( chart USA + UK + Germania, marzo-aprile-maggio )
LA PRIMAVERA DEL 1974 - Sguardi al passato e stivali elettrici In America debutta un telefilm ambientato negli anni ’50 e intitolato “Happy Days”. “Tempi felici” gli anni ‘50? Basta far passare del tempo e tutto viene avvolto dalla nostalgia. E così se oggi si riesce a guardare con una certa nostalgia pure al 1974, in quell’epoca niente di meglio che pensare ai bei tempi andati. E le classifiche si adeguano, traboccando di riferimenti all’età d’oro del rock’n’roll. Anche perché se si guarda al presente, a parte il Portogallo, dove la Rivoluzione dei Garofani porta la democrazia, l’incertezza per il futuro regna sovrana. Appena conclusasi la crisi petrolifera, che ha rischiato di non far più pubblicare dischi (il vinile deriva dal petrolio), negli States, dopo l’incriminazione per lo scandalo Watergate di sette membri dello staff di Nixon, si inizia a parlare di impeachment per il Presidente. L’India diventa una potenza nucleare. E nel Belpaese, squassato tra crisi economica, scandali vari e terrorismo di vario colore, l’11 maggio si tiene il referendum sul divorzio, accompagnato da una campagna elettorale furibonda, tra le cui vittime c’è la povera Gigliola Cinquetti, oscurata in quanto rea di interpretare una canzone intitolata “Si”. E così l’Italia oscura pure l’Eurofestival, in cui la nostra arriva buona seconda. Peccato, perché si perde l’occasione di vivere in diretta la vittoria di quattro svedesi vestiti come la star glam Bennie osannata in questi mesi da Elton John, un fatto che segna la Storia della Musica Pop. Ed è proprio il pop facile che sta recuperando dopo il trionfo del rock degli ultimi anni, sfruttando di fatto, alleggerendoli, gli atteggiamenti e dei costumi del glam per riportarlo entro i confini del bubble gum. E mentre band come Queen e Genesis ottengono i primi hit, la musica soul sta mutando rapidamente in un nuovo genere e che si avvia ad arraffare la scena, di fatto rubandola agli avversari. E proprio in questi mesi al N. 1 USA arriva uno dei più evidenti termini di transizione. Neppure il più sfrenato creazionista potrebbe negare che dal Philly Sound si sta evolvendo qualcosa di diverso, molto ballabile. E dato che è adatto alle discoteche, si chiamerà Discomusic. E intanto si muove qualcos’altro, completamente diverso, sottoterra… si chiamerà Punk: il 30 marzo esordiscono su un palco i Ramones. E se volete, questa è la primavera giusta per correre nudi per la strada… Ma intanto affrontiamo il brano che rifulge in vetta al nostro classificone. E, guarda caso, è un brano che arriva dal passato…
Terry Jacks – Le stagioni del moribondo Il buon Terry arriva dal Canada. In piena fase hippy ha fatto parte di una band, i The Chessmen. Poi si è unito alla cantante Susan Pesklevits, che ha pure sposato, e in compagnia di un chitarrista e di un batterista ha formato la Poppy Family. La band ottiene alcuni hit tra il 1969 e il 1970, poi si dissolve, come il matrimonio. Un paio di anni dopo Terry si trova a collaborare con i Beach Boys. Propone loro la cover in inglese di un brano datato 1961 del grande cantautore belga Jaques Brel, allegramente intitolato “Le Moribond”. Tradotto in inglese da Rod McKuen, il brano è stato inciso, senza successo, da vari gruppi, tra cui i Kingston Trio, i Fortunes e i Pearls Before Swine. I Ragazzi della Spiaggia registrano il pezzo, ma poi decidono di accantonarlo. E così Jacks decide di registrare il brano in proprio, con il titolo SEASONS IN THE SUN. Il pezzo è di fatto un tributo a un amico morto di recente. Terry modifica leggermente il testo rispetto alla traduzione di McKuen per “renderlo più leggero”. Se l’originale vede protagonista un uomo che sta probabilmente per suicidarsi e di fatto è un addio ad una moglie amata ma infedele, la versione di Terry parla di un’amata Michelle che non sembra averla data in giro ed è più vaga circa le cause della morte (molti la interpretano come l’addio di un coscritto in partenza per il Vietnam). La versione di Jacks se ne sta per un buon annetto in cantina su uno scaffale. A convincerlo a pubblicarla sembra sia il ragazzo che gli consegna i giornali: ascolta il pezzo e ne è entusiasta. Il singolo esce per l'etichetta di Terry, la Goldfish. Ed evidentemente il ragazzo dei giornali è un buon campione del pubblico, dato che diventa il 45 giri più venduto (all’epoca) della storia canadese e regala a Terry un bel po’ di premi (i Juno Awards, equivalenti canadesi dei Grammy). Realizzata negli USA per la Bell Records ripete il successo, arrivando al N. 1 il 2 marzo 1974 e restandoci 3 settimane. E replica in mezzo mondo, arrivando in vetta il 6 aprile in UK (quattro settimane) e il 16 in Germania (8 settimane!). Praticamente diventa il disco più venduto dell’anno con oltre 6 milioni di copie. Ovviamente da noi non ce n’è traccia. Anche se Dori Ghezzi ne farà una cover (“Stagioni fuori tempo”). Da ricordare anche l’attore Duilio Del Prete (il “Necchi” del primo “Amici Miei”), la cui versione sarà più vicina all’originale di Brel (“Il Moribondo”). Qui mi fermo perché in campo italiano son una vera bestia d’ignoranza… Terry non replicherà più il colpaccio, nonostante i vari tentativi (traduzione: altre cover di Brel), tuttavia si dedicherà a una buona carriera di produttore discografico e alle attività ambientaliste. Da notare che poco prima del successo della versione di Jacks, l’autore originale, il grande Brel si ritira dalle scene senza spiegazione alcuna. Solo nel 1978 emergerà la verità, quando il 9 ottobre, Brel morirà dopo 6 lunghi anni di lotta contro il cancro. Purtroppo i Westlife ne faranno una cover karaoke nel 1999, con giusto un arrangiamento stile Titanic, che diventerà l’ultimo N. 1 britannico del secolo… E il guaio è che non saranno in punto di morte e faranno altri dischi… Anche i Nirvana ne hanno fatto una cover. E purtroppo stavolta il brano suona come un triste presagio. Sembra che il singolo di Terry Jacks sia stato il primo disco mai acquistato da Kurt Cobain… Il pezzo di Jacks è un fulgido esempio di una tipologia di canzone destinata a non tramontare: l’hit funerario. A dirla tutta, il 6 aprile 1974 l’intera Top 3 britannica brilla per “allegria”: alle spalle di Jacks infatti sono piazzati i Paper Lace, la cui canzone parla di un soldato che muore in guerra, e dietro di loro, buoni terzi, ci sono gli Hot Chocolate, la cui Emma pensa ben di suicidarsi. Se poi si considera che al N. 4 c’è Gary Glitter che ci dice di “ricordarlo così” (titolo che potrebbe funzionare perfettamente come epitaffio) e che la sua band è quinta parlando di un “volto d’angelo” (che, si presume, potrebbe apparire nell’altro mondo a tutti i defunti delle posizioni superiori...), diciamo che la cinquina funebre è fatta. Ma non crediate che finisca qui! Anzi, in classifica, seppur più in basso, c’è in circolazione l’hit funerario per eccellenza, interpretato da uno che ha sempre avuto una certa propensione per esequie e salme. Certo, non raggiungerà mai i vertici assoluti nel ruolo di corvaccio menagramo toccati dalla nostrana Suor Renata, anche perché il look da Madre Badessa poco gli interessa, essendo più propenso ad ispirarsi a Madame Pompadour. Però il ragazzo (beh, lo è nel 1974…) ha sempre mostrato una speciale propensione per scrivere musiche per cerimonie funebri. E con il brano in questione supererà se stesso, arrivando persino a riciclarlo abilmente al presentarsi di una nuova cara estinta. Nella primavera 1974 nella chart UK c’è la versione originale. Tra 23 anni ci sarà la versione riciclata per la Rosa d’Inghilterra, ufficialmente il disco più venduto della Storia dietro “White Christmas”. Per la serie, se volete far quattrini con una sola canzone, o scrivete un pezzo natalizio o fate un brano che si possa suonare ai funerali.
Elton John – Reg sospeso tra Bennie e Norma Jean Il brano in questione è ovviamente la celeberrima CANDLE IN THE WIND, versione Norma Jean, ovvero Marilyn Monroe. Il brano è incluso nel suo seminale doppio album, “Goodbye Yellow Brick Road” che, manco a farlo apposta, si apre con “Funeral For A Friend” (e dagli!), ovvero il pezzo strumentale che il caro Reginald Kenneth Dwight vorrebbe tanto venisse suonato al suo funerale… “Candle In The Wind” è la traccia successiva. Il brano viene pubblicato in Gran Bretagna come secondo singolo tratto dall’album (dopo la title-track). Sebbene lo struggente brano sia dedicato a Marilyn, il suo titolo trae origine da una frase detta a proposito di un’altra grande precocemente scomparsa, Janis Joplin, definita appunto “una candela nel vento”. All’epoca il singolo arriva al N. 11 UK. Un po’ pochino per un classico del genere. Tuttavia il brano si rifarà nel 1988, quando una sua versione “live” si piazzerà al N. 5 UK e al N. 6 USA. Poi nel 1997 avverrà il notorio riciclaggio dal successo spaventoso (in tutti i sensi). Negli USA invece non si rispetta la volontà di Sir Elton Hercules John, e la MCA opta per pubblicare come secondo singolo un brano completamente diverso, relegato oltremanica al lato B della Candela. La causa sembra essere una stazione radio specializzata in musica black di Detroit che inizia a programmare a manetta il pezzo, intitolato BENNIE AND THE JETS. Intuendo che il brano potrebbe rendere Elton appetibile anche per il pubblico di colore, la casa discografica non ci pensa due volte. Il brano parla di un gruppo glam rock immaginario guidato dalla cantante Bennie, una dea da fantascienza con stivali elettrici e un completo di mohair. Elton gioca a fare il fan sfegatato della band e Bernie scrive un pezzo che è anche una satira del sensazionalismo con cui l’industria discografica impone gli artisti al pubblico. La canzone è scritta velocemente dai due, secondo il loro metodo di lavoro. Taupin dice che scrive i testi di getto partendo dal titolo o dalla prima strofa, e se il testo non arriva in un’ora, cestina il tutto. Elton lavora altrettanto velocemente sulla melodia e se, partendo dal testo, questa non viene subito, passa a un altro progetto. Il pezzo, il primo tentativo di Elton di fare musica R’N’B, viene registrato in Francia, al Chateau d'Herouville (dove son stati già registrati due album di Elton, “Honky Chateau” e “Don't Shoot Me I'm Only the Piano Player”). Tuttavia Elton e Bernie non sono soddisfatti del risultato e mandano il pezzo al produttore Gus Dudgeon, che inserisce gli effetti “live” con gli applausi del pubblico, che di fatto diventa una sorta di strumento musicale nell’arrangiamento (una metafora dell’uso del pubblico da parte dell’industria discografica?). A dire il vero Elton non nutre una grande fiducia sul brano. Già poco propenso a inserirlo nell’album (un pezzo allegro che non parla di funerali?!?), non approva la decisione di pubblicarlo su singolo, sicuro che avrebbe fatto fiasco. Beh, viene smentito e il brano s’invola al N. 1 USA il 13 aprile, addirittura entrando nella classifica R’N’B. Elton, da buon fan del Soul, è entusiasta per questo successo sul mercato black del suo singolo, anche se lo riterrà poco più un episodio. Tanto che dirà a “Rolling Stone”: “Per il prossimo tour potrei suonare all’Apollo (il tempio della musica nera) iniziando con “Bennie & The Jets” e poi dicendo alla gente “Grazie, adesso potete anche andare a casa!””, partendo dal presupposto che il resto del suo repertorio non ha nulla a che spartire col soul. Da ricordare che il brano verrà campionato in "Deep Inside", brano datato 1999 di Mary J. Blige (con partecipazione di Elton). “Bennie” fa guadagnare al suo interprete una clamorosa esibizione a “Soul Train”, lo storico programma musicale TV che rappresenta la vetrina televisiva per la musica nera negli USA. È la prima volta che un bianco si esibisce in quella trasmissione. E proprio con quel programma ha a che fare il N. 3 del nostro classificone, che sfratta il 20 aprile dal N. 1 USA proprio Elton John…
MFSB Featuring The Three Degrees – L’inno Philly dell’orchestra di Gamble e Huff I MFSB, ovvero Mother, Father, Sister, Brother (acronimo subito storpiato nella versione più “hard” Mother Fucker Son of a Bitch), sono l’orchestra multirazziale da sala d’incisione, costituita da una quarantina di turnisti, che di fatto accompagna tutta la produzione della Philadelphia International Records di Kenny Gamble e Leon Huff, e che suona pure in molte produzioni dell’altro padre del Philly Sound, Thom Bell. Per intenderci, la band ha suonato in pezzi come “Me And Mrs. Jones” e “Love Train”. L’origine dell’orchestra sta nell’incontro di Gamble e Huff con una band chiamata i Romeos. Sono gli anni ’60 e da allora la band, via via ingrandita e ribattezzata MFSB, diventa prima l’orchestra della Gamble Records e poi della Philadelphia International. Nel 1973 il collettivo realizza un primo album, “MFSB”, con cover di pezzi come “Freddie’s Dead”, “Back Stabbers” e “Family Affair”. Esce a metà ’73 ma non attira l’attenzione. Ma ecco che avviene il miracolo. Don Cornelius, produttore di “Soul Train”, vuole un pezzo per la sigla del programma che sostituisca la funk "Hot Potatoes" di King Curtis. Contatta quindi Gamble e Huff. I due si mettono al lavoro e viene così realizzato TSOP (The Sound of Philadelphia). Un sontuoso brano ritmico strumentale basato su archi e fiati in pieno stile Philly, affidato all’orchestra della casa. Di fatto l’inno ufficiale del soul di Philadelphia. Nel pezzo compaiono anche le voci delle Three Degrees, il gruppo vocale femminile di punta della Philadelphia, che proprio questa primavera esordisce nella UK chart con YEAR OF DECISION, che si piazza al N. 13. Il Suono di Philadelphia, una volta esposto al pubblico televisivo diventa un grande successo a gran richiesta viene pubblicato su singolo. Il resto è storia, ovvero un N. 1 USA. Da notare che invece agli inglesi proprio non interessa, dato che non va oltre la 22esima posizione. Va decisamente meglio in Germania, dove arriva al N. 5, e da noi, dove si piazza al N. 3. Il successo del singolo è accompagnato anche da quello dell’album che lo contiene, “Love Is The Message”, uscito nel dicembre 1973. L’album si arrampica fino alla quarta posizione USA e contiene anche un altro classico da discoteca dell’epoca, la title-track. E nonostante tipi diversissimi di musica black si siano alternati negli anni, TSOP rimarrà la sigla più nota del programma black per eccellenza. Tanto che dopo essere stata abbandonata nel 1975, tornerà, in versioni aggiornate, come sigla sia negli anni ’80 che negli anni 2000. Il brano, che vincerà il Grammy come miglior performance strumentale R’N’B, rappresenta il perfetto termine di transizione dal Philly verso il suono Disco. E la prossima estate con una doppietta al vertice USA il nuovo genere diventerà di fatto una realtà. TSOP viene invece detronizzata da una cover di un pezzo strafamoso.
Grand Funk – La locomotiva riprende la corsa con l’ex ferrovia Ecco una cover che definire rumorosa è poco. Una band rock che rifà un classico smaccatamente pop. Si tratta di THE LOCO-MOTION, già un enorme hit nel lontano 1962 per Little Eva (qui uno spezzone di un video dell'epoca). Il pezzo appartiene alla categoria di brani dedcati ad un ballo. Per la cronaca l’interprete originaria, all’anagrafe Eva Narcissus Boyd, è stata scoperta dagli autori del brano, Gerry Goffin e Carole King (si, quella che poi negli anni ’70 ha venduto camionate di dischi come cantautrice). Lavorava come baby sitter per loro. L'hanno vista ballare un ballo che s'era inventata e hanno ben pensato di scriverci su una canzone, arrivata al N. 1 USA a fine agosto 1962 e al N. 2 UK. E la versione dei Grand Funk ripete la prestazione, arrivando al N. 1 USA il 4 maggio e rimanendo in vetta per 2 settimane. La band del Midwest, esponente di un rock totalmente disimpegnato, all’epoca nota per essere la band più odiata dai critici ma più amata dal pubblico americano, ha già raggiunto la prima piazza americana nel 1973 con “We’re An American Band”. La band sta lavorando al nuovo album con Todd Rundgren in veste di produttore. L’album è praticamente finito e il pezzo da pubblicare come singolo è già stato designato. Rundgren tuttavia sente il gruppo canticchiare “The Loco-Motion” per gioco. E ha un’idea: perché non fare incidere quel brano al gruppo? Il risultato ribalta come un calzino il pezzo trasformandolo in un divertente rock caciarone e martellante da festa. E la cover viene così aggiunta all’album diventandone il primo singolo estratto. D’altra parte la band che fino poco tempo prima si chiamava Grand Funk Railroad (ovvero la grande ferrovia funk) un pezzo del genere non poteva che calzare a pennello… Il pezzo è il secondo della storia ad arrivare al N. 1 USA per due volte, con versioni differenti. Prima c’era riuscita solo “Go Away Little Girl”, arrivata al N. 1 nelle versioni di Steve Lawrence e Donny Osmond (vedi Autunno 1971). E curiosamente anche quel pezzo è stato scritto da Goffin e la King. La versione dei Grand Funk viene inserita nel decimo album della band, “Shinin’ On”, con tanto di copertina 3D. E per promuovere album e singolo il quartetto si imbarca in un tour statunitense i cui concerti terminano sempre con le istruzioni a ballare “The Loco-motion” mentre su uno schermo viene proiettato uno scontro di treni. Dall’album la band otterrà in estate un altro hit, la title track "Shinin' On" (N. 11 USA – il singolo originariamente destinato a lanciare l’album). Nel 1975 la band otterrà altri hit fino al 1976, anno in cui mollerà, dopo 25 milioni di dischi venduti e una breve collaborazione con Frank Zappa, affermando che suonare non sarà più divertente (salvo poi riformarsi in più occasioni per tour trionfali negli USA). Riguardo a “The Loco-motion”, ritornerà nella Top 3 USA nel 1988, grazie alla versione di Kylie Minogue (diciamolo tranquillamente, la più brutta delle tre). Durante questa primavera, il 30 marzo, arriva al N. 1 USA anche l’artista maschile di maggior successo dell’anno negli States…
John Denver – Il cantore delle piccole cose aspetta la primavera Il Country Boy, nato Henry John Deutschendorf Jr., nonché principale esponente della corrente “il mondo è bello e io vi canto perchè”, questa volta tuttavia realizza una canzone melanconica. SUNSHINE ON MY SHOULDER viene scritta in un giorno grigio di fine inverno e di fatto riflette i sentimenti dell’autore, che attende che la comparsa del sole e della primavera pongano fine al periodo grigio. Il pezzo parte come il lato B del brano "I'd Rather Be a Cowboy", ma acquisisce passaggi radio anche a seguito della fine della Guerra in Vietnam (molti si riconoscono nel testo e interpretano la guerra finita come l’inverno che sta per venir sostituito dalla primavera). Il menestrello dominatore del country pop più zuccheroso ottiene così il nono hit della carriera, iniziata nel 1965, nonché il suo terzo Top 10 USA, e il primo dei suoi quattro N. 1. E dato che gli hit iniziano ad essere numerosi, ecco che pubblica in contemporanea al singolo il suo primo "Greatest Hits", che s'invola al N. 1 USA nella stessa settimana in cui il singolo si piazza in vetta, garantendogli una clamorosa doppietta. Se l'album venderà oltre 10 milioni di copie, il pezzo ispirerà un TV movie intitolato “Sunshine” e pure un libro per bambini. Non c’è tuttavia solo il country con uccellini e fiorellini di John Denver al N. 1 USA, anche un country più ridanciano che parla di bestiacce come ragni e serpenti… Jim Stafford arriva nella Top 3 USA in marzo (e in seguito al N. 14 UK) con SPIDERS & SNAKES (divertente questo duetto con Dolly Parton nei panni di una supersviluppata ragazzina con lecca lecca… Ce n’è abbastanza per un esercito di feticisti!). Il musicista country della Florida, già membro di una band con gente come Lobo e Gram Parson, nonché futuro titolare di un proprio show TV, in questo pezzo scritto con David Bellamy (futuro membro col fratello Howard del duo dei Bellamy Borthers, arrivati al N. 1 USA nel 1976 con “Let Your Love Flow”) ci fa un umoristico resoconto dei tentativi di seduzione da parte della procace Mary Lou. Questa lo porta pure a un laghetto proponendogli di “fare quello che vuole”. E lui che fa? Va a caccia di rane, portandogliene una come regalo. Al che, lei risponde piccata che “non le piacciono ragni e serpenti”… E in vetta alla classifica USA arriva anche un altro pezzo umoristico di matrice country che non parla come John Denver di spalle colpite dalla luce del sole, ma di ben altre parti anatomiche esposte…
Ray Stevens – Nudi alla meta Aneddoto di introduzione. Il 2 aprile 1974 si tiene la cerimonia di consegna degli Oscar. Ad un certo punto, alle spalle di David Niven compare un tizio come mamma l’ha fatto che si fa la sua bella corsetta prima di essere bloccato dalle guardie. Il tipo si chiama Robert Opel e diventa il più noto esponente di una strana forma di protesta che è diventata di moda: lo streaking, ovvero il correre nudi in luoghi pubblici. Con il proverbiale aplomb britannico, il grande Niven commenterà ironicamente: “Suppongo che doveva accadere prima o poi…”, aggiungendo poi “non è affascinante pensare che l’unica risata che quell’uomo riuscirà mai a strappare nella sua vita la otterrà spogliandosi e mostrando le sue carenze?”. Poi arriva Liz Taylor che annuncia di essere stata scossa dall’evento, perché le ha di fatto rubato la scena e dice “penso di essere gelosa!”. Opel dal canto suo dice che la gente non dovrebbe sentirsi a disagio esponendosi nuda in pubblico e che il fatto potrebbe lanciare la sua carriera (è giornalista e fotografo). Sfrutterà la fama ottenuta, tuttavia la sua carriera di artista e gallerista finirà solo 5 anni dopo, quando verrà ucciso durante un tentativo di rapina nel suo studio. Tuttavia per un breve periodo diventa l’esponente più noto di una specie di moda che ha iniziato a imperversare negli USA a partire dal 1973, specie nei campus dei college. Il termine che definisce queste incursioni, "streaking", viene coniato da un giornalista di Washington DC che commenta una marcia di 500 nudisti all’Università del Maryland in 1973. Tuttavia il fenomeno ha radici antiche. Stando a Wikipedia, il primo caso ufficiale di streaking avvenne nel 1804 al Washington College. Sta di fatto che a fine 1973 sembra una moda dilagante. E il 7 marzo 1974 avviene l’evento col maggior numero di partecipanti, 1.543. Praticamente le varie Università sembrano impegnate goliardicamente a far gara a chi fa correre nuda più gente. Sebbene la pratica sia tutt’oggi ben lungi dall’essere estinta, è proprio nel 1974 che arriva al picco. Coinvolgendo pure Snoopy dei Peanuts (!). Ebbene, un tale fenomeno di costume non può passare inosservato agli autori di canzoni. E così, mentre Randy Newman registra "The Naked Man", c’è un altro personaggio che tratta della strana moda portandola al N. 1 americano (e in vetta alla chart britannica a giugno). Ray Stevens è un musicista country con la propensione per canzonicine comiche. Legge della moda su un giornale durante un volo da Nashville a Los Angeles. E ritiene che l’argomento sia un ottimo spunto per una canzone. E così ne scrive una. Nel giro di poco tempo la moda dilaga e Stevens capisce che è bene incidere quella canzoncina piena di doppi sensi, in cui lui interpreta la duplice parte di un giornalista impegnato nella cronaca di alcuni casi di streaking e dell’“uomo della strada” che, testimone intervistato, racconta goffamente l’accaduto. Il finale è ovviamente comico, con la moglie dell’intervistato che scappa col corridore nudista. Quando esce THE STREAK ci son già 15 dischi dedicati al fenomeno. Alla fine ce ne saranno oltre 40. La canzone inizia a passare per radio e dopo la cerimonia degli Oscar entra nella Hot 100 di Billboard. Cinque settimane dopo, il 18 maggio, è al numero uno scalzando i Grand Funk. Venderà oltre 5 milioni di copie a livello internazionale. Stevens ha realizzato anche altri brani, anche “seri” (come il suo precedente N. 1 USA, “Everything Is Beautiful”), tuttavia la sua fama è indissolubilmente legata a pezzi comici (o come direbbero gli anglosassoni “novelty hits”). Abbiamo parlato di Serata degli Oscar? Beh, in classifica è pieno di pezzi da Oscar e colonne sonore leggendarie, nonché di numerosi brani omaggiati dal cinema…
Hollywoodland: Canoppione, truffatori, nostalgia, esorcismi, ribelli e… tarantinati Ebbene la 46esima edizione degli Academy Awards incorona come miglior canzone da film THE WAY WE WERE, tema del bel film “Come Eravamo” con Barbra Streisand (che ovviamente interpreta la canzone) e Robert Redford. Il pezzo, scritto da Alan e Marilyn Bergman e musicata da Marvin Hamlisch, è arrivato in vetta alla Billboard Chart in febbraio, rimanendoci tre settimane. È il primo dei quattro N. 1 americani di Barbra e sarà il singolo N. 1 dell’anno per Billboard. L’album della colonna sonora, anch’essa premiata con l’Oscar, arriva al N. 20 della album chart americana, dove invece l’ultimo album della cantante, intitolato anch’esso “The Way We Were”, arriva in vetta per due settimane a marzo, scalzando Bob Dylan. Il brano è una bella ballata e un sicuro classico del repertorio della Streisand, ma per me avrebbe meritato di più l’altrettanto classica "Live and Let Die", realizzata da Paul McCartney e i suoi Wings per il film di 007 “Vivi e Lascia Morire”, anch’essa nominata. A trionfare nella notte degli Oscar è tuttavia un altro film, “La Stangata”, sempre con Redford e con Paul Newman. Il film, un autentico gioiello di sceneggiatura, vince pure un Oscar per la colonna sonora adattata (ovvero non originale), sempre realizzata da Marvin Hamlisch. La colonna sonora, che la spunta su quella di “Jesus Christ Superstar”, riprende alcuni brani dei primi due decenni del ‘900, tra cui molti ragtime di Scott Joplin. E uno di questi diventa un vero grande hit, arrivando al N. 3 della USA chart. Si tratta di THE ENTERTAINER, brano datato 1902 che Hamlisch adatta a una versione orchestrale, lanciando di fatto una moda votata al recupero delle sonorità ragtime (oltre che del look anni ’20). Va detto che la colonna sonora rappresenta un errore storico. Il film infatti è ambientato negli anni ’30, epoca in cui i pezzi ragtime di Joplin son già passati di moda da tempo, sostituiti dal jazz. E infatti i pezzi originali scritti da Hamlisch evocano l’era del jazz. L’album della colonna sonora approda in vetta alla Billboard Chart, il 4 maggio, spodestando i Chicago e rimanendo al vertice per 5 settimane. E così il buon Marvin se ne va dagli Academy Awards con ben tre Oscar in saccoccia (per tacer del Golden Globe e dei 4 Grammy vinti poco tempo prima). In precedenza, solo il sommo regista Billy Wilder era riuscito a raccogliere tre Oscar in un colpo, nel 1960, per “L’Appartamento”. Per la cronaca in Gran Bretagna entra anche una versione del pezzo ad opera dei Ragtimers. La futura autrice di un pezzo che vincerà l’Oscar nel 1988 invece approda al N. 5 USA il 23 marzo con una cover. Si tratta di Carly Simon, che col maritino James Taylor ha inciso una versione di MOCKINGBIRD, inclusa nel suo ultimo album, “Hotcakes”, sulla cui copertina Carly compare radiosamente incinta. Il pezzo originale risale al 1963, anno in cui i fratelli Inez e Charlie Foxx l’hanno portato al N. 7 USA. La nuova versione del “Tordo beffeggiatore” (questo il nome in italiano del passeraceo protagonista della canzone), con testo in parte modificato da Taylor, viene snobbata dai britannici, noti amanti dell’ornitologia. Che sia perché in effetti la versione della coppia d’oro non è poi sto granchè? Il brano originale godrà anche di un’interpretazione “alternativa” da parte di Jim Carrey e Jeff Daniels nel film demenziale “Scemo & + Scemo”. L’album di Carly invece arriva al N. 3 USA, bloccato da “Planet Waves” di Bob Dylan (di cui parlerò in altra occasione) e “Court And Spark” di Joni Mitchell. Ci son poi pezzi che devono ripetutamente la loro fortuna al cinema… Bill Haley & His Comets – Porta indietro l’orologio rock: Graffiti americani dei giorni felici A maggio ritorna nella Top 40 USA e si piazza al N. 12 UK (WE'RE GONNA) ROCK AROUND THE CLOCK di Bill Haley & His Comets. E, come anticipato, il ritorno del brano in classifica è legato a Hollywood. Doppiamente. Per l’esattezza a un film e a un telefilm. Ma prima parliamo un po’ di questo superclassico. "Rock Around the Clock" nasce nel 1952, scritta da Max C. Freedman e James E. Myers. All’epoca si chiama "We're Gonna Rock Around the Clock Tonight!" e ha un arrangiamento completamente diverso da quello che la renderà famosa. La prima versione del brano viene registrata da una band italo-americana, Sonny Dae and His Knights. Tuttavia il brano diventa famoso con la successiva versione ad opera di Bill Haley & His Comets. Una nota: sembra che il brano sia stato scritto proprio per Haley, tuttavia il suo produttore, Dave Miller, gli ha impedito di registralo per la sua etichetta (sembra che Miller e Myers si odiassero). Haley la incide solo nel '54, quando passa alla Decca. La canzone viene registrata al termine di una sessione che rischia di saltare in quanto la band arriva da Philadelphia a New York su un traghetto che si arena su un banco di sabbia. Mentre la band registra il pezzo fuori dalla porta c’è Sammy Davis Jr. che attende di entrare per iniziare il suo turno di registrazioni. Il brano è prodotto da Milt Gabler che lo fa uscire come lato B di un altro pezzo, "Thirteen Women (and Only One Man in Town)". Il singolo non fa faville (anche se, con un po’ di ritardo, arriva al N. 17 in UK) e sembra destinato all’oblio. Ma ecco che arriva Hollywood a metterci lo zampino... Nel 1955 il pezzo viene usato nei titoli di testa del film “Blackboard Jungle” con Glenn Ford (da noi “Il Seme Della Violenza”). Il film inaugura il genere “professore idealista alle prese con giovani difficili”, un tipo di film che regalerà clamorosi hit musicali (basti pensare a “To Sir With Love” di Lulu, tratta da “La Scuola della Violenza” del 1967, con professore Sidney Poitier, o a “Gangsta’s Paradise” di Coolio, dai “Pensieri Pericolosi” datati 1995 con cui ha a che fare la professoressa Michelle Pfeiffer). La scelta del pezzo di Haley sembra sia avvenuta in modo singolare. Per il film si deve scegliere un brano che rappresenti i giovani dell’epoca. Allora Glenn Ford prende su un po’ di singoli del figlio Peter e li porta dai produttori. E tra questi c’è il disco con "Rock Around the Clock", che viene scelto. E il pezzo esplode. A partire da settembre passa 8 settimane in vetta alla chart americana (è il primo brano rock and roll a compiere l’impresa) e di lì a poco diventa un successo globale, diventando il singolo più venduto del decennio. Sebbene non sia né il primo brano rock and roll, né il primo successo del genere, né tantomeno di Haley (è stata preceduta nelle Top 10 da "Shake, Rattle and Roll"), è di sicuro il pezzo che lancia definitivamente la “nuova musica” a livello mondiale. Sebbene Haley la incida come "(We're Gonna) Rock Around the Clock", alla fine il brano diventerà universalmente noto come “Rock Around the Clock". Da notare inoltre che, contrariamente a quanto si crede, non è copiato da "Around the Clock Blues" di Big Joe Turner. In compenso la melodia delle strofe ricorda "Move It On Over", brano del 1947 di Hank Williams, a sua volta simile a un pezzo del 1930 che assomiglia a un pezzo del 1927… La Columbia gira subito due film con Haley per sfruttare il successo e in UK il brano rientra più volte in classifica, nel 1956, nel 1957 e nel 1968. E così arriviamo al 1973… E ancora una volta i cammini di Hollywood e di "Rock Around the Clock" si incrociano… Nel 1973 esce un film che celebra proprio il periodo in cui il pezzo è in auge, “American Graffiti”. Il disco della colonna sonora, uscito nell’agosto 1973 ma ancora stabilmente nelle classifiche questa primavera, è un doppio che raccoglie 41 brani costituenti il meglio del Rock’N’Roll e del Doo Wop a cavallo tra anni ’50 e ’60. Questi brani accompagnano le vicende narrate dal film di George Lucas, un tutto in una notte californiana dell’estate 1962, praticamente la scaletta della trasmissione radio notturna condotta dal DJ Lupo Solitario. Il classico di Bill Haley viene tuttavia rilanciato dal film non solo in modo diretto, ma anche indirettamente. Infatti il successo del film porta alla realizzazione di una serie TV (una sitcom) ambientata proprio negli anni ’50. Il legame tra film e serie TV è rappresentato anche da un attore che partecipa ad entrambi: Ron Howard (futuro regista di “Apollo 13”, “A Beautiful Mind” e “Il Codice Da Vinci”, tra gli altri), che recita nel telefilm nella parte di Richie Cunningham. A dire il vero l’episodio pilota della serie viene realizzato prima del film, ma l’idea di trarne una serie viene bocciata. Però George Lucas guarda quel pilot e scrittura Howard per il proprio film. E il successo del film e dell’attore rilanciano anche l’idea del telefilm, che viene così realizzato. Beh, penso che in molti (almeno quelli più stagionati) abbiano ormai capito che la serie TV è “Happy Days”. Ebbene la fortunata serie Tv debutta il 15 gennaio 1974 e diventa rapidamente un enorme successo, favorendo ulteriormente la riscoperta del leggendario brano. Infatti il classico viene usato come sigla di apertura delle prime due stagioni del telefilm, in una versione appositamente ri-registrata dall’interprete (ebbene si, la famosa canzone “Happy Days” compare inizialmente come sigla di coda e viene promossa sui titoli di testa solo a partire dalla terza stagione). Ah, giusto per farvelo sapere, il creatore della serie è Garry Marshall, futuro regista di “Pretty Woman”. E così il brano del ‘54, spinto da cinema e Tv rientra nelle classifiche 30 anni dopo, per la seconda volta in quella USA, per l’ottava (!) in quella britannica. E per il momento, si tratta dell’ultima volta. Fino al prossimo film… Nell’epoca di “American Graffiti” è ambientato anche un film inglese che lancia il “Robbie Williams degli anni ‘70”…
David Essex – Breve conquista dell’America per il Divo d’Inghilterra “Hey kids rock and roll / Rock on!” Si tratta di “That'll Be the Day”, pellicola ambientata nella fine degli anni ’50 in cui David Essex, all’anagrafe David Albert Cook, recita nientemeno che con Ringo Starr e Keith Moon. L’idea per il film viene al produttore David Puttnam (futuro produttore di “I Duellanti”, “Fuga Di Mezzanotte”, “Momenti di Gloria” e “Urla Del Silenzio”) da un pezzo di Harry Nilsson, “1941”. Tuttavia alla fine la sceneggiatura che ne deriva è completamente slegata dalla storia raccontata nella canzone. Sembra tuttavia che Nilsson abbia fatto un cameo nel film, poi tagliato in fase di montaggio. Essex ha esordito nel 1971 con un ruolo di punta nel musical teatrale “Godspell”. Il film ne segna non solo il debutto cinematografico, ma anche quello discografico. Nel film infatti figura anche un pezzo scritto proprio da Essex: ROCK ON, gran pezzo che nel 1973 arriva nella Top 3 UK, diventando il suo primo hit. Poi, con l’uscita del film negli States, in autunno, il brano inizia a circolare tra le radio USA, e nel marzo 1974 diventa l’unico Top 40 americano di Essex, piazzandosi al N. 5. Il pezzo ha un andamento molto “gattesco” che lo distingue dalla produzione media del periodo. Di fatto parte in modo minimalista con una base ritmica che simula il battito di un cuore umano. La base si arricchisce man mano, in primis con un giro di basso su cui si inserisce la voce di Essex. Il testo è un omaggio al rock’n’roll degli anni ’50 e a James Dean. A un certo punto arrivano anche archi e fiati che tuttavia contribuiscono all’aspetto minimale dell’insieme, apparendo più come lampi improvvisi che si stagliano sulla base ritmica piuttosto che come elementi che la arricchiscono. Essex arriverà al culmine del successo in patria nell’autunno del 1974, grazie a un singolo da N. 1, la satirica "Gonna Make You a Star", e al film che di fatto è il seguito di “That'll Be the Day”, “Stardust”. Verrà votato, tra scene scene d’isteria che ricordano la “Beatlesmania”, l’interprete maschile più popolare del 1974 nel Regno Unito, cosa che, vista la concorrenza, è davvero clamorosa. Nel 1989 il pezzo verrà portato al N. 1 USA dalla star da soap opera Michael Damian, con una versione tutt’altro che minimale, un po’ troppo occhieggiante al rock da stadio di fine anni ’80, con cori, tastiere goticheggianti e schitarramenti. David Essex è quindi reduce da un film recitato con Ringo Starr e ispirato da una canzone di Harry Nillson… Ma questi ultimi hanno pure fatto un film assieme che esce questa primavera. E che film!
Ringo Starr – Ringo, Harry e il Figlio di Dracula Nell’aprile del 1974 infatti i due interpretano un film horror musicale: “Son Of Dracula”. Ringo nei panni del Mago Merlino (!), Harry nei panni del Conte figlio di cotanto vampiresco padre. Il film è anche prodotto da Ringo e vede una partecipazione anche di John Bonham (ovvero il batterista dei Led Zeppelin). Il film di vampiri in versione rock (lanciato con la frase "The First Rock-and-Roll Dracula Movie!") che ne esce non è esattamente un capolavoro, anzi, e viene immediatamente riposto nella sua bara. Evidentemente gli devono aver appioppato un bel paletto di frassino nel cuore per evitarne accuratamente la resurrezione, dato che non troverà mai una successiva riscoperta tramite l’home video (di fatto non è mai stato pubblicato né su VHS né su DVD). Sembra che Ringo stesso ne abbia una copia, ma che non abbia il coraggio di rivederlo… Se Ringo non ha propriamente il "tocco di Mida" al cinema, per sua fortuna sta attraversando un periodo di grande successo dal punto di vista discografico. Tanto che, insospettabilmente, a cavallo tra l’inverno 1973 e la primavera 1974, risulta essere l’ex Scarabeo di maggior successo nella classifica USA. Mentre il suo N. 1 USA invernale, la cover di ONLY SIXTEEN (con Paul McCartney al kazoo) arriva a marzo al N. 4 UK, ottiene un altro Top 10 USA con OH MY MY, che arriva al N. 5 USA il 27 aprile. Il buon Richard Starkey, tenendo fede al testo del brano da lui cantato in “Sgt. Pepper”, ovvero “With A Little Help From My Friends”, collabora spesso con gli ex compari, tanto che tutti e tre figurano nel suo album “Ringo”, da cui vengono tratti entrambi i singoli (più il precedente N. 1 “Photograph”). Intanto, Harry Nilsson è degno compagno di sbronze di un altro Beatle, ovvero John Lennon, che è in piena fase di “lost week end”, ovvero il periodo “selvaggio” californiano che coincide con la separazione temporanea da Yoko (che comunque gli ha messo dietro, come suo surrogato, May Pang). Il marzo John è coinvolto in un alterco al Troubador Club di Los Angeles ed è costretto a lasciare il locale. A maggio (con May Peng) torna finalmente a New York per dedicarsi a un nuovo album, "Walls and Bridges". Ho nominato Yoko Ono. E chissà perchè, lei mi fa subito pensare ad un altro grande film di questo periodo con colonna sonora di successo, anche se a dire il vero il suo pezzo chiave non è stato assolutamente concepito per un film…
Mike Oldfield – Campane tubolari per un esorcista Un musicista ventenne del Berkshire, Michael Gordon Oldfield, già membro della band The Whole World, su esortazione del tastierista di questa, il compositore David Bedford, realizza un demo che sottopone a vari discografici per un contratto. Tutti gli rispondono che quel progetto non ha mercato, fino a che, nel 1972, non incontra un giovane di belle speranze, tal Richard Branson, che sta pensando di creare una propria etichetta discografica. Ascoltato il demo, Branson assolda subito Oldfield, che diventa il primo musicista messo sotto contratto per la sua neonata Virgin Records. E quel demo diventa il primo album pubblicato dalla Virgin, TUBULAR BELLS. Oldfield lo incide agli studi Branson's Manor, suonando venti strumenti differenti, poi sovrapposti in fase di registrazione. Il risultato è un concept album di rock progressivo strumentale comprendente due lunghe suite strumentali (la parte I e la parte II) racchiuso in una bellissima copertina magrittiana realizzata da Trevor Key. L’album esce il 25 maggio 1973 e arriva nella Top 10 britannica. Rimarrà nella classifica UK per 279 settimane, vendendo oltre 2.750.000 copie solo nel Regno Unito. Arriverà pure al N. 1 nell’autunno 1974, dopo che la stessa posizione è stata raggiunta dal successore, “Hergest Ridge”, facendo di lui uno dei tre artisti capaci di piazzare in continuità due album al N. 1 UK. Di fatto l’intera fortuna della Virgin è costruita su questo disco. Quindi non vi sorprendete se vi dico che il manager della EMI responsabile del rifiuto del disco è stato licenziato… Per lo sbarco oltreoceano del disco, entra in gioco Hollywood. Laggiù c’è un regista molto frustrato che ha bisogno urgente di una colonna sonora per il suo nuovo film. Si chiama William Friedkin. Sembra che i nastri della colonna sonora originaria, composta da Lalo Schifrin, siano stati buttati fuori dalla finestra dal regista, che ritiene il parcheggio il posto adatto per musica simile. Alla fine, accanto ad alcuni pezzi di musica classica moderna, Friedkin decide di includere nella colonna sonora l’inquietante tema di apertura dell’album. Questa mossa lancia il brano e l’album nella stratosfera anche negli States, anche perché quel film, che esce il 26 dicembre 1973, è un successo leggendario. Si intitola “L’Esorcista”. Sull’onda del successo del film, l’album arriva nella Top 3 americana. Una porzione del tema di apertura viene pubblicata su singolo e arriva al N. 7 USA l’11 maggio. Curiosamente il brano che da la fama a Oldfield oltreoceano viene pubblicato senza l’autorizzazione dell’artista che a giugno pubblica come risposta “The Mike Oldfield Single”, che contiene una porzione ri-registrata della Parte II del disco. Il brano da allora diventa un classico, che compare in una miriade di programmi tv e pure in spot commerciali. Il pezzo verrà campionato dalla solita Janet Jackson nel suo brano “The Velvet Rope” (ma c'è un pezzo che non ha campionato?!?). E di sicuro ha ispirato i Goblin di “Profondo Rosso”. Da notare che sulla copertina dell'album c’è un simpatico scherzetto. Infatti vi compare la frase: “This stereo record cannot be played on old tin boxes no matter what they are fitted with. If you are in possession of such equipment please hand it into the nearest police station”. Vale a dire "questo disco stereo non può essere suonato su vecchie scatole metalliche. Se siete in possesso di tali attrezzature per favore portatele alla più vicina stazione di polizia”. Praticamente se lo mettete su un impianto mono (all’epoca ce ne sono ancora in giro!) siete da arresto… A settembre una versione orchestrale dell’album ad opera di David Bedford, con la partecipazione di Oldfield che vi suona la chitarra, entrerà nella Top 20 britannica. L’album avrà poi numerosi seguiti. "Tubular Bells II" (1992), "Tubular Bells III" (1998) e "The Millennium Bell" (1999). Infine, "Tubular Bells 2003", nuova registrazione del lavoro originale adattata alle nuove tecnologie digitali (per la serie “come spremere un’idea vincente fino in fondo” - sembra che a breve uscirà pure "Il Figlio di Tubular Bells Contro Tutti"). Per sapere invece chi musicherà il prossimo film di Friedkin, andate alle Uscite Chiave… E continuiamo la parentesi Hollywoodiana con una futura attrice da Oscar che canta di una tipica figura cinematografica, la femme fatale che ha fatto la fortuna di dive come Barbara Stanwyck, Lana Turner e Bette Davis…
Cher – La magnifica cornuta Per una settimana, a partire dal 23 marzo 1974, dopo Terry Jacks e prima di John Denver, arriva sul cocuzzolo della Billboard Chart DARK LADY, terzo N. 1 americano della sempiterna Cher. Il pezzo è scritto da John Durrill, che lo sottopone al produttore Snuff Garrett prima di andare in tour in Giappone con i Ventures. Garrett ascolta il pezzo ma non è soddisfatto dal testo. Vuole che alla fine la protagonista in prima persona del brano uccida la Dark Lady del titolo con il fidanzato fedifrago. Così telefona a Durrill in Giappone, svegliandolo, e imponendogli di scrivere un nuovo finale da mandare l’indomani per telegramma. Nelle 24 ore successive Durrill riceve una pila di telegrammi (nota per i giovani ignari: all’epoca gli sms non esistevano) ognuna con strofe differenti che tuttavia sanciscono il finale sanguinoso della vicenda. Fatta la scelta, il brano viene servito su un vassoio a Cher, che lo registra e lo porta al successo. Un N. 1 che si potrebbe definire, per tematica affrontata e, tutto sommato, genere musicale, un incrocio tra “Zingara” della Zanicchi e "Rosso Sera" di Stella Carnacina (grazie a Mario Bonatti per l'indicazione!), dato che la Dark Lady è una cartomante che leggendo le carte rivela alla protagonista l’infedeltà dell’amato con “una persona che le sta molto vicina”. E infatti l'altra donna è proprio la Dark Lady, che viene sgamata dal suo profumo, che la protagonista fiuta nella propria camera da letto, segno evidente del passaggio della donna su quel letto… Se l’hit parade arride alla cantante, non si può dire lo stesso per la sua vita privata. Mentre “Dark Lady” è in classifica i suoi problemi coniugali con Sonny Bono diventano di pubblico dominio. I due conducono uno show per la CBS che diventa teatro di divertenti tiri incrociati tra i due. E i due finalmente divorzieranno nel 1975. Cher si risposerà subito (per l’esattezza due giorni dopo) con l’alcolico Gregg Allmann, dando il via a un’unione tempestosa che durerà un paio di anni (a dire il vero Cher fa domanda di divorzio 9 giorni dopo il matrimonio, ma essendo incinta torna col marito alla nascita del figlio…). Da notare che “Dark Lady” e la successiva "Train Of Thought", sempre inclusa nell’album “Dark Lady” e arrivata al N. 20 USA, sono gli ultimi successi di Cher fino al 1979, quando verrà recuperata sfruttando il ciclone Disco. Diciamo che l’America puritana la incolpa per la fine della popolare coppia (si addita la sua voglia di indipendenza e non si tiene conto delle scappatelle di Sonny). In compenso sarà protagonista di un suo programma televisivo, “Cher”, che andrà avanti dal febbraio 1975 al gennaio 1976, e, a partire dal febbraio 1976, di uno show con l’ex marito Sonny, con cui ristabilisce buoni rapporti subito dopo il divorzio. La ragazza è fatta così… Ah, il suo successivo numero 1 americano arriverà tra 25 anni. Indovinate che pezzo è? “Dark Lady” viene invece quasi ignorata in UK, dove non va oltre la 36esima posizione. In compenso arriva al N. 1 in Svezia. E parlando di Svezia…
Blue Swede – Dalla Svezia con cover "Ooga Chaga! Ooga Chaga! Ooga Chaga!" No, non son impazzito. È così che inizia uno degli hit più grandi del periodo. E si tratta di un pezzo che segna un clamoroso precedente: prima infatti dei Blue Swede mai nessuna band scandinava aveva raggiunto la vetta della Billboard Chart. Il brano è HOOKED ON A FEELING, ed è una cover di un pezzo scritto da Mark James (autore anche di "Suspicious Minds” di Elvis) già inciso da B. J. Thomas, l’interprete di “Raindrops Keep Fallin’ On My Head”. Thomas porta il brano al N. 5 della Billboard Chart. Poi, due anni dopo il pezzo subisce un trattamento d’urto da Jonathan King, losco produttore britannico scopritore di gente come Genesis, 10cc e Bay City Rollers. La sua versione inizia con il famigerato canto tribale citato all’inizio, “rubato” a "Running Bear" di Johnny Preston (N. 1 UK nel 1960), e arriva al N. 23 della UK chart a inizio 1972. La storia a questo punto si sposta in Svezia, dove Bengt Palmer, responsabile del settore Artisti della EMI locale sta lavorando con un gruppo che si chiama Blue Denim. Decide che la canzone è perfetta per la band, che così la incide, portandola al successo in Svezia. A questo punto i dirigenti della EMI International ritengono che il pezzo potrebbe funzionare anche in America. Con il nome cambiato in Blue Swede, la band di sette elementi guidata dal cantante Bjorn Skiffs viene lanciata oltreoceano e arriva al N. 1. In autunno otterrà un altro Top 10, “Never My Love”, cover degli Association. Poi si scioglierà. Skiffs tuttavia proseguirà come solista e finirà anche a recitare in musical come “Chess”. Il pezzo verrà impiegato da Tarantino nel suo “Le Iene” e comparirà pure in alcuni episodi di “Ally McBeal”, accompagnando il tormentone del "dancing baby", protagonista di strane allucinazioni della protagonista… Ah, per altri "tarantinati", cliccate qui! Ma, vi avverto, se saltate subito avanti vi perderete un fatto storico... A dire il vero le band scandinave che riusciranno in futuro nell’impresa di arrivare al N. 1 dei singoli di Billboard si conteranno sulle dita di una mano: gli Abba (1 volta nel 1977), gli A-Ha (una volta nel 1985), i Roxette (i recordman del caso, con ben 4 N. 1 tra il 1989 e il 1991) e gli Ace Of Base (N. 1 nel 1994). I Blue Swede arrivano al N. 1 USA il 6 aprile. E quel giorno è una data storica per la musica svedese anche per un altro motivo. Una band svedese vince l’Eurofestival. Si tratta di un quartetto formato da due uomini e due donne, di fatto si tratta di due coppie, il cui nome deriva dalle iniziali dei nomi dei componenti e forma quello che è destinato ad essere il palindromo più famoso della storia del pop.
Abba – Dall’Eurovisione con furore Signori e Signore, gli Abba fanno il loro ingresso trionfale nella storia del Pop internazionale con WATERLOO (qui invece il video), la canzone che assicura loro la vittoria dell’Eurofestival. I quattro si presentano sul palco in un tripudio di pajettes, con un abbigliamento a dir poco terrificante, a partire dai bragoni della bionda Agnetha. Tuttavia è proprio quel gusto così smaccatamente kitsch che li rende irresistibili. E irresistibile è il loro brano, un pop glam dedicato nientemeno che alla località teatro della storica disfatta di Napoleone (o, per i revisionisti alla Luca Luciani, della strabbordante vitoria di Napoletone…). In realtà il pezzo usa la battaglia come una metafora della “disfatta” di una donna che cede all’amore (la sua “Waterloo”). In effetti in patria vengono proprio criticati per aver scelto un simile tema: cantare una canzone allegra su un fatto che è costato la vita a molta gente viene considerato una mossa scorretta. La giuria dell’Eurofestival non la pensa così e premia quello che probabilmente diventa il pezzo più popolare mai uscito dalla manifestazione. Il brano, il cui titolo avrebbe dovuto essere "Honey-Pie", è il primo pezzo pop-rock ritmico che vince la manifestazione dopo anni di ballate. Ispirato alla musica dei Wizzard, il brano nasce in svedese, mentre a vincere la manifestazione è la versione in inglese (cantata comunque con un accento svedese legnosissimo che sarà il marchio di fabbrica dei quattro), cosa all’epoca inusuale, dato che in genere i vari partecipanti cantavano nella lingua madre. Una prima versione del pezzo presenta un suono più rockeggiante, senza sassofono. È questa la versione che la Polar fa arrivare sugli scaffali dei negozi di dischi svedesi prima della vittoria, subito sostituita dalla versione più pop (con sassofono) presentata in Eurovisione. Ma a questo punto presentiamo i quattro svedesi che domineranno le classifiche della rimanente parte del decennio. Non son decisamente dei novellini. Björn Ulvaeus, Benny Andersson, Agnetha Fältskog e Anni-Frid Lyngstad son infatti attivi sin dagli anni ’60, sebbene dapprima su strade separate. Björn viene da un gruppo chiamato The Hootenanny Singers. Un suo pezzo, scritto in inglese, viene inciso dai The Hep Stars, band molto famosa in Svezia in cui milita Benny. Da allora i due iniziano a collaborare, incitati da Stig Anderson, manager degli Hep (nonchè futuro manager degli Abba e fondatore dell’etichetta Polar Music). Nel 1969 Benny si mette insieme con Anni-Frid (Frida), anch'essa veterana delle scene. Anche Agnetha ha già una buona carriera alle spalle. Nel 1969 inizia una relazione con Björn, che porta al matrimonio nel 1971. Nel 1970, sebbene ancora maggiormente concentrati sulle carriere soliste, i quattro danno vita a un progetto, chiamato Festfolk, che ottiene un hit in Svezia, "Hej, Gamle Man" ("Hey, Vecchietto"). Anche i successivi dischi solisti son in realtà lavori di gruppo, come il N. 1 di Frida "Min Egen Stad" (“La Mia Città”). Ed entra in gioco di nuovo Stig Anderson, intenzionato a lanciare la musica di Benny e Björn a livello internazionale. I due iniziano così a scrivere pezzi destinati all’Eurofestival. Curiosamente, il primo successo internazionale dei due arriva in Giappone, con "She's My Kind of Girl". I quattro, sotto il nome Björn & Benny, Agnetha & Anni-Frid, pubblicano un altro singolo "People Need Love" nel giugno 1972, e il 26 settembre dello stesso anno iniziano le sessioni di registrazione del primo album come quartetto. Il nome viene scelto quasi per gioco, dato che è formato dalle iniziali dei nomi dei quattro ed è pure una marca di pesce in scatola molto famosa in Svezia (andate all’IKEA e la trovate). Per la scelta del nome viene indetto un concorso su un giornale di Göteborg. Però alla fine si decide per il nome da scatolette. A sto punto arriva “Ring Ring”. Nel 1973 il pezzo viene mandato alle selezioni svedesi per l’Eurofestival. Il pezzo è il primo che presenta il caratteristico “muro del suono” che caratterizzerà la produzione della band. Il pezzo arriva terzo nelle selezioni, per cui niente palcoscenico europeo. Tuttavia il singolo e l’album omonimo diventano successi in alcuni paesi europei, come la Germania. A fine 1973 arriva l’ennesima selezione per l’Eurofestival. E stavolta presentano “Waterloo”. Il pezzo diventa in breve un successo internazionale, entrando nelle Top 10 di una quindicina di paesi, arrivando in vetta in metà di questi, tra cui in UK il 4 maggio e in Germania il 7 giugno, scalzando, in ambo i casi, Terry Jacks. Colonizzerà pure l’impervia Top 10 americana (arrivando al N. 6). In Svezia si piazza al N. 2 con la versione in inglese e al N. 3 con quella in svedese. Hanno successo anche da noi, sebbene non raggiungano la Top 10, anche per l’oscuramento dell’Eurofestival da parte della RAI. Tuttavia da subito, essendo un gruppo disimpegnato, vengono bollati come musica per deficienti. La successiva "Honey, Honey" (video con abbigliamento agghiacciante, sembrano usciti da un fumetto Marvel dell'epoca) diventa un buon hit, ma non viene pubblicata in UK, dove si preferisce "Ring Ring", che fa fiasco. Molte cassandre li additano come sicure meteore. Mai previsione sarà più errata. “Waterloo” ritornerà nella Top 20 britannica nel 2004 (per celebrare il trentennale) e nel 2005, nell’ambito dei festeggiamenti del cinquantennale dell’Eurofestival, verrà votata la canzone migliore della storia della competizione. Una cover ad opera di Doctor & The Medics (quelli della cover di “Spirit In the Sky”) con nientemeno che il riconosciuto ispiratore del brano, quel matto di Roy Wood, leader dei Wizzard, la riporterà nella Top 40 britannica nel 1986. A proposito, nella primavera '74 i Wizzard ottengono un altro successo, portando al N. 6 UK ROCK AND ROLL WINTER. Strano titolo, dato che il pezzo è un successo di maggio. L’Eurofestival 1974 si tiene a Brighton, in Gran Bretagna. Albione per l’occasione sfodera come concorrente un pezzo da 90 come Olivia Newton-John, che si piazza quarta nel suo trionfo di inverecondi svolazzi azzurri con LONG LIVE LOVE, canzone scelta dal pubblico britannico, ma non amata dall’interprete (in tutta sincerità non si può darle proprio torto). Il pubblico comunque non l’ama al punto da portarla nella Top 10 UK, dato che si ferma al N. 11.
D’altra parte all’epoca il Belpaese all’epoca non brilla certo per leggerezza. Anzi. Diciamo che il paese è stravolto da una serie di “ismi”, sebbene quello dominante è sempre l'intramontabile "cretinismo" (rimanendo in ambito cinematografico, libera citazione del film “Le Invasioni Barbariche”). I tempi son davvero cupi e se ne accorgono le varie star internazionali che hanno la cattiva idea di fare concerti dalle nostre parti. Ogni volta a va a finire in disordini per il famigerato fenomeno degli “autoriduttori”. Tra quelli che sperimentano il periodo nero per i concerti in Italia c’è Cat Stevens, di cui esce l’ottavo album, “Buddah And The Chocolate Box”, che arriva al N. 2 USA e al N. 3 UK. Il singolo estratto è OH VERY YOUNG. Se volete saperne di più, vi consiglio i Voli Charter di Christian (dove per altro trovate molte altre informazioni su David Essex). Io preferisco guardare a quello che succede fuori dallo stivale, che mi tira su di morale… Beh, a dire il vero nello stivale funzionerà parecchio il pezzo che scalza proprio gli Abba il 18 maggio dalla vetta britannica. Un pezzo che sembra un abile incrocio tra un pezzo rock dei primi anni ’60 e un pezzo bubble-gum e di fatto segna il ritorno del glam rock al bubble gum. Se gli Sweet hanno compiuto un anno e mezzo prima il passaggio dal bubble gum a un più duro glam, adesso invece il percorso opposto viene compiuto da molti produttori.
The Rubettes – Gomma americana allo zucchero Si tratta di SUGAR BABY LOVE, clamoroso hit di debutto per i The Rubettes, che passano 4 settimane in vetta alla classifica britannica. Il pezzo è stato scritto da Wayne Bickerton, capo della sezione artistica della Polydor, e da Tony Waddington. Inizialmente è destinato a Carl Wayne, ex cantante dei Move, che tuttavia lo rifiuta. Sembra che il pezzo sia stato scartato anche da Dave Bartram degli Showaddywaddy (band che otterrà tra breve il successo con cover di pezzi anni ’50 e ’60 e un look da “teddy boys”). Così Bickerton e Waddington riuniscono un gruppo di musicisti da sala d’incisione per registrare la canzone. Quel gruppo comprende tuttavia solo 3 membri di quella che sarà la band nota al pubblico, John Richardson, Alan Williams e Pete Arnesen, mentre il famoso falsetto è cantato da Paul Da Vinci, che tuttavia deciderà di non far parte della band (otterrà comunque un piccolo hit per conto proprio, "Your Baby Ain't Your Baby Anymore", nell'estate del 1974). Il pezzo di fatto abbina il falsetto di Paul Da Vinci al coretto della band che ripete per 3 minuti “Bop-shu-waddy” (cosa che alle nostre orecchie italiche suona più come “Uacciu-uari”). Tutti quelli che lo sentono, a partire dal responsabile dell’arrangiamento degli archi Gerry Shury, dicono che è impossibile che un pezzo del genere funzioni. Il brano parte piano, ma finirà per vendere qualcosa come 8 milioni di copie a livello mondiale. Shury dirà a Waddington: “la prossima voltà terrò la bocca chiusa e mi concentrerò solo sull’arrangiamento degli archi”… Due milioni di singoli vengono venduti solo in Francia. Mai nessun gruppo inglese riuscirà a fare tanto presso i nostri cugini con un solo singolo. Il pezzo lancia il sestetto dai completini e bianchi con tanto di coppole in tinta che otterrà altri hit nel corso degli anni successivi, vendendo complessivamente più di 30 milioni di dischi. Il pezzo verrà impiegato più di 30 anni dopo in una campagna francese anti-aids. Da notare che il pezzo verrà impiegato nella colonna sonora del cult film “Il Matrimonio di Muriel” del 1994 con un allora sconosciuta Toni Collette che interpreta un tipa ossessionata dalla musica degli Abba e dall’idea di un romantico matrimonio che ponga fine alle sue tribolazioni. Ovviamente la colonna sonora comprende molti brani degli Abba, compresa “Waterloo”. Il successo dei Rubettes è legato alla partecipazione a Top Of The Pops. Il loro singolo è solo 51esimo, ma vengono chiamati a sostituire una band: arriveranno in vetta alla velocità della luce, proprio davanti alla band che hanno sostituito. Anche qui c'è chi è pronto a scommettere che il pezzo farà fiasco, ma ci troviamo di fronte a uno splendido esempio di glam-art rock, sulla scia di Bowie e soprattutto dei Roxy Music…
Sparks – Il melodramma art-western di Russel e Ron I fratelli americani Russel (voce) e Ron (tastiera) Mael sono reduci da un paio di album realizzati in America senza lasciare traccia alcuna. I due guardano oltre l’Oceano, ad Albione e al suo glam rock “arty”, cosa che fa guadagnare loro il titolo di americani più anglofili in circolazione. E così, messi i santini di David Bowie e Bryan Ferry in valigia, si trasferiscono da Los Angeles a Londra. La Island Records ha fiducia in loro, e dopo una fase di ambientamento, l’aria londinese fa il suo effetto. Narra la leggenda che Ron componga un pezzo che all’inizio si intitola “Too Hot to Handle”. Tuttavia in quel brano c’è una frase che sembra uscita fuori da un vecchio western: "Questa città non è grande abbastanza per entrambi". Una frase tipica di un cliché che contrasta con la struttura del brano, completamente fuori dagli schemi, una specie di mini-opera rock che parte con una tastiera ed esplode in acuti e spari con un andamento esilarante e drammatico in crescendo. E quella frase viene quindi adottata come titolo del pezzo, che diventa perciò THIS TOWN AIN'T BIG ENOUGH FOR THE BOTH OF US. Anche in questo caso non mancano gli uccellacci del malaugurio, e in sto caso nientemeno che Elton John che, tra un Requiem e uno Stabat Mater, passa di lì e dice al produttore Muff Winwood che la canzone non venderà. Per di più ci si trova durante famigerato periodo di crisi petrolifera, e il disco rischia di non venir stampato per mancanza di vinile… Nonostante tutte queste avversità, i due fratelli si trovano proiettati in classifica, fino al N. 2 UK. La loro comparsa a Top Of The Pops è epocale: mentre il bello, Russell, acconciato come Marc Bolan, ancheggia cantando in falsetto (il pezzo è stato scritto in una chiave altissima), Ron se ne sta immobile dietro la tastiera lanciando occhiatacce. Il suo look non lascia indifferenti: ha un paio di baffetti che faranno esclamare a John Lennon “C’è Hitler in TV!”. Il brano è incluso nello splendido album “Kimono My House”, con una copertina che raffigura due geishe sguaiate. L’album, con un mix clamoroso di proto-punk, art rock e musical e si invola fino al N. 4 UK. I due fratelli rifaranno il pezzo nel 1997 assieme ai Faith No More (qui un’esibizione live della band di Mike Patton), mentre, nel 2005, Justin Hawkins, il cantante dei Darkness, realizzerà una cover di questo pezzo sotto il nome di British Whale. Arriverà al N. 6 e nel video compariranno anche i Mael. E parlando di art rock glam, ecco a voi il suo Signore Assoluto…
David Bowie – Ribelli travestiti e cani di diamante A marzo arriva al N. 5 britannico anche il Re del Glam, ovvero David Jones meglio noto come Bowie, che ottiene il risultato con la classica REBEL REBEL. Il pezzo, a quanto pare il brano di Bowie di cui son state fatte più cover, rappresenta l’addio dell’artista al glam rock, di cui diventa tuttavia l’inno definitivo. Il brano in origine è scritto per un musical dedicato a Ziggy Stardust, poi cestinato, ed è primo pezzo bowiano dal 1969 in cui non compare la chitarra di Mick Ronson. È Bowie stesso a suonarla, producendo un effetto grezzo che ricorda gli Stones (il riff stesso ricorda “Satisfaction”). Il pezzo, in piena tradizione glam, presenta un testo “gender-bender” in cui il nostro canta "You got your mother in a whirl / She's not sure if you're a boy or a girl" (e il brano non specifica mai se il ribelle è un ragazzo o una ragazza). Un artista precedentemente legato all’entourage di Bowie, Jayne County, dirà che il pezzo è basato in parte sulla sua "Queenage Baby", peraltro incisa da Bowie e poi accantonata. Il pezzo entra direttamente al N. 6, risultato notevole per l’epoca, e tutti lo danno per un sicuro N. 1, invece si blocca al N. 5. Cosa che sorprende non poco, dato che all’epoca il brano non compare in nessun album. Sembra quindi che la stella del creatore di Ziggy sia in declino. In realtà non è esattamente così. Il 24 aprile esce il suo nuovo album, “Diamond Dogs”, che a giugno arriverà al N. 1 UK per quattro settimane, rendendolo per il secondo anno consecutivo l’artista di maggior successo di vendite oltremanica. E l’album arriverà pure nella Top 5 USA, diventando il primo grande successo da Top 10 americano dell’artista. L’album è un concept album che racconta una storia post-apocalittica in versione glam, ispirata a “1984” di George Orwell. A dire il vero David vorrebbe fare anche una trasposizione cinematografica del romanzo, ma il progetto fallisce perché gli eredi di Orwell non gli concedono i diritti. Se Ziggy è stato messo in pensione a metà 1973, per questo album Bowie tira fuori un altro alter ego, “Halloween Jack”, protagonista del disco (che tuttavia sembra quasi il gemello di Ziggy). L’album è un po’ il termine di transizione tra la fase glam e la successiva fase del “soul di plastica” del musicista, con pezzi Stoniani abbinati a suite e a pezzi influenzati dall’R’N’B. L’album è anche il primo album dal 1969 che non coinvolge nessun membro degli “Spiders From Mars” e segna anche la riunione con Tony Visconti, che si occupa degli arrangiamenti per archi e del missaggio dei suoni. Visconti co-produrrà tutti i successivi lavori di Bowie del decennio. Memorabile la copertina, con le chimere uomo-cane disegnate da Guy Peellaert. La copertina originale provoca non poche controversie dato che il dipinto mostra anche i genitali dell’ibrido… La copertina viene quindi subito cambiata cancellando le pudenda. Se tuttavia avete l’album in vinile in cui si vede il pipino del Bowie-cane, sappiate che vale parecchie migliaia di Euro… Sembra che il furbo David abbia rubato l’idea della copertina all’”ingenuo” Mick Jagger. Bowie voleva come artista Norman Rockwell, che tuttavia ha rifiutato. Jagger li mostra dei dipinti di Peellaert, a cui intende rivolgersi per fare la nuova copertina degli Stones. Bowie, colpito da quei lavori, lo frega sul tempo… Intanto, in aprile Bowie pubblica su singolo anche la già classica ROCK 'N' ROLL SUICIDE, inclusa nello storico “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust”, che arriva al n. 22. Bowie quindi salta giù dal carro glam appena in tempo, prima che finisca fuori strada trasformandosi nella caricatura di sé stesso. Non così accade a molti altri, che al momento sembrano dominare le classifiche europee. Ma stanno ballando sull’orlo del precipizio e potrebbero inciampare da un momento all'altro, viste le zeppe che portano ai piedi…
Dal Glam Rock al Glam Pop Vediamo come stanno gli Eroi storici del genere... Marc Bolan, il primo profeta del glam rock, dopo aver perso il trono per opera di Bowie, sta ormai perdendo anche il successo di pubblico. TEENAGE DREAM è il nuovo singolo di Marc Bolan e dei suoi T. Rex. Il Tirannosauro sta per estinguersi e l’invadente personalità del leader oramai ha preso il definitivo sopravvento, tanto che il singolo viene proprio accreditato a Marc Bolan & The T. Rex. Di fatto potrebbe essere considerato alla stregua di un debutto solista. Il brano, che si piazza a un non esaltante (per gli standard passati della band) N. 13 UK a marzo, è incluso nell’album “Zinc Alloy And The Hidden Riders of Tomorrow”, con cui Bolan cerca un ulteriore spostamento verso sonorità più complesse, ricche in archi ed effetti e influenzate anche dal soul e dall’R’N’B (anche per influenza della compagna di Marc, la cantante Gloria Jones, esponente del Northern Soul e interprete originale del pezzo “Tainted Love”). Il risultato tuttavia non convince né pubblico né critica e l’album non va oltre la dodicesima posizione. La Glitter Band, che come il nome suggerisce è la band che accompagna Gary Glitter, ottiene il primo hit per conto proprio con la riuscita e tirata ANGEL FACE. Il singolo arriva al N. 4 UK diventando il primo di 7 hit, di cui 6 in Top 10. E il leader della gang che fa? Ma ovviamente si piazza anche lui nella Top 10 d’oltremanica, con l'orripilante REMEMBER ME THIS WAY. Il brano rappresenta una novità “sconvolgente” per i fan dell’istrionico rocker: è una ballata! Infatti nessuno dei suoi precendenti hit è un lento. Gary, nonostante il cambiamento, si piazza nella Top 3. Ma c’è di più. Come quasi tutte le star dell’epoca il nostro si concede un film, che porta lo stesso titolo del brano. A quanto pare il trailer è ingannatore: sembra infatti che si tratti di un inquietante action movie di arti marziali in cui Gary abbatte i nemici a colpi di kung fu. Per fortuna si tratta di un più semplice concerto-documentario (ovviamente vedibile solo per i fan accaniti), accompagnato dall’album Live omonimo, registrato durante lo show natalizio del 1973 al The Rainbow di London. In ogni caso Mike Leander, manager di Gary e della Band, ha ben due singoli in contemporanea nella Top 5 UK di aprile. Si dedicano a un lento, anche se di qualità decisamente migliore rispetto a quella di Gary Glitter (non che ci voglia molto), piazzandosi al N. 3 UK, pure gli Slade con EVERYDAY. Il brano, una ballata ispirata dalla moglie del bassista Jimmy Lea e che potrebbe far parte tranquillamente del repertorio di Rod Stewart, è il primo a non presentare il classico “suono Slade” e, pur entrando sparato in Top 10, si ferma poi al N. 3, cosa che viene considerata quasi un flop per la band, i cui precedenti singoli non son mai andati più in basso del N. 2. La band tuttavia di consola con l’album "Old New Borrowed And Blue", che arriva al N. 1 UK il 2 marzo, rimanendovi tuttavia una sola settimana, scalzato dalla raccolta dei Carpenters. Pure loro tra qualche mese cederanno alle lusinghe della cinematografia…
Suzi Quatro – Un passaggio ai cancelli dell'Inferno? Susan Kay Quatrocchio di Detroit, di origini italiane e ungheresi, si presenta come l’unica stella femminile della scena glam. Mentre i maschietti della scena tendono a pittarsi come fanciulle, lei invece sposa un look da motociclista fasciata in pelle nera e con modi da scaricatore da porto. Insomma, la stessa androginia adottata dai colleghi maschi, ma trasposta in versione femminile. Insomma, una che probabilmente non si tira indietro a far braccio di ferro e a partecipare a gare di rutti. L’atteggiamento per certi versi è la versione all’acqua di rose del futuro “fuck off” generale del punk. E la ragazza in ogni caso è la prima rocker al femminile che arriva nel mainstream. DEVIL GATE DRIVE arriva al N. 1 britannico il 23 febbraio, spodestando proprio un’altra produzione Chinnychap, i Mud (vedi sotto), rimanendovi due settimane. È il secondo N. 1 UK della cantante e in primavera si attanaglia alla seconda posizione della classifica tedesca, diventando nel contempo un grosso hit paneuropeo (Italia compresa). I pezzi della Quatro sfruttano una formula abbastanza semplice: un glam rock dalle venuture un po’ isteriche, che alla lunga diventa un po’ monotono. E in effetti la sua popolarità in Gran Bretagna dura giusto un paio di anni. Ritornerà al successo solo nel 1978 e l’anno dopo otterrà quello che fino ad allora le è mancato: un hit negli States. E anche i sopraccitati Mud ritornano con un altro grande hit dopo il N. 1 UK di gennaio, “Tiger Feet”, il singolo più venduto in UK del 1974. THE CAT CREPT IN arriva al N. 2, fermato da Terry Jacks, con il cantante dagli occhiali a goccia Les Gray all'inizio del suo personale cammino votato a impersonare Elvis. La band ha un suono ispirato al rockabilly e un look da "teddy boys" e fa del divertimento la sua bandiera. A partire dal chitarrista Rob Davis, che ama indossare completini in stile carampana anni '70. Ma non fatevi trarre in inganno, la "carampana" negli anni 2000 sarà il coautore di enormi successi dance come "Groove Jet" di Spiller, e - con Cathy Dennis -“Can’t Get You Out Of My Head” di Kylie. Se Les Gray punta a impersonare Elvis, c’è chi esagera decisamente in tal senso diventando decisamente ridicolo… Ma d’altra parte col nome che s’è scelto è ovvio che il senso della misura non fa per lui…
Alvin Stardust – Polvere di Stelle per la caricatura pseudo-glam di Elvis Parlo del londinese Bernard William Jewry, meglio noto come Alvin Stardust. Già leader della band anni ‘60 Shane Fenton & The Fentones, nei panni di Shane Felton, appunto, con l’ondata glam Bernardo si butta e cambia il nome nello scintillante Alvino Polveredistelle (come se non bastasse già Ziggy), con basettoni e ciuffo che lo fanno somigliare a una specie di incrocio tra Elvis e Bryan Ferry. E ora sta ottenendo un grande successo in UK e Europa. Mentre il suo primo hit, il N. 2 britannico decembrino MY COO CA CHOO si piazza al terzo posto teutonico, il 9 marzo il suo secondo singolo, JEALOUS MIND, sfratta dalla vetta Suzi Quatro. Anche questo secondo hit si arrampica rapidamente nella chart tedesca, arrivando al N. 5. “Jealous Mind”, prodotta da Peter Shelley, è il suo unico N. 1 britannico. Diciamo che con lui siamo ai confini tra glam “serio” e bubble gum esplicito. Tuttavia nella "Mente gelosa" c’è la chitarra twangy che lo mantiene – per il momento e per molto breve - dentro i confini del “lecito”. La successiva RED DRESS arriva al N. 7 in maggio. Alvin ottiene quattro hit nel giro di un anno, poi il successo svanirà. Ritornerà nei primi anni ’80. E allora approdiamo in pieno territorio pop con gli scozzesi Bay City Rollers! Se andate in Gran Bretagna e trovate un fan del glam non chiamateli band glam: rischiereste un pugno sul naso... I ragazzotti questa primavera arrivano al n. 6 UK con REMEMBER (SHA-LA-LA-LA), il loro primo hit dai tempi di "Keep On Dancing" (e quindi il loro secondo hit in totale). Il gruppo è reduce da un flop col singolo "Saturday Night", che nel 1973 non entra nella classifica britannica (nel 1976 diventerà il loro unico N. 1 USA). È proprio quel fiasco che porta il cantante Nobby Clark a mollare la band. Viene così sostituito da Les McKeown, che riregistra la parte vocale del nuovo singolo, “Remember” appunto, che segna il debutto della formazione “classica”, formata da McKeown, Eric Faulkner, Alan e Derek Longmuir e Stuart "Woody" Wood. La band che più di ogni altra costituirà il prototipo del “gruppo da ragazzine anni ’70” con questo singolo inizia una serie di 9 Top 10 consecutivi in Gran Bretagna, fino alla fine del 1976. E la successiva SHANG-A-LANG li porta al N. 2, bloccati solo da “Sugar Baby Love”. Il pezzo apre ufficialmente e definitivamente la “Rollermania” e darà nel 1975 il nome a uno show TV della band. E a questo punto passiamo decisamente al Pop facile facile. A partire da uno dei maggiori hit dell’anno, che depone Alvin Stardust dalla vetta della UK chart dopo una sola settimana. E qui siamo nel terreno pop più spudorato.
Paper Lace – Billy che visse (e si fece ammazzare) due volte Si tratta di BILLY DON’T BE A HERO dei Paper Lace. Il brano antimilitarista è scritto da Mitch Murray (già autore di successi per Gerry And The Pacemakers) e Peter Callander (autore di brani per Tom Jones, Sandie Shaw e Cliff Richards, tra gli altri), che uniscono le forze nel 1974 formando la propria etichetta discografica, la Bus Stop Records. E tra i primi nomi che firmano per l’etichetta ci sono i Paper Lace. La band, formata a Nottingham nel 1969, nasce ad opera del cantante e batterista Phil Wright e del bassista Cliff Fish. Il gruppo è completato da Michael Vaughn, Chris Morris e dal nativo di Roma Carlo Santanna. Il nome della band deriva dall’industria che caratterizza Nottingham, ovvero quella della carta con cui vengono realizzati nastri di gran qualità. La band della città di Robin Hood viene notata dai due a seguito della vittoria in un programma televisivo noto come “Opportunities Knocks”. A dire il vero il gruppo viene notato dalla moglie di Callander. I due autori stanno cercando una voce per un brano che stanno scrivendo, “Billy” appunto. Contattano la band e dopo un’audizione la mettono sotto contratto. Il brano all’epoca viene spesso associato alla Guerra in Vietnam, sebbene il testo in realtà si riferisca alla Guerra Civile Americana. Il testo parla di una donna che vedendo l’amato che se na va con l’esercito raccomanda a Billy di non fare l’eroe e di tornare indietro per sposarla. E se proprio deve andare in guerra, che tenga almeno la testa bassa! Purtroppo per la fanciulla, Billy farà una fine “eroica”… Ma la vera guerra che si scatena nelle classifiche è quella delle versioni di questa canzone. Murray e Callander infatti stanno cercando di entrare nel mercato americano. I primi contatti internazionali con la EMI non ispirano ottimismo, dato che la prima risposta è “questo è il peggior brano che ci avete mandato”. Poi tuttavia il 16 marzo “il brano peggiore” arriva in vetta alla chart britannica la versione ad opera dei Paper Lace, rimanendovi 3 settimane. E allora le cose cambiano. E la Mercury compra il singolo per la distribuzione internazionale (e soprattutto quella americana). Però è tardi. La ABC Records ha adocchiato il brano e ne ha prodotto una cover ad opera di una band di belle speranze chiamata Bo Donaldson and the Heywoods. Ebbene, la cover “scipperà” l’originale del successo USA. Molte radio USA organizzano sfide tra le due versioni, che vengono vinte dagli americani (beh, giocavano in casa…). E così mentre l’originale si ferma alla vertiginosa posizione N. 96, la cover arriverà in vetta agli States a giugno. Tuttavia i Paper Lace rideranno per ultimi a fine estate, con il loro singolo successivo, la gangsteristica "The Night Chicago Died"… Per la serie “X factor” e “American Idol” non hanno inventato niente, all’epoca le chart britannica presenta vari partecipanti ad “Opportunities Knocks”, come la 10enne Lena Zavaroni, nella Top 10 UK con la cover di MA HE'S MAKING EYES AT ME. L’album omonimo, una raccolta di cover di vecchi standard la rende la più giovane artista che ottiene un piazzamento tra i primi 10 album britannici. Finirà per cantare anche davanti al Presidente USA Gerald Ford nel 1976. Purtroppo la sua fama sarà di breve durata e ritornerà all’attenzione della cronaca solo per problemi di salute legati all’anoressia che la porteranno alla morte nel 1999.
Hot Chocolate – Errol la conosceva bene Citazione di uno splendido film di Antonio Pietrangeli con la Sandrelli per introdurre il grande successo della primavera 1974 per gli alfieri del British Soul, gli Hot Chocolate del pelato Errol Brown. Si tratta di uno dei loro classici, EMMA. Scritto da Errol Brown e Tony Wilson, racconta di Emmaline, una ragazza conosciuta dall'interprete del brano a 5 anni, sposata a 17 e che desidera diventare una “regina del cinema” e non riuscendoci, si suicida lasciando come ultima frase "I just can't keep on living on dreams no more". Il drammatico brano, che già mostra il tipico sound elengante della band, diventa il quarto Top 10 UK della band, portandola trionfalmente al N. 3 britannico e diventando il suo più grande hit fino a quel momento. Da notare che il gruppo otterrà per la prima volta un piazzamento anche nella Top 10 USA, arrivando al N. 8 nel 1975. Si ricorda infatti che un loro pezzo, “Brother Louie”, ha già raggiunto l'anno prima la vetta della Billboard chart, ma sottoforma di una cover ad opera degli Stories. La Cioccolata calda ci permette di affrontare il capitolo dedicato alla musica black del periodo.
Il Soul: da Tarantino al Boogie Restando in UK, da segnalare un altro grande hit pop dei Chi-Lites, HOMELY GIRL, che arriva al N. 5 a maggio. Il singolo invece non entra nella Top 40 USA. La band sta subendo numerosi cambiamenti della formazione e tra breve perderà anche il fondamentale cantante Eugene Record. “Homely Girl” in versione lover’s rock ritornerà nella Top 10 britannica nel 1989 ad opera degli UB40.
Kool & The Gang – La giungla della discoteca Ebbene, il buon Quentin nel suo capolavoro “Pulp Fiction” impiegherà un mostro funk che il 9 marzo '74 esplode al N. 4 USA lanciando nella stratosfera il gruppo che lo interpreta: Kool & The Gang. Si tratta di JUNGLE BOOGIE. La band formata nel 1964 a Jersey City, New Jersey, e guidata dai fratelli Robert (detto "Kool") e Ronald Bell, è partita come un collettivo di jazz puro. Il primo album, intitolato con il nome della band, risale al 1969. La band deve attendere l’autunno 1973 per entrare nella Top 40 americana con "Funky Stuff", primo estratto dal loro quarto album da studio (settimo in totale), “Wild and Peaceful”. Il botto vero avviene tuttavia con il funk torrido del Boogie della Giungla, che vede tra l’altro la partecipazione di un roadie del gruppo, Don Boyce. Il pezzo, primo dei 12 Top 10 USA della band nel corso di circa 14 anni, diventa un classico della pista da ballo e, prima della celebrazione tarantiniana, è stato oggetto di svariati campionamenti. Dai MARRS di "Pump Up The Volume", ai Beastie Boys nel 1989 in "Hey Ladies", da Madonna nel pezzo “Erotica” del 1992 a "You Want This" di Janet Jackson (un'altro!). Il termine Boogie (che si riferisce al vecchio Boogie-Woogie) diventerà di fatto in molti testi di brani degli anni '70 un sinonimo di Disco Music (che ne eredita il 4/4 ma con un numero di battiti al minuto decisamente superiori - 120 bpm in media). E rimanendo in tema di Boogie, l’ex leggendario falsetto dei Temptations, Eddie Kendricks, ottiene dopo il N. 1 USA "Keep On Truckin'" un altro grande successo con BOOGIE DOWN. Il pezzo, che ricorda un po’ certa produzione di Marvin Gaye rimane al N. 2 statunitense per due settimane a partire dal 9 marzo. Sarà l’ultimo Top 10 del cantante, che comuqnue otterrà altri hit minori fino al 1985, anno in cui parteciperà al Live Aid con Hall & Oates. Se ne andrà il 5 ottobre 1992 per un cancro ai polmoni a soli 52 anni.
Diana Ross & Marvin Gaye – Armonia solo apparente Lui duetta con Diana Ross e arriva al N. 5 della UK chart con la cover di YOU ARE EVERYTHING, precedentemente incisa dagli Stylistics. Il duetto fa parte di un intero progetto, un album intitolato “Diana & Marvin”, che vede assieme due tra le più grandi star della Motown. Se Diana è probabilmente, con la Streisand, la star musicale femminile N. 1 del periodo, Marvin ha realizzato autentici capolavori come “What’s Going On” e “Let’s Get It On”. Il progetto è stato pianificato con cura dal gran capo Berry Gordy, ma le cose non vanno come sperato, e non viene esattamente realizzato in piena armonia, anzi! Le registrazioni iniziano nel 1972. All’epoca Diana è incinta del secondo figlio e si rifiuta di entrare nello studio di registrazione con Marvin, che all’epoca fuma una canna dietro l’altra e intende farlo anche in sala. I due registrano così le due parti separatamente… Non male per un album che dovrebbe rappresentare due amanti… Gli americani devono essersene accorti e infatti l’album, uscito nell’autunno del 1973 non fa esattamente faville, fermandosi solo al N. 26 della classifica americana. Va decisamente meglio in UK, dove l’album arriva al N. 6 rimanendo in classifica 43 settimane, sull’onda del successo di “You Are Everything” e di un’altra cover degli Stylistics, "Stop, Look, Listen (To Your Heart)". Negli USA a maggio arriva al N. 19 MY MISTAKE (Was To Love You). Nel 1997 Mary J. Blige rielaborerà il ritornello del pezzo nella sua EVERYTHING, con cui otterrà un meritato Top 10 in Gran Bretagna. Al N. 2 USA arrivano il 18 maggio i Jackson 5 con DANCING MACHINE, cantata da Michael con Jermaine. Il brano riporta al successo i fratelli, che mancano da più di due annetti dalla Top 10 USA (i loro ultimi dischi non hanno fatto esattamente faville). Per l’occasione Michelino lancia una nuova danza, la Robot Dance. Il brano è incluso, in verisone differente e più lunga, nell’album dei fratelli del 1973, “G.I.T.: Get It Together”, tuttavia il suo successo lo porta a dare il nome al successivo album dei cinque, che include la versione pubblicata su singolo e sancisce il passaggio definitivo verso sonorità funk-disco. Curiosamente i britannici, che hanno invece regalato hit da Top 10 ai fratelli durante il periodo di magra americano, son invece indifferenti al brano che non entra neppure in Top 40.
Ma già nel 1974 c’è chi, mollando la Motown, è diventato il gruppo di maggior successo dell’anno negli USA.
Gladys Knight & The Pips – La cosa migliore che poteva capitare loro è stata cambiare casa discografica Gladys, "L'Imperatrice del Soul" e i suoi Pips infatti stanno passando di hit in hit dopo essere passati alla Buddah Records. E ora la band arriva al N. 3 USA il 27 aprile con YOU'RE THE BEST THING THAT EVER HAPPENED TO ME (qui una versione live), che, come molti altri successi della band (vedi anche l'Inverno 1971/72) è una cover di un pezzo country. Anzi, dirò di più, un pezzo country scritto dall’ex quarteback Jim Weatherly. Dalla sua penna infatti è arrivato il loro più grande hit, la splendida “Midnight Train To Georgia”, che il 2 marzo fa guadagnare loro un Grammy come miglior performance vocale di un gruppo. Ora è il turno di un pezzo portato dal musicista country Ray Price al N. 82 della Hot 100 (e al primo posto della classifica country) nel 1973. La versione della Knight ovviamente è invece un grande R’N’B, incluso nell’album di debutto per la Buddah del gruppo. E la corsa del gruppo non si ferma: il 10 maggio esce la colonna sonora del film all-black “Claudine”, in cui la Knight interpreta brani composti e prodotti dal grande Curtis Mayfield. Da notare che il film non è del genere blaxploitation, ma si tratta di una rara (per l’epoca) commedia romantica con interpreti di colore. C’è invece chi è rimasto alla Motown solo alle condizioni di fare esattamente tutto quello che vuole…
Stevie Wonder – Ritorno trionfale Stevie ritorna nella Top 10 UK con HE'S MISSTRA KNOW IT ALL. E al contempo il geniale artista piazza nella Top 20 americana DON'T YOU WORRY 'BOUT A THING. Entrambi i singoli sono estratti dall’ultimo capolavoro di Stevie, “Innervisions”, Va detto che la primavera del 1974 rappresenta un momento molto particolare per il grande artista. A marzo infatti Stevie torna trionfalmente davanti al pubblico in concerto al Madison Square Garden dopo il terribile incidente automobilistico avvenuto il 6 agosto 1973 che gli è quasi costato la vita. L’incidente è avvenuto pochi giorni dopo la pubblicazione di “Innervisions”, da cui son già stati tratti nei mesi precedenti due formidabili successi come “Higher Ground” e "Living for the City". Il terzo singolo estratto in America, “Don't You Worry 'Bout A Thing”, che arriva al N. 16 USA, è influenzato dalla musica latino-america e presenta un messaggio ottimista. Il brano verrà rifatto da numerosi altri artisti e diventerà nel 1992 un hit anche per gli Incognito. Ben altro è il messaggio di “He's Misstra Know It All”, un feroce attacco che sembra a tutti gli effetti indirizzato a Nixon, che diventerà anche il soggetto esplicito del suo prossimo hit (e N. 1) “You Haven’t Done Nothing”. Una cover di “Don't You Worry 'Bout A Thing” è inclusa anche nel nuovo album del trio di Harlem dei The Main Ingredient, intitolato "Euphrates River", da cui viene estratto un singolo che il 4 maggio arriva al N. 10 USA. Si tratta della dolce (ma non smielata) JUST DON'T WANT TO BE LONELY. Il singolo è il secondo e ultimo Top 10 del gruppo dopo la classica “Everybody Plays The Fool” del 1972. Una curiosità, nel gruppo milita Cuba Gooding Snr., padre dell’attore Cuba Gooding Jr., futuro premio Oscar per “Jerry Maguire”.
Ebbene, nella primavera 1974 c’è qualche esempio interessante di Muse particolari…
Cantami o Musa Hollies – Ballata per una cozza Alle spalle dei Paper Lace nella UK chart in aprile si piazzano gli Hollies. I veterani con la splendida THE AIR THAT I BREATHE ritrovano la strada della Top 10 britannica a distanza di 4 anni dall’ultimo hit. Il brano è scritto da Albert Hammond (questa primavera nella Top 3 tedesca con I'M A TRAIN, nonchè futuro autore di successi per, tra gli altri, Leo Sayer, Tina Turner, Starship e Aswad) e Mike Hazelwood subito dopo il loro spontamento a Los Angeles. Come dirà Hammond, il pezzo sembra un'ode dedicata a una donna bellissima. E invece no. Invece è dedicato a (ispirato da) una donna che, a detta dell’autore, è un’autentica cozza, ma è “tanto bella dentro”. Si tratta dalla donna che gli da ospitalità a Los Angeles, quando si ritrova senza la famigerata Carta Verde, senza soldi e senza un posto dove stare. Il titolo poi deriva dal fatto che i due a Los Angeles hanno la possibilità di “godere” dell’aria locale, piena di smog. E dall’unione delle due cose, ecco che ne fuoriesce un hit transatlantico. Il pezzo che diventa l’ultimo grande hit della band (salvo riedizioni) viene inciso prima nel 1972 da Hammond, nel suo album “It Never Rains In Southern California”. E nel 1973 viene rifatto da Phil Everly, ex membro degli Everly Brothers. Tuttavia è la versione degli Hollies, a cui collabora anche Alan Parsons, che diventa un hit clamoroso. Il gruppo, in cui è rientrato il cantante Allan Clarke, comprende all’epoca anche Terry Sylvester, Tony Hicks, Bernie Calvert e Bobby Elliott. La band è reduce da una serie di flop, e il successo del singolo (che si piazza anche nella Top 10 germanica e arriverà al N. 6 USA in agosto) è una salutare boccata d’aria. Tuttavia si tratta di un successo legato più all'effettiva qualità del brano e la band ritornerà nella Top 10 UK (per l'esattezza, al N. 1) nel 1988 con una riedizione del classico “He Ain't Heavy, He's My Brother”. Nel 1998 il pezzo sarà un hit anche per i Simply Red, arrivando al N. 6 UK. E Sophia Coppola la utilizzerà nella colonna sonora del suo “Il Giardino Delle Vergini Suicide”. Se tuttavia la melodia del pezzo vi dovesse suonare famigliare pur non conoscendo nessuna delle versioni citate, è probabile che siate dei fan dei Radiohead. Infatti Yorke e soci ne rielaboreranno la melodia delle strofe in un loro classico, l'altrettanto splendida “Creep” del 1993. Hammond e Hazlewood verranno perciò inclusi tra gli autori di quel pezzo assieme a Thom Yorke, ricavandone parte delle royalties. Gli Agrifogli son tra le band arrivate al successo con la Prima Storica British Invasion del 1964. E per restare in argomento, quindi passiamo a un ex Scarabeo di cui non ho ancora parlato…
Paul McCartney and Wings – Il labrador ispiratore del recidivo Paul Con i suoi Wings, il buon Paul ottiene un ottimo hit con JET (qui una versione live), il secondo estratto dal famoso “Band On The Run”, forse l’album di Macca di maggior successo degli anni ’70. Il brano arriva al N. 7 su ambo le sponde dell’Atlantico e deve il suo titolo al nome del cane (un labrador retriever) di Paul e Linda, Jet appunto. Paul da questo punto di vista è recidivo, dato che già all’epoca dei Beatles aveva dedicato “Martha My Dear” (dal "White Album") al suo cane da pastore. Il testo di "Jet" tuttavia non parla del cane, ma è stracarico di riferimenti, più o meno velati, ad alcuni personaggi, in primis John Lennon (i due all’epoca manco si parlano e nel testo Paul sembra anche accennare a questo). Tra l’altro sembrerebbe che all’epoca dei Beatles, Paul chiamasse John “Jet”. A questo punto sarebbe chiaro che il pezzo è dedicato soprattutto a John, ma anche che poi ha dato il nomignolo di John al cane… Il brano sembra parlare anche di David Bowie, di cui cita sia “Suffragette City” sia il Major Tom di “Space Oddity” facendo riferimento al fatto che David somiglia a una donna... I Jet, la band australiana che ha ottenuto successo tra il 2003 e il 2004 con l’album “Get Born” e il pezzo "Are You Gonna Be My Girl", deve il suo nome a questo brano. Intanto “Band On The Run”, uscito nel dicembre 1973, dopo una partenza lenta arriva in vetta alla Billboard chart degli album il 13 aprile sfrattando per una settimana John Denver. Ritornerà in vetta in estate, dopo il successo del singolo con la title-track. L’album dominerà anche la classifica britannica nel corso dell’estate, restando in vetta 7 settimane. Ne riparlerò.
Genesis – Il guardaroba del tagliaerbe Questa primavera vede il debutto nella classifica dei singoli britannici per una band che è già nota nel resto dell'Europa e ha già conosciuto una buona fortuna nella classifica degli album. Dopo 5 singoli che hanno miseramente floppato, i Genesis per la prima volta approdano nella Top 40 UK con I KNOW WHAT I LIKE (IN YOUR WARDROBE) (qui e qui due versioni live), che arriva al N. 21. Il brano è contenuto nel loro album uscito nel 1973, “Selling England By the Pound”, che si è piazzato al N. 3 UK in autunno. L’album, con riferimenti alle opere di Tolkien, diventa così il maggior successo del gruppo nella prima fase, quella con Peter Gabriel come frontman e Steve Hackett, Mike Rutherford, Tony Banks e Phil Collins. Sebbene i brani mantengono una notecole complessità strutturale, l’album vede un approccio melodico apparentemente più “pop”. E il brano che porta la band nella classifica dei singoli per la prima volta rappresenta tale equilibrio tra complessità e melodia: dietro un pezzo apparentemente più pop (in confronto con altri pezzi della band) ci son strutture ritmiche influenzate dalle sonorità orientali. Per tacer del suono di un taglierba riprodotto da Banks alle tastiere. Il singolo viene pubblicato nell’agosto 1973, ma diventa un successo solo nell’aprile successivo. Il pezzo ufficialmente è ispirato alla copertina dell’album, in cui viene inserito un tagliaerba proprio per meglio farla aderire al brano. La storia racconta di un ragazzo che taglia l’erba per vivere e ha come filosofia quella di non voler crescere essendo felice così com’è. Sembra tuttavia che il brano sia stato scritto ispirandosi a un roadie della band del periodo 1971-73, tal Jacob Finster, morto per overdose, la cui specialità era di non riuscire a mantenere un lavoro (ha lavorato come giardiniere, cassiere e commesso). Da notare che i Genesis torneranno nella classifica dei singoli solo nel 1978. Ma quella sarà un’altra storia. Restando in ambito rock progressivo, gli Yes arrivano nella Top 10 USA con il loro doppio "Tales From Topographic Oceans", che tuttavia viene accolto anche da critiche negative a causa dell’eccessiva lunghezza dei pezzi (praticamente uno per lato). Il lavoro rappresenta un po’ il punto di non ritorno del rock progressivo, le cui composizioni abbandonano ogni semplificazione. Verrà definito da Jon Anderson come "il punto d’incontro tra grandi idee e poche energie". Il mago delle tastiere Rick Wakeman si dichiara non soddisfatto dal disco. Ma i suoi rapporti con la band ormai son deteriorati a tal punto che la molla alla fine del faraonico Tales Tour del 1974. Mollati gli Yes, Wakeman decide quindi di realizzare un nuovo album solista (il successore di “The Six Wives of Henry VIII”). L'album si intitola “Journey To The Centre Of The Earth”, Ispirato vagamente al romanzo di Verne “Viaggio Al Centro Della Terra”, è stato registrato dal vivo con la London Symphony Orchestra e The English Chamber Choir alla Royal Festival Hall di Londra il 18 gennaio 1974. La lavorazione dell'album è una sorta di via crucis. Narra la leggenda che per realizzarlo Rick abbia dovuto ipotecare la casa e che la scelta di registrarlo dal vivo sia stata dovuta alla carenza di quattrini che gli ha impedito di registrarlo in uno studio. Al contempo, a causa dei costi, è costretto a tagliare alcune parti. La A&M inglese non vuole produrre l’album e Wakeman riesce a farlo produrre alla A&M americana. Appena dopo la sua pubblicazione, durante un’intervista, il nostro ha pure il suo primo attacco di cuore, dovuto al suo vecchio amore per la bottiglia. Tuttavia tante pene vengono ricompensate. L’album, il primo quadrifonico CD-4 della A&M, viene salutato come uno dei migliori di Wakeman e arriva in vetta alla UK chart in maggio sfrattando per una settimana i Carpenters e diventa un successo da Top 10 anche oltreoceano. Wakeman si scatena con vari sintetizzatori, in particolare il Moog, e pure con un clavinet. L’album inoltre presenta parti vocali realizzate da Garry Pickford-Hopkins e Ashley Holt, mentre David Hemmings, l’attore protagonista di “Blow Up” di Antonioni e, in futuro, anche di “Profondo Rosso”, fa da voce narrante. Ovviamente con gli album di progressive è dura trovare pezzi interi su youtube, data la lunghezza di questi. Tuttavia in questo caso c'è a disposizione il "Viaggio" completo (Parte 1, Parte 2, Parte 3, Parte 4, Parte 5). E a proposito dei Genesis. C'era una volta una band chiamata Smile che ha aperto alcuni concerti della Genesi e che adesso, contemporaneamente proprio all'Arcangelo e compari, debutta nella classifica dei singoli UK. Propone un suono già personale che si pone a metà strada tra hard rock, glam operatico e rock progressivo. Anche questa band diventerà, come i Genesis, una delle formazioni più note della Storia del Rock. Come? Non l'avete mai sentita nominare? Ma ovviamente perchè ha cambiato nome. E il nome scelto ne rivela i bellicosi propositi sin da subito. Signori e Signore, inchinatevi, perchè in classifica è entrata la Regina!
The Queen - Debutto marittimo in società per la Regina Il biglietto da visita con cui si presenta per la prima volta nella Top 10 UK è SEVEN SEAS OF RHYE. Seguiranno altri 24 Top 10 britannici nel corso dei successivi 26 anni. Come dichiarerà Brian May, il gruppo quando pubblica il pezzo ha la sensazione che, se le radio lo passeranno, la band non si sarebbe più fermata. E così accade. Per May il brano si rivela tutto nei primi 20 secondi, con l’introduzione che vede l’arpeggio del piano di Freddie a cui si sovrappongono chitarra e batteria. Presente in forma embrionale (più breve e strumentale) come traccia di chiusura del primo album della band, “Queen”, il brano chiude, nella versione definitiva, anche “Queen II”. Il pezzo si riferisce a un mondo immaginario su cui Mercury fantastica durante l’infanzia, Rhye. Tuttavia sembra che la canzone presenti anche riferimenti al viaggio di Zoroastro (il padre di Freddie è di origine Parsi, una comunità di origine persiana praticante come culto un derivato della religione Zoroastriana). La band nasce nel 1969, quando Brian May e il cantante e bassista Tim Staffell decidono di formare una band. May mette un annuncio alla ricerca di un batterista nello stile di Ginger Baker o Mitch Mitchell. Gli risponde Roger Taylor. Gli Smile firmano per la Mercury Records. A questo punto Staffel presenta ai compari un suo compagno di college, tal Farrokh Bulsara, che, studente di pittura e design, segue la band come “consulente d’immagine”. Staffel nel 1970 molla la band per unirsi agli Humpy Bong. La band ha bisogno di un nuovo cantante, e così Farrokh, già cantante per alcune oscure band come i Sour Milk Sea, si unisce ufficialmente agli Smile. Urge tuttavia cambiare il nome. Si adotta così The Queen, nome suggerito da Bulsara, in quanto "forte, universale e con più significati". Farrokh cambia pure il proprio nome, ribattenzandosi Freddie Mercury, in onore di Mercurio, il messaggero degli dei (poi citato nella canzone “My Fairy King”, contenuta nel primo album della band). Nel febbraio 1971 la band assolda stabilmente il bassista John Deacon, con cui inizia a lavorare sul primo album. L’album in questione, “Queen”, viene registrato al Trident Studio durante le ore di chiusura, di prima mattina e di notte. Esce nel 1973. Nonostante le critiche positive, il pubblico snobba la Regina. Tuttavia il risultato viene considerato molto interessante dai discografici che mettono a disposizione della band, secondo quanto dichiarato dal produttore Roy Baker, “ogni tecnica musicale e di produzione immaginabile”. E tali mezzi vengono sfruttati per il secondo album, “Queen II”, il più hard rock della loro carriera. Nonostante tali mezzi, la genesi dell’album è alquanto tribolata, sia per la crisi petrolifera (come già visto per gli Sparks, c’è carenza di vinile). Rimandato più volte, arriva nei negozi con un errore di testo sulla copertina (su cui compare la famosa foto che ritornerà più volte nella carriera della band, come nel video di "Bohemian Rhapsody"), cosa che provoca le proteste della band. L’album, diviso in due parti (il “lato bianco”, composto prevalentemente da May – più un pezzo di Taylor, che vede una dolce Regina bianca in “As It Began”, e il “lato nero”, scritto interamente da Mercury, che immagina una Regina Nera portatrice di caos in “The March Of The Black Queen”) dimostra l’eclettismo della band, che affianca brani progressivi a ballate e rocker che si avvicinano all’art-glam rock. Alla fine il disco esce e diventa il primo successo della band, arrivando nella Top 5 UK sull’onda del successo del singolo e favorendo anche la riscoperta del suo predecessore (che si ferma al N. 24). La band inizia anche un tour con i Mott The Hoople. E tra pochi mesi sarà il turno della “Regina Assassina”. I Sette Mari di Rhye saranno citati anche in un pezzo dal successivo album della band, "Lily Of The Valley", nonché in “It's a Beautiful Day (Reprise)”, nell'album “Made in Heaven”. Un'altra grande band legata all'hard rock domina la album chart tedesca per 9 settimane a partire dal 29 marzo. Si tratta dei Deep Purple, giunti all'ottavo album, BURN, uscito in febbraio. L’album a marzo arriva pure al N. 3 UK, ma il successo tedesco è nettamente superiore. Registrato come i precedenti nello Studio Mobile dei Rolling Stones, stavolta posizionato a Montreaux, in Svizzera (luogo in cui è stato concepito il loro superclassico “Smoke On The Water”). L’album è il primo realizzato con David Coverdale come cantante e Glenn Hughes come bassita al posto rispettivamente dei dimissionari Ian Gillan e Roger Glover. Di fatto inaugura la formazione indicata come Mark 3. I nuovi innesti influiscono sul suono della band, che inizia a includere elementi funk. La veloce title-track diventa per due anni il pezzo che aprirà i loro concerti. Poi con la reunion del 1984 e il ritorno di Gillan, il pezzo sparirà dalle scalette dei concerti, dato che Gillan si rifiuterà di cantare i pezzi del periodo di Coverdale. Quest’ultimo tuttavia con i suoi Whitesnake lo interpreterà spesso in concerto. Ma la classifica tedesca presenta una propensione per l’hard rock anche sul settore singoli. Arrivano infatti clamorosamente al N. 1 tedesco i Nazareth con la tumultuosa THIS FLIGHT TONIGHT, cover hard rock del pezzo di Joni Mitchell contenuto nel celeberrimo “Blue”. Gli scozzesi, capeggiati dal cantante Dan McCafferty, devono il nome al pezzo “The Weight” della Band stanno ottenendo un successo decisamente maggiore nell’Europa continentale rispetto alle patrie isole, dove il pezzo tratto dal loro secondo album “Loud ‘N’ Proud” si è fermato nel 1973 al N. 11.
Joni Mitchell – Richiesta d’aiuto per subitaneo innamoramento pericolosamente irrazionale “Help me I think I'm falling in love again...” Il suo “Court And Sparks” è uno dei bestseller della stagione. Uscito in gennaio, si rivela il maggior successo commerciale della cantautrice (N. 2 USA per 4 settimane) e, forse, il suo lavoro più compiutamente accessibile: 10 racconti brevi che esplorano le relazioni, con arrangiamenti più ricchi, caratterizzati dall’inserimento di sonorità jazz nel suo tipico folk. E l'album regala a Joni anche un hit, la splendida HELP ME (qui versione live), che pubblicata come secondo singolo, ai primi di giugno si attesta al N. 7 americano, diventando il suo maggiore successo a 45 giri. Una canzone d’amore “adulta”, che parla di tutte le insicurezze che colpiscono una persona reduce da passate esperienze che sente che si sta innamorando di una persona che sicuramente la farà ancora soffrire, dato che l’oggetto di cotanti amorosi sensi ama troppo la sua libertà, come lei d’altra parte. E quello che parte come quasi un’ironica “richiesta d’aiuto” diventa un’amara constatazione di future pene d’amore che porteranno a un ennesimo fallimento. Musicalmente il pezzo si presenta “ricco” in rapporto alla passata produzione della cantautrice canadese, con un arrangiamento folk-jazz “pastoso”. Il brano verrà citato da Prince nel testo di 'The Ballad of Dorothy Parker”, inclusa in “Parade”: sin innamora di una cameriera la cui canzone preferita è “Help Me”… E restando tra i cantautori americani, c'è un altro debutto di lusso in classifica...
Billy Joel – E finalmente arrivò il successo per Piano Man Debutta nella classifica USA Billy Joel con PIANO MAN. Questo grande singolo, tratto dall’album omonimo (il suo secondo) porta William Martin "Billy" Joel al primo successo della carriera in aprile. Billy ha da poco firmato per la Columbia dopo essersi liberato nel 1971 da un contratto capestro con la Family Records. L’album e il pezzo omonimo riflettono le esperienze passate da Joel, che nel 1972, dopo il fiasco del suo primo album, “Cold Spring Harbor”, ha suonato a Los Angeles per 6 mesi in un piano bar chiamato “The Executive Room” sotto il nome di Bill Martin per pagare l’affitto. I personaggi di cui narra il brano sono ritratti di persone realmente incontrate da Joel durante questa esperienza. Nel 2006 il nostro confesserà di essere stato imbarazzato dal successo del brano, in quanto lo ritiene poco interessante dal punto di vista melodico e piuttosto ripetitivo. In ogni caso all’epoca, quando “Piano Man” viene pubblicata su singolo, brutalmente tagliata per ridurne la durata, Billy si imbestialisce a tal punto che scriverà per protesta “The Entertainer”, inclusa nel suo terzo album “Streetlife Serenade”, pubblicato a fine 1974. Evidentemente, pur essendo per lui uno "scarrafone", papà suo ci teneva... Due curiosità: la cameriera di cui parla nel brano diventerà la sua prima moglie (quella a cui dedicherà “Just The Way You Are”), mentre il “Piano Man” in realtà non è il piano man in questo brano: infatti lo strumento non è suonato da Joel ma da Michael Omartian… Ah, nel 1985 Pierangelo Bertoli ne farà la versione italiana. La classifica britannica degli album è dominata questa primavera, a partire dal 9 marzo, per 11 settimane, da “The Singles 1969-1973”, raccolta dei Carpenters. Considerato che il disco è già stato in vetta per altre 4 settimane in inverno, avete di fronte l’album più venduto oltremanica dell’anno (seguito da “Band On The Run” e “Tubular Bells”), nonché un album da 7 milioni di copie negli USA. Karen e Richard Carpenter sono gli indiscussi sovrani dell’easy listening. I due fratelli piazzano nella classifica dei singoli JAMBALYA (ON THE BAYOU), una cover di un pezzo del ’52 di Hank Williams Snr, già portata al N. 3 USA nel ’52 da Jo Stafford, al N. 30 nel ’62 da Fats Domino e al N. 16 nel ’73 dai Blue Ridge Rangers (con l’ex Creedence Clearwater Revival John Fogerty). La versione dei fratelli si arrampica fino al N. 12 della classifica del Regno Unito, mentre non viene pubblicata negli USA. Il brano, che evoca spuntini a base di specialità cajun su una laguna, non è incluso nella raccolta, ma è presente nell’album del 1973 “Now And Then”, il loro quinto. Negli USA arriva al N. 5 dei singoli la "suora rock", ovvero Sister Janet Mead. Australiana, è una pioniera nell'uso di arrangiamenti pop e rock da usare nelle messe. Nel 1973 le propongono di incidere un singolo con una sua versione di "Fratello Sole, Sorella Luna" di Zeffilleriana memoria. Lei vi abbina un arrangiamento rock del "Padre Nostro" et voilà: ecco a voi THE LORD'S PRAYER, un hit che arriva al N. 5 USA, vendendo oltre 3 milioni di copie nel Mondo e dievntando il primo disco prodotto in Australia a vendere 1 milione di copie in America. Di fatto nasce il Rock Cristiano. Se vi sono tanti nomi che arrivano al successo questa primavera, c'è anche chi invece ottiene l'ultimo grande hit. E per iniziare rimaniamo in ambito cajun...In aprile arriva invece al N. 5 USA COME AND GET YOUR LOVE dei Redbone. La band, l’unica formata da nativi americani, ha già ottenuto un hit nel 1971 con la sua “musica da palude” che unisce sonorità black e ritmi tribali cantando della Regina Strega di new Orleans. Tuttavia quell’hit è stato un successo prevalentemente europeo. Adesso invece arriva l’hit americano. I fratelli Pat e Lolly Vegas tuttavia per ottenerlo hanno dovuto abbandonare le sonorità caratteristiche della band per un suono più pop. Non per nulla la canzone verrà indicata come la meno “indiana” del loro repertorio. La band ritenterà il colpo con un singolo successivo, senza riuscirci, e allora tornerà al sound originario. Arrivano al N. 4 USA il 25 maggio i Three Dog Night con THE SHOW MUST GO ON, cover di un brano di ambientazione circense (e si sente!) di Leo Sayer che ha ottenuto il successo in UK durante l’inverno. Questa primavera tuttavia la versione originale è nella classifica tedesca. Il singolo è l’ultimo Top 10 hit della band. Lo show continuerà anche senza di loro...
E la chicca tedesca? Beh, al N. 1 per una settimana, il 29 marzo, interrompendo il regno degli Sweet, è Dan The Banjo Man, pseudonimo dietro il quale si cela il londinese Phil Cordell, con il pezzo omonimo. Difficile descriverlo. In realtà non vi compare alcun banjo, ma il suono viene ricavato armeggiando col pedale wah wah. Sembra quasi “Games People Play” suonata al kazoo. Il pezzo diventa un hit dopo essere stato impiegato in uno spot pubblicitario di un succo d'arancia. Strano che non abbia venduto da noi… E altrettanto strano che non ne abbiano fatto una versione techno negli anni ’90…
USCITE CHIAVE A marzo esce anche “Pretzel Logic” degli Steely Dan, terzo album della band di Donald Fagen e Walter Becker, all’epoca un quintetto che ingloba i chitarristi Jeff “Skunk” Baxter e Denny Dias e il polistrumentista Victor Feldman. L’album li vede alle prese con composizioni che presentano la tipica struttura della canzone pop, entro la quale tuttavia i due giocano con i generi della storia del pop, miscelandoli in modo genialmente raffinato, come accade nell’hit RIKKI DON’T LOSE THAT NUMBER, storia di amore non corrisposto in cui si sposano un piano da ballata, una ritmica latino americana e la chitarra country rock di Jeff Baxter. C’è spazio anche per l’ottimismo della calda ANY MAJOR DUDE WILL TELL YOU. E pure per un brano di Duke Elligton, un ragtime con innestata la stell guitar, nonché unico pezzo strumentale dei Dan, ANY MAJOR DUDE WILL TELL YOU. Non mancano comunque testi mordaci, dal noir west coast di WITH A GUN al funk metropolitano notturno del solitario NIGHT BY NIGHTS, che sembra uscire dritta da un poliziesco, alla velenosa funk MONKEY IN YOUR SOUL, a cui spetta la chiusura dell’album. Nell’album compare nei cori anche la calda voce di Michael McDonald, futuro compare di Baxter nei Doobie Brothers (vedi Primavera 1979), nonché la batteria di Jeff Porcaro, futuro Toto. "I Want to See the Bright Lights Tonight" di Richard & Linda Thompson esce in aprile. Il duo folk formato dall’ex Fairport Convention e dalla moglie offre come primo dei sei album realizzati un viaggio oscuro e cupo, che lascia ben poco alla speranza. In perfetta linea con i tempi, che vedono la crisi abbattersi sulla società britannica che si scopre ricca di disperati e senzatetto. Come verrà definito, “il poeta folk delle strade piovose” ci propone un viaggio nel lato oscuro della Gran Bretagna, dove spesso ha più importanza quello che viene nascosto. Un viaggio che non propone certezze. A partire dalla copertina, che – forse – è scritta con il sangue. Per voi la bella title-track (versione dal vivo senza tuttavia la banda di ottoni che la caratterizza nel disco). E ora un po' di dizionario. Kosmische Musik: musica sperimentale elettronica che esplora il rapporto tra uomo e cosmo. Berlin School: movimento elettonico nato a Berlino basato su melodie create improvvisando con sintetizzatori e chitarre su basi realizzate al sequenziatore, con abbondante impiego di effetti sonori. Letto? Bene, allora forse capirete di che parlo trattando “Phaedra” dei Tangerine Dream, che esce a marzo. La band tedesca, esponente della Kosmische Musik, è arrivata al quinto album. Il primo realizzato per la Virgin, si piazza addirittura nella Top 15 britannica, lanciando definitivamente la band krautrock. La creatura surreale creata nel ’67 da Edgar Froese, già discepolo di Dalì, dopo un disco d’esordio suonato con strumenti tradizionali mescolati a oggetti d’uso comune, ha sviluppato sempre più un rapporto con l’elettronica che raggiunge con “Phaedra” forse il punto più compiuto commercialmente e stilisticamente. Per la prima volta il gruppo, all’epoca un trio formato da Froese, Chris Fanke e Peter Baumann, usa il Moog e il sequenziatore. Un disco ipnotico che da il via alla cosiddetta Berlin School, precede l’ambient e che di fatto influirà sulla musica elettronica a venire. Ascoltare per credere MYSTERIOUS SEMBLANCE AT THE STRAND OF NIGHTMARES. La title-track (su youtube solo una porzione) è invece praticamente una prova di impiego del moog fatta senza accorgersi che i nastri stavano registrando e poi mantenuta, con l’aggiunta di basso, mellotron e flauto. La prossima volta, ancora un passo indietro, agli albori del decennio. Grandi cambiamenti: gli anni '60 se ne vanno per sempre e con loro la band più popolare della Storia del Pop. E pure il ponte su acque tempestose tra il duo di maggior successo dei '60 è destinato a disintegrarsi. E tra hit western, one hit wonder mistiche e donne americane, si inizia a sentire la musica dei '70...
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