'T TELL THE BOTTOM FROM THE TOP. In ogni caso la band sta iniziando a intraprendere la china discendente... In "He Ain't Heavy, He's My Brother" c’è un giovane musicista inglese ventitreenne al piano, che il primo maggio fa uscire un album intitolato con il suo nome in cui compare una canzone intitolata “Your Song”. Quel musicista si chiama Reginald ma il suo nome d’arte è Elton John. C'è poi chi invece piazza il proprio capolavoro nella Top 10 USA...
Marmalade – La marmellata di arance fa da se e diventa riflessiva Splendido pezzo per i Marmalade, che dopo aver ottenuto in inverno la Top 3 britannica, arrivano a maggio nella Top 10 USA (per l’unica volta) con REFLECTIONS OF MY LIFE. La band scozzese è decisamente lontana anni luce dalla cover che gli ha dato la notorietà nel 1968, ovvero la beatlesiana “Obladì Obladà”, che ne ha fatto la prima band scozzese capace di arrivare in vetta alla UK chart. “Reflections” rappresenta il primo singolo prodotto dalla band dopo il passaggio alla Decca Records, con un contratto che permette alla band di scrivere e produrre in proprio le canzoni. E la prima mossa si rivela il loro maggiore hit mondiale, con oltre 2 milioni di copie vendute. Il melanconico pezzo è stato scritto dal chitarrista Junior Campbell e dal cantante Dean Ford e presenta caratteristico un break di chitarra registrato al contrario. Il testo vede il protagonista che descrive in modo molto cupo la propria vita e i tempi che sta attraversando, con riferimenti sottintesi all'onnipresente Vietnam. Clamorosamente questa band non riuscirà mai a piazzare un album in clasisfica, nonostante i numerosi hit. A proposito, “Obladì Obladà” viene considerato un esempio di brano proto-reggae. Ebbene, nella Top1 0 UK arriva anche un vero e proprio pezzo reggae. Si tratta di YOUNG, GIFTED AND BLACK, cover di un pezzo già inciso da Nina Simone. Lo porta nella Top 5 UK il duo formato da Bob & Marcia, ovvero Bob Andy, membro fondatore dei Paragons, e Marcia Griffiths, la cantante di maggior fama della storia della musica giamaicana. La Griffiths sarà tra il 1974 e il 1981 membro delle I Threes con Rita Marley e Judy Mowatt, il gruppo di coriste di Bob Marley.Sonorità pop con influssi caraibici sullo ska per MADEMOISELLE NINETTE, grande hit europeo per i Soulful Dynamics, che si piazzano al N. 2 tedesco. La band è originaria della Liberia ed è nata a metà anni '60. Il suo nome deriva da quello di un locale, il Club Dynamic. Ne 1969 son arrivati ad Amburgo e l'anno dopo arrivano al N. 1 tedesco tra i Led Zeppelin e i Frijid Pink. Il singolo sarà il loro unico grande hit. E rimanendo in ambito europeo, va segnalato anche MIGHTY JOE, il degno successore della leggendaria "Venus", l'enorme hit internazionale degli olandesi Shocking Blue. La band guidata dalla cantante Mariska Veres continuerà ad ottenere hit fino al 1974, anno in cui la cantante lascerà la band per intraprendere una non molto fortunata carriera solista. E giungiamo così alla chicca finale. Stavolta però non la prendiamo in Germania, ma la cogliamo dal N. 1 britannico, ove resta per 3 settimane a partire dal 16 maggio... Che i britannici siano appassionati di calcio, lo sappiamo bene. Una cosa che tuttavia li differenzia da noi è la frequente presenza in classifica di singoli dedicati all’argomento, che arrivano nelle prime posizioni a seguito di vittorie del campionato, delle coppe, ecc... Da noi, ad eccezione di "Un’Estate Italiana” targata Italia ’90, non si registrano veri e propri hit di marca calcistica. A maggio invece approda in vetta alla UK chart BACK HOME (nessun video su youtube...), nell’interpretazione dell’England World Cup Squad, ovvero della Nazionale Inglese, rimanendo in classifica 14 settimane. Per la prima volta la nazionale dei tre leoni partecipa a un singolo realizzato per i Mondiali. Non sarà l'ultima volta. E porterà sempre loro sfiga. Il singolo anticipa di poco i Mondiali Messicani, che hanno inizio il 31 maggio, affrontati dalla squadra dei leoni come Campione in Carica. Ovviamente la canzone vorrebbe rassicurare i tifosi inglesi che il trofeo tornerà a casa (come ben si sa gli inglesi ritengono il loro paese la casa natale del calcio). Le cose non andranno esattamente così e la Coppa Rimet finirà – per sempre – nelle mani dei brasiliani, arrivati alla terza vittoria. Batteranno in finale proprio gli azzurri, reduci da quella che è considerata la più grande partita della storia dei mondiali, la leggendaria semifinale Italia-Germania 4-3. Ma intanto a maggio la speranza è alta e proietta il singolo in vetta, scalzando Norman Greenbaum...
USCITE CHIAVE Maggio 1970: esce "Live At Leeds", degli Who. Il miglior album live rock di sempre? Altamente probabile. D’altra parte Townshend e soci sono sempre stati fondamentalmente una grande live band. È in tale dimensione che danno il meglio e questo album lo testimonia. L’album segue il trionfale tour di “Tommy”. La band decide di suonare senza restrizione alcuna e sceglie l’Università di Leeds per l’evento. Il giorno è il 14 febbraio 1970. La band si scatena sul palco, suonando, oltre al materiale della recente opera rock, anche i propri classici (splendida la versione di “My Generation”, trasformata in un esaltante medley) e alcune cover di pezzi storici di rock’n’roll (come YOUNG MAN’S BLUES di Mose Allison, che apre l’album). La performance dei quattro è memorabile e l’album, che esce a maggio, la documenta con sei splendide tracce (ampliate nel cd). Notevole anche la confezione, che ricorda quella dei bootleg dell'epoca: una copertina di cartone. Per un disco che esce nel marzo 1970, bisogna porre un’avvertenza. Il prossimo che dice che “Moondance” è un pezzo di Michael Bublè si becca un calcio nel deretano. Perché MOONDANCE è di Van Morrison. Certo, poi una mezza tonnellata di band e di swingaroli (come Bublè), per tacer dei partecipanti a tutti i talent show televisivi del globo, l’ha rifatta con arrangiamenti sempre più carichi e parti vocali da crooner. Il buon Van avrà gradito le carrettate di royalties che gli son arrivate nelle tasche. Tuttavia, a parere dello scribacchino, la grazia della sua versione di questa canzone dedicata all’autunno non è stata mai egualiata. Peccato che tra tutte le versioni del pezzo che affollano youtube manchi proprio l’originale… E vabbè, beccatevi quella di Bublè! E l’album omonimo, che celebra la vita in campagna tra ricordi d'infanzia, vista come uno stato d'innocenza, è quello che gli consente di irrompere nelle parti alte della classifica americana, dopo essersi rivelato come grande artista di culto con il precedente “Astral Weeks”. L’ex Them compone parte del materiale durante il Festival di Woodstock. A die il vero quando entra in studio ha le canzoni in testa ma non c'è neppure una nota scritta su carta. Da qui un tono spontaneo, voluto dal cantautore qui anche per la prima volta produttore (molte delle parti vocali di Morrison son registrate praticamente in presa diretta). Se il predecessore è acustico e intimista, questo album presenta un suono più complesso e corposo, arricchito con fiati. E trabocca di perle. INTO THE MYSTIC è un gioiello, una splendida ballata dedicata all’amore che verrà ripresa da Johnny Rivers. CRAZY LOVE è un’altra meraviglia che verrà rifatta da mezzo mondo. E COME RUNNING è l’hit da Top 40 USA a nome di Morrison. Van The Man è ormai una stella. Peccato che su youtube si trovi davvero poco… E ora provo a fare un passo più lungo della gamba. Farò una cosa che qui in Italia è molto di moda: parlare di una cosa che conosco davvero poco… Mi perdonino gli appassionati di jazz. Tuttavia l’album che esce questa primavera è talmente epocale e rivoluzionario da non poter essere trascurato. Allora… Prima ho parlato di Jimi Hendrix. Ebbene è proprio il sommo chitarrista a ispirare il grandissimo Miles Davis e il suo “Bitches Brew”. Le registrazioni dell’album sono iniziate il 18 agosto 1969, alle 8 di mattina. Poche ore prima Hendrix aveva suonato la sua incendiaria versione dell’inno americano sul palco di Woodstock. Il lavoro nasce come un esperimento: ricreare le atmosfere di “Electric Ladyland” e delle sue jam session in chiave jazz. Al disco partecipa gente come Larry Young, Wayne Shorter, Dave Holland, Chick Corea e John McLaughlin. Ne esce un album di jazz psichedelico che suona rivoluzionario all’epoca e, pescando nelle ritmiche della musica rock e black diventa di fatto il precursore del jazz rock. Con questo album milionario Davis diventerà il Re del Jazz, titolo mantenuto fino alla sua morte. Per voi SANCTUARY, dal Concerto di Copenhagen con Shorter, Corea, Holland e Jack De Johnette. Mi perdonino gli amanti del jazz per questa incursione. Gli interventi primaverili si concluderanno con un bel ritorno al futuro di ben 26 anni. Tempi di una rissosa band Brit Pop all'apice del successo, di grandi hit hip hop, di ragazze con la chitarra più o meno arrabbiate, di boy band che se ne vanno tra le lacrime, di piromani musicali ed enormi successi da discoteca. E il disco più venduto del periodo sarà italiano...
Marco Fare clic qui per inserire un commento a questa monografia.  
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